03/08/25

Conferenza di Bogotá / Dare forza alla Palestina e ad un Nuovo Ordine Mondiale

Israele, con il pieno sostegno occidentale, ha fatto a pezzi, insieme ai corpi di centinaia di migliaia di palestinesi, il diritto internazionale, di fatto trasformando la Palestina in uno "stato di eccezione" in cui i palestinesi non sono protetti dalla legge, ma vengono invece disumanizzati, bombardati, fucilati, torturati, violentati e affamati.

Foto di Nathaniel St.Clair

di Ray Acheson* 

Una coalizione di stati transregionali si è riunita a Bogotá, in Colombia, a metà luglio per discutere misure volte a porre fine al genocidio palestinese da parte di Israele. Il conseguente impegno di alcuni di questi governi a interrompere ogni sostegno materiale a Israele e a rispettare il diritto internazionale rappresenta un importante passo avanti, non solo per porre fine al genocidio, ma anche per contrastare il crescente militarismo e le speculazioni degli stati occidentali. Il potere popolare è la forza alla base di questi impegni ed è ciò che porterà alla loro attuazione.

Mettere fine a ogni complicità 

Dal 15 al 16 luglio 2025, trenta stati si sono incontrati a Bogotá, in Colombia, per una Conferenza di Emergenza sulla Palestina, convocata congiuntamente da Colombia e Sudafrica in qualità di copresidenti del Gruppo dell'Aja.

Il Gruppo dell'Aja, composto da Bolivia, Colombia, Cuba, Honduras, Malesia, Namibia e Sudafrica, ha iniziato a organizzarsi nel gennaio 2025, costituendosi come un blocco di paesi che coordina l’implementazione di misure legali e diplomatiche in solidarietà con il popolo palestinese.

Alla conferenza di Bogotá di luglio hanno preso parte anche altri paesi provenienti da Africa, Asia, Europa e Americhe. In risposta al continuo e intensificato genocidio dei palestinesi da parte di Israele, i partecipanti alla conferenza hanno concordato all'unanimità che «l'era dell'impunità deve finire e che il diritto internazionale deve essere applicato senza timore o favoritismi attraverso politiche e legiferazioni interne immediate».

Dodici degli stati partecipanti – Bolivia, Colombia, Cuba, Indonesia, Iraq, Libia, Malesia, Namibia, Nicaragua, Oman, Saint Vincent e Grenadine e Sudafrica – si sono impegnati ad attuare sei misure per porre fine alla loro complicità con il genocidio dei palestinesi da parte di Israele. Queste includono:

*Impedire la fornitura di armi, equipaggiamento militare e strumenti a doppio uso a Israele, includendo il blocco del transito di tali materiali attraverso i loro territori o il trasporto su qualsiasi nave battente bandiera del loro paese;

*Impedire alle istituzioni pubbliche e ai fondi pubblici di sostenere l'occupazione illegale della Palestina da parte di Israele;

*Garantire l'accertamento delle responsabilità per i crimini relativi al diritto internazionale, attraverso indagini e procedimenti giudiziari indipendenti a livello nazionale o internazionale;

*Sostenere i mandati di giurisdizione universale per garantire giustizia alle vittime di crimini internazionali commessi nei Territori Palestinesi Occupati.

I 12 stati incoraggiano altri paesi ad unirsi a loro in impegni simili, esortandoli a farlo entro il 20 settembre 2025, data di inizio della prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Hanno inoltre invitato tutti gli stati ad adottare misure efficaci per chiamare Israele a rispondere delle sue violazioni del diritto internazionale, anche imponendo sanzioni.

Lo spirito di Bandung

La conferenza di Bogotà è una coraggiosa dimostrazione di multilateralismo in azione, attraverso la quale gli stati si sostengono a vicenda nel rispetto dei propri impegni ai sensi del diritto internazionale. Con i governi più militarizzati del mondo implicati in violenze di massa, è imperativo che altri paesi formino nuove coalizioni di forze per contrastarli e per costringerli a rendere conto delle loro azioni.

Settant'anni fa, nell'aprile del 1955, ventinove stati asiatici e africani si riunirono a Bandung, in Indonesia, per opporsi al "colonialismo in tutte le sue manifestazioni". Hanno adottato una Dichiarazione in dieci punti sulla promozione della pace e della cooperazione nel mondo, che incorpora i principi della Carta delle Nazioni Unite, i diritti umani, l'uguaglianza razziale, la sovranità territoriale e la non ingerenza.

Basandosi sui principi stabiliti alla Conferenza di Bandung, il Movimento dei Paesi Non Allineati (NAM) fu fondato nel 1961 dai leader dell'allora Jugoslavia, di Ghana, India, Indonesia e Repubblica Araba Unita. Il NAM era concepito come contrappeso ai blocchi statunitense e sovietico della Guerra Fredda. Rifiutava il colonialismo, l'imperialismo e ogni forma di aggressione e dominazione straniera.

Oggi il NAM esiste ancora. Tuttavia, le mutate dinamiche politiche, economiche e militari dei decenni successivi ne hanno ridotto il potere come alternativa alle strategie militari dell'Occidente e della Russia. Invece di opporsi al colonialismo, alcuni dei suoi membri fondatori, come l'India, sostengono il genocidio palestinese perpetrato da Israele. Due dei suoi membri, India e Pakistan, possiedono armi nucleari. Alcuni stati del NAM hanno stretto nuove alleanze con la Russia o con l'Occidente. Molti sono economicamente compromessi con l'Occidente o con la Cina attraverso programmi di aggiustamento strutturale o pacchetti di "aiuti allo sviluppo".

Queste relazioni hanno impedito a diversi stati del NAM di intraprendere azioni significative di fronte al genocidio. Anche se molti condannano retoricamente le azioni di Israele, la loro complicità continua sotto pressione economica o politica.

Pertanto, la necessità di un'alternativa significativa alle cosiddette "grandi potenze rivali" e al loro imperialismo dilagante insieme ai profitti di guerra è più che mai imperativa. Il Gruppo dell'Aja offre una possibile configurazione che potrebbe rafforzarne le capacità; altre configurazioni sono anche possibili e necessarie. La chiave sarà capire come questi paesi possano sostenersi a vicenda a fronte della potenza economica, politica e militare dell'Occidente, oltre che della Russia e della Cina, che vedono formazioni come questa come minacce al loro dominio. 

Armi di insediamento coloniale

Il governo degli Stati Uniti ha già accusato il Gruppo dell'Aja di cercare di "militarizzare il diritto internazionale come strumento per promuovere programmi radicalmente anti-occidentali". Questa osservazione è istruttiva, poiché considera il rispetto del diritto internazionale per prevenire il genocidio come anti-occidentale. Ciò ha senso se si considera il genocidio dei palestinesi da parte di Israele come l'ultimo di una lunga storia di genocidi coloniali occidentali e di attuali progetti imperialisti.

Come scrivono Nick Estes, Melanie K. Yazzie, Jennifer Nez Denetdale e David Correia in Red Nation Rising: From Bordertown Violence to Native Liberation, le società da insediamento coloniale necessitano di una violenza continua contro le popolazioni indigene per poter sostenere la vita dei coloni. Uno stato di coloni non può esistere senza soggiogare il mondo nativo preesistente; quindi, la "concezione omicida del colono" è "fondata su normative culturali, legali e politiche di sterminio e genocidio".

La maggior parte degli stati che traggono profitto dal genocidio israeliano sono colonizzatori: dai paesi europei che hanno devastato altri continenti per depredare risorse e manodopera, rubando ricchezze e distruggendo la vita indigena, agli stati di insediamento coloniale come Australia, Canada e Stati Uniti, che hanno perpetrato i propri genocidi per eliminare, incarcerare e dominare le popolazioni indigene. L'affermazione che il tentativo di sostenere la Convenzione sul Genocidio sia un programma anti-occidentale è comprensibile solo alla luce della brutale storia e pratica continua del colonialismo da parte dell'Occidente. 

Il genocidio è necessario al colonialismo di insediamento; il colonialismo di insediamento di Israele è necessario per i profitti bellici occidentali e per i tentativi di controllare le risorse energetiche nella regione. Gli Stati Uniti usano Israele come base militare per esercitare il loro potere in Medio Oriente a beneficio di pochi ricchi, in particolare appaltatori militari e dirigenti petroliferi. Inviano inoltre miliardi di dollari in armi e altri aiuti materiali a Israele, così come fanno Regno Unito, Canada, Australia, Germania e altri.

La "militarizzazione del diritto internazionale" non deriva dai paesi che cercano di sostenerlo. Deriva da coloro che affermano di sostenere il cosiddetto "ordine internazionale basato sulle regole", mentre lo violano aggressivamente per servire i propri interessi economici e politici. Dalle Convenzioni sul Genocidio al Trattato sul Commercio delle Armi, alle norme del diritto internazionale umanitario, della legge internazionale dei diritti umani e oltre, Israele viola ogni regola, norma e principio stabiliti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Al fine di garantire il "mai più" dopo l'Olocausto e il massacro della Seconda Guerra Mondiale, i governi del mondo hanno concordato codici di condotta che Israele, con il pieno sostegno dei suoi sostenitori occidentali, ha fatto a pezzi insieme ai corpi di centinaia di migliaia di palestinesi. Sono loro che hanno militarizzato il diritto internazionale, di fatto trasformando la Palestina in uno "stato di eccezione" in cui i palestinesi non sono protetti dalla legge, ma vengono invece disumanizzati, bombardati, fucilati, torturati, violentati e affamati. 

Potere popolare in Palestina

I paesi che si uniscono per formare nuove alleanze e sfidare questo "stato di eccezione", per chiamare Israele e i suoi protettori occidentali a rispondere delle loro azioni e per porre fine al genocidio potrebbero potenzialmente contribuire a forgiare un nuovo ordine mondiale. Se altri si unissero a loro, creando un ampio gruppo di stati non allineati nello spirito di Bandung per contrastare la potenza militare ed economica occidentale (così come quella russa e cinese), allora il diritto internazionale potrebbe non morire tra le macerie di Gaza.

La conferenza di Bogotà «segna una svolta, non solo per la Palestina, ma per il futuro del sistema internazionale», ha affermato Varsha Gandikota-Nellutla, segretario esecutivo del Gruppo dell'Aja. «Per decenni, gli stati, in particolare quelli del Sud del mondo, hanno sopportato il costo di un sistema internazionale in rovina. A Bogotà, si sono uniti per rivendicarlo, non a parole, ma con i fatti».

Più Stati dovrebbero avere il coraggio di aderire agli impegni di Bogotà e di iniziare a costruire le reti di solidarietà e sostegno necessarie per superare la pressione dei guerrafondai occidentali, nonché quella degli interessi imperiali russi e cinesi.

Tuttavia, è anche importante riconoscere che gli Stati, in generale, non sono schierati dalla parte dei popoli. Il più delle volte, operano a favore dei propri interessi di potere, privilegio e profitto, perfino a spese dei loro stessi popoli. Per quanto gli impegni assunti alla conferenza di Bogotá siano essenziali, essi possono essere attuati e incarnati solo attraverso il potere popolare.

Gli scioperi nei porti, le proteste nei siti di produzione di armi, il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, il rifiuto delle popolazioni a livello globale di partecipare al genocidio, chiamando i propri governi a risponderne, sono assolutamente vitali non solo per porre fine alle orribili sofferenze dei palestinesi ora, ma anche per costruire un nuovo sistema internazionale basato sulla solidarietà e sulla giustizia per tutti noi.

Costituire reti transnazionali di mutuo soccorso, campagne di cooperazione ed educazione politica sarà un elemento fondamentale per costruire un nuovo ordine mondiale che funzioni davvero per tutte e tutti noi. Ci opponiamo agli orrori autoritari globali, alla rinascita dell'estrema destra e a una violenza devastante in tutte le sue molteplici forme. Ma fra noi coloro che soffrono dell’attuale ordine mondiale sono molti di più di coloro che ne traggono profitto. Trovare una via d'uscita e creare qualcosa di nuovo, si può farlo solo unendoci. 

* Ray Acheson è direttrice di Reaching Critical Will, il programma per il disarmo della Women’sInternational League for Peace and Freedom (WILPF). Si occupa di analisi e advocacy presso le Nazioni Unite e altri forum internazionali su questioni di disarmo e smilitarizzazione. Ha fatto parte del gruppo direttivo della Campagna Internazionale per l'Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), che ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 2017 per il suo impegno a mettere al bando le armi nucleari, ed è anche impegnata in attività di lotta contro le armi autonome, il commercio di armi, la guerra e il militarismo, il sistema carcerario e altro ancora. È autrice di Banning the Bomb, Smashing the Patriarchy (Rowman & Littlefield, 2021) e Abolishing State Violence: A World Beyond Bombs, Borders, and Cages (Haymarket Books, 2022).

 


14/07/25

Freedom Flotilla / L’Italia interrompa ogni cooperazione militare con il governo di Israele!

AWMR Italia – Donne della Regione Mediterranea, affiliata alla Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDIM), dà il benvenuto alla nave Handala, unità della coalizione internazionale Freedom Flotilla, in sosta in questi giorni nei porti italiani di Siracusa e Gallipoli, e diretta a Gaza per portare aiuti umanitari alla martoriata popolazione palestinese sotto feroce assedio.

Foto Radio Onda d'Urto

Awmr Italia aderisce e partecipa alle iniziative di accoglienza e solidarietà organizzate dalla ampia coalizione di forze e realtà associative italiane ed europee a sostegno della Freedom Flotilla. Il coraggioso equipaggio della nave “Handala” che il 18 luglio salperà alla volta di Gaza è intenzionato a forzare il feroce blocco israeliano e a far giungere il suo carico di aiuti sanitari destinati ai bambini palestinesi.

Mentre la situazione umanitaria in Palestina si fa ogni giorno più drammatica, mentre si susseguono i pronunciamenti di condanna nei confronti delle azioni genocidarie del governo israeliano da parte delle istituzioni giuridiche internazionali, AWMR Italia con l’ampia coalizione di forze italiane che supportano la resistenza del popolo palestinese denunciano con forza i rapporti di collaborazione in atto, in forma diretta o indiretta, tra le istituzioni politiche e militari italiane con le forze armate israeliane.

In particolare, si denunciano le esercitazioni di piloti degli F-35 israeliani che bombardano la Striscia di Gaza ospitati nelle basi militari NATO e gli addestramenti congiunti tra le unità della marina militare italiana e unità dei Depth Corps dell’IDF, ma la condanna è rivolta contro qualsiasi rapporto di collaborazione militare e politica con Israele.  

La sussistenza e il protrarsi di tali rapporti di collaborazione costituiscono un’aperta violazione sia della Costituzione italiana che dei principi del diritto internazionale che vietano di contribuire in qualsiasi modo ad atti di guerra, occupazione militare e colonizzazione violenta di territori altrui, quali sono quelli perpetrati impunemente da Israele nei confronti della Palestina. 

Da decenni lo Stato di Israele procede all’occupazione illegale dei territori palestinesi, attraverso modalità di aggressione violenta e pulizia etnica, fino ai bombardamenti ininterrotti su Gaza degli ultimi venti mesi e l’assedio criminale di terra che impedisce alla popolazione di accedere agli aiuti umanitari internazionali: tutti atti che, secondo i pronunciamenti della Corte internazionale di Giustizia, si configurano come “genocidio”. 

Sia la Corte Internazionale di Giustizia che il Tribunale Penale internazionale si sono pronunciate esplicitamente contro tali atti contrari al diritto internazionale e alla dignità umana, diffidando tutti gli Stati dal supportarli in qualsiasi modo. Il governo italiano di estrema destra, col suo sostegno dichiarato e di fatto alle azioni criminali di Israele, trascina l’Italia in una condizione vergognosa di complicità sul piano giuridico, politico e morale.

AWMR - Donne della Regione Mediterranea, ribadendo il proprio assoluto sostegno alla resistenza del popolo palestinese contro l’aggressione colonialista israeliana fomentata e perpetrata dall’imperialismo Usa e UE, esige che vengano interrotte tutte le attività di cooperazione con le forze armate e con lo Stato di Israele, che lo Stato Italiano riconosca lo Stato di Palestina, che siano condannate e sanzionate le azioni di Israele che si configurano come genocidio, che si agisca in sede diplomatica per il cessate il fuoco e la fine immediata sia dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza che della pulizia etnica in atto ad opera dei coloni israeliani supportati dall’esercito di occupazione nei Territori Palestinesi. 

Palestina libera!

Luglio 2025

26/06/25

Il 5% alla NATO? Un osceno tradimento dei bisogni globali

 «Mentre il mondo brucia, la NATO sta facendo scorta di legna da ardere. Il 5% alle spese militari non è difesa: è estorsione su scala globale, istigata da un presidente Usa che considera la diplomazia un'estorsione e la guerra un buon affare. Per il futuro del nostro pianeta, dobbiamo rifiutare l'economia di guerra e la NATO».

L'Aja 2025. Il controvertice delle donne per la pace  

di Medea Benjamin, World BEYOND War

Al vertice NATO di questa settimana all'Aia, i leader hanno annunciato un nuovo obiettivo allarmante: portare la spesa militare al 5% del PIL nazionale entro il 2035. Inquadrata come una risposta alle crescenti minacce globali, in particolare quelle che proverrebbero dalla Russia e dal terrorismo, la dichiarazione è stata salutata come un passo avanti storico. Ma in realtà, rappresenta un grosso passo indietro: ci si allontana dal far fronte ai bisogni urgenti delle persone e del pianeta e si riavvia una corsa agli armamenti che impoverirà le società mentre so arricchiranno i mercanti di armi.

Questo scandaloso obiettivo di spesa del 5% non è nato dal nulla: è il risultato diretto di anni di intimidazioni da parte di Donald Trump. Durante il suo primo mandato, Trump ha ripetutamente rimproverato ai membri della NATO di non aver speso abbastanza per le loro forze armate, facendo pressione su di loro affinché raggiungessero una soglia del 2% del PIL, già controversa e così eccessiva che ben nove paesi della NATO sono tuttora al di sotto di tale "obiettivo".

Ora, con Trump tornato alla Casa Bianca, i leader della NATO si stanno allineando, fissando l’obiettivo sbalorditivo del 5% che nemmeno gli Stati Uniti, che già spendono oltre 1.000 miliardi di dollari all'anno per le spese militari, riescono a raggiungere.

Questa non è difesa; è estorsione su scala globale, promossa da un presidente che considera la diplomazia un'estorsione e la guerra un buon affare.

Alcuni paesi in Europa e Nord America stanno già tagliando i servizi pubblici e tuttavia ora ci si aspetta che destinino ancora più denaro dei contribuenti alla preparazione alla guerra. Attualmente, nessun paese della NATO spende per le spese militari più che per la sanità o l'istruzione. Ma se tutti raggiungessero il nuovo obiettivo del 5% per la spesa militare, 21 di loro spenderebbero più per le armi che per la scuola.

La Spagna è stata una delle poche a respingere questa escalation, con il primo ministro Pedro Sánchez che ha chiarito che il suo governo non avrebbe sacrificato pensioni e programmi sociali per raggiungere un obiettivo di spesa militarizzata. Anche altri governi, tra cui Belgio e Slovacchia, hanno reagito tacitamente.

Ciononostante, i leader della NATO hanno continuato a insistere, applauditi dal segretario generale Mark Rutte, che ha elogiato la richiesta di Donald Trump di aumentare la spesa per la difesa in Europa. Rutte ha persino chiamato Trump "Papà", un commento che, sebbene liquidato come uno scherzo, la dice lunga sulla sottomissione della NATO al militarismo statunitense. Sotto l'influenza di Trump, l'alleanza atlantica ha abbandonato del tutto la pretesa di essere un patto difensivo, abbracciando invece il linguaggio e la logica della guerra perpetua.

Poco prima che i leader della NATO si riunissero all'Aja, i manifestanti sono scesi in piazza sotto lo striscione "No alla NATO". E nei loro paesi d'origine, i movimenti della società civile chiedono un ri-orientamento delle risorse verso la giustizia climatica, l'assistenza sanitaria e la pace. I sondaggi mostrano che la maggioranza degli Stati Uniti si oppone all'aumento della spesa militare, ma la NATO non si preoccupa dei cittadini. Si preoccupa delle élite politiche, dei produttori di armi e di una logica da Guerra Fredda che vede ogni sviluppo globale attraverso la lente della minaccia e del dominio.

L'espansione della NATO, sia in termini di spese belliche che di dimensioni (è passata da 12 membri fondatori a 32 paesi oggi), non ha portato la pace. Al contrario. La promessa dell'alleanza atlantica di integrare l'Ucraina nei suoi ranghi è stata uno dei fattori scatenanti della brutale guerra della Russia e, invece di de-escalation, l'alleanza ha raddoppiato il ricorso alle armi, invece che alla diplomazia. A Gaza, Israele continua impunemente la sua guerra sostenuta dagli Stati Uniti, mentre le nazioni della NATO inviano più armi e non offrono alcun serio impulso alla pace. Ora l'alleanza atlantica vuole prosciugare le casse pubbliche per sostenere queste guerre a tempo indeterminato. Intanto la NATO sta sempre più circondando i suoi avversari, in particolare la Russia, di basi e truppe.

Tutto ciò richiede un ripensamento radicale. Mentre il mondo brucia – letteralmente – la NATO sta facendo scorta di legna da ardere. Quando i sistemi sanitari sono al collasso, le scuole sottofinanziate e le temperature torride rendono inabitabili vaste aree del pianeta, l'idea che i governi debbano investire miliardi in più in armi e guerre è oscena. La vera sicurezza non deriva da carri armati e missili, ma da comunità forti, cooperazione globale e azioni urgenti per affrontare le nostre crisi comuni.

Dobbiamo capovolgere questa situazione. Ciò significa tagliare i bilanci militari, ritirarci dalle guerre infinite e avviare un dibattito serio sullo smantellamento della NATO. L'alleanza atlantica, nata dalla Guerra Fredda, è ora un ostacolo alla pace globale e un partecipante attivo alla guerra. Il suo ultimo vertice non fa che rafforzare questa realtà.

Non si tratta solo del bilancio della NATO, ma del nostro futuro. Ogni euro o dollaro speso in armi è un euro non speso per affrontare la crisi climatica, far uscire le persone dalla povertà o costruire un mondo pacifico. Per il futuro del nostro pianeta, dobbiamo rifiutare la NATO e l'economia di guerra.

23/06/25

FERMIAMO LA GUERRA. L’ITALIA NON SIA COMPLICE

 #AWMR Italia - Donne della Regione Mediterranea condanna con forza gli attacchi USA sugli impianti nucleari iraniani condotti in appoggio e in aggiunta ai bombardamenti  israeliani.

 
Sono atti di guerra proditori e criminali che rischiano di far precipitare la regione del Medio Oriente e il mondo intero in una inarrestabile escalation del confronto armato, anche nucleare. 
Si aprono irresponsabilmente nuovi teatri di guerra, mentre a Gaza continua a consumarsi sotto gli occhi del mondo il genocidio perpetrato impunemente da Israele, con la complicità dichiarata o di fatto dell’Occidente. 
È urgente dire basta a qualsiasi complicità e sostegno alla guerra e al genocidio. È urgente riportare le relazioni internazionali nell’ambito del diritto internazionale ripetutamente e impunemente violato. 
Chiediamo al Governo italiano: 
- di negare ogni forma di supporto, diretta o indiretta, agli attacchi contro impianti nucleari in Iran; 
- di non consentire l’uso dello spazio aereo e delle basi italiane USA e NATO per le missioni di guerra; 
- di sottoscrivere il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), primo passo verso la sicurezza comune; 
- di sospendere il Memorandum d’intesa con Israele e bloccare ogni accordo e contratto commerciale relativo ad armamenti e atti di guerra; 
- di appoggiare le iniziative mirate alla sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele fino a che non cessi l’occupazione militare dei Territori palestinesi. 

FERMIAMO LA GUERRA, FERMIAMO LA FOLLE CORSA AGLI ARMAMENTI CONVENZIONALI E NUCLEARI. L’ITALIA NON SIA COMPLICE DEL GENOCIDIO A GAZA

23 giugno 2025
AWMR Italia – Donne della regione mediterranea

15/06/25

Donne Iraniane: “Porre fine al disastro prima che diventi irreparabile!”

 L'Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane condanna fermamente l'attacco militare del regime fascista israeliano sul suolo iraniano e l'inizio e la persistenza di una guerra devastante le cui vittime innocenti sono soprattutto donne e bambini!


«Gli attacchi terroristici con droni e missili contro l'Iran, da parte del regime razzista e assassino di bambini di Israele, seguono due anni di incessante massacro della popolazione di Gaza e hanno acceso il fuoco di un'altra guerra devastante nella nostra patria, l'Iran, una guerra che ha il potenziale di estendersi alla regione del Medio Oriente, travolta dalla crisi. La violazione della sovranità territoriale del popolo iraniano è iniziata la mattina di venerdì 13 giugno 2025.

Questi attacchi catastrofici sono stati accolti con un'ondata di attacchi aerei in risposta ai bombardamenti e alla distruzione di decine di città in diverse province, centri militari e di sicurezza e persino complessi residenziali, che hanno ucciso e ferito decine di civili in Iran. Anche l'esercito iraniano ha risposto con forza a questi attacchi. Le ripetute minacce da entrambe le parti continuano, causando preoccupazione tra la popolazione della nostra patria, che ha già sopportato il pesante fardello di otto anni di catastrofica guerra tra Iran e Iraq, insieme a spargimenti di sangue e distruzione di infrastrutture vitali.

Questa guerra sanguinosa e catastrofica è stata scatenata dal regime israeliano, un regime fascista e razzista, aiutato dai suoi alleati, che ignora i trattati internazionali né gli avvertimenti delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, un regime che – come il mondo sta assistendo a Gaza – non esita a bombardare aree residenziali e a compiere il genocidio di persone, compresi bambini.
Gli attacchi missilistici di questo regime aggressore contro la nostra patria hanno causato decine di feriti e morti, molti dei quali bambini, donne e civili. Ieri, il rappresentante dell'Iran alle Nazioni Unite ha annunciato che 78 persone, tra cui alti ufficiali militari, sono state uccise e oltre 320 sono rimaste ferite negli attacchi israeliani. Questo disastro è stato imposto al nostro popolo in un momento in cui sta lottando contro le difficoltà della povertà, una crisi economica crescente e paralizzante e le inadeguatezze di un regime reazionario e oppressivo, e mentre è alle prese con la lotta per liberarsi dal pesante fardello di questa povertà e tirannia. Il popolo sofferente del nostro Paese non vuole la guerra. Crede profondamente che sia in condizioni di pace che i suoi diritti democratici e umani possano essere rispettati. 

Le guerre non hanno mai portato altro che morte e distruzione.

L'organizzazione "Iran’s Mothers for Peace" ha giustamente sottolineato in una dichiarazione di ieri che "mentre insistiamo per la pace e la stabilità, continuiamo a insistere affinché vengano prese decisioni, misure e negoziati razionali per evitare che la guerra si estenda a dimensioni più ampie".

Secondo le agenzie di stampa, oggi il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha dichiarato: «Gli attacchi israeliani contro gli impianti nucleari iraniani e i lanci di missili iraniani su Tel Aviv devono cessare. Basta. Ora è il momento di porre fine a questo conflitto; la pace e la diplomazia devono prevalere».

L'Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane, all'unisono con tutte le persone amanti della pace in Iran e nel mondo, chiede la cessazione delle operazioni militari da entrambe le parti in conflitto e la fine di questa pericolosa crisi che minaccia anche la pace mondiale.

Attraverso negoziati, e con il supporto degli sforzi di autorevoli istituzioni internazionali e della posizione progressista delle persone amanti della libertà e della pace in tutto il mondo, dobbiamo cercare di porre fine a questo grande disastro che si sta svolgendo davanti a noi, il prima possibile. Il tempo è essenziale! Invitiamo in particolare le nostre compagne della Federazione Democratica Internazionale delle Donne e delle sue organizzazioni affiliate a far sentire sempre più forte la loro voce di protesta contro la guerra voluta dall'imperialismo.»

Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane (DOIW)
14 giugno 2025

26/05/25

Palestina / Non nominate i bambini morti a Gaza

 I bambini palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani hanno un nome. Dobbiamo dire i nomi di tutti quelli che possiamo ricordare.

Ismail Shammout (Gaza), We Will Not Leave, 1987 

di Vijay Prashad*

Nel 2014, i bombardamenti israeliani su Gaza causarono la morte di bambini innocenti. Due attacchi a luglio toccarono una corda particolare. Nel primo, Israele lanciò un missile che colpì il Fun Time Beach Café (Waqt al-Marah) a Khan Younis alle 23:30 del 9 luglio. Nel caffè, una struttura improvvisata a circa trenta metri dal Mar Mediterraneo, diverse persone si erano radunate per assistere alla semifinale della Coppa del Mondo FIFA 2014 tra Argentina e Paesi Bassi. Erano tutti grandi tifosi di calcio. Il missile israeliano uccise nove ragazzi: Musa Astal (16 anni), Suleiman Astal (16 anni), Ahmed Astal (18 anni), Mohammed Fawana (18 anni), Hamid Sawalli (20 anni), Mohammed Ganan (24 anni), Ibrahim Ganan (25 anni) e Ibrahim Sawalli (28 anni). Non videro mai l'Argentina vincere la partita ai rigori né la Germania vincere il torneo in una partita giocata pochi giorni dopo.

Nel frattempo, i bombardamenti israeliani non si placavano. Tre giorni dopo, il 16 luglio, diversi ragazzi stavano giocando a calcio – come se stessero rigiocando ai Mondiali di calcio sulla spiaggia di Gaza – quando una nave della marina militare israeliana aprì il fuoco prima contro un molo e poi, mentre i ragazzi fuggivano dall'esplosione, contro i ragazzi stessi. Israele ne uccise quattro – Ismail Mahmoud Bakr (9 anni), Zakariya Ahed Bakr (10 anni), Ahed Atef Bakr (10 anni) e Mohammad Ramez Bakr (11 anni) – e ne ferì altri. Il bombardamento israeliano del 2014 su Gaza uccise in totale almeno 150 bambini. Quando l'organizzazione per i diritti umani B'Tselem produsse uno spot per trasmettere i nomi dei bambini sulla televisione israeliana, l'Autorità per le trasmissioni israeliana lo vietò. 

Il poeta britannico Michael Rosen rispose alle uccisioni e al divieto con la bellissima poesia "Non menzionate i bambini".

Non menzionate i bambini.
Non nominate i bambini morti.
La gente non deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
I nomi dei bambini devono essere nascosti.
I bambini devono essere senza nome.
I bambini devono lasciare questo mondo
senza nome.
Nessuno deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
Nessuno deve dire i nomi
dei bambini morti.
Nessuno deve nemmeno pensare che i bambini
abbiano un nome.
La gente deve capire che sarebbe pericoloso
sapere i nomi dei bambini.
La gente deve essere protetta dal
sapere i nomi dei bambini.
I nomi dei bambini potrebbero diffondersi
come un incendio.
La gente non sarebbe al sicuro se conoscesse
i nomi dei bambini.
Non nominate i bambini morti.
Non ricordate i bambini morti.
Non pensate ai bambini morti.
Non dite: "bambini morti".

Sì, i bambini hanno un nome. Continueremo a nominare tutti coloro di cui possiamo ricordare il nome. Non li dimenticheremo.

Nel settembre 2024, il Ministero della Salute palestinese ha pubblicato un elenco aggiornato dei nomi dei palestinesi uccisi nel genocidio israelo-statunitense, tra ottobre 2023 e agosto 2024. In quell'elenco ci sono 710 neonati la cui età è indicata come zero. Molti di loro avevano appena ricevuto un nome.

Sebbene l'elenco sia troppo lungo per essere riportato qui, la storia di Ayssel e Asser Al-Qumsan è emblematica. Il 13 agosto 2024, Mohammed Abu Al-Qumsan lasciò il suo appartamento a Deir al-Balah, all'interno della "zona sicura" della Striscia di Gaza centrale, per registrare la nascita dei suoi gemelli Ayssel e Asser. Li lasciò alla madre, la dottoressa Jumana Arfa (29 anni), che li aveva partoriti tre giorni prima all'ospedale Al-Awda di Nuseirat. La dottoressa Jumana Arfa era una farmacista laureatasi presso l'Università di Al-Azhar a Gaza. Pochi giorni prima di dare alla luce i suoi figli, aveva pubblicato su Facebook un post sulla politica israeliana diretta a colpire i bambini, citando un'intervista al chirurgo ebreo americano Dr. Mark Perlmutter in un'importante rubrica della CBS News intitolata "Children of Gaza". Quando Mohammed tornò dalla registrazione dei gemelli, scoprì che la loro casa era stata distrutta e che sua moglie, i suoi figli neonati e sua suocera erano stati tutti uccisi in un attacco israeliano. 

Ayssel Al-Qumsan.
Asser Al-Qumsan.
Dobbiamo dare un nome ai bambini morti.

* Vijay Prashad, Le lacrime dei nostri bambini
Newsletter gennaio 2025, Tricontinental Institute for Social Research
https://thetricontinental.org/newsletterissue/palestine-gaza-2025/

 




24/05/25

Il femminismo in tempo di guerra: la lotta delle donne per la pace e l'uguaglianza ieri e oggi

 In uno scenario di guerre, il femminismo deve difendere il diritto a una vita dignitosa, nell'uguaglianza e senza violenza. La pace non è solo un desiderio: è anche una lotta femminista

Foto: Ben Schumin / CC BY-SA 2.0

di Cristina Simó Alcaraz *

Ottant'anni fa, in un mondo devastato dalla Seconda Guerra Mondiale, donne di diversi paesi si riunirono per fondare la Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDIM). Questa organizzazione, nata nel 1945 al Congresso delle donne di Parigi, propugnava non solo l'emancipazione delle donne, ma anche la pace globale e la giustizia sociale. La sua creazione fu una risposta al fascismo e all'autoritarismo, guidata da donne che avevano resistito in clandestinità, erano sopravvissute ai campi di concentramento o avevano combattuto nei movimenti partigiani.

La FDIM è nata dall'esperienza traumatica della guerra. Molte delle sue fondatrici erano state attive nella lotta contro il nazismo: dalle donne della Resistenza francese alle partigiane italiane e jugoslave come Vida Tomšič. Altre, come la scienziata Eugénie Cotton, avevano affrontato l'occupazione nazista dalla clandestinità. Queste donne capirono che la pace non era solo l'assenza di guerra, ma la costruzione di un mondo senza oppressione di genere, classe o razza.

I suoi obiettivi erano chiari: parità di retribuzione, accesso all'istruzione, diritti riproduttivi, disarmo nucleare e solidarietà con i popoli oppressi. La FDIM è stata determinante nel far istituzionalizzare l'8 marzo come Giornata internazionale della donna e nel far dichiarare il 1975 come Anno internazionale della donna dalle Nazioni Unite.

Le donne spagnole nella FDIM

In America Latina e in Europa, la FDIM ha svolto un ruolo cruciale grazie alle donne comuniste spagnole esiliate dopo la sconfitta repubblicana del 1939. Dolores Ibárruri, la Pasionaria, vicepresidente della FDIM, è stata una figura centrale, insieme ad altre come Isidora Dolado, Carmen de Pedro ed Elisa Úriz Pi, che denunciarono la tortura dei prigionieri politici sotto il franchismo.

L'Unione delle donne spagnole (UME), legata al PCE, coordinò le campagne internazionali contro la dittatura. Negli anni ‘60 e ‘70, la FDIM sostenne il Movimento Democratico delle Donne (MDM), che collegava clandestinamente il femminismo spagnolo con le lotte globali. Il suo approccio combinava classe, genere e anti-imperialismo, prendendo le distanze dal femminismo liberale.

Il femminismo di fronte alle guerre del XXI secolo

Oggi, in un mondo segnato da guerre scatenate dall'imperialismo statunitense, l'eredità della FDIM è più urgente che mai. Gli Stati Uniti, nella decadenza della loro egemonia, provocano conflitti per mantenere il loro dominio: dall'Ucraina (per indebolire la Russia) a Gaza (a sostegno del genocidio sionista), passando per le invasioni dell'Iraq e dell'Afghanistan, i colpi di stato in America Latina (Bolivia, Venezuela, Nicaragua) e le sanzioni contro Cuba, Iran e Corea del Nord.

Le donne sanno che in guerra non ci sono diritti. La militarizzazione dirotta le risorse dalla salute, dall'istruzione e dall'assistenza alle armi, rafforzando il patriarcato e la violenza sessista. La mascolinizzazione delle società in guerra approfondisce l'oppressione femminile, come dimostra l'ascesa dell'estrema destra misogina, pilotata da figure come Trump e i suoi alleati europei.

Per un femminismo antifascista e per la pace

Alla luce di queste considerazioni, è necessario:

  • Recuperare lo spirito del FDIM: l'unità internazionalista contro il fascismo.
  • Contribuire alla costruzione di un grande movimento per la pace e chiedere soluzioni diplomatiche invece di guerre, nel rispetto dell'autodeterminazione dei popoli.
  • Denunciare la militarizzazione e il riarmo, che perpetuano la disuguaglianza e disumanizzano le società.
  • Rafforzare le reti femministe transnazionali, come fecero le comuniste spagnole in esilio.

Le comuniste spagnole, eredi dell'MDM e della FDIM, continuano ad essere un ponte tra donne provenienti da diverse regioni del mondo. In uno scenario di guerre, il femminismo deve difendere il diritto a una vita dignitosa, nell'uguaglianza e senza violenza.

Come diceva Dolores Ibárruri: "È meglio morire in piedi che vivere in ginocchio". Oggi, quello slogan si traduce nel fermare le guerre, il genocidio, l'avanzata fascista e porre fine al capitalismo predatorio. La pace non è solo un desiderio: è anche una lotta femminista.

*Responsabile Area femminismo del PCE

 Questo articolo è pubblicato in: mundoobrero.es del 22/05/2025



04/05/25

9 maggio/La comunità ungherese per la pace celebrerà la sconfitta del nazifascismo

«È deplorevole che il primo ministro Viktor Orbán non intenda commemorare l'80° anniversario della sconfitta del nazifascismo, alla quale milioni di persone devono la vita e le libertà democratiche»

La Comunità Ungherese per la Pace fa sapere che, al contrario del governo di Viktor Orbán, celebrerà la sconfitta del nazismo e del fascismo e che deporrà una corona d'alloro al monumento agli eroi sovietici in piazza Szabadság a Budapest il 9 maggio, perché intende “condividere la celebrazione della sconfitta del nazifascismo nel 1945 e la liberazione dell’Europa con tutti coloro che professano la libertà, l'uguaglianza, la sicurezza collettiva e l'esigenza di una coesistenza pacifica tra paesi e popoli”.

La Comunità Ungherese per la Pace considera deplorevole che il primo ministro Viktor Orbán non intenda commemorare la sconfitta del nazifascismo, alla quale milioni di persone devono la vita e le libertà democratiche, ma la viva piuttosto come una sconfitta. Per voce del suo cancelliere Gergely Gulyás, infatti, il 17 aprile scorso Orbán ha dichiarato che non si poteva parlare di vittoria, poiché l'Ungheria, alleata della Germania di Hitler nella Seconda Guerra Mondiale, aveva subito una sconfitta. Lo stesso Viktor Orbán ha poi fatto sapere che non avrebbe festeggiato, nemmeno in caso di una riconciliazione tra Europa occidentale e Russia.

La Comunità per la Pace ungherese ritiene che, a causa del comportamento equivoco e pavido di Viktor Orbán nei confronti del nazifascismo, spetti al popolo ungherese mostrare determinazione al posto del proprio governo e manifestare la propria opposizione al fascismo. È interesse della nazione ungherese vivere in pace e in buoni rapporti sia con l'Est che con l'Ovest e condizione indispensabile per questo è la condanna inequivocabile del nazifascismo.