“La rivoluzione bolscevica ha sradicato più
pregiudizi sulla donna che non le montagne di scritti sulla uguaglianza
femminile”, dichiarò Lenin con giustificata soddisfazione nel 1920, nel suo celebre colloquio con Clara Zetkin.
“Le donne
occupano posti di direzione nei Soviet, negli Esecutivi, nei Ministeri e negli
uffici pubblici di ogni tipo – aggiunse
il leader della Rivoluzione d’Ottobre – e ciò costituisce un grande valore per
noi. E’ importante per le donne di tutto il mondo, poiché evidenzia la capacità
delle donne, il grande valore del lavoro che svolgono nella società”.
E’
innegabile, in effetti, che la rivoluzione russa del 1917 porti impresso in sé,
fin dai suoi esordi, il segno del protagonismo femminile.
L’8 marzo
del 1917 (corrispondente al 23 febbraio del calendario russo) le lavoratrici
tessili di Pietrogrado entrarono in sciopero e scesero nelle strade per gridare
la loro protesta contro la guerra e contro l’autocrazia zarista che privavano del
pane i loro figli. Marciarono attraverso i quartieri popolari della città
chiedendo alla popolazione di uscire dalle case e unirsi a loro. Il loro grido
fu ascoltato da migliaia di pietrogradesi e, giorno dopo giorno, altre donne e
uomini si unirono alla protesta. La stessa gendarmeria inviata a disperdere la
folla si ammutinò e finì per schierarsi con la popolazione. Lo zar fu costretto
ad abdicare e fu la rivoluzione.
Nell’estate
di quello stesso anno, i bolscevichi chiesero al governo provvisorio di Kerenskij
l’uscita incondizionata dalla guerra e
lanciarono la parola d’ordine: “Tutto il potere ai soviet!”, cioè i consigli
del popolo. In ottobre, il Palazzo d’Inverno fu preso d’assalto e occupato dal
proletariato insorto.
Ora
sappiamo anche che fu quel primo evento – la scintilla accesa dalle lavoratrici
di Pietrogrado che aveva fatto divampare la fiamma della rivoluzione in tutto
l’impero zarista – ad ispirare l’idea, alcuni
anni più tardi, di scegliere l’8 marzo come
giornata internazionale delle donne.
Un’immensa
energia femminile rinnovatrice – secondo le parole di Aleksandra Kollontaj, che fu fra le protagoniste della Rivoluzione
d’Ottobre - si sprigionò dalla “tempesta rivoluzionaria” ed essa si distinse proprio per il ruolo dirigente
che molte donne vi ebbero. Un ruolo che si era consolidato attraverso alcuni
passaggi essenziali che occorre ricordare.
Fin dal
1912 le militanti bolsceviche, vincendo la repressione zarista con gli escamotages più fantasiosi, destreggiandosi
fra l’esilio e la clandestinità in patria, riuscivano a pubblicare il foglio di
agitazione "Rabotnitsa"
(Operaia), il primo giornale pensato e pubblicato per le donne operaie in
Russia, che diffondeva le idee rivoluzionarie sulle tematiche del lavoro e le specifiche problematiche
femminili. Nel comitato editoriale del
giornale troviamo i nomi di quelle che sarebbero state ricordate come protagoniste
della rivoluzione del 1917: Nadezhda
Krupskaja, Anna Elizarova, Inessa Armand, Ljudmila Stal’, Alexandra Kollontaj,
Konkordiya Samoilova, Klavdia Nikolajeva.
Nel 1914 queste
stesse donne lanciavano l’iniziativa di una Conferenza internazionale di donne
contro la guerra a Berna e poi promuovevano la prima conferenza delle lavoratrici
russe a Pietrogrado.
Le donne
bolsceviche – a differenza del movimento femminista borghese che pure era già
attivo nella Russia zarista - erano
convinte che il tema dell’oppressione di genere andasse legato a quello
dell’oppressione di classe e al contesto politico, sociale ed economico che lo
determinava. Finché le donne restavano escluse dalla sfera pubblica della produzione e
relegate nella sfera domestica della riproduzione, il modello familiare
borghese sarebbe rimasto il nucleo in cui si consumava l’oppressione
“privata”delle donne. Accedere al mondo del lavoro e all’autonomia economica
era condizione preliminare perché le donne conquistassero il necessario spazio
politico per sé. Ma era il superamento dello sfruttamento capitalistico, che
costringeva le lavoratrici alla doppia schiavitù del lavoro in fabbrica e in
casa, la condizione necessaria per liberare effettivamente tutte le donne
dall’oppressione del patriarcato. Perciò l’obiettivo della liberazione
delle lavoratrici era indissolubilmente legato alla rivoluzione socialista e solo radicandosi nel proletariato femminile, il
movimento di liberazione delle donne avrebbe acquistato quella forza
prorompente necessaria a trasformare l’intera società.
Furono migliaia
le giovani donne che aderirono al movimento rivoluzionario russo, ma
inevitabilmente fra di esse ci furono quelle che, dispiegando al massimo il
loro coraggio, l’intelligenza, lo spirito di sacrificio e dedizione, assunsero
posti di maggiore responsabilità e rilievo nell’avvio della costruzione del nuovo stato sovietico.
Alessandra Kollontaj
(1872-1952), fu subito tra i massimi dirigenti del partito bolscevico ed entrò
nel nuovo governo dei Soviet come commissaria per i servizi sociali, prima
donna ministro nella storia. In seguito e per molti anni fu ambasciatrice – seconda donna nella storia della
diplomazia – dell’Unione Sovietica. Scrisse numerosi
saggi, articoli, libri in cui trattò i problemi della donna, della maternità,
della sessualità. Brillante e tenace,
svolse una preziosa opera diplomatica durante la seconda guerra mondiale. Morì
80enne a Mosca nel 1952.
Nakzhezda Krupskaja, moglie di Lenin, che aveva sposato al
tempo in cui ambedue furono deportati in Siberia, gli fu a fianco fino alla sua
morte (21 gennaio 1924), ma ebbe un suo personale e cruciale ruolo in campo
educativo e nella diffusione di scuole e biblioteche nel nuovo stato sovietico.
Lavorò nel Ministero per l’istruzione e scrisse saggi di pedagogia di grande
valore (oltre al più famoso libro autobiografico “La mia vita con Lenin”). Morì
a Mosca nel 1939.
Inessa Armand (1880 - 1920), bolscevica di origini
francesi, compì i suoi studi in Russia e divenne agitatrice politica fin dalla
giovinezza e dirigente bolscevica di riconosciuta intelligenza, per quanto nel
corso di questi cento anni la pubblicistica borghese si sia occupata di lei
molto più a proposito della sua relazione con Lenin, che non delle sue indubbie
qualità di donna rivoluzionaria. Fu ispiratrice e seguì particolarmente le
attività del mitico «Zhenotdel», il «dipartimento donne» del partito, che
promosse con grande efficacia la parità dei diritti, organizzando corsi di alfabetizzazione
fra le donne nelle neonate repubbliche sovietiche e contribuendo a fare delle
sottomesse mogli dei contadini delle lavoratrici emancipate. Purtroppo Inessa
nel 1920 contrasse il tifo petecchiale e morì poco più che quarantenne, lasciando
un grande vuoto nelle file della rivoluzione bolscevica.
Anna Ul'janova Elizarova (sorella maggiore di Lenin), fu ispiratrice
e redattrice del giornale per le lavoratrici “Rabonitsa”, che abbiamo già
visto, e fu poi a capo del dipartimento per la protezione dei minori nel
ministero dell’istruzione del nuovo stato sovietico.
Larissa Rajsner (1897-1928) scrittrice, dirigente e
commissaria politica dell’Armata Rossa durante la guerra civile che seguì alla
rivoluzione d’ottobre, fu corrispondente speciale dall’estero del giornale “Izvestiya”
dal 1924 al 1925. Morì a Mosca di febbre tifoide ad appena trent’anni.
Nel
ministero dell’educazione lavorarono con ruoli dirigenti, negli anni ’20, anche
Vera Menzhinskaja (che in seguito
diresse l’Istituto di lingue estere di Mosca) e Mariya Andreeva, attrice, coordinatrice dei teatri municipali di
Pietrogrado, capo della sezione artistica del Narkompros (commissariato del popolo per l'istruzione) e infine direttrice della Casa degli
studiosi di Mosca.
E ancora:
Klavdia Nikolayeva, animatrice del
giornale “Kommunistka” per le donne lavoratrici e Ljudmila Stal’, bolscevica della prima ora, che aveva partecipato alla fondazione della
rivista Iskrà (Scintilla) a Parigi nel 1899. Durante la guerra civile scatenata dalle
armate bianche nel 1918, Ljudmila curò le pubblicazioni destinate ai
combattenti dell’Armata Rossa. Solo per nominarne alcune.
La presenza di queste donne ai vertici della rivoluzione permise loro di partecipare alla stesura delle leggi che introdussero l’uguaglianza civile e sociale delle donne nella repubblica federativa sovietica. Fu esteso innanzi tutto l’elettorato attivo e passivo alle donne, per consentire loro la piena partecipazione ai processi politici. Poi fu introdotto il nuovo Codice della Famiglia, ratificato dal governo dei soviet nel 1918, che parificò lo status civile fra donne e uomini; fu introdotto il matrimonio civile stabilendo l’uguaglianza fra i coniugi (tra l’altro, si riconosceva a ciascuno dei due coniugi la libertà di assumere il cognome dell’altro o dell’altra); fu eliminata la distinzione fra figli legittimi e illegittimi, che era causa di feroce discriminazione; fu riconosciuta la convivenza al di fuori del matrimonio e furono facilitate decisamente le pratiche di divorzio. Fu legalizzato l’aborto, riconoscendo alle donne il diritto di decidere. Furono introdotte misure per sottrarre le donne alla prostituzione, fu depenalizzata l'omosessualità.
Agli
inizi del 1918 fu istituito il Dipartimento per la protezione della maternità e
dell’infanzia, per provvedere all’applicazione della nuova legislazione in
materia di maternità, che tutelava le lavoratrici madri e prevedeva
l’aspettativa di 16 settimane prima e dopo il parto, l’esenzione da lavori
pesanti, il divieto di trasferimento e licenziamento per le madri in attesa, la
proibizione del lavoro notturno per le donne, l’istituzione di cliniche e
ambulatori per la maternità, consultori, asili per l’infanzia.
Vennero introdotte anche forme di socializzazione dei
lavori domestici e servizi pubblici per supportare le famiglie operaie e divenne
legge il principio di "uguale salario per uguale lavoro".
Nell’autunno
del 1919 fu creato, come già accennato, uno
specifico dipartimento del comitato centrale del partito bolscevico per le
attività autonome delle donne, il Žhenotdel, che istituì
corsi di educazione politica e alfabetizzazione per le donne della classe
operaia e per le contadine. Il Zhenotdel aveva una sua propria pubblicazione
mensile, "Kommunitska", rivolta a tutte le donne, non solo le
comuniste, e promosse la diffusione di testate giornalistiche femminili nelle
repubbliche sovietiche (nel 1927 se ne contavano 18) e l’organizzazione di
riunioni di formazione politica che coinvolsero milioni di donne.
Quando le
“armate bianche” della reazione scatenarono la guerra civile, così come in
migliaia avevano aderito al movimento rivoluzionario, spontaneamente le donne
si arruolarono in gran numero anche nell'Armata Rossa: si stima che nel 1920 ne
facessero parte tra le 50mila e le 70mila.
Le donne
bolsceviche furono straordinarie anticipatrici di concezioni che solo nei
decenni più recenti i movimenti femministi hanno potuto riproporre, come
l’importanza di superare la frattura prodotta dalla cultura e
dall’organizzazione sociale patriarcale fra lavoro produttivo e riproduttivo,
fra pubblico e privato, che è all’origine della doppia morale sessuale e
sottomette le donne a rapporti familiari schiavizzanti. Esse affermarono il
valore sociale della maternità e l’importanza, nella definizione
dell’oppressione femminile, del “privato” che diventa “politico” nel momento in
cui tutte le donne vi si riconoscono. Tali
concezioni, alla base del nuovo Codice della Famiglia promulgato dal governo
dei soviet nel 1918, fanno di esso uno strumento legislativo tuttora insuperato
– per spirito innovatore – in gran parte
dei paesi del mondo.
Con grande
passione e senza risparmio di sé, le bolsceviche si dedicarono al lavoro
politico di educazione delle donne negli angoli più remoti delle repubbliche
sovietiche europee ed asiatiche, promuovendo l’istruzione delle donne musulmane,
più oppresse dal patriarcato tradizionale, affinché diventassero a loro volta
agenti del cambiamento sociale e portatrici dei valori socialisti.
Tutto ciò
non avvenne senza incontrare forti resistenze nelle tradizionali società pre-capitaliste
dov’erano più radicate le strutture patriarcali. Non fu pacifica l’accettazione delle riforme
da parte della popolazione contadina che doveva superare i pregiudizi del
passato, nelle zone più periferiche rispetto ai centri urbani focolai della
rivoluzione. Non fu facile il lavoro del Zhenotdel particolarmente nelle
regioni orientali, dove le donne talvolta pagavano un alto prezzo al loro
desiderio di liberazione e dove le riforme furono osteggiate dalle reazioni spesso
violente di mariti e padri tradizionalisti. Da più parti giungeva notizia di
ragazze picchiate e punite duramente solo per aver assistito alle riunioni dei
circoli femminili. Solo in Uzbekistan nel 1928, il Zhenotdel denunciò 203 casi
di donne uccise dai loro padri, mariti e fratelli.
Tutto ciò
obbligava in molti casi a rallentare la marcia, in qualche caso a retrocedere. Di
questo si è molto scritto e molto si scriverà ancora. Ma ogni cosa va
inscritta, oltre che nelle difficoltà interne incontrate nell’inedita
costruzione del nuovo stato sovietico, nelle complicazioni minacciose che si
determinavano all’esterno. Sta di fatto che a partire dagli anni ’30 – mano a
mano che si faceva più stringente l’assedio della reazione borghese internazionale
e si avvicinava la stretta tremenda della seconda guerra mondiale, scatenata
dall’alleanza tra nazifascismo europeo e militarismo giapponese - le politiche
innovative subirono una controspinta conservatrice che portò all’arretramento
rispetto ad alcune conquiste realizzate. Alcuni dei diritti civili garantiti
dal Codice sovietico furono cancellati, l’enfasi ritornò sul modello di
famiglia tradizionale, l’aborto e l’omosessualità tornarono ad essere
penalizzati e per qualche decennio il divorzio divenne più difficile da
ottenere. Anche il dipartimento Zhenotdel fu
soppresso nel 1930, prima che gli obiettivi di parità e libertà femminile promessi
dalla rivoluzione venissero effettivamente raggiunti.
Tuttavia
il progresso delle donne sovietiche non poteva essere arrestato e la
legislazione nata dalla rivoluzione d’Ottobre continuò per lungo tempo ad
essere fonte d’ispirazione per le lotte delle donne nel mondo, soprattutto con
riguardo ai diritti di parità nel lavoro e alla tutela delle lavoratrici madri.
“Fare come in Russia” fu uno slogan molto presente nelle lotte proletarie e
femminili – ancora nei decenni del dopoguerra – in molti paesi dove dominava lo
sfruttamento capitalistico.
E ancora
oggi possiamo dire, senza timore di smentite, che la rivoluzione d’ottobre del
1917 rappresentò una tappa storica fondamentale nel cammino di emancipazione non
solo delle classi lavoratrici e dei popoli, ma anche delle donne. Non si può
fare la storia del movimento femminile internazionale senza fare riferimento – se
si vogliono comprendere gli sviluppi di esso fino ai giorni nostri – a quella
straordinaria stagione rivoluzionaria e alla favolosa lotta delle donne
bolsceviche.
Ada Donno
awmr italia - donne della regione mediterranea
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