06/03/22

Ucraina / Il coraggio di volere la pace

 


di Ada Donno

Una guerra in atto è già una sconfitta, abbiamo scritto nel nostro appello a sostegno della mobilitazione del 5 marzo per la pace in Ucraina. Lo è per i suoi terribili effetti immediati, per le morti, le distruzioni, le ferite inferte ai corpi e alle cose, i bambini traumatizzati, le separazioni dolorose e gli esodi forzati. Per i diritti negati. 

Ma anche per i risvolti più miserabili che l’eccitazione bellica riverbera nelle comunità che ne sono investite o coinvolte – direttamente o indirettamente, vicine o lontane dai teatri di guerra – e portano con sé deterioramento di relazioni umane che è altrettanto difficile e lungo da risanare.

Uno di questi risvolti è il clima di sospetto e intimidazione che ricade su chi non si mostra abbastanza solerte nel rispondere alla chiamata alla guerra. Dai media irreggimentati ci viene ripetuto incessantemente che tutto questo sta accadendo in Russia. Ma la consegna dall’alto è anche di non raccontare il sospetto, fino allo zelo delatorio, che ricade su chi, da questa nostra parte della frontiera, non indossa l'elemtto e non si allinea con la guerra. 

Yuri Sheliazhenko – attivista ucraino impegnato in una rete pacifista internazionale  che da lungo tempo si è  sforzata di allertare l’umanità sorda riguardo alle minacce di guerra incombenti in Europa – lo scorso 27 febbraio, tre giorni dopo l’annuncio delle “operazioni militari speciali” di Putin in Ucraina, ha scritto alla rete una intensa lettera in cui racconta con sgomento la moda esplosa fra i suoi connazionali di postare selfie su facebook imbracciando fucili, la valanga di oscenità che sui social si riversa contro chi osi augurarsi cessate il fuoco e colloqui di pace, l’improvvisa rimozione dalle chat di vecchi amici che ti percepiscono come “traditore” perché li hai esortati a non farsi usare come scudi umani dai militari e dai paramilitari neonazisti… 

È un’ora buia per l’umanità, dice Yuri, viviamo in tempi duri che richiedono coraggio per promuovere la pace. Noi qui – da questa parte della frontiera – possiamo solo immaginare. I riflessi che ci arrivano non sono paragonabili a quello che stanno vivendo in Ucraina. 

Tuttavia è dello stesso colore quella che Vauro chiama senza mezzi termini l’informazione militarizzata cui siamo sottoposti. Sono dello stesso colore gli sportivi russi esclusi dai campionati, il direttore d’orchestra russo allontanato dalla Scala, il corso su Dostoevskij sospeso, il corrispondente RAI Marc Innaro messo alla gogna - una riedizione italiana del maccartismo americano di triste memoria – per aver alluso alle responsabilità della Nato in questa guerra. 

Per non dire del profluvio di fake news e falsità, dell’oscuramento delle reti d’informazione russe RT e Sputnik, l’odio antirusso istillato in maniera esplicita o subliminale, la taccia di connivenza col nemico che rischia – come scrive Ida Dominijanni – chi “cerca di capire perché accade quello che accade” senza indossare l’elmetto…

Siamo in una bolla informativa che avvolge non solo l’Italia, né solo l’Europa, come scrive Augusto Zamora, analista autorevole di Madrid, denunciando le difficoltà che oggi incontra chi “cerchi di mettere una goccia di verità nell'orgia di manipolazione e disinformazione che si sta vivendo in questo ignaro pollaio europeo”.

Inevitabili i riflessi – che non t’aspetteresti mai – anche nelle tue relazioni di ogni giorno. Niente attraversa e divide le persone più della guerra. Ne ho sentito il segnale – niente di drammatico, s’intende - quando una compagna della mia associazione di donne mediterranee mi ha chiamata e mi ha riferito, agitata, di avere ricevuto strane telefonate da un comune “amico” nostro concittadino – a suo tempo giovane ribelle dei gloriosi anni ’70 – che la metteva in guardia contro di me, che sarei una “che sta dalla parte di Putin e se la fa coi dittatori”, e faceva oscure illazioni sulla “associazione fantasma” di cui tutte e due facciamo parte.

Ora, lascio stare le malignità sulla mia persona. E lascio perdere anche le illazioni sull’associazione – l’Awmr Italia – che vive e opera alla luce del sole da ventitre anni, è registrata con regolare atto costitutivo e statuto sottoscritto dalle socie fondatrici, fra le quali si onora di annoverare persone di limpido e riconosciuto prestigio democratico e pacifista come Carla Ravaioli, Antonia Sani e altre.

Il fatto è che mi pare un’avvisaglia – niente di molto serio, ripeto, nel mio caso - dell’ora buia di cui parla Yuri.

D’altra parte son cose già viste, già vissute. Chi manifestava contro i missili Cruise a Comiso, oltre a prendersi le manganellate in testa dalla polizia, doveva subire anche l’accusa di fare il tifo per gli SS20 sovietici. Chi protestava contro i bombardamenti su Belgrado era automaticamente amico o amica di Milosevic e chi contestava che non c’erano prove che l’Iraq avesse schierato armi di distruzione di massa, diventava complice di Saddam. E così via tacciando. Per non risalire più indietro fino al Vietnam, alla Corea o ancora più in là. Poi le verità che tu sostenevi sono state documentate, è vero, ma solo a una distanza di tempo che potesse renderle innocue.

Questa guerra in Ucraina è uno di quei mostri che nascono nel chiaroscuro tra il vecchio mondo che muore e quello nuovo che tarda a comparire, come diceva Gramsci.

Ma per fortuna, e cito ancora Zamora, “al di fuori della bolla del pollaio, il mondo è più informato di quanto pretendono i polli e i percorsi delle sue relazioni sono di tale complessità e finezza da risultare indigeribili per i neuroni arrugginiti degli atlantisti”. Afferriamo il segnale, o preferiamo restare immersi nella nuvola tossica delle informazioni coatte?

'#Nowar #Yespeace

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