memorandae

28/02/2020

NEXHMIJE XHUGLINI HOXHA

«Ho combattuto e lavorato per l’emancipazione delle donne e della società albanese»


Il 26 febbraio 2020 è venuta a mancare, a Tirana, Nexhmije Hoxha (99 anni), icona della lotta delle donne albanesi per l'emancipazione dall'oppressione feudale, partigiana antifascista combattente, protagonista della costruzione del socialismo in Albania. Rimasta sempre fedele, nella sua lunga e operosa vita, agli ideali di progresso, uguaglianza sociale e pace per i quali ha vissuto e lavorato, ha superato con grande dignità anche le angustie e le persecuzioni che si sono abbattuti su di lei e la sua famiglia, negli anni della transizione post-comunista dell'Albania.


Nexhmije (Xhuglini) Hoxha era nata l’8 febbraio 1921 a Manastir, in Macedonia, da una famiglia albanese di idee patriottiche e progressiste che, quando lei aveva pochi anni, si era trasferita a Tirana per consentirle di frequentare la scuola in lingua albanese.
Iscrittasi alla scuola secondaria d’indirizzo pedagogico, Nexhmije si distinse, oltre che per i brillanti risultati ottenuti, anche per l’attività in favore dell’emancipazione femminile e contro l’occupazione militare dei fascisti italiani.
A vent’anni aderì all’organizzazione della gioventù comunista albanese e in questa circostanza incontrò Enver Hoxha, destinato a diventare il leader della rivoluzione socialista albanese e il compagno della sua vita. Ricercati entrambi dalla polizia fascista e costretti a proseguire l’attività politica in clandestinità (su di lui pendeva una condanna a morte, su di lei una condanna in contumacia a 13 anni di reclusione per attività sovversiva), condivisero gli anni della lotta antifascista di liberazione nazionale e poi, a liberazione avvenuta, un quarantennio di vita coniugale, dalla quale nacquero tre figli.
Non ancora ventenne, Nexhmije prese parte alla fondazione delle organizzazioni della gioventù e delle donne antifasciste albanesi, nelle quali ebbe un ruolo preminente: nel primo congresso dell’Unione della Gioventù Antifascista Albanese (1944) fu eletta segretaria dell’organizzazione; nel 1946 fu eletta presidente dell’Unione delle Donne Antifasciste Albanesi, organizzazione affiliata alla Federazione Democratica Internazionale delle Donne, mantenendo l’incarico fino al 1955.
Negli anni della costruzione socialista, dette un contributo specifico allo sviluppo dell’istruzione pubblica, della cultura e della scienza socialiste, svolgendo in questi settori un ruolo politico di primo piano da deputata all’Assemblea Popolare albanese, pur senza assumere mai incarichi di governo. Solo alla morte di Enver Hoxha, avvenuta nel 1985, accettò di succedergli alla presidenza del Fronte Democratico (il parlamento albanese), carica che ricoprì per cinque anni.
Nel 1991, dopo la caduta del regime socialista, fu avviata contro di lei una lunga persecuzione giudiziaria e fu imbastito un processo di dubbia legalità per «appropriazione indebita di fondi statali», accusa mai realmente comprovata.
Più che un processo, fu una gogna mediatica, una ritorsione – come lei disse - dei suoi vecchi persecutori del Balli Kombëtar tornati al potere, direttamente o attraverso i loro eredi, che volevano attraverso lei colpire l’intera esperienza dell’Albania socialista. Lo chiamarono il «processo dei caffè» dato che l’accusa si riferiva alle spese sostenute per offrire caffè e pasticcini, per un valore equivalente a poche migliaia di dollari, alle numerose personalità albanesi e straniere che si erano recate a farle visita negli anni fra il 1985 e il 1990. Accuse confutate con fermezza dalla stessa Nexhmije che si difese con coraggio denunciando a sua volta l’illegalità di «un processo politico mascherato».  
«Il mio arresto, il giudizio, la mia condanna non mi possono far piegare la testa, perché non ho nessuna colpa: per cinquant’anni ho lottato e lavorato per l’emancipazione delle donne e della società albanese. Qualunque condanna sarà emessa a mio carico, l’aspetto con calma e pazienza»: con queste parole Nexhmije concluse, il 26 gennaio 1993, la sua autodifesa dinanzi al tribunale di Tirana, che la condannò a nove anni di carcere.
Si costituirono in vari paesi del mondo comitati di solidarietà. Intervennero in sua difesa noti giuristi da più parti, del suo caso s’interessò Amnesty International; mentre era in carcere d’isolamento ricevette la visita di Gerald Nagler, segretario dell’International Helsinki Federation for Human Rights. Una delegazione della Women’s International League for Peace and Freedom e dell’Associazione di donne della Regione Mediterranea ottenne di farle visita nel carcere di Tirana per consegnarle la membership onoraria. (Qui: è postato il racconto del colloquio, avvenuto nel febbraio 1996)
Superando con grande dignità e coraggio le angustie e le persecuzioni inflitte a lei e alla sua famiglia nel periodo della transizione post-comunista dell'Albania, ha trascorso gli anni seguenti all’uscita dal carcere nella sua modesta casa di via Durazzo, nella periferia di Tirana, dividendo il suo tempo fra la cura degli affetti familiari e delle relazioni d’amicizia, che ha mantenuto in Albania e all’estero, e un’instancabile attività di scrittura. Fino all'ultimo tenacemente fedele al compito, che lei stessa «con calma e pazienza» si era assegnata, di trasmettere la memoria dell'Albania socialista, assumendo su di sé l'onere del ripensamento e, insieme, della sua difesa dalle accuse calunniose di nemici e detrattori di quell'esperienza storica, che lei visse da protagonista. 

14/08/2017

FATIMA AHMED IBRAHIM



Fatima Ahmed Ibrahim festeggiata dalle compagne della WIDF durante il X congresso a Sheffield (UK) nel 1991 dopo la sua elezione a presidente
Con grande tristezza abbiamo inviato l'ultimo saluto a Fatima Ahmed Ibrahim, donna sudanese coraggiosa e gentile, amica e compagna intelligente e forte, che fu dirigente della Federazione delle Donne Sudanesi e presidente della Federazione Democratica Internazionale delle Donne.
Nata nel 1934, Fatima ha dedicato l'intera sua vita all'impegno per i diritti delle donne e del popolo del Sudan. Nel 1965 fu eletta nel parlamento del Sudan e fino all'ultimo giorno è stata dirigente politica di livello nazionale ed internazionale attiva e stimata. 
Conserviamo un vivo ricordo della sua partecipazione  alla conferenza internazionale della Awmr Italia su "Donne e lavoro nel mediterraneo" nel luglio 1998. 
In quella occasione ci parlò con molta sapienza e fermezza della condizione delle donne nelle società islamiche, sostenendo che l'ineguaglianza delle donne, strutturalmente legata alle ineguaglianze sociali, affonda le radici nel sistema schiavile, che le cause della misoginia e della discriminazione delle donne non sono nell'Islam in sé, ma nella concentrazione del potere nelle mani degli uomini che opprimono. Ci raccontò delle drammatiche condizioni delle donne che nel suo paese si battevano per l'emancipazione, delle lunghe lotte dopo il colpo di stato militare del 1958 che aveva azzerato ogni diritto, della difficile ripresa e della sua elezione al parlamento sudanese, dei passi avanti compiuti faticosamente in anni di duro lavoro, per vedere poi l'orologio della storia tornare ancora una volta indietro, col diffondersi del fondamentalismo.
Condividendo sentimenti profondi di dolore e di riconoscenza.con i familiari di Fatima e con tutte le donne della FDIM/ WIDF, siamo sicure che il suo ricordo rimarrà vivo e la sua figura continuerà ad ispirare le donne del Sudan e del mondo che si battono contro l'oppressione e lo sfruttamento,  per la libertà e la giustizia sociale.



Fatima Ahmed Ibrahim durante il suo intervento alla Conferenza internazionale della AWMR Italia su "Donne e lavoro nel Mediterraneo". Alla sua sinistra, Katia Bellillo (Gallipoli, luglio 1998)

N.B. Per altre informazioni sulla partecipazione di Fatima Ahmed Ibrahim alla conferenza della AWMR Italia  vedi alla pagina: http://digilander.libero.it/awmr/conf_7.htm


 *******************


Per Irma Schwager

febbraio 2017
Riconoscere l'ingiustizia, mai più fascismo, mai più guerra!

All’età di 95 anni è morta a Vienna Irma Schwager, storica figura della Resistenza europea, del partito comunista austriaco, del movimento internazionale delle donne. Nata nel 1920 a Vienna da genitori ebrei politicamente impegnati, Irma Wieselberg Schwager fuggì in Belgio nel 1938 e poi nella Francia occupata, dove prese parte alla lotta clandestina, durante la quale riuscì a guadagnare alla Resistenza perfino dei soldati della Wermacht di stanza lì. Perduta gran parte della sua famiglia nell'Olocausto, dopo la liberazione  dal nazifascismo tornò in Austria, divenne attivista del  Partito Comunista austriaco e del movimento per la pace nato nel dopoguerra.  La drammatica esperienza della guerra, e la riflessione su come  le donne particolarmente sono colpite dalle guerre, la indussero ad impegnarsi attivamente sia per la pace e il disarmo nucleare  che a sostegno delle cause femministe, per l'indipendenza delle donne e contro tutte le forme di violenza strutturale (patriarcale, di casta, di classe, di razza ed etnia). Da  presidente del Bund Demokratischer Frauen (Associazione delle donne democratiche austriache), fece parte del Consiglio della Federazione democratica internazionale delle donne (WIDF) e  sostenne con vigore, da avvocata, l'attuazione degli obiettivi delle Conferenze delle Nazioni Unite sulle donne. Nel 2005 era stata proposta per il Premio Nobel per la Pace.
Attiva fino a poco prima della sua morte, Irma Schwager il 27 gennaio aveva tenuto il suo ultimo discorso pubblico a Vienna per commemorare il 70 ° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz.
Il motto che ispirò la sua vita: "Riconoscere l'ingiustizia, mai più fascismo, mai più guerra".

Nel messaggio di cordoglio inviato da Marcia Campos, presidente della  Federazione Internazionale democratica delle Donne, al Partito Comunista d'Austria e al Bund Demokratischer Frauen per la morte di Irma Schwager, si dice:
“ La vita di Irma Schwager coincide con la storia della resistenza antifascista contro il regime di Hitler, del movimento di lotta contro la guerra e il fascismo, del movimento  per la pace, del movimento delle donne.  Negli incontri, azioni pubbliche, dimostrazioni e manifestazioni, nei suoi numerosi scritti , Irma ha levato la sua voce per la parità dei diritti, per il diritto al lavoro e i diritti riproduttivi delle donne, per l'abolizione delle antiquate leggi patriarcali sul matrimonio e la famiglia. Irma Schwager rimarrà una grande e importante figura nel movimento delle donne a livello nazionale e globale, che  continuerà a segnare la strada per le donne rivoluzionarie di tutto il mondo. Piangiamo la nostra compagna e continueremo la nostra lotta ispirate da lei.”

************


Per Fanny Edelman 




Hasta siempre,  compañera  Fanny!


La sera del primo novembre 2011, all’età di cento anni, è morta a Buenos Aires Fanny Edelman, figura di rilievo del movimento femminile argentino ed internazionale, a lungo segretaria dell’Unione Donne Argentine  e poi, dal 1972, della Federazione Democratica Internazionale delle Donne (Widf). 
Fu proprio durante il suo segretariato che la Widf, insieme alla Women’s International League for Peace and Freedom, diede impulso ad una serie di iniziative che contribuirono in misura determinante alla proclamazione dell'Anno Internazionale delle Donne e alla convocazione della prima conferenza delle Nazioni Unite per le donne, a Città del Messico nel 1975:  da quella storica conferenza  ebbero vita le Decadi dell’Onu dedicate alle tematiche femminili, con le successive conferenze mondiali di Nairobi e di Pechino.
Quando qualcuno le chiedeva l’età, Fanny amava rispondere, con incredibile brio e lucidità, che aveva “molta, molta, molta giovinezza accumulata”. Nella sua lunga e intensa vita di militante e dirigente politica e associativa, è stata testimone e partecipe di molti degli avvenimenti cruciali del XX secolo, conservando sempre uno sguardo critico e acuto sul suo tempo e un’inesauribile volontà di futuro.
Nata a San Francisco de Cordoba nel 1911, aderì molto giovane al Partito Comunista, nel quale ricoprì diversi incarichi, fra cui quello di responsabile delle Relazioni Internazionali. 
Fu volontaria delle brigate internazionali  nella Guerra Civile Spagnola, dove lavorò fianco a fianco con Tina Modotti nel Soccorso rosso e conobbe Dolores Ibàrruri, la Pasionaria.
Negli anni più bui del continente latino americano, e particolarmente durante la dittatura militare argentina fra il 1976 ed il 1983, subì il carcere più volte. Con spirito indomito raccolse le testimonianze di 200 parenti di vittime della dittatura e nel 1978 le presentò davanti alla Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra.
In prima linea nelle lotte operaie e contadine, Fanny aveva compreso tuttavia che non vi può essere liberazione sociale senza l’emancipazione completa delle donne, che è imprescindibile unire la lotta degli sfruttati con quella delle donne che subiscono le diverse forme di discriminazione imposte dalla società patriarcale. Si proclamava femminista marxista  e non esitava a sfidare i pregiudizi latenti o esplicitamente manifestati nel suo partito, spesso diffidente dei nuovi apporti di una cultura di liberazione che non nasceva dalla lotta di classe.
Scrive di lei la giornalista argentina Stella Calloni: “Fino ai suoi ultimi giorni è stata vigile in ogni atto, con straordinaria lucidità  ha presieduto riunioni, ha preso la parola negli eventi politici e la sua parola era ascoltata nel suo partito, il partito comunista argentino, dove ha militato tutta la vita. Umile, luminosa, incapace di settarismi, aperta, attenta, sempre generosa e compagna…Senza esitazioni, ma senza  alcun accenno di arroganza, Fanny ci ha insegnato come nessun altro le vie della dolcezza, della moralità e della pazienza rivoluzionarie,  tutte le vie dell’unità, così necessaria di questi tempi.
Fanny Edelman ha raccontato la sua lunga  straordinaria vita nell’autobiografia Banderas, pasiones, camaradas, che testimonia come la sua storia personale abbia incontrato la storia del mondo.
Al più recente volume Femminismo y marxismo è invece affidata, sotto la forma di un’intervista rilasciata alla scrittrice argentina Claudia Korol, la narrazione del suo “molto pensato ed agito” per e con le donne.


Ada Donno
***************************




Fanny: la grande Strega è volata via


La Fanny che piango e celebro.
La donna che ci "amadrinó" quando con tanti ragazzi e ragazze eravamo a raccogliere caffè in Nicaragua, o a condividere le sorti della resistenza cilena.
La donna che ci ha insegnato un modo di essere comuniste ogni giorno e ogni ora del giorno, allo stesso modo che siamo madri, o ricamatrici, o vasaie, o poete.

La donna che scriveva i suoi discorsi a mano, impigliati nelle poesie di Neruda, Gonzalez Tuñon, Cesar Vallejo ... perché sapeva che non ci sono parole più efficaci di quelle che inventano mondi, colgono stelle in cima alle rivoluzioni, e blindano le rose ...
La Fanny che amo e che mi manca.
La donna che andò in Spagna con le Brigate Internazionaliste, e raccontava la sua avventura con un filo di voce, come raccontano le nonne le loro storie ai nipoti, storie sempre incompiute ...perché Fanny sapeva che la storia non finisce, nemmeno quando diciamo che è la fine ... e sapeva che la morte non è morte, perché c’erano nella sua vita molte persone care che continuavano ad essere con lei, anche dopo la loro dipartita ...
La donna che ha organizzato le donne qua e là ... negli angoli più lontani del pianeta. Che non si stancava mai di ripetere più e più volte che le nostre voci devono essere rispettate e ascoltate. La donna che divenne  femminista marxista dopo aver molto pensato e molto agito ... perché voleva essere un ponte ella stessa tra le esperienze di emancipazione, dimostrando con la sua stessa vita che  per quanto non si creda alle streghe ... esse ci sono, ci sono ... e possono perfino fare le loro stregonerie in qualche comitato centrale. 
Fanny che piango e rimpiango.
La donna dai capelli bianchi e lo sguardo pieno di domande. La donna che ha disseminato  amicizie di donne in vari angoli del pianeta. La donna anziana che si sedeva a parlare con una giovane donna con la massima attenzione e rispetto, non per consigliare, ma per chiedere un consiglio. La donna che si rese conto che le differenze sessuali devono essere pensate e discusse nella sinistra, nello stesso luogo e con la stessa intensità con cui la sinistra pensa la lotta di classe e ogni classe di lotte. La donna che non perdeva l'occasione di imparare cose nuove, fino agli ultimi giorni dei suoi cento anni.
La Fanny che continuo a cercare.
La donna che ha rispettato in ogni momento le mie vicinanze e le mie distanze. Quella che non ha condannato le mie differenze. Quella che si è seduta con me ancora e ancora, nell’esercizio di tessere insieme belle tele di solidarietà. Che mi ha fatto l’immenso onore di condividere le riflessioni che sono scritte nei suoi libri. 
La Fanny che non ha creduto mai negli omaggi. Che se la riderebbe del vuoto che ci lascia il suo viaggio ... La donna vecchia e saggia, forte e tenera, solidale, umana, coraggiosa, sensibile. Mi gira qui intorno in questa mattina di novembre. Qui mi parla sottovoce. Qui  mi avvolge la spalla il suo abbraccio, come appena qualche giorno fa. Qui mi divide la sua partenza. Qui, nel luogo esatto della ribellione.


di Claudia Korol,  Buenos Aires, 1 novembre 2011
(trad. A.Donno)



***********

Per Vilma Espìn de Castro


Hasta siempre Vilma!

A Cuba la chiamavano “heroina del Segundo Frente de la Sierra Maestra”, il fronte orientale del leggendario Ejercito Rebelde che aveva vinto la rivoluzione.
Ma chi le è stata accanto nel lavoro quotidiano, ne ricorda il coraggio e l’intelligenza, la prudenza e la perseveranza, il buonsenso nell’affrontare le situazioni complicate. Ricordano il ruolo decisivo da lei svolto per salvare la Federazione democratica internazionale delle donne (Fdim/Widf) nel momento della crisi che ne minacciava lo sfaldamento negli anni ’90. Col suo prestigio e autorevolezza seppe fare appello a tutte le riserve politiche e morali della Fdim.
Se n’è andata il 18 giugno 2007 dopo una lunga malattia contro la quale ha lottato con coraggio e umiltà, come lei sapeva fare.
Nata nel 1930 a Santiago di Cuba, in seno ad una famiglia benestante, da studentessa Vilma si avvicinò ai movimenti rivoluzionari contro il golpe di Batista del 1952, si unì all’Ejercito Rebelde, entrò nella leggenda guerrigliera accanto a Fidel e Che Guevara.
Dopo la vittoria scelse per sé il compito di riorganizzare i gruppi femminili che agivano sparsi nel paese, nel 1960 fondò  la Federaciòn de Mujeres Cubanas.
Il ruolo svolto sul piano nazionale e internazionale, come presidente della FMC e vicepresidente della Fidf/Widf, colloca il suo nome accanto a quelli delle grandi figure che hanno tracciato  il cammino di liberazione della donna latinoamericana.

La ricordo al congresso di Mosca della Fdim nell’87, e poi a quello di Parigi nel 1991: presenza autorevole e discreta, circondata di rispetto, pur poco sorridente e senza appariscenza. Nell’ambito della Fdim era apprezzata e stimata, la sua opinione aveva più peso. Fuori della Fdim, quando la si nominava, ci si sentiva quasi obbligate a precisare: “Vilma Espin, la moglie di Raùl Castro”, non parendo cosa sufficiente che fosse vicepresidente di una storica organizzazione internazionale di donne. Accade ancora, alle donne.
Sapevamo della sua malattia, già fin dall’incontro del Comitato direttivo della Fdim a Roma nel 2006 se ne parlò. Neppure al congresso di Caracas nell’aprile 2007 poté essere presente. Quando chiedevamo notizie le compagne cubane scuotevano la testa silenziose.
Infine è arrivata la comunicazione che aspettavamo.

Gioconda Belli nella sua poesia Mujer dice: “Una non sceglie il paese dove nasce, però ama il paese dove è nata. Una non sceglie il tempo per venire al mondo, però deve lasciare l’impronta del suo tempo”.
L’impronta di Vilma Espìn, il suo lascito intellettuale e morale che sarà ereditato dalle  generazioni di donne alle quale ella ha dedicato la sua passione e la sua tenerezza, è di quelle profonde.
 Ada Donno.

Nessun commento:

Posta un commento