Gli aiuti pelosi di Trump all’Italia e il dopo emergenza COVID-19
A proposito del Memorandum sulla fornitura di assistenza alla repubblica italiana firmato dal presidente degli Stati Uniti e del suo duplice significato
di Ada Donno*
C’è un modo di dire peculiare della lingua italiana, quando
qualcuno compie un gesto di apparente solidarietà verso qualcun altro, dal
quale però si aspetta, o addirittura pretende, un tornaconto. La chiamiamo
“carità pelosa”. Si tratta, in altre parole, di quel gesto ipocrita di chi ti
fa dono del superfluo per poterti sottrarre (o dopo averti già sottratto) il
necessario.
L’espressione sembra attagliarsi perfettamente al Memorandum che
il presidente degli Stati Uniti Trump ha enfaticamente annunciato ed esibito al
mondo, il 10 aprile, sugli aiuti che gli Usa forniranno all’Italia per
affrontare la crisi sanitaria del COVID-19.
Dopo più di due mesi dalla dichiarazione dello stato di
emergenza in Italia - e di assenza degli Stati Uniti dagli sforzi
internazionali di risposta alla pandemia di COVID-19 - Trump si è presentato
davanti alle telecamere sventolando il suo “memorandum presidenziale”, nel
quale impartisce al suo governo ordini e disposizioni riguardo all’assistenza da fornire al
nostro Paese, definito «tra i più stretti e vecchi alleati degli Stati Uniti».
Questo memorandum tardivo arriva dopo che gli Usa hanno
colpevolmente ignorato la gravità della crisi sanitaria che, dopo la Cina, ha
colpito prima l’Italia e poi gli altri paesi europei, tanto da negare fino
all’ultimo la necessità di cancellare le esercitazioni NATO “Defender Europe”,
che avrebbero dovuto dispiegarsi in primavera su larga scala lungo il confine
con la Russia. Non solo. Arriva dopo che sono arrivati tempestivamente in Italia gli aiuti
cinesi insieme a quelli cubani, a quelli russi, vietnamiti, albanesi e di tanti
altri paesi grandi e piccoli. In questo quadro inedito di gara solidale verso
l’Italia, l’assenza degli Stati Uniti era diventata vistosa. Per non dire di
certi micragnosi paesi dell’Unione Europea, con i quali non abbiamo finito di
fare i conti.
Che cosa stabilisce questo “memorandum” firmato da Trump? Intanto,
in apertura, vi si precisa che è stato il governo italiano a richiedere
l’assistenza degli Stati Uniti. Poi si dettano ridondanti disposizioni ai segretari
dei dipartimenti e delle agenzie degli Stati Uniti al riguardo. Ma il memorandum
non entra nei dettagli di cosa verrà
fornito all’Italia. Anzi non dice proprio nulla di concreto su questo. Si
limita ad impartire disposizioni affinché gli uffici predisposti si attivino per «identificare» i soggetti, gli
strumenti e le vie – facenti capo a USAID - attraverso i quali, se del caso, fornire «assistenza all’Italia, che rischia il collasso del sistema sanitario a causa del COVID-19 ed è minacciata
da una profonda recessione economica».
Nello specifico, si ordina «che siano agevolati i contatti tra le
autorità italiane e le società degli Stati Uniti e siano incoraggiati i fornitori
degli Stati Uniti a vendere gli articoli richiesti dalle autorità italiane o
dagli operatori sanitari»; e che siano «incoraggiate
le organizzazioni internazionali pubbliche e le organizzazioni non governative
(ONG), comprese le organizzazioni di fede» operanti nel territorio italiano, le quali - in consultazione con
l’ambasciata e le missioni degli Stati Uniti –
possano, se del caso, donare attrezzature e forniture mediche all'Italia».
Tutto questo, beninteso, a condizione che tali forniture non vengano sottratte
alle esigenze nazionali degli Usa, che restano prioritarie.
A che serve, allora, un memorandum che non definisce alcun
aiuto, né immediato né concreto, per far fronte alla crisi sanitaria più acuta?
Il fatto è che bisogna leggerlo nelle righe e tra le righe, per afferrarne il duplice significato: uno esplicito, l’altro velato (ma non troppo).
Il significato esplicito è che la presidenza degli Stati
Uniti intende con questo memorandum replicare alla “campagna di aiuti” che
giungono all’Italia dalla Cina, la Russia, Cuba e altri paesi "non atlantici", o che comunque gli Usa
considerano “nemici”, e riaffermare la leadership globale degli Stati Uniti
nell’azione internazionale di contrasto al coronavirus, in contrapposizione a quella
che viene definita «la campagna di disinformazione cinese e russa» che passerebbe attraverso il
mantenimento di «pericolose catene di aiuti».
È soprattutto la gestione del “dopo emergenza sanitaria”, nei
suoi termini non solo economici, ma anche e soprattutto geopolitici, che sembra preoccupare Trump. E sotto
questo profilo, le disposizioni più inquietanti stanno nella Sezione 4 del
memorandum, dove si dichiara di “fornire” al governo italiano l’utilizzo degli oltre 30.000 militari e
personale addetto di stanza nelle basi USA in Italia, «a supporto del Centro
operativo militare e civile italiano nelle attività di emergenza».
E qui sta il significato velato (ma non troppo) del memorandum, che suona piuttosto come una tirata d'orecchi al
governo italiano, perché si guardi dalle «pericolose catene di aiuti internazionali»,
quelle che vengono da Cina, Cuba, o Russia, e stia attento ad accettare solo
quelli che riconducono alla leadership americana. Più che una mano tesa
all’Italia è il dito dello zio Sam puntato contro di noi.. Specialmente l'"offerta" di utilizzare le basi americane e il loro personale, a supporto delle attività
di emergenza che si presenteranno, pare un richiamo all’ovile
dell’Alleanza Atlantica che fa rabbrividire.
Riguardo agli “aiuti” promessi, poi, quale che sia la loro eventuale
entità, vale la pena di ricordare che da tempo gli Usa premono sull’Italia e sugli
altri alleati europei perché portino la loro spesa militare almeno al 2% del PIL. Alcuni paesi europei l’hanno già fatto. La spesa italiana corrisponde
attualmente all’1,3% del PIL, ma il governo si è impegnato ad elevarla. E sarà
tutta spesa sottratta ai bisogni sociali.
Rivolgendosi specificatamente all’Italia, peraltro, senza neanche un cenno agli alleati europei, il memorandum di Trump sembra un’esca furba gettata nello
stagno dell’Unione Europea, per pescare nel torbido della palese mancanza di solidarietà e di strategie comuni nel contrasto
alla pandemia e alle sue pesanti ricadute economiche.
Ma, oltre a tutte queste considerazioni, quella che suona veramente
ignobile è la pretesa di Trump di usare gli aiuti, anche in una circostanza drammatica come
questa, per marcare la propria area di dominio atlantico-occidentale, usando la promessa di aiuti come espediente di una strategia politica di ripristino dei
paradigmi della guerra fredda del secondo '900, questa volta nel quadro
di una visione isolazionista e chiusa nella logica primatista dell’«America first».
Questo memorandum lanciato contro le “pericolose catene di
aiuti” fa il paio
con una violenta campagna di denigrazione dell’OMS (e più in generale delle organizzazioni delle Nazioni Unite), colpevole di sottrarsi al controllo esclusivo di
Washington e delle multinazionali farmaceutiche della filiera americana. E fa il paio con la “guerra ibrida” - armata, commerciale,mediatica e spionistica – dichiarata contro una cinquantina di paesi, a partire da Venezuela, Cuba, Nord Corea e Iran, fino alla Cina, che con motivazioni varie sono bersaglio di ritorsioni e sanzioni economiche unilaterali.
Paradossale (e catastrofico) sarebbe che l’Europa si ri-piegasse
a una leadership da sceriffo del Far West che va imponendo ridicole taglie
sulle teste dei leader di altri Stati bollati come “canaglie” e minacciando
strangolamenti economici e militari per ripristinare sui mercati mondiali
un’egemonia del dollaro che è
ormai avviata alla sua fine. È una leadership talmente screditata, politicamente e perfino moralmente, che può sostenersi solo sul terrore delle 800 basi militari disseminate
in ogni angolo del mondo. Ma proprio per questo da temere e contrastare.
Ci deve allarmare la nuova spinta alla militarizzazione dello spazio impressa dagli Stati Uniti (a trent'anni dalle Star Wars di reaganiana memoria), alla quale si vogliono aggregare i 29 paesi dell’Alleanza Atlantica (nel Summit di Londra del dicembre scorso, hanno imposto che fosse riconosciuto lo spazio quale «quinto campo operativo» dell’Alleanza Atlantica, in aggiunta a quelli terrestre, marittimo, aereo e cyberspaziale).
Ci deve allarmare ogni tipo di risposta militarista e
autoritario alla pandemia di COVID-19, tanto sul piano
interno quanto internazionale, ogni tentativo di trasformare lo stato di eccezione in uno stato ordinario di governo. E al contempo, ogni risposta di tipo speculativo, privatistico, proprietarista alla crisi pandemica, come la rincorsa ad acquisire per primi e inesclusiva cure e terapie per far fronte a questa e a quelle che presumibilmente si ripresenteranno in futuro.
È il tempo, invece, della condivisione
internazionale delle risorse e dei saperi, è il tempo di restituire valore politico alle
Nazioni Unite e alle sue Organizzazioni mondiali, a cominciare dall’OMS, fino alla stessa Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ridotta a un vecchio deposito di risoluzioni inapplicate; così come agli organismi comunitari creati nel quadro di un ordine
giuridico internazionale di origine pattizia multilaterale, soppiantati
dal sistema dei Vertici di Super-potenti a vantaggio del progetto neoliberista di espansione invasiva del mercato e di sfruttamento capitalistico ad ogni ambito dell'esistenza. .
Per garantire a tutti l'accesso alle cure contro la pandemia bisogna escludere ogni forma di monopolio delle stesse dagli accordi che i governi firmeranno con le aziende farmaceutiche. Se la cura della crisi pandemica dovesse risolversi in una colossale abbuffata di profitti per le multinazionali farmaceutiche e per l’economia
imperialista, sarebbe come – per dirla con l'economista ambientalista Vandana Shiva – «offrire
la malattia come cura: più crescita economica capitalistica per risolvere i
problemi di povertà, disuguaglianza e declino ecologico a cui essa stessa ha
dato origine».
La pandemia ci sta ponendo di fronte alla sfida planetaria di un cambiamento strutturale che porti all’accesso egualitario di
tutti, popoli e paesi, comunità etniche e organizzazioni sociali, uomini e
donne alla gestione non privatistica, ma pubblica, sociale e collettiva dei
sistemi di cura e delle risorse economiche, scientifiche, culturali e tecnologiche
che li rendano efficaci.
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