L'otto marzo è tornata una giornata di lotta
Le
immagini delle piazze italiane e di tutto il mondo non dovrebbero lasciare
dubbi sul successo dello sciopero globale delle donne. Ma le enormi
manifestazioni di piazza non bastano a rappresentarlo: i dati, ancora
parzialissimi (non sappiamo infatti a quali dati faccia riferimento di vico sul
corriere), parlano di un’adesione delle lavoratrici Inps del 24%, ad esempio,
questo mentre contemporaneamente la Cgil indiceva assemblee sui luoghi di
lavoro, in aperto antagonismo con lo sciopero. A ciò andrebbe aggiunto il dato,
non rilevato né rilevabile, dell’adesione nel mondo del lavoro autonomo,
precario, gratuito e nero. Uno strumento di lotta svuotato di senso e efficacia
dal venire meno di un diritto per una fascia sempre più estesa di lavoratrici e
lavoratori è stato, infatti, risignificato e riconsegnato alla sua originaria
forza.
Lo sciopero generale, negato dai sindacati confederali, è stato
praticato in ogni angolo del paese per mettere al centro temi tanto politici
quanto concreti, nient’affatto simbolici, se per simbolico si intende
testimoniale e astratto. La lotta alla violenza di genere è lotta per
l’autonomia, per il salario minimo e per il reddito di autodeterminazione, per
la parità salariale. Scioperando vogliamo porre il problema del lavoro di cura
(gratuito o sottopagato) che ricade sulle donne; della necessità di un nuovo
welfare includente, aperto e garantito. Della libertà di scegliere delle nostre
vite senza incontrare ostacoli ideologici o materiali. Scioperando parliamo di
un sapere che non è un oggetto neutro ma finora è stato contro le donne; di
stereotipi e ruoli prestabiliti; di narrazioni e rimozioni pericolose.
La battaglia per riprenderci lo sciopero si è
combattuta su ogni posto di lavoro, in ogni scuola, dentro ogni azienda. Centinaia
le email giunte a NON UNA DI MENO per sapere come scioperare testimoniano la
volontà e insieme la difficoltà di esercitare un diritto costituzionale da
troppo tempo appannaggio delle segreterie sindacali più che delle lavoratrici e
dei lavoratori. Malgrado ciò, l’occasione di incrociare le braccia tutte
insieme in tutto il mondo, di esercitare quindi una forma radicale e concreta
di lotta, è stata pienamente raccolta.
Crediamo dunque che l’errore sia stato di quei
sindacati, come la Cgil e la Fiom, che non hanno colto questa occasione, anzi
l’hanno liquidata, se non combattuta, come possibilità; non hanno voluto
cogliere la spinta ideale e politica, constatare il riconoscimento delle donne
in una battaglia comune e materialissima.
È significativo che al
silenzio registrato il 27 novembre, all’indomani della enorme manifestazione
nazionale contro la violenza maschile sulle donne, oggi si sostituisca un coro
di disapprovazione. Da autorevoli editorialisti fino alla ministra Fedeli,
l’”arma impropria” dello sciopero femminista ha fatto molto male,
evidentemente. Dovremmo dedicarci al rammendo, secondo il Corriere della sera. Farci dunque, da
brave Penelopi, “custodi dell’Occidente” minacciato da nuovi Proci. Peccato che
sia proprio l’“Occidente” delle Grosse Koalitionen, del neoliberismo che si fa
governo patriarcale e razzista, dei neo-nazismi, quello che produce la nostra
subalternità, la nostra esclusione, le condizioni di una violenza, di uno
sfruttamento, di una povertà sempre più duri.
L’appello a cui abbiamo risposto l’8 marzo in
più di cinquanta paesi del mondo è a riconoscersi in altro, in qualcosa che va
aldilà dei confini, dei generi, delle razze. Le donne si sono fatte le
interpreti principali di un grido di riscatto: le nostre vite valgono e non le
mettiamo al vostro servizio.
Scioperare non è stato dunque, un errore. Ora
torniamo più forti di prima a lavorare al Piano femminista contro la violenza
sulle donne. L’appuntamento è per l’assemblea nazionale dei tavoli di lavoro in
programma per il 22-23 aprile a Roma. Abbiamo sbagliato a chiedere il pane,
oltre le rose? Siamo certe di no. E continueremo a farlo.
Non Una di Meno Roma
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