29/09/19

Memoria e verità vilipese dal parlamento europeo

Una risoluzione che non ci piace affatto



La risoluzione del parlamento europeo che equipara comunismo e nazifascismo ci indigna e ci preoccupa profondamente 




  Indignazione e profonda preoccupazione ha suscitato in noi la "Risoluzione sulla importanza dellamemoria europea per il futuro dell’Europa", che è stata approvata dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019, col voto convergente delle destre reazionarie, del centro “moderato” e dei liberal-democratici cosiddetti “progressisti” (535 voti a favore, 66 contrari e 52 astenuti). Primo, perché essa costituisce un insidioso e vergognoso tentativo di revisionare e manipolare la storia europea, equiparando il comunismo al nazifascismo, in vista di una legittimazione ed estensione all'intera Unione Europea dell’anticomunismo istituzionale che è già in vigore in alcuni paesi dell’Europa orientale; secondo, perché essa pone inquietanti premesse a possibili ulteriori involuzioni antidemocratiche nella scena politica della Unione europea. Ci pone inquietanti interrogativi, inoltre, il fatto che tale risoluzione sia passata nell'europarlamento sotto la presidenza dell'italiano David Sassoli, del gruppo S&D (Socialisti e Democratici).

Abbiamo diverse e fondate ragioni per condannare e rigettare con forza questa ignobile risoluzione.
Esponiamo quelle per noi più rilevanti.
1.     Essa ha la pretesa di rifondare la memoria dell’Europa, ma è costruita su false premesse storiche ed è infarcita di infondate affermazioni, disoneste omissioni e ipocrite rimozioni. In essa si afferma, infatti, che la causa scatenante della seconda guerra mondiale, che devastò l’Europa, non fu il pangermanismo hitleriano, caposaldo dell’ideologia nazista, bensì il patto di non aggressione fra Germania e Urss, firmato a Monaco il 23 agosto 1939. Con un inaccettabile capovolgimento della verità storica, nella risoluzione si ignora quanto avvenne ben prima di quel patto, e le ragioni che lo determinarono. Nulla viene detto dei piani nazisti di aggressione alla Cecoslovacchia, ben noti fin dal 1937 alle potenze europee occidentali, che però preferirono adottare la colpevole politica dell’appeasement, cioè dell’accomodamento con Hitler. Non si dice che già nel 1938 Francia, Gran Bretagna e Italia fascista avevano concordato a Monaco la cessione dei Sudeti al Terzo Reich, a spese della Cecoslovacchia. Non si dice che in quella occasione e in altre occasioni, Gran Bretagna e Francia respinsero le proposte di alleanza dell’URSS per difendere i territori minacciati dai nazisti e per impedire lo scatenamento della guerra. La colpevole sottovalutazione della minaccia nazifascista da parte dei governi europei e degli Stati Uniti, per tutto il decennio precedente la seconda guerra mondiale, incluse le simpatie diffuse nella monarchia britannica e nelle borghesie europee e nordamericane verso il Terzo Reich, che era considerato “utile” in chiave antisovietica, viene rimossa del tutto. Tutto ciò è invece documentato ampiamente nei libri di storia: gli estensori della risoluzione e coloro che l’hanno votata dovrebbero studiarli!

2.      Equiparando comunismo e nazismo, la risoluzione insulta la memoria dei milioni di donne e uomini (comunisti, socialisti, democratici e progressisti) che lottarono fianco a fianco, nelle file della Resistenza europea contro il nazifascismo. Non solo il ruolo decisivo dell’Unione Sovietica nella sconfitta del nazifascismo viene sottaciuto, ma perfino il protagonismo delle forze comuniste nella Resistenza europea contro il nazifascismo è sottaciuto. Anzi, i governi sono sollecitati a cancellarne ogni traccia dai monumenti e dai programmi didattici e i libri di testo «di tutte le scuole dell'Unione». Una vera damnatio memoriae che ci indigna e ci preoccupa profondamente.

3.      Falsità ideologiche sono disseminate nella risoluzione, ad uso e consumo di una narrazione propagandistica del processo unitario europeo, totalmente in chiave anticomunista. Tra le altre cose, si afferma che, dopo la divisione dell’Europa in blocchi contrapposti, «i paesi soggetti alla influenza sovietica hanno continuato a essere privati della libertà, della sovranità, della dignità, dei diritti umani e dello sviluppo socioeconomico». È una lettura faziosa che ignora, solo per fare un esempio, il fatto che le rivoluzioni socialiste in Unione Sovietica e nei paesi dell’Europa orientale hanno creato le condizioni più avanzate per l’emancipazione delle donne; e che le conquiste sociali delle donne in quei paesi hanno costituito una spinta formidabile alla affermazione dei diritti produttivi e riproduttivi delle donne anche in molti paesi del mondo, compresi quelli europei occidentali. Anche il contributo determinante dato, sul piano internazionale, alle lotte di liberazione dei popoli dal vecchio colonialismo europeo è taciuto, come pure la promozione dei diritti dei popoli e paesi in via di sviluppo, delle classi lavoratrici e delle donne, nel contesto del sistema delle Nazioni Unite. Basta ricordare, sempre come esempio, la proposizione e approvazione della   Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 e della Convenzione internazionale per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979, che sono state, e sono tuttora, riferimento per le legislazioni europee e mondiali. Basta ricordare il contributo dato alla proposizione e realizzazione delle quattro grandi Conferenze Mondiali per le Donne (l’ultima di esse si è tenuta a Pechino nel 1995), le quali hanno aperto una nuova era negli sforzi globali per promuovere il progresso femminile nel mondo. Se mai, bisogna dire che siamo molto preoccupate per il pesante arretramento che i diritti produttivi e riproduttivi delle donne hanno subito specialmente nei paesi dell’Europa orientale, dopo il 1990.

4.      Nella risoluzione si dice che «per i paesi europei che hanno sofferto a causa dell'occupazione sovietica e delle dittature comuniste, l'allargamento dell'UE, iniziato nel 2004, rappresenta un ritorno alla famiglia europea alla quale appartengono». Questa Unione Europea viene rappresentata come il paradiso della democrazia e delle libertà, dimenticando il prezzo di lacrime e sangue pagato dalle classi lavoratrici nella emigrazione interna; nelle dure repressioni delle lotte sociali e per il lavoro negli anni del dopoguerra; nelle politiche di esclusione e discriminazione verso i partiti e i movimenti sociali comunisti e di sinistra. L’uso deviato dei servizi segreti negli anni del terrorismo è dimenticato; le complicità più o meno sotterranee con la sanguinosa repressione anticomunista nella Grecia dei colonnelli negli anni ’60, coi regimi di Franco in Spagna e di Salazar in Portogallo fino al 1975; le corresponsabilità neo-colonialiste e imperialiste in Africa e America Latina, le complicità con i regimi di Apartheid in Sud Africa fino al 1990 e con quello vigente tutt'oggi in Israele, sono dimenticate. Nella risoluzione si riafferma la fedeltà atlantica di questa Unione Europea, tacendone la mortifera compartecipazione alle guerre di aggressione degli Usa e della NATO in Medio Oriente. Né sembra costituire un problema per questo parlamento europeo la presenza, oggi, di governi come quello di Viktor Orbán in Ungheria, che pratica l’antisemitismo come strumento di propaganda e criminalizza i migranti. E potremmo continuare a lungo. Tutto il male è occultato, neppure l’ombra di un ripensamento compare a riguardo di tutto ciò, in questa risoluzione che radica le sue argomentazioni nella ignoranza e nella faziosità, nella omissione e nel falso ideologico.

5.      Ci chiediamo a questo punto: a chi e a che cosa è funzionale questa risoluzione? Se si voleva soltanto ribadire la “condanna di tutti i totalitarismi”, bastava fare riferimento a precedenti risoluzioni già approvate in abbondanza dallo stesso parlamento europeo. Ma poiché nulla si fa senza una motivazione contingente, è nella situazione presente che bisogna cercare spiegazioni e risposte. Nella risoluzione si afferma che «fin dall'inizio, l’integrazione europea è stata una risposta alla espansione dei regimi comunisti totalitari e antidemocratici nella Europa centrale e orientale». È chiaro, dunque, che questa risoluzione non mira solo alla revisione di eventi del lontano passato – la memoria è solo un pretesto - bensì ad introdurre un elemento nuovo, cioè l’espunzione di ogni riferimento narrativo e simbolico alla partecipazione politica delle forze comuniste ai processi di costruzione europea. L’equiparazione della svastica nazista alla falce e martello ha la finalità immediata di estendere a tutta la Unione Europea la proibizione dei simboli comunisti, proibizione che già è in vigore in alcuni paesi dell’Europa orientale. In quegli stessi paesi la svastica è stata legittimata, invece, in ambito istituzionale, come in Ucraina. Questa risoluzione intende predisporre il terreno ideologico per la messa al bando dei comunisti e di quanti continuano a fare riferimento a quei simboli. Non possiamo permetterlo!
6.      La risoluzione fa una finta a destra per colpire a sinistra. Essa dichiara di condannare anche le ideologie razziste, fasciste, e xenofobe e dice di essere “preoccupata” per la loro diffusione in Europa.  Ma, guarda caso, essa è stata votata dalle destre razziste, misogine e xenofobe che siedono nel parlamento europeo. Ciò conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che le ideologie cosiddette populistiche, "sovraniste", "primatiste", che si finge di voler contrastare (con il loro corredo di idee misogine, razziste, xenofobe e anti-umane), sono perfettamente complementari all'ideologia neo liberista imperante, come le due facce di una sola medaglia.

7.      Colpisce che nella risoluzione dell’Europarlamento non ci sia nessun riferimento alle Nazioni Unite. Se si esclude un unico cenno, in preambolo, alla Dichiarazione universale di diritti umani del 1948, poi non c’è più nulla. Come se questo europarlamento ritenesse inutile o, peggio, estraneo alle sue prospettive future ogni riferimento alla comunità mondiale rappresentata nelle Nazioni Unite. Come se questa Unione Europea prevedesse di seguire l’esempio isolazionista degli Stati Uniti di Trump, che, nella sua dissennata visione di America First, ha aperto le ostilità contro le istituzioni e i trattati internazionali.


8.      Nella risoluzione si dice di volere «costruire la resilienza europea alle moderne minacce esterne».  Chi minaccia l’Europa dall'esterno? La risoluzione non lo dice apertamente, ma il reticolo di affermazioni infondate su cui essa è costruita sottintende la riproposizione del nemico immaginario contro il quale bisogna riarmarsi. Una nuova corsa al riarmo si prospetta già, il ritiro degli Usa dal Trattato INF con la Russia e dal trattato sul nucleare con l’Iran fanno da battistrada. È questa stessa strada che i 535 europarlamentari ci propongono di seguire?  La risoluzione che essi hanno votato mira a scavare un solco invalicabile fra questa Unione europea atlantista e il resto del mondo dove tuttora i simboli del riscatto sociale delle classi oppresse sono riconosciuti e rispettati. Dall'altra parte del solco ci sono interi paesi, grandi come la Cina, o altri meno grandi; e ci sono i popoli che in ciascun paese e in ciascuna regione del pianeta – milioni e milioni di donne e uomini – affidano ai simboli della falce e martello e della bandiera rossa i loro desideri di pace, uguaglianza, giustizia sociale e solidarietà internazionalista. Questa risoluzione è espressione di una visione dell’Europa atlantista più che mai aggressiva che non mira affatto a «una riconciliazione fondata sulla verità e la memoria» – come ipocritamente essa afferma -  ma che, al contrario, apre le ostilità contro le donne e gli uomini che continuano a lottare per la propria emancipazione, autodeterminazione e progresso, per la pace in Europa e nel mondo. Perciò, la condanniamo e la rigettiamo.
Come donne europee, noi vogliamo continuare a costruire la coesistenza pacifica fra i paesi del mondo, il progresso sociale, culturale, umano nei nostri paesi, la solidarietà internazionalista con le donne e gli uomini che costruiscono un mondo libero dallo sfruttamento e dall'oppressione. Tali aspirazioni non possono che essere fondate sul rispetto della verità storica, sulla lealtà d’intenti, sui sentimenti di solidarietà reciproca: ma tutto questo manca in questo ignobile documento votato da 535 europarlamentari a Strasburgo, il 19 settembre del 2019.
Condannandolo e respingendolo con forza, noi chiediamo agli europarlamentari e alle europarlamentari di sinistra, democratici e progressisti che hanno votato contro, o che si sono astenuti, di fare ogni sforzo perché esso sia denunciato e superato.

AWMR Italia - Associazione donne della regione mediterranea
25 settembre 2019

24/09/19

VENEZUELA / NOI DONNE DEL MONDO RIUNITE A CONGRESSO



Dichiarazione di Caracas per la pace e la solidarietà tra i popoli



Si è tenuto a Caracas, dal 19 al 23 settembre 2019, il Primo Congresso Internazionale delle Donne per la Pace e la Solidarietà tra i Popoli a cui ha partecipato Awmr Italia, rappresentata da Milena Fiore, insieme a numerose altre delegate di organizzazioni affiliate alla FDIM/WIDF, provenienti dai cinque continenti. Al termine dei lavori, le congressiste hanno approvato la Dichiarazione di Caracas* che riassume il denso e complesso dibattito congressuale e le sue risoluzioni.




Noi donne rivoluzionarie del mondo, riunite nella città di Caracas, capitale della Repubblica Bolivariana del Venezuela, dal 19 al 23 settembre dell’anno in corso, in occasione del "Primo Congresso internazionale delle donne", dopo le deliberazioni effettuate, abbiamo raggiunto le seguenti conclusioni:

L'umanità sta affrontando una crisi multifattoriale. Il capitalismo mette in pericolo tutte le forme di vita sul pianeta. Il neoliberismo, inerente al modo di produzione capitalistico, intensifica lo sfruttamento di donne e uomini, gravato di molteplici forme di oppressione e problemi sociali derivanti dalla crescente accumulazione di ricchezza in poche mani. La pace nel mondo è in pericolo costante in presenza di una disputa geopolitica segnata dalla collisione tra interessi imperialisti e aspirazioni delle potenze emergenti, complicando la giusta lotta dei popoli per il loro diritto all'autodeterminazione.

Il capitalismo neoliberista riassesta i suoi rapporti di proprietà sull’ulteriore soggezione delle donne e l’inasprimento del dominio patriarcale, sul razzismo, il machismo, accentuate omofobie, sfruttamento sotto forma di comportamenti sessisti attraverso un'industria culturale che crea nell'inconscio collettivo modelli di convivenza che reificano la donna e la "convertono" in un oggetto ad uso commerciale.
Visti da questa prospettiva, i modi diversi attraverso cui si manifesta la violenza di genere sono pratiche sociali ispirate al modello di vita prevalente. Il modello di civiltà coloniale ha forgiato un immaginario collettivo che rende invisibile la diversità socioculturale e politica delle donne, le concepisce in perpetua subordinazione agli uomini, legittima la loro sottomissione, "naturalizza" la femminilizzazione della povertà e assegna alle donne ruoli subalterni nella logica di dominio coniata per preservare l'ordine esistente.
 
L'emancipazione delle donne sarà inarrestabile se si apriranno strade verso il superamento del capitalismo, un sistema in cui si crea, si ricrea e si risemantizza il dominio sulle donne, il loro sfruttamento sessuale, l'applicazione di varie forme di violenza contro di esse, la xenofobia nei confronti dei/delle migranti e lo sfruttamento del lavoro femminile.

Indubbiamente, la situazione delle donne è peggiorata nel mondo sotto il segno dell'aggressione imperialista statunitense e dei suoi alleati, nella loro smania di mantenere la supremazia mondiale. Le politiche interventiste adottate con lo scopo spietato di mantenere il controllo sulla popolazione globale come priorità, infatti, si riverberano sulle donne come ricaduta delle misure coercitive unilaterali e dei piani militari concepiti dalla Casa Bianca.
In questo ordine di idee, nella nostra America e ad altre latitudini, il blocco economico-finanziario genocida imposto contro nazioni sovrane, è diventato una pratica sistematica dei paesi imperialisti, capeggiata dagli Stati Uniti d'America, che viola permanentemente il diritto internazionale pubblico e allo stesso tempo i diritti umani di milioni di donne, ragazze, giovani e l’umanità in generale.

La politica estera del governo di Washington è la sintesi di una dottrina militare che, con il pretesto della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, concepisce l'uso diretto o indiretto della forza come uno strumento per preservare i propri interessi in qualsiasi parte del mondo e appropriarsi dei beni comuni naturali. In altre parole, la Dottrina della Guerra Non Convenzionale che si applica contro i popoli che non si allineano ai precetti dettati dalla Casa Bianca, costituisce un'aggressione contro milioni di donne che, insieme ai loro popoli, levano in alto le bandiere della dignità antimperialista. Le donne di Libano, Siria e Palestina che combattono contro il sionismo e i gruppi terroristici organizzati dalle potenze occidentali meritano una menzione speciale. Allo stesso modo, è il caso delle donne del continente africano che resistono al neocolonialismo e all'imposizione della guerra da parte dei paesi imperialisti.

In America Latina e nei Caraibi, il ciclo di governi progressisti o rivoluzionari ha riaffermato il diritto all'autodeterminazione dei popoli, ha frenato l'avanzamento delle politiche neoliberiste, si è tradotto in conquiste popolari e promozione dei diritti delle donne. Di fronte a questo scenario, le élites al potere nel continente, prima nel quadro della “Dottrina del Potere Intelligente” di Obama e ora con l'amministrazione Trump, hanno attuato una controffensiva che ha causato una nuova ondata conservatrice, ha permesso l'emersione di politiche fasciste dai tratti misogini, che è una minaccia per l’indipendenza delle nazioni della regione e, quindi, un attacco ai progressi ottenuti dalle donne.
Per questo, le donne hanno affrontato il vortice neoliberista con una ferma resistenza che ha i suoi riferimenti più importanti nelle donne dell'Honduras che difendono la Madre Terra, come Berta Cáceres, nell'agire delle donne colombiane in lotta per la terra e nello storico eroismo delle donne haitiane che patiscono l'aggressione neocoloniale che vuol soffocare l'esempio di indipendenza costituito dal loro paese.

Nonostante tutto, la Rivoluzione Bolivariana ispirata all'opera imperitura del comandante Hugo Chávez, è rimasta un bastione di resistenza antimperialista, un processo di liberazione nazionale proiettato verso la costruzione del socialismo, nonostante le pressioni per il controllo della biodiversità e dei minerali strategici. Il Venezuela rappresenta una speranza che è sinonimo di inclusione sociale, dignità patriottica, liberazione dei popoli, esempio di sovranità, solidarietà internazionale ed è anche un innegabile orizzonte di possibilità per lo sviluppo delle lotte emancipatrici delle donne.

Per questi motivi, questo paese sudamericano è vittima di una sistematica campagna di aggressioni ispirate alla Dottrina Monroe, in cui si combinano in vario modo le azioni diplomatiche con le minacce d'intervento militare. Il Venezuela è l'epicentro dei piani geostrategici dell'imperialismo, il cui obiettivo è sconfiggere la rivoluzione bolivariana in quanto riferimento politico-sociale per il mondo. Si tratta di annientare l'esempio della democrazia partecipativa, sopprimere le organizzazioni del potere popolare ed impedire così lo sviluppo del paese verso il socialismo femminista. In breve, in Venezuela si gioca la pace del continente e la possibilità futura di costruire nuove relazioni umane contrassegnate da dignità, amore e solidarietà.

In questo contesto, noi che siamo riunite nel Primo Congresso Internazionale delle Donne dichiariamo quanto segue:

Esprimiamo la nostra solidarietà con le donne del mondo che lottano per la sovranità e l'autodeterminazione dei popoli, contro l'imperialismo e soprattutto con coloro che offrono la propria vita per una società più giusta nella quale le donne possano decidere il proprio destino. Siamo particolarmente solidali con le donne colombiane, haitiane, honduregne, siriane e, specialmente, palestinesi e libanesi che resistono al sionismo israeliano.

Sosteniamo nuove relazioni di potere egualitarie con una prospettiva di genere, classe ed etnia al fine di superare il capitalismo, il patriarcato, il razzismo e la lesbo-trans-omofobia.

Condanniamo qualsiasi forma di dominazione sessista, persecuzione di donne migranti e tratta di esseri umani. In particolare, siamo solidali con le lotte che le donne nel mondo intraprendono per sradicare il femminicidio come espressione del patriarcato.

Respingiamo l’androcentrismo nell’ordinamento giuridico, così come la violenza economica e politica che minaccia l'emancipazione delle donne.

Esigiamo il rispetto del diritto a vivere in pace dei popoli del mondo e quindi delle donne. Di conseguenza, chiediamo che l'America Latina e i Caraibi rimangano un territorio di pace, libero da interferenze straniere e libero dalla violenza contro le donne.

Condanniamo la politica bellicista santanderista del governo di Iván Duque che intende trascinare la Colombia e la regione in uno scontro armato volto a imporre la politica di Washington sul continente, compromettendo la vita delle donne e in particolare di quelle che sviluppano leadership politiche, così come quelle che vivono sul confine.

Rifiutiamo fermamente la minaccia politica e militare che incombe sulla Repubblica Bolivariana del Venezuela, ribadiamo il nostro ripudio dei piani dell'imperialismo di rovesciare il suo legittimo presidente costituzionale Nicolás Maduro Moros. Denunciamo con forza la politica neocoloniale volta a mettere fine all'indipendenza di quella che fu Patria - Matria di Apakuana, Josefa Camejo, Marta Cumbale, Matea Bolívar, Juana Ramírez, Luisa Cáceres, Simon Bolívar e Hugo Chávez.

Esprimiamo la nostra solidarietà alle donne della classe operaia, alle contadine, alle afro-discendenti e alle indigene oppresse dal neoliberismo. Chiediamo il riconoscimento dei loro contributi quotidiani alla produzione di ricchezza e, pertanto, siamo partecipi di una concezione liberatrice del lavoro.

Ripudiamo l'applicazione di misure unilaterali coercitive, nonché l'uso della forza militare da parte dell'imperialismo per sottomettere i popoli e, in particolare, le donne.

Denunciamo i blocchi economici, finanziari e commerciali imposti dall'imperialismo contro i governi progressisti o rivoluzionari dell'America Latina, dei Caraibi e del Mondo.

Allo stesso modo, il Primo Congresso Internazionale delle Donne "Per la pace e la solidarietà tra i popoli" si impegna a fare proprio lo spirito della "Dichiarazione finale del XXV Incontro del Forum di San Paolo" e, in particolare, le linee generali di azione contenute nella "Dichiarazione finale dell'Assemblea delle donne” adottata nella città di Caracas nel mese di luglio 2019.
Di conseguenza, approviamo il seguente Programma d’azione:

 1. Tenere annualmente il “Congresso internazionale delle donne " a rotazione, su richiesta di ogni paese.
 2. Creare una Commissione per il “Congresso internazionale delle donne" che coordini l’attuazione del presente piano, composta da due delegate di ciascun continente partecipante, che saranno designate in seduta plenaria di chiusura.
3. Costituire una Piattaforma internazionale unitaria in grado di coinvolgere tutte le organizzazioni femminili, unire i loro sforzi, definire proposte collettive e rafforzare le lotte delle donne per la pace, la sovranità e la solidarietà tra i popoli.
4. Creare una Piattaforma Unitaria delle Donne per l'unità con l’intera classe lavoratrice, i popoli indigeni, gli afro-discendenti, i giovani e altri settori che lottano per la pace, l'autodeterminazione dei popoli, la solidarietà internazionale, contro l'imperialismo e neoliberismo.
5. Promuovere e partecipare all’Incontro di Solidarietà Antimperialista, per la Democrazia e contro il Neoliberismo che si terrà a L'Avana dal 1 al 3 novembre 2019.
6. Eseguire azioni globali con impatto mediatico, in tutti i paesi partecipanti, in tema di:
• Giornata mondiale contro il cancro al seno, 19 ottobre 2019.
• Socialismo femminista, donne e loro lotte, 25 ottobre 2019.
• Giornata internazionale per l'eradicazione della violenza contro le donne, il 25 novembre 2019, in onore delle leader politiche che sono state uccise per le loro convinzioni e lotte, come Berta Cáceres, tra le altre.
• Marcia per la Giornata internazionale dei diritti umani, il 10 dicembre 2019.
• Giornata internazionale della donna, celebrata ogni 8 marzo.
• “Seconda Marcia Mondiale per la pace e la non violenza” che si terrà dal 3 al 6 dicembre di ogni anno.
• Giornata internazionale delle donne afro-discendenti, 25 luglio
• Giornata internazionale delle donne indigene, 5 settembre.
• Giornata mondiale per la prevenzione della gravidanza non pianificata delle adolescenti, 26 settembre
• Promuovere la realizzazione di un seminario e una campagna di discussione globale (con impatto sulle reti sociali) su "Diritti sessuali e diritti riproduttivi", il 21 e 22 maggio 2020.
• Promuovere azioni globali in difesa della Madre Terra, ponendo l’accento sul nostro polmone vegetale, l'Amazzonia, che è attualmente in pericolo a causa delle mire capitalistiche (22 aprile 2020).

7. Allo stesso modo, questo Primo Congresso Internazionale delle Donne fa propri i seguenti accordi sottoscritti nell'Incontro Internazionale delle lavoratrici e dei lavoratori svoltosi a Caracas nell'agosto 2019:
• Convocare e partecipare a un "Twitazo antimperialista" il 5 novembre 2019 (anniversario del IV Vertice dei popoli di Mar de Plata, 2005).
• Coordinare in tutte le capitali del mondo il 9 dicembre 2019, giornata di commemorazione della Battaglia di Ayacucho, una "Giornata contro le politiche d’ingerenza dell'imperialismo americano nella Nostra America".
• Realizzare una "Giornata internazionale di protesta contro il neoliberismo" il 27 febbraio dell'anno 2020 (31° anniversario della prima insurrezione a Caracas contro il neoliberismo)
• Sviluppare una "Giornata internazionale del ripudio della Dottrina Monroe" il 28 giugno 2020 (anniversario del colpo di stato contro Manuel Zelaya)
• Convocare un "Mobilitazione mondiale per la pace e contro i piani di guerra del governo degli Stati Uniti" nel luglio 2020.

*Approvata dalla sessione plenaria del Primo Congresso Internazionale delle Donne per la Pace e la Solidarietà tra i Popoli, nella città di Caracas, culla del Libertador Simón Bolívar e capitale della Repubblica Bolivariana del Venezuela, il 21 settembre 2019