30/07/21

TURCHIA / L’AGENDA DELLE DONNE UNITE PER L’UGUAGLIANZA E LA LIBERTÀ AL TEMPO DELLA PANDEMIA

 


Le donne sono la forza di opposizione più vigorosa contro il governo reazionario di Erdogan da circa 20 anni. Le proteste si sono intensificate ed estese in tutto il paese in seguito alla decisione di ritirare la firma della Turchia dalla Convenzione di Istanbul. I Comitati di solidarietà delle donne per costruire un futuro senza violenza né sfruttamento


di Aslihan Cakaloglu, United Women for Equality and Freedom (UWEF)

Non ci accontentiamo del meno né del male minore!

Come in ogni parte del mondo, la pandemia ha approfondito le disuguaglianze di genere anche in Turchia. Erano disuguaglianze preesistenti alla pandemia, ma ora esse si sono fatte molto più evidenti rispetto a prima.

In Turchia, la disoccupazione in generale, che era del 27,3% tra le donne prima della pandemia, è salita al 34,8% con la pandemia. È stato rilevato un aumento significativo (circa il 30%) della violenza contro le donne. Ma il ministro della Famiglia e dei Servizi Sociali ha affermato che l'aumento della violenza contro le donne nei primi mesi della pandemia è “tollerabile”. Al contrario, “non sono tollerabili” le proteste che ci sono state in alcune città e sui social media.

Un altro problema critico della pandemia in Turchia sono state le prolungate chiusure delle scuole. È ricaduto sulle madri l'onere dello studio da casa dei figli e la responsabilità dell'assistenza all'infanzia, sicché molte donne sono state costrette a lasciare il lavoro o a ripiegare su lavori part-time. Così la povertà delle donne è aumentata insieme al carico di lavoro domestico e di cura.

Il ritiro dalla Convenzione di Istanbul

Tuttavia, argomento principale di mobilitazione delle donne turche durante la pandemia è stato il ritiro dalla Convenzione di Istanbul. Il governo dell'Akp, che da anni si vantava di essere il primo firmatario di questa convenzione internazionale, da mesi propugnava l'idea del ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, per consolidare l’ala più reazionaria. Alla fine, il 20 marzo, il governo ha pubblicato un decreto presidenziale a mezzanotte col quale si ritirava dalla Convenzione di Istanbul. Il fine di questa manovra dell'Islam politico dominante era sbaragliare il maggiore fronte di opposizione e rinsaldare le componenti reazionarie. E in effetti, un altro partito reazionario che era parte dell'alleanza di opposizione al governo, egemonizzata dalla socialdemocrazia borghese, ha dato un sostegno decisivo al governo in questa operazione.

Il ritiro è stato accolto da proteste e migliaia di donne sono scese in piazza nonostante i divieti di manifestare con il pretesto della pandemia. Le donne si sono radunate in molti centri cittadini, dichiarando che la decisione è stata un attacco del governo dell'AKP alla vita delle donne. Durante le proteste, la UWEF ha evidenziato che, sebbene la Convenzione di Istanbul non sia sufficiente per porre fine alle disuguaglianze sociali e alla violenza contro le donne, obbliga gli Stati a proteggere le persone dalla violenza di genere e ad accelerare i processi giudiziari. Ecco perché non ci arrenderemo e la difenderemo nonostante l'azione di ritiro.

Nascono i Comitati di Solidarietà delle Donne

Le donne sono la forza di opposizione più vigorosa contro il governo reazionario dell'AKP da circa 20 anni. L'impatto decisivo del movimento delle donne nella politica turca e il crescente bisogno di solidarietà delle classi lavoratrici durante la pandemia ci hanno dato l'ispirazione per organizzare comitati di solidarietà in tutto il paese.

Facendo il primo passo nel settembre 2020, abbiamo iniziato a costituirci in Women’s Solidarity Committees (WSC) in molte località. Ora il numero di WSC + arrivato a 72 in 20 città. Questi comitati seguono alcuni processi per femminicidio, stando fianco a fianco con donne che stanno ricostruendo le loro vite dopo essere state violentate.

Abbiamo inoltre preparato e distribuito opuscoli contro la violenza sulle donne e le forme di mobbing, per la solidarietà sul posto di lavoro, il diritto ad asili nido gratuiti e di qualità, contro lo sfruttamento del lavoro femminile. Nonostante le difficoltà di aggregazione dovute alle restrizioni della pandemia, i comitati hanno trovato il modo di riunirsi e hanno organizzato vari eventi online, interviste e corsi di formazione.

Giornata internazionale della donna lavoratrice

Prima dell'8 marzo, il WSC aveva lanciato un appello perché si organizzassero mostre fotografiche per rendere visibile il lavoro e la solidarietà delle donne. Le donne si sono fotografate diventando al tempo stesso fotografe, organizzatrici e presentatrici di queste mostre. L'8 marzo molte foto sono state esposte nelle strade, nei parchi e nei caffè di varie città. Così le donne hanno propagato la loro lotta contro l'oppressione, la discriminazione e la violenza, con lo slogan «Non ci besta il meno né il male minore!» in quattro città: Ankara, Istanbul, Smirne e Antalya.

La UWEF ha contribuito in misura essenziale ad organizzare e intensificare le proteste contro il ritiro del governo dalla Convenzione di Istanbul, partecipando alle manifestazioni in tutto il paese e compiendo  un deciso passo avanti nel posizionamento dell’UWEF contro le decisioni del presidente Erdogan.

Per settimane abbiamo organizzato eventi in cui abbiamo discusso di che cosa non vogliono le donne e cosa vogliono le donne. Risultato di queste discussioni è la nostra risoluzione, in cui sottolineiamo la necessità di difendere la laicità e molte misure che dovrebbero essere messe in atto: i crimini di odio devono essere puniti, i matrimoni sotto i 18 anni devono essere vietati e l'istruzione deve diventare mista e obbligatoria. Anche se le autorità non hanno permesso la conferenza stampa sulle nostre risoluzioni, abbiamo insistito per presentarla per le strade, nei centri cittadini e per i quartieri, anche bussando alle porte.

Cresce la solidarietà tra le donne

Il WSC ha organizzato corsi in solidarietà con i bambini in età scolare per supportarne lo studio virtuale, che è stato caricato principalmente sulle spalle delle donne. Mentre i bambini partecipavano a queste lezioni, le donne parlavano dello sfruttamento del lavoro femminile, della salute delle donne, della violenza contro le donne ecc. Decine di madri single si sono unite alla nostra azione di solidarietà dopo aver partecipato a queste attività. Inoltre, alcuni WSC hanno lanciato una petizione per asili nido pubblici sicuri che sta andando avanti.

Abbiamo esteso la nostra solidarietà alle persone povere e migranti. A partire dalla cucitura di mascherine per le persone che non possono permettersi di acquistarle, forniamo alimenti conservati, pasti caldi e pannolini per i bisognosi. Abbiamo organizzato corsi gratuiti di lingua turca per donne immigrate e laboratori per i loro figli.

D'altra parte, le nostre compagne giovani universitari e hanno protestato contro gli accademici che nelle loro lezioni impongono una terminologia discriminatoria e umiliante verso le donne. Abbiamo anche organizzato laboratori di pittura, musica e letteratura per le donne che sentono il bisogno di fare qualcosa per se stesse.

Ora stiamo conducendo una campagna che mira a inserire il vaccino anti-HPV nel programma nazionale di vaccinazione.Come in tutto il mondo, anche in Turchia sta crescendo la protesta delle donne contro il sistema capitalistico e patriarcale. Tuttavia, la nostra lotta deve puntare a costruire un’alternativa che non si limiti alla proclamazione dell'anticapitalismo. Altrimenti, il capitalismo e i suoi partiti politici riassorbiranno la spinta radicale delle donne. Inoltre non possiamo permettere che l’agenda delle organizzazioni femminili sia dettata dai capitalisti e dai contrattacchi del loro governo.

Dovremmo riuscire a far valere le nostre esigenze e i nostri programmi. Intensificare la lotta contro il capitalismo ed i suoi rappresentanti politici insieme alle rivendicazioni  di uguaglianza e libertà diventano i compiti più cruciali della lotta delle donne. Alle loro infinite risorse fiscali noi possiamo opporre la forza della solidarietà e dell'organizzazione. Per quanto cerchino di ostacolarci e confinare le nostre vite nelle case, questa volta approfittandeo della pandemia, non saranno in grado di fermarci. Troveremo la nostra strada perché siamo impazienti di costruire un futuro senza violenza e sfruttamento.

Non ci accontentiamo del meno né del male minore!

29/07/21

La Federazione delle Donne Greche (OGE) dice: Cuba non è sola!

Anche il governo greco si è unito alla carovana dei paesi reazionari e pseudo progressisti che hanno co-firmato la dichiarazione del Dipartimento di Stato Usa sulla presunta "repressione del diritto di espressione" a Cuba…


CUBA NON È SOLA!
La recente escalation aggressiva imperialista contro Cuba, il suo popolo e il suo governo è un piano ben organizzato e graduale da parte degli Stati Uniti e degli altri governi dell'UE. Un piano che viene da lontano e punta a colpire il popolo cubano e le conquiste della sua rivoluzione.

Provocatoriamente, nell'attacco si mandano avanti i “diritti umani”, le “libertà” e le “condizioni di vita” del popolo cubano, che da più di 60 anni si trova ad affrontare un blocco economico - commerciale multiforme e unico nella Storia.

Il governo greco che si è precipitato in appoggio degli Stati Uniti cofirmando la dichiarazione congiunta del Dipartimento di Stato e di altri 19 ministri degli esteri, non poteva mancare in questa “carovana” imperialista contro Cuba di reazionari e falsi “progressisti” che accusano Cuba di “arresti di massa” e chiedono “libertà di accesso a internet”….

La dichiarazione congiunta è stata cofirmata dai governi di Stati Uniti, Austria, Brasile, Colombia, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Ecuador, Estonia, Guatemala, Grecia, Honduras, Israele, Lettonia, Lituania, Kosovo, Macedonia del Nord, Bosnia, Polonia, Corea del Sud e Ucraina.

Nello stesso momento in Grecia, per dirne una, si moltiplicano le leggi anti-lavoro, si “arricchisce” la povertà e si intensifica lo sfruttamento dei lavoratori. Il diritto allo sciopero e alle manifestazioni viene ingessato e la gestione antipopolare della pandemia è costata finora la vita a quasi 13mila persone.

Anche il partito Syriza - che ha fatto la sua parte nell’aggravare la politica antipopolare in Grecia - vuole mostrarsi “sostenitore” del popolo cubano. Ma le sue dichiarazioni mancano di riferimenti che dispiacerebbero ai suoi amici transatlantici del governo Biden.

In sostanza Syriza assume la tattica dell’equidistanza “vedendo” nelle immagini distorte della propaganda imperialista e dei troll di internet “le proteste dei cittadini cubani che devono essere trattate nel rispetto della libertà di espressione”.

L'amministrazione Biden non solo mantiene ma rafforza le 243 sanzioni aggiuntive imposte dall'amministrazione Trump nel periodo 2017-2021 che impongono nuove barriere all'accesso di Cuba al carburante e nuove sanzioni alle imprese che commerciano con Cuba. Di queste misure, 50 sono state attuate durante la pandemia.

Gli Stati Uniti, con oltre 600mila morti per coronavirus, vedono nella pandemia un'opportunità per darsi più da fare per "strangolare" il popolo cubano.

Il popolo cubano che con le unghie e i denti, in condizioni avverse e infrastrutture carenti, non solo è riuscito ad affrontare la pandemia molto meglio di altri potenti paesi capitalisti - Cuba ha proceduto in massa alla vaccinazione generale, con una mortalità dello 0,7% (gli USA sono il 2% e in Grecia il 2,6%) -  ma ha anche offerto la sua concreta solidarietà. Come dimenticare l'anno scorso la brigata medica di solidarietà al popolo italiano, che ha contato decine di migliaia di morti per la pandemia?

Così, dopo decenni di blocchi e sanzioni, piani di sovversione dall'interno e dall'esterno, il governo degli Stati Uniti trova…. deficienze a Cuba!! Biden ha affermato provocatoriamente che “gli Stati Uniti stanno dalla parte del popolo di Cuba e della sua richiesta di libertà e liberazione dalla tragica morsa della pandemia e dai decenni di repressione e difficoltà economiche subite dal regime autoritario”!

Da parte sua il capo della politica estera dell'UE Borrell chiede al governo cubano di "ascoltare le proteste" mentre l'UE contribuisce attivamente allo "strangolamento" del popolo cubano.

Ma allo stesso tempo, erompe l'ondata di solidarietà dei popoli del mondo contro tutti questi esponenti dello sfruttamento, dell'ingiustizia, della disuguaglianza, degli embarghi, delle ingerenze e dei piani imperialisti.

Il movimento popolare in Grecia, il movimento femminile della Federazione delle Donne di Grecia (OGE) che nel corso degli anni hanno solidarizzato concretamente col popolo cubano, stanno come sempre dalla parte di Cuba e contro il fronte delle contese e pretese imperialiste globali. Perciò gridiamo:

CUBA NON È SOLA!

Federazione delle donne greche (OGE)

Atene, luglio 2021

25/07/21

Centro Regionale Arabo della WIDF / Gli Usa non piegheranno Cuba, isola della dignità

 


Il Centro Regionale Arabo della Federazione Democratica Internazionale delle Donne, segue con grande preoccupazione le provocazioni che si stanno orchestrando contro Cuba, dagli Stati Uniti d'America, volte a ingenerare malessere e malcontento dentro Cuba, approfittando della complessa situazione economica e finanziaria, derivante dalla pandemia di Covid-19 e dalle necessarie misure di prevenzione sanitaria, le chiusure e restrizioni per far fronte al virus, che hanno comportato una significativa riduzione delle entrate, particolarmente dal turismo.

 Oggi, approfittando della situazione determinata dall'ingiusto blocco economico e commerciale imposto a Cuba più di 60 anni fa, che complica la vita dei cubani aggrappati a difendere la loro Rivoluzione e le sue conquiste e a preservare la dignità, la sovranità e la libertà del popolo di Cuba ariosa e ferma nell’affrontare il paese economicamente, finanziariamente, commercialmente e militarmente più potente del mondo, gli Stati Uniti intensificano il blocco dell'isola con l’intento di sottrarre alla popolazione i requisiti  di fermezza costringendola ad arrendersi e a cambiare il sistema sociale liberamente scelto esercitando il suo diritto all'autodeterminazione, a favore di un altro dipendente e al servizio degli interessi nord-americani.

Come se l'amministrazione statunitense non fosse soddisfatta di ciò che ha combinato in passato e di ciò che sta facendo nel presente per soggiogare l'isola della libertà e imporre il suo dominio! Oggi arriva Joe Biden con la sua intenzione di imporre nuove sanzioni contro persone ed entità a Cuba, proclamando che è solo l'inizio!

Di fronte a tutto questo, il Centro Regionale Arabo della Federazione Democratica Internazionale delle Donne,

- dichiara la sua solidarietà con Cuba della Rivoluzione, della giustizia, dell'uguaglianza e dell'impegno ad assicurare una vita dignitosa ai suoi cittadini. Cuba con il suo sistema sanitario avanzato, Cuba che ha inviato le sue brigate mediche a chi ne aveva bisogno, Cuba che è sempre stata al fianco del popolo palestinese in lotta contro l'occupazione e per stabilire il proprio Stato sul suo territorio nazionale; Cuba che è sempre stata al fianco dei paesi arabi nella loro lotta contro le politiche aggressive, colonizzatrici ed espansionistiche dei sionisti e contro la lotta di liberazione dei loro popoli; Cuba che è donna in lotta per un mondo più giusto per le donne e i loro diritti e libero da sfruttamento e discriminazione; Cuba che ha preparato giovani uomini e donne di tanti paesi sottosviluppati ad importanti carriere universitarie...

- Esprime il suo sostegno al popolo cubano contro la recente decisione del Presidente Biden di imporre nuove sanzioni a persone ed entità a Cuba, condanna la sua minaccia di ulteriori misure, condanna i tentativi degli Stati Uniti d'America di destabilizzare Cuba per minarne il sistema politico.

- Allo stesso modo, condanna il prolungamento del blocco criminale, motivo principale di ogni carenza di risorse che sta vivendo Cuba, soprattutto alla luce della pandemia di Covid-19, e chiede all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di tener fede alla risoluzione votata, ed esigerne l’attuazione, sulla necessità di togliere immediatamente il blocco, accolta quasi all'unanimità con l’eccezione degli Stati Uniti e dell'entità sionista, fatto che ci induce a riflettere sull’efficacia di un'Organizzazione delle Nazioni Unite che prevede nei suoi regolamenti la possibilità di annullare i suoi stessi obiettivi e cancellare la sua stessa funzione.

- Saluta le donne di Cuba con rispetto e stima e, in solidarietà con l’eroico popolo cubano, condanna fermamente l'ingerenza degli Stati Uniti negli affari interni di Cuba e le loro campagne destabilizzanti.

Centro Regionale Arabo della Federazione Democratica Internazionale delle Donne

Beirut, 23 luglio 2021

24/07/21

LIBRI / Dall'ADoC una proposta di alleanza politica delle donne

 


DONNE E POLITICA. IERI OGGI E DOMANI. UNIAMOCI PER ESSERE LIBERE TUTTE

Ed. La Città del Sole, giugno 2021

A cura di Nunzia Augeri e Maria Carla Baroni

Prefazione di Maura Cossutta


Il volume raccoglie gli Atti del convegno nazionale dell’ADoC (Assemblea delle donne comuniste - PCI), tenutosi a Milano il 3 ottobre 2020, con lo stesso titolo e con la finalità – dichiarata dalle stesse organizzatrici - di “mettere in relazione tra loro donne che agiscono le varie forme della politica, per cambiare la politica, liberare noi stesse e prenderci cura della vita sul pianeta”.



Per una sintesi, riportiamo l’intervento conclusivo di Ada Donno al convegno.

La nostra proposta di alleanza politica delle donne

A conclusione di questo nostro convegno su Donne e politica ieri, oggi e domani, vorrei esprimere un grazie sentito e non formale da parte di noi tutte, compagne dell’ADoC, a Maria Carla Baroni per l’ostinazione e l’ottimismo della volontà con cui lo ha fortemente voluto qui e oggi, nel rispetto delle regole anti-contagio, ma senza lasciarsi scoraggiare dai rinvii e gli ostacoli determinati dal momento complicato che stiamo vivendo a causa della pandemia. E grazie anche alle relatrici e a quante hanno partecipato e preso la parola, in presenza o attraverso comunicazioni scritte, rendendo questo incontro assai denso e ricco di contenuti, idee, suggestioni e spunti di riflessione sui quali potremo continuare a lavorare nei prossimi mesi e, perché no, nei prossimi anni.

Ci teniamo a sottolineare che questo è il secondo convegno nazionale che l’ADoC promuove sul tema: il primo si è tenuto un anno fa a Padova[1], curato dalla compagna Liliana Frascati. Ed è nostro intento proseguire in questo percorso, nel quale ci proponiamo non solo di confrontarci fra noi sul rapporto fra le donne e la politica – com’era ieri, com’è oggi, come può essere domani –  ma anche di chiamare a questo confronto compagne, donne con altre storie, esperienze e percorsi diversi, nella prospettiva di costruire una possibile convergenza di pensiero e d’azione che in questo passaggio storico avvertiamo fortemente come ineludibile.

Pertanto, “tirare le conclusioni”, come si usa dire in circostanze come questa, non significa affatto, da parte nostra, riservarci diritto di replica, né parola finale. Piuttosto raccogliere e ripercorrere idee, suggestioni, proposte venute – tante e sostanziali - da questo incontro di oggi, per vedere insieme su quali di esse continuare a riflettere e lavorare, nella prospettiva della costruzione di alleanze possibili fra noi donne che agiamo le varie forme della politica.

Per cominciare a descrivere lo scenario delle possibili convergenze, Maria Carla ci ha proposto un’ampia e puntuale “carrellata” storica, sia per «ricordare una volta di più quanto sia pretestuosa  la considerazione delle donne sprovviste di anima, di intelletto, di progettualità, di creatività, di capacità di governo e di grandi imprese», sia per introdurre un’ipotesi di possibile percorso di costruzione, il più inclusivo, di un «corpo collettivo in lotta per la liberazione delle donne dal capitalismo e dal patriarcato».

E non potevamo, nel tracciare questa ipotesi di percorso, non cominciare col “gettare uno sguardo dentro” il nostro stesso percorso di comuniste e femministe, che abbiamo scelto di far parte di un partito politico – il partito comunista italiano – che ha come obiettivo strategico il superamento del capitalismo e l’affermazione di un nuovo paradigma sociale e politico - dentro il quale sia possibile declinare i pensieri e le pratiche di libertà delle lavoratrici e dei lavoratori - che chiamiamo socialismo.  E passare poi a “gettare uno sguardo fuori”, cioè interpellare e ascoltare altre donne, che lo stesso bisogno di libertà lo ricercano, anch’esse, dentro un nuovo paradigma sociale, politico, culturale e simbolico, ma non necessariamente lo chiamano socialismo. Oppure, se lo chiamano socialismo, non è forse quello stesso che abbiamo in mente noi. In ambedue i casi, c’interessa capire in che cosa e perché si differenzi e se è possibile stabilire, comunque, un’alleanza fra noi.

Noi partiamo dall’assunto che, essendo donne in una società divisa in classi, scegliamo di stare dalla parte della classe lavoratrice, sfruttata e oppressa, in lotta contro la classe che sfrutta e opprime. E quando parliamo di soggettività politica delle donne, pensiamo alla soggettività delle donne lavoratrici; quando ci rivolgiamo alle donne che agiscono le varie forme della politica, ci riferiamo alle donne che si organizzano e si muovono nel panorama politico della lotta per eliminare la doppia oppressione, di genere e di classe. Perché, come si dice nella relazione introduttiva, «la contraddizione di genere non annulla la contraddizione di classe e neppure si contrappone ad essa, ma esse si intrecciano e si cumulano nella vita delle donne lavoratrici che subiscono sia lo sfruttamento di classe, sia l’oppressione di genere». E se, per altro verso, la contraddizione di classe non “contiene” quella di genere, il superamento della prima determina le condizioni storicamente più avanzate per eliminare la seconda.

Lo “sguardo dentro” ci porta a pensare e nominare le donne che riconosciamo come nostre madri politiche. Abbiamo ricordato per prime Rosa Luxemburg, Aleksandra Kollontaj, Camilla Ravera non per stabilire gerarchie di valore - per fortuna possiamo attingere a una ricca genealogia di donne comuniste e femministe cui fare riferimento – ma per rilevare il tratto che le accomuna: l’essere state, in contesti geografici e politici diversi, donne comuniste “fondatrici”.

Nunzia Augeri ci ha ricordato Rosa Luxemburg, considerata unanimemente “una delle menti più brillanti dell’ideologia marxista”, che visse, lottò, amò stando dentro organizzazioni politiche dove c’erano pochissime donne, senza rinunciare a nulla del suo sguardo di donna sul mondo. Fu ferma assertrice della necessità storica del socialismo e dedicò la sua ricerca teorica alla individuazione del nesso fra accumulazione capitalistica e guerre di conquista e alla dimostrazione che militarismo e guerra sono esiti inevitabili del capitalismo nella fase dell’imperialismo. Da qui il configurarsi sempre più netto dell’alternativa “socialismo o barbarie” per l’umanità[2].

Aleksandra Kollontaj – rievocata da Cristina Carpinelli - fu figura per tanti aspetti diversa dalla Luxemburg ma simmetrica, comunista nella Russia zarista e femminista nella rivoluzione bolscevica, prima donna nella storia a ricoprire la carica di ministro nel primo governo dei soviet, seconda donna ambasciatrice nella storia della diplomazia internazionale. Brillante e tenace autrice, scrisse numerosi saggi, articoli, libri a cui attingiamo ancora oggi, nei quali trattò i problemi delle donne sotto diversi aspetti, comprese sessualità e maternità.

Camilla Ravera, che Maria Grazia Meriggi ci ha descritto nel suo ruolo di fondatrice del partito comunista italiano, e per un breve periodo anche segretaria generale di esso, fu curatrice della prima “tribuna delle donne” su L’Ordine Nuovo di Gramsci[3]. Vide con chiarezza l’imprescindibile connessione fra l’emancipazione delle donne dall’oppressione di genere e dallo sfruttamento di classe, fermamente credette nella partecipazione femminile come fattore essenziale della rivoluzione proletaria e, al contempo, nella rivoluzione proletaria come fattore essenziale per la liberazione delle donne.

Guardando indietro, alla nostra storia, ci siamo poi soffermate a considerare un’impresa politica collettiva che ha rappresentato un punto di svolta e un nuovo inizio nella storia più recente di molte donne comuniste italiane: la Carta delle donne del PCI del 1986[4]. Fu una svolta perché affermò l’idea semplice – come dice Fulvia Bandoli –  che “la forza delle donne viene dalle donne”. «Proponiamo di costruire – scrissero le donne comuniste della Carta – nella società e nelle istituzioni della politica una “forza” delle donne che non può che derivare dalle donne stesse attraverso una strategia di relazioni e di comunicazione tra noi». Un’idea che alle generazioni di compagne più giovani può suonare scontata, ma nel contesto in cui fu avanzata ebbe un effetto innovativo dirompente. Purtroppo, come è stato ricordato, la Carta venne tristemente affossata dalla cosiddetta “svolta” del 1989.

Lo slogan che accompagna la convocazione di questo nostro convegno - Uniamoci tra donne delle varie forme della politica per cambiare la politica, liberare noi stesse e prenderci cura della vita sul pianeta – vuole sintetizzare la sfida gigantesca che ci si pone davanti, che non può essere affrontata solo dalle donne comuniste, né solo dalle donne italiane o europee, poiché vaste e ineludibili sono le interconnessioni con le complesse vicende della lotta globale di classe e anti-patriarcale nel nostro paese e nel mondo.  Siamo consapevoli che sarà un lungo cammino e pensiamo di muoverci passo dopo passo, partendo dall’individuare alcuni temi, fra i tanti che attraversano il pensare e l’agire politico delle donne oggi, sui quali cominciare ragionare.

Uno di questi è la contrattazione di genere. Un nodo teorico e pratico col quale si sono misurate in profondità Giordana Masotto e Rosangela Pesenti, protagoniste di due esperienze diverse, ma significative nella stessa misura. Giordana è fra coloro che hanno iniziato a ripensare la contrattazione sindacale introducendo in essa la differenza di genere. In Immagina che il lavoro, prezioso foglio della Libreria delle donne di Milano del 2008[5], Giordana scriveva: «le donne contrattano tra sé e sé, con chi vive loro accanto, in casa, al lavoro, nella città; con chi gli si para davanti per ostacolarle o dirigerle».  E Rosangela, che è fra le autrici della proposta di Piattaforma per una contrattazione di genere elaborata dall’UDI nel 2017[6], avvalora: da sempre le donne contrattano il loro stare al mondo, «non solo nelle grandi scelte di vita ma nelle minuzie del vivere quotidiano». Per secoli, per millenni, lo hanno fatto da sole, il più delle volte al prezzo di lacrime e sangue, cercando ciascuna in sé stessa la forza di far valere le proprie ragioni nei confronti del patriarcato e delle sue istituzioni. Poiché «la contrattazione come istituto giuridico era ambito e prerogativa maschile», la maggior parte delle donne è stata costretta a muoversi «a lungo in forme di contrattazione sommersa, implicita, allusiva più che prescrittiva e quando donne e gruppi hanno voluto presentarsi sulla scena politica hanno conosciuto la repressione violenta».

La contrattazione collettiva delle donne è un passaggio storico più recente e si è avviata quando esse hanno cominciato a rivendicare i loro diritti politici e sociali e ad aprire “vertenze” col potere patriarcale, individuato come avversario comune. Lo hanno fatto da cittadine “di serie B” – ad esempio le suffragiste rivendicando il diritto di voto – e lo hanno fatto da lavoratrici attraverso le prime forme di contrattazione sindacale. Ma è stata a lungo una relazione contrattuale asimmetrica, perché non erano soggetto di contrattazione riconosciuto in quanto donne.

Giordana Masotto nella sua comunicazione rivendica una precisa data d’inizio della contrattazione “separata” delle donne: nel 1967, negli Stati Uniti, quando un gruppo di universitarie decise di abbandonare l’aula in cui i loro colleghi discutevano di “questione femminile” e di andare a proseguire la discussione fra sole donne. Individuare una data d’inizio di un processo storico, fissando in un evento, o un atto collettivo, il momento ante quod nihil, ha senza dubbio un valore simbolico, ma è più verosimile pensare che un processo storico rivoluzionario, come la presa di coscienza di sé quale soggetto politico da parte delle donne, si sia realizzato per gradi e con passaggi successivi, più o meno visibili, nel tempo e nello spazio. Non fu già una forma di contrattazione che metteva sul tavolo, ancorché misconosciuta e dileggiata, una visione differente del mondo, quella delle suffragiste che rivendicarono il diritto al voto? E in ognuna delle innumerevoli vertenze salariali di lavoratrici del primo Novecento, non c’era forse in nuce l’affermazione di sé come soggetto politico che “contratta” un cambiamento radicale di civiltà?

Ma se è vero che «si contratta a tutti i livelli delle relazioni umane» - come dice Rosangela Pesenti – perché «tutta la storia umana può essere riletta anche dal punto di vista della capacità contrattuale delle soggettività sociali e politiche», è indiscutibile che merito del femminismo è stato «avere reso visibile la contrattazione delle donne a partire dalle relazioni più intime, riassumendo la pratica disseminata nelle tante storie di vita nello slogan “il personale è politico”».

Per successivi passaggi, non indolori, anche le donne del sindacato hanno reso visibili le disuguaglianze e le discriminazioni - non riassorbibili immediatamente nella subalternità di classe - che le lavoratrici a tutti i livelli subiscono. Jessica Merli ha riassunto la sua esperienza di attivista sindacale nella metafora della “traghettatrice” che conduce, porta, guida una collettività al fine di favorire il passaggio da un assetto a uno diverso, che si spera migliore. «Credo che alle donne sia dato spesso, forse inconsapevolmente dagli uomini, il ruolo e l’impegno che solo una donna può sopportare, quello di cambiare gli assetti, magari non di cambiarli subito ma di favorire il passaggio a una fase che potrà cambiarli in futuro».  È una metafora nella quale le donne nel sindacato possono riconoscersi, ma resta ancora non definito “dove” traghettare il sindacato. Verso un’alleanza più strutturata con le donne delle altre forme della politica, può essere la risposta e la proposta?

L’apporto delle donne che operano nei sindacati – e specialmente nella CGIL – è irrinunciabile specialmente sulle tematiche del lavoro e della “cura”, divenute centrali nel dibattito sviluppatosi potentemente, non solo nel nostro paese ma ad ogni latitudine, in connessione con l’emergenza della pandemia, che ha messo a nudo la contraddizione – insanabile nel capitalismo – fra lavoro di produzione (per il mercato) e riproduzione sociale.

Il tema non è di oggi nell’elaborazione del movimento delle donne, ci rimanda alle prime riflessioni sul “produrre e riprodurre”[7] che ci fece molto discutere negli anni ’80 e ci collega alle ultime riflessioni sulla centralità del lavoro di cura, sollecitate dalla emergenza sanitaria che ha reso visibile l’incompatibilità dell’accumulazione capitalistica con la vita. “Fare della cura un paradigma politico di trasformazione” – come propone l’assemblea dei Luoghi delle donne[8] - significa sovvertire la gerarchia economica, sociale, politica e valoriale del sistema capitalistico-patriarcale che relega la riproduzione sociale ai margini, segregandovi le donne, e fare della cura la leva per un cambiamento strutturale globale.

La pandemia ha solo reso più evidente l’immenso costo imposto alle donne dalla crisi capitalistica. Ha scoperto la «complessiva sottomissione al profitto del corpo e della salute di tutto il genere umano» - come dice Antonella Nappi – e mette a nudo l’intreccio tra i complessi rapporti di dominio di genere, di razza, di classe e di specie. Ci fa riconnettere ogni forma di sfruttamento e discriminazione contro le donne all’incessante ricerca di estrazione di valore e accumulazione di capitali in ogni parte del pianeta.

 Le crisi economiche, compresa quella attuale, connessa all’emergenza sanitaria ma ad essa preesistente, sempre colpiscono in maggior misura le donne -  come dice Paola Melchiori - e tendono a ricacciarle nei loro ruoli tradizionali, chiamandole a sostenere il tessuto privato che si disgrega e le aree sociali tagliate dalle politiche economiche neoliberali. Non casualmente, si accompagna a tutto ciò, non solo in Italia, una recrudescenza degli attacchi ai luoghi politico-culturali delle donne da parte delle destre e degli integralismi religiosi in materia di sessualità e riproduzione.

Paradossalmente, la drammatica emergenza sanitaria sembra offrire oggi alle donne l’opportunità inedita di darsi parola autorevole e di esercitare pienamente il magistero femminista nella politica.

E torniamo al cuore della nostra proposta, enunciata in apertura di questo convegno, di una alleanza da costruire fra donne nelle varie forme della politica: donne nelle istituzioni, nei sindacati, nei partiti, nelle associazioni ad estensione territoriale, nazionale ed internazionale, nei movimenti non strutturati che nascono su obiettivi e lotte specifiche, che spesso si aggregano in reti territorialmente più ampie e sono a tempo determinato. Donne nelle organizzazioni con una lunga storia alle spalle, come l’UDI, e nelle organizzazioni internazionali con una lunga storia prestigiosa e un’estensione globale, come la Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDIM)[9], o come la Lega internazionale di donne per la Pace e la Libertà (WILPF)[10] che concentra l’azione in campagne specifiche per la pace e il disarmo, operando efficacemente sia in movimenti globali come i Social Forum Mondiali, sia nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite.  E donne nel movimento transnazionale Non Una Di Meno[11] che è cresciuto significativamente in questi ultimi anni e ha avuto il grande merito – come ci ha ricordato Rosa Calderazzi - di rompere gli argini delle «acque stagnanti del femminismo liberale», a lungo egemone in Europa e nel Nord del mondo, spezzandone l’autoreferenzialità e riaffermando le intersezioni sociali, di classe, razziali, territoriali del femminismo, mettendo in chiaro che le differenze e le divisioni emerse nel movimento delle donne non sono di carattere generazionale, bensì di visione prospettica.

Ci sono altri nodi da sciogliere, che sono di metodo e di merito: come quello della relazione spesso conflittuale fra i movimenti, a partire da quelli femministi, e le istituzioni. Il tema della rappresentanza resta tuttora una domanda aperta alla quale dare una risposta condivisa. Come quella che pone Paola Melchiori nella sua comunicazione riguardo alla “qualità della presenza delle donne nella politica”: la presenza del soggetto femminile è riuscita/riesce a cambiare le regole di funzionamento della politica?  Perché le figure femminili nei sindacati, nei partiti e dentro le istituzioni, anche con notevole visibilità personale, appaiono nel loro agire politico per lo più sovrapponibili a quelle maschili nei ruoli dirigenziali, amministrativi e governativi? Quali «ulteriori trappole si annidano all'interno di quote e uguaglianze anche formalmente riconosciute»? Ci si interroga, in sostanza, sul perché le donne elette rinuncino ad esercitare il magistero femminista e a promuovere una politica “altra”, relazionandosi con i movimenti di base.

Una risposta può venire dall’esperienza spagnola di Barcellona e di Cadice, riportata sempre da Paola Melchiori, dove le donne dei movimenti femministi si sono accordate per eleggere proprie rappresentanti nelle istituzioni locali, affidando loro dei mandati precisi e facendo così anche del voto uno strumento di lotta delle donne? «È possibile ragionare in termini di alleanza, di azione comune, di collaborazione, di continuità nel tempo, facendo salve l’autonomia e le caratteristiche proprie di ciascuna forma della politica?»

Trovare risposte condivise in questo percorso di riflessione e d’azione a tappe, che abbiamo avviato e ci proponiamo di proseguire, è al tempo stesso punto d’arrivo e dal quale ripartire.  



[1] Per l’Assemblea delle Donne Comuniste, documento programmatico, https://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/a-do-c-assemblea-delle-donne-comuniste/

[2] Rosa Luxemburg, Socialismo o barbarie, la crisi della socialdemocrazia, RedStarPress

[3] AAVV L'Ordine Nuovo (1919-1920; 1924-1925), Edizioni del calendario, 1969 (Teti, ristampa)

[4] Dalle donne la forza delle donne, documento a cura della Sezione Femminile della Direzione del PCI, aprile 1987

[5] Immagina che il lavoro – Sottosopra, Libreria delle Donne di Milano, Marzo 2009

[6] Piattaforma per una contrattazione di genere, UDI http://www.udinazionale.org/piattaforma.html 

[7] Produrre e riprodurre: cambiamenti nel rapporto tra donne e lavoro: 1° Convegno internazionale delle donne dei paesi industrializzati promosso dal movimento delle donne di Torino, Torino-Palazzo del Lavoro, 23-24 e 25 aprile 1983 - Cooperativa editrice il manifesto anni, 1984

[8] Assemblea della Magnolia, Casa internazionale delle donne di Roma: “Donne e  Next Generation Italia”, ottobre 2020 https://www.casainternazionaledelledonne.org/index.php/eventi/donne-e-next-generation-italia-1881 


19/07/21

“DONNE IN PIAZZA” - 25 SETTEMBRE 2021 MANIFESTAZIONE A ROMA

 “Ripresa? La rivoluzione della cura è tutta un’altra storia!”


L'AWMR Italia aderisce all'appello lanciato dall'Assemblea della Magnolia per una manifestazione nazionale delle donne a Roma il 25 settembre 2021.

LE DONNE IN PIAZZA

“Quale ripresa? La rivoluzione della cura è tutta un’altra storia!”

Il Covid ci ha dato ragione.  Lo abbiamo gridato esattamente un anno fa, l’8 luglio del 2020, nel pieno della pandemia, nella nostra prima Assemblea della Magnolia, che ha visto l’adesione dei tanti luoghi delle donne e di tantissime altre donne, associazioni, singole, donne dei movimenti e delle istituzioni. Diverse ma insieme, riunite per capire cosa era successo e cosa ci era successo, ma anche per riprendere parola pubblica.

Oggi, come ieri, è sempre più necessario.

Il Covid ci ha dato ragione, ma la lezione del Covid rischia di essere messa tra parentesi.  Contro l’unanimismo imperante, serve un’altra visione, pensieri lunghi e scelte coraggiose per non ripetere le vecchie ricette, per non riproporre la follia dello stesso modello di produzione e di consumo, che distrugge l’ambiente e determina lo sfruttamento delle persone e degli animali, per non rilegittimare il fallimento delle politiche liberiste, che hanno costruito disuguaglianze, povertà, smantellato i sistemi pubblici di protezione sociale e di tutela dei diritti del lavoro.

È stata, quella del Covid, una crisi della cura, ma il cambiamento non c’è.

Anni e anni di tagli, privatizzazioni, riduzione dei servizi alla persona, assunzione del mercato come unica regola della vita, hanno prodotto una società più ingiusta. Persino la politica dei vaccini, condizionata dalle grandi corporazioni farmaceutiche,  ha dimostrato  che la salute e la vita dei più è subordinata  al profitto di pochi.

Lo stato sociale non c’è più: lo hanno trasformato da un sistema per sostenere la fruizione dei diritti e la costruzione dell’uguaglianza, a un coacervo di misure per attenuare le povertà e le disuguaglianze determinate dalle politiche liberiste, dalle privatizzazioni  e dall’innovazione. Le politiche sociali praticate oggi, lungi dall’essere strumento della lotta delle donne per la loro libertà, rischiano di ribadirne il destino subalterno, meritevole al massimo di un bonus di sostegno finanziario.

Nella sanità, abbiamo scoperto che da anni opera un’organizzazione ormai gracile, pronta a polverizzarsi, che le Residenze per anziani sono diventate luoghi di deposito e di parcheggio dei corpi. Da quei luoghi tanti, troppi se ne sono andati in silenzio. Colpiti, perché vecchi, dalla violenza che li considera improduttivi e considera inutile la loro esistenza. Così come è violenza aver costretto tante donne a sacrificarsi per tenere insieme i bisogni dei piccoli e dei grandi.

Il Covid ha evidenziato  che la crisi climatica che sta mandando al collasso il pianeta non ha soluzione senza le donne e senza la parità di genere non può neanche realizzarsi  la giustizia climatica e un vivibile modo di stare al mondo.

La pandemia, precipitata addosso a una società già resa fragile dalle politiche liberiste, ha rovesciato sulle donne il peso di tutte le fragilità.

Oggi le donne – e tra le donne soprattutto quelle straniere – sono più povere, più precarie e il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione sono stati di ben poco aiuto per evitare la perdita dei loro posti di lavoro. Tutte le scelte di gestione dell’epidemia hanno prodotto un aumento della fatica delle donne, dalla DAD, al cosiddetto smart working, al contingentamento e al distanziamento, alle restrizioni per anziani, malati e disabili. Le donne, impiegate prevalentemente nei servizi, nell’assistenza e nel commercio, hanno dovuto in gran numero restare a lavorare in presenza, a prendere i mezzi pubblici, per consentire a tutti gli altri di rispettare i lockdown, neppure difese dagli accordi stipulati, dopo aspre battaglie, dai sindacati con le imprese.

Una società incapace di prendersi cura dei viventi, è una società non solo ingiusta, ma anche più fragile, più esposta.

Come ha scritto il Gruppo delle femministe del mercoledì, il Covid-19 ha scoperchiato la vulnerabilità dei nostri corpi, trasformato i ritmi della giornata. Le abitudini sono state sradicate dalla dilatazione del tempo che ha reso difficili le relazioni. Non solo nella cerchia più stretta ma là dove c’era la possibilità di incontro con gli altri, gli estranei, capace di produrre curiosità e scoperte. Qualcuna si chiede se stiamo accettando di sopravvivere rinunciando a vivere.

La presenza del Covid-19 ha cancellato dalle menti le rivolte contro i regimi e le stragi per reprimerle; le lotte delle donne per le libertà negate; le guerre; i disastri ambientali sempre più incontrollabili. Naufraghi chiedono soccorso per giorni nell’indifferenza dell’Europa, muoiono nel Mediterraneo mentre il presidente del Consiglio italiano va in Libia e ringrazia la guardia costiera per i migranti “salvati”.

La nostra società è stata abbandonata all’incuria. La pandemia l’ha scoperta e aggravata.  Per questo noi vogliamo cambiare il punto di vista con cui si guarda al mondo. Vogliamo una società e delle comunità che non sfruttano, non estraggono ricchezza dagli altri e dal pianeta, ma se ne prendono cura, lo custodiscono. Una società dei beni comuni.

Noi vogliamo avviare la “rivoluzione della cura”, che  per noi significa passare da un mondo in cui tutto si misura per prestazioni a un mondo in cui diventano fondamentali le relazioni; che per noi significa un posizionamento politico e culturale, per ricostruire il legame sociale, per una nuova idea di politica e di giustizia basata sull’interdipendenza e sulla relazione per ridisegnare un nuovo modo di stare al mondo. Una rivoluzione della cura che si contrappone alla cosiddetta “care economy” oggi usata per coprire e per “modernizzare” la crisi del welfare, di fatto per rendere inesigibili i diritti che il welfare ha storicamente assunto dalla carta costituzionale.  Una rivoluzione della cura che mette al centro il rispetto dell’altro, i diritti e le libertà di tutte e di tutti, a partire dal diritto alla cittadinanza e dal riconoscimento di tutte le soggettività LGBTQ+.

Di tutto questo non vi è traccia, non solo nel PNRR ma anche nella visione politica del governo.

Cambiare rotta comporta scelte non indolori.  Ma l’insufficienza del PNRR non ammette silenzi. Rivendichiamo un approccio radicale e femminista, per cambiare i meccanismi sociali ed economici che proteggono un sistema di potere fatto di gender pay gap, di cultura della violenza e dello stupro, di cristallizzazione dei ruoli di genere nelle famiglie, di connivenza con la cultura patriarcale. Rivendichiamo di essere femministe e quindi contro le guerre, contro l’aumento delle spese militari e per la proibizione assoluta delle armi nucleari. 

E chiediamo

che il welfare pubblico non sia residuale, che a ogni investimento di risorse europee corrisponda un necessario aumento di spesa corrente, per garantire che gli impegni, a partire da quello pur del tutto insufficiente per la costruzione di nuovi asili nidi, non restino soltanto sulla carta;

che i servizi non debbano essere sostituiti dai bonus e dal modello di acquisto di prestazioni individuali nel mercato dei fondi assicurativi;

che siano garantiti i livelli essenziali di assistenza per i servizi sociali;

che gli ammortizzatori sociali garantiscano tutti i tipi e le forme di lavoro;

che, indipendentemente dal lavoro, sia garantito un reddito che chiamiamo di dignità e autodeterminazione, per tutti, ma soprattutto per le donne, per uscire dalle situazioni di violenza;

che, grazie al potenziamento del welfare e della PA (ambiti dove è prevalente l’occupazione femminile) siano realmente aumentati i posti di lavoro per le donne;

che per ogni progetto e per tutte le politiche sia garantita – e governata da una rigorosa equa rappresentanza di genere – non solo una valutazione ex ante ma anche un monitoraggio ex post  rispetto alla ricaduta in termini di occupazione femminile, di lavoro delle donne, sicuro e di qualità;

che siano resi espliciti gli obiettivi del tasso di occupazione femminile– come aveva fatto l’Europa per il 2020; di quanto si vuole aumentare l’occupazione delle donne e entro quando?

che sia sostenuto una grande piano nazionale contro la precarietà, modificando le attuali regole del mercato del lavoro, garantendo che a lavoro stabile corrisponda sempre una lavoratrice stabile, e non invece una lavoratrice a part time, con partita IVA o retribuita con voucher;

che si controlli ogni forma di abuso per l’utilizzo del part-time come “obbligatorio” per le donne e dello smart  working come strumento di flessibilità governata solo dall’impresa;

che si garantiscano dignità, diritti, tempi di vita per tutte e tutti;

che vengano riconosciuti e finanziati i luoghi delle donne, perché luoghi politici femministi, di promozione di empowerment e di libertà femminile.

Per questo, oggi più di ieri, serve la cultura e il pensiero delle donne, la mobilitazione, la conflittualità, la forza delle donne. Per questo dall’Assemblea di oggi, tutte insieme, diverse ma unite, lanciamo questo appello che è rivolto alle donne, a tutte le donne, ma che intende entrare in connessione con tutte le esperienze e realtà che hanno costruito pratiche sociali, di resistenza e di progettualità. Chiediamo di discuterlo e, se si vuole, di condividerlo, sottoscriverlo. Il nostro obiettivo è costruire insieme un percorso, per promuovere una grande manifestazione di donne, di tutte le donne, ma anche di tutti quelli che sono consapevoli che la rivoluzione della cura è una necessità per il mondo, per le nostre società, per le nostre vite.

Roma, 8 luglio 2021                                                                      

L’ASSEMBLEA DELLA MAGNOLIA

Per adesioni, scrivere a: segreteria@casainternazionaledelledonne.org

Maura Cossutta, Michela Cicculli, Ada Donno, Floriana Lipparini, Giulia Rodano, Laura Onofri, Susanna Camusso, Monica Di Sisto, Nicoletta Dentico, Maria Luisa Boccia, Maria Luisa Celani, Angela Ronga, Giorgia Serughetti, Livia Turco, Lea Melandri, Libera Università delle Donne di Milano, Casa delle donne di Milano, Casa delle donne di Lecce, Casa delle donne dell’Aquila, Ass. Donatella Tellini, Ass. Donne TerreMutate, Casa delle Donne di Torino, Casa delle donne di Pisa, CGIL Politiche di genere, Titta Vadalà, Antonia Sani, Adriana Nannicini, Laura Fortini, Francesca Koch, Barbara Romagnoli, Silvia Neonato, Elena Gagliasso, Oria Gargano, Marta Bonafoni, Be free, Arianna Ugolini, Nadia Palozza, Lella Palladino, Francesca R. Recchia Luciani, Festival delle donne e dei saperi di genere – Bari, Paola Patuelli, Teresa Manente, Differenza donna, Stefania Tarantino -Studi femministi, Monica Cirinnà, Alessandra Mecozzi, Annamaria Carloni, Silvana Pisa, Maristella Urru, Barbara Romagnoli, Barbara Piccininni, Bianca Pomeranzi, Maria Rosa Cutrufelli, Laura Storti, Loretta Bondi, Roberta Agostini, Nadia Pizzuti, Marina Del Vecchio, Stefania Vulterini, Teresa Lapis, Jessica Ferrero, Pina Mandolfo, Anna Novellini, Concetta De Pasquale, Nadia Filippini, Teresa Lucente, Nadia Boaretto, SNOQ-Udine, Maria Pia Tamburlini, Manuela Maieron, Roberta Corbellini, Clara Orso, Chiara Zanetti, Chiara Gallo, Liviana Calabrò, Rita Martin, Rosalba Perini, Forum per il Diritto alla Salute Lazio, Medicina Democratica Roma, Rosalba Perini, Andreina Baruffini, WILPF Italia, Giovanna Martelli, SNOQ Torino, Coordinamento Nazionale Comitati SNOQ, Maria Teresa Sorrentino, Enrica Guglielmotti, Laura Cecilia Rizzo, Anna Vernarelli, Elisabetta Papini, Vita di donna, Susanna Stivali, Silvia Neonato, Nadia Filippini, Alisa Del Re, Rosaria De Matteis, Angela Sajeva, Anna Maria Carloni, Dalila Novelli, Patrizia Sterpetti, Costanza Fanelli, Isabella Peretti, Lisa Canitano, Donatella Artese, Enrica Manna, Beatrice Pisa, Maria Teresa Santilli, Silvana Pisa, Luisa Rizzitelli, Stefania Vulterini, Maria Grazia Ruggerini, Muovileidee Associazione Culturale, Maria Fabbricatore, Maria Antonietta Macciocu, Stefanella Campana, Ass. Fairwatch, Eleonora Data, Delia Murer, Ass. Le funambole, Luisella Zanin, Ass. POP idee in movimento, Stefania Graziani, Ass. Il Cortile-consultorio psicanalisi applicata, Anna Pizzo, Femministe della società della cura, Associazione cittadinanza e minoranze, Clara Bondesani, Coop. Sociale E.V.A., One Billion Rising Italia, Rebel Network, Assist Ass. Naz. Atlete, Benedetta Rinaldi Ferri, Maria Palazzesi, Carla Quaglino, Assolei Sportello Donna, Pasqualina Napoletano, Luisa Menniti, Associazione LeNove – studi e ricerche, Cattive Ragazze, Enrica Anselmi, Valentina Fasola, Milena Fiore, Giovanna Cuminatto, Pina Mandolfo, Centro cultura delle donne Hannah Arendt- Teramo, Gabriella Rossetti, Maritè Calloni, Anna Novellini, Rosaria De Matteis, Maria, Teresa Sorrentino, Enrica Guglielmotti, Laura Rizzo, Stefanella Campana, Eleonora Data, Luisella Zanin, Stefania Graziani, Clara Bondesani, Susanna Crostella, Rete Città delle donne Nazionale e Roma, ALEF Associazione Leadership e Empowerment Femminile, Gabriella Anselmi, Alberta De Simone, Marina Genti, Maurizia Guerini, Geni Sardo, Daniela Dacci, Awmr Italia – Donne della Regione Mediterranea, Casa delle Donne di Lecce

Giovanna Zitiello, Rita Martin, Tiziana Valpiana, Paola Meneganti, Vinzia Fiorino, Centro Mara Meoni-Siena, Annamaria Riviello, Paola Iacopetti, Rita Rocca, SNOQ Udine/Tolmezzo, Elettra Deiana, Daniela Polenghi, Anna Luisa Micheli, Associazione Toponomastica femminile, Margherita Granero, Associazione Rete Rosa, Rosetta Papa, Emilia Galtieri, Assunta Lentini, Isa Cortesi, Francesca Irene Thiery, Roma12incomune, Maria Paola Costantini, Simonetta Luciani, Senonoraquando Venezia, Daniela Fusari, Marilena Bertini-Medico Già presidente di CCM Comitato Collaborazione Medica, Anna Sburlati, Sofia Massia, Motta Maria Luisa (candidata Sindaca)- iscritta LUD di Cernusco e Casa delle Donne di Milano, Caterina Renzi, Caterina Fadda, Sara Pirrone, Francesca Verri, Antonella Grieco, Norberto Ceserani , Senonoraquando MARZI, Concetta, Titty Contini, Rete per la Parità, Rosanna Oliva de Conciliis, Paola Mastrangeli, Edda Billi, Giovanna Carnevali, Vanda Bouché, Fernanda Forte, Sabrina Alfonsi, Ginevra Diletta Tonini Masella, Daniela Boffa, Senonoraquando Cagliari, Rossilli Maria Grazia, Rosa Mendez, Immacolata di Matteo, Donatella Ercolini, Amalia Auriemma, Micaela Bertoldi, Coord. per il Forlanini Bene Comune, Coordinamento Donne Spi Cgil Roma COL, Giuliana Brega, Luisa Simonutti, Comitato 13 febbraio Se non ora quando? Ancona, Cinzia Ballesio, Cristina Filippini, Rete femminista No muri No recinti, Carla Pochini, Miresi Fissore, NUDM Roma, Guerra Daniela, Danila De Angelis, Associazione ReteRosa, Liliana Frascati – PCI Padova, Rosa Amodei – WILPF, Rosanna Marcodoppido, Conferenza donne democratiche, Rosa Dalmiglio, Francesca Degiuli, Barbara Domenichini – Casa delle donne Ravenna, Luana Vacchi – Casa delle donne Ravenna, Massimo Torelli e Giulia Rodano – Associazione Per la Sinistra, Rita Sarinelli – Progetto Donna di Monopoli, Silvia Neonato, Casa delle donne Ravenna, Elisabetta Bettini, Maria Cristina Martorana, Susi Ronchi, Venezia Manifesta, On. Stefania Pezzopane, Betty Leone, Paola Castagna, Pina Salinitro – Associazione AIED, Maria Letizia Episcopo, Giovanna Foglia, Carla Collodi – Casa Donne di Pisa, Coordinamento Donne SPI CGIL Veneto, Organizzazione COSPE together for change, Tania Tocci.