26/02/21

La forza costituente delle donne tra memoria e attualità: le nuove costituzioni di Cuba e Cile


Dal Seminario "La forza costituente delle donne tra memoria e attualità" svoltosi il 25 febbraio per iniziativa dell'ANPI provinciale di Roma, stralciamo la relazione di MILENA FIORE su:
LE NOVITA’ DELLE COSTITUZIONI IN AMERICA LATINA: CUBA E CILE.

L’idea di questo mio contributo alla riflessione sulla forza costituente delle donne a Cuba e in Cile nasce dalle discussioni che facemmo, ormai più di un anno fa, prima come sezione italiana della Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDIM), il 6 aprile 2019 presso la Casa internazionale delle donne di Roma, con Ada Donno, Tina Cimini, Rosella Franconi, Franco Argada, Maddalena Celano, e qualche mese dopo allargando la discussione anche a Marina Pierlorenzi, Paola Marsocci, e Maura Cossutta a proposito delle novità introdotte dalla nuova Costituzione cubana, che – ricordo - è stata approvata in via definitiva dall’Assemblea Popolare di Cuba, organo supremo del potere popolare, il 10 aprile 2019, dopo un percorso di oltre 80.000 riunioni consultive con rappresentanti di ogni categoria sociale e settore della popolazione cubana. Oltre il 60% degli articoli hanno subito modifiche provenienti dalle circa 783.000 proposte emerse nelle riunioni delle assemblee popolari. 

La nuova Costituzione è stata sottoposta a referendum popolare il 25 febbraio 2019 e ha ricevuto il voto favorevole del 90% dei votanti. Nel preambolo essa conferma i valori di fondo della Rivoluzione cubana: afferma quindi di ispirarsi alla lotta contro il colonialismo, lo schiavismo e l’imperialismo, di perseguire nello spirito internazionalista relazioni di fratellanza con gli altri popoli dell’America Latina e del Caribe, e infine ribadisce la convinzione che “solo nel socialismo e nel comunismo l'essere umano può raggiungere la sua piena dignità”.


Rispetto a quella precedente del 1976, essa sancisce un’estensione inedita dei diritti sociali, politici ed economici a Cuba, introducendo novità che ci hanno incuriosito e che ci faceva piacere approfondire e far conoscere, come ad esempio l’aggiunta delle categorie di genere, orientamento sessuale, identità di genere, età, origine etnica, disabilità e provenienza territoriale, quali elementi da tutelare da parte dello Stato. Ciò, in particolare, è stato il frutto dell’impegno attivo e deciso della Federazione delle Donne Cubane, nella società e in seno all’Assemblea Popolare, della quale le donne costituiscono il 53,22%.

Il 2019 è stato anche il 60 ° anniversario del “Movimento 26 luglio”, la prima formazione che lottò per l’indipendenza di Cuba sotto la guida di Fidel Castro, alla quale presero parte anche diverse giovani rivoluzionarie, fra le quali Celia Sanchez, Haydee Santamaria, Vilma Espin.

Nel 1959, all’indomani della vittoria della Rivoluzione, le donne cubane guidate dalla guerrigliera Vilma Espin, parteciparono alla Conferenza delle Donne dell’America latina che si teneva proprio a Santiago del Cile, collegando così la loro lotta a quella delle donne di tutto il continente latinoamericano e della FDIM nel suo insieme.

 La Federazione delle Donne Cubane (FMC) si è posto come primo compito, insieme alla difesa della Rivoluzione, di elevare il livello politico e culturale delle donne per metterle nelle condizioni più favorevoli alla partecipazione politica. Già nel 1962, si affrontò il problema della salute delle donne, furono istituiti corsi di educazione sessuale, e sulla rivista Mujeres, si cominciarono ad affrontare le problematiche di genere. La FMC si batté fin dall’inizio perché le donne cubane avessero il pieno controllo del proprio corpo e vedessero rispettati tutti i propri diritti riproduttivi e sessuali.

Nel 1979 Cuba fu il primo paese al mondo a firmare la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro la donna (CEDAW) adottata dalle Nazioni Unite.

16/02/21

Saharawi / Libertà per Sultana Jaya e la sua famiglia

Il Dipartimento per la promozione della donna del Ministero Affari sociali della Repubblica Araba Saharawi Democratica  protesta energicamente contro la brutale repressione delle forze di occupazione marocchine ed esige la liberazione dell'attivista Sultana Jaya insieme alla sua famiglia 




Il Dipartimento per la promozione della donna del Ministero degli Affari Sociali della Repubblica Araba Democratica Saharawi esprime la più energica condanna della brutale repressione condotta dalle forze di occupazione marocchine contro la popolazione civile saharawi nei territori occupati, in particolare negli ultimi giorni nelle città occupate del Sahara Occidentale, dopo la ripresa del conflitto in conseguenza della sospensione del cessate il fuoco, avvenuta lo scorso 13 novembre 2020.

L'attuale ritorno alle azioni militari nel Sahara Occidentale, dopo la violazione del cessate il fuoco da parte del Marocco con l'attacco al Civili saharawi che si trovavano concentrati a Guerguerat, sta provocando un drammatico aumento della repressione come misure di ritorsione contro i saharawi. Questa situazione costituisce una palese violazione dei diritti fondamentali dei Civili saharawi nel Sahara Occidentale orchestrata dalle forze di sicurezza e l'esercito marocchino contro i civili e soprattutto contro attivisti, giornalisti, prigionieri politici e donne saharawi che sono assediati e imprigionati nelle loro abitazioni e impediti di ricevere visite o uscire sotto la minaccia di essere attaccati e imprigionati.

La brutale aggressione subita dall'attivista saharawi Sultana Jaya, sua sorella, la madre e tutta la famiglia per novanta giorni assediata e aggredita da poliziotti marocchini nella città di Bojador, che stazionano davanti alla loro porta 24 ore su 24, è un esempio del gravità della situazione nei territori occupati e del pericolo che corrono i civili saharawi e soprattutto attivisti e difensori di diritti umani sotto l'occupazione marocchina.

Il Dipartimento per la Promozione della Donna del Ministero degli Affari sociali chiede alle agenzie e organizzazioni internazionali, l'ONU, alla Croce Rossa Internazionale e alla Spagna che siano tutelati i diritti umani nel Sahara Occidentale che continua ad essere l'ultima colonia in Africa a figurare nella lista dei 17 Territori non autonomi in attesa di decolonizzazione e sui quali la Spagna continua ad esercitare il potere amministrativo.

L'ondata di brutale repressione esercitata contro la popolazione civile saharawi dalle autorità del regime marocchino nelle aree occupate del Sahara Occidentale richiede l'intervento immediato dell'ONU, delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani e del governo di Spagna, che devono esigere dal governo marocchino l'immediata cessazione di questa violenza e garantire la protezione della popolazione saharawi e il rispetto del diritto internazionale umanitario.

Il Dipartimento per la promozione della donna del Ministero degli Affari Sociali, con questa dichiarazione vuole esprimere la sua solidarietà agli attivisti saharawi nei territori occupati e soprattutto all'attivista Sultana Jaya e alla sua famiglia, denuncia la repressione eretta a sistema dalle autorità marocchini che violano quotidianamente la maggior parte degli elementari diritti umani della popolazione saharawi e sollecita la Comunità Internazionale ad assumersi le proprie responsabilità nella difesa dei diritti umani nel Sahara Occidentale, esigendo dal Marocco il rispetto rigoroso delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sul diritto all'autodeterminazione del popolo Saharawi, affinché ponga  fine all'occupazione militare e illegale dei territori della Repubblica Araba Saharawi Democratica e consenta al popolo Saharawi di vivere in pace e libertà.

Rabuni, 16 febbraio 2021

Mamiha Chej

Direttora del dipartimento per la promozione della donna della RASD

08/02/21

Manifesto della Magnolia / Non c'è più tempo. Noi siamo la cura

 "Per il pianeta, per il nostro mondo, per le nostre vite" 

*immagine per gentile concessione di IACA Studio


Documento delle donne e delle associazioni dell'Assemblea della Magnolia


«Siamo le donne dell’Assemblea della Magnolia che si incontrano dal mese di luglio su iniziativa della Casa Internazionale delle Donne di Roma. Una pluralità di donne, tantissime e diverse, con le loro competenze e soggettività, da sempre impegnate per la libertà e l’autonomia delle donne e a praticare “la cura del vivere”, nelle esperienze personali e sociali, e nella politica.

È in ragione di questa forza che vogliamo prendere parola e contribuire alle scelte da fare oggi, per affrontare l’epidemia Covid-19, non come una “guerra da vincere” e per tornare alla “normalità”, ma come occasione per cambiare in radice noi, donne e uomini, ed il mondo in cui viviamo. Costruendo qui e ora un futuro a misura delle necessità e all’altezza dei nostri desideri.

Con la pandemia il pianeta ha fatto sentire la sua vocePer la prima volta milioni e milioni di donne e di uomini hanno contemporaneamente condiviso paure, angosce, dolore, isolamento, solitudine. È esplosa la fragilità dei corpi e delle nostre vite, l’interdipendenza delle relazioni, i bisogni della cura del vivere. Ma questa esperienza collettiva oggi non trova significato.

Continuano le inerzie delle vecchie idee, restano indiscussi i modelli che hanno dimostrato il fallimento, si ripetono stereotipi che accettano la divisione sessuale del lavoro come ordine naturale, lasciando le donne senza libertà. Il Covid smentisce invece ogni continuismo, rimettendo al centro i bisogni della cura, dell’altro/a, di noi stesse, delle condizioni della vita, della natura e della democrazia, dichiarandoli definitivamente non compatibili con l’interesse di un’economia del profitto.

Il Covid si è manifestato infatti innanzitutto come crisi della cura, prima ancora che crisi sociale ed economica, persino sanitaria. La pandemia ci ha dimostrato quanto siano fondamentali quei grandi beni comuni come la scuola, la salute, la tutela dell’ambiente, la dignità del lavoro, i servizi sociali. Ha mostrato l’incapacità e la fragilità dei sistemi pubblici impoveriti dai tagli, drammaticamente insufficienti anche in tempi normali.

Come sarebbe stato diverso vivere questa pandemia se ci fosse stata una medicina di comunità, ospedali sicuri, personale sanitario e sociale presente in numero adeguato ed in modo costante, servizi per l’infanzia, scuole accoglienti e sicure, servizi di sostegno alle persone fragili.

Se la capacità di cura del paese fosse stata più forte, meno drammatico sarebbe stato l’impatto sui nostri ospedali, sui servizi di assistenza agli anziani, sui trasporti, sulla scuola e infine sulla nostra economia.

Se la violenza contro le donne fosse stata veramente considerata come un fenomeno strutturale e come una reale drammatica emergenza, aggravata e allo stesso tempo oscurata dalla pandemia, non sarebbe stato così alto il prezzo pagato dalle donne.

Se avessimo avuto una rete adeguata di trasporti, servizi sociali forti e presenti, scuole ben tenute e classi non affollate, le conseguenze della pandemia sarebbero state più affrontabili e sostenibili.

Se il sistema dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori fosse stato più forte e più equo, oggi avremmo meno poveri, meno persone senza lavoro e senza prospettiva.

Se avessimo avuto politiche di apertura e inclusione verso tutti e tutte, nativi e migranti, se non avessimo pensato che la sicurezza fosse alzare muri e chiudere frontiere, se avessimo lavorato percostruire una società pienamente multiculturale e decoloniale, oggi vivremmo tutte e tutti in  unacondizione più ricca, civile ed umana.

Se non avessimo avuto un sistema di produzione agricola al servizio delle multinazionali, oggi potremmo controllare vecchi e nuovi spillover, costruire prospettive nuove di lavoro compatibile, difendere il territorio dall’abbandono.

Se non avessimo investito così tante risorse nella produzione e nella vendita di armi, se non avessimo scelto modelli di sicurezza militaristi a scapito della vera sicurezza umana, non avremmo sistemi sociali e di relazioni così indeboliti e fragili.

Società della Cura / Uno sguardo di genere sul PNRR

 

Il 5 febbraio l’assemblea plenaria della rete “Società della cura” si è riunita per proporre una lettura dal punto di vista femminista del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), predisposto dal governo italiano in applicazione del Next Generation EU. La discussione, molto partecipata e competente, è partita dal testo critico (che qui riportiamo) redatto dal “Gruppo di lavoro per una lettura femminista del PNRR”. Pur considerando l’eventualità che il cambio di governo in atto comporti modifiche anche sostanziali al PNRR, l’assemblea ha tuttavia convenuto che l’analisi dell’attuale piano resta una buona base di partenza per valutare anche il prossimo.

Questa lettura femminista del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e Next Generation EU è proposta da un gruppo di donne che ha analizzato i principi di fondo del PNRR e le diverse proposte che contiene. Ci sembra utile, all’interno del percorso della “Società della Cura”, condividere questa lettura che non riguarda solo le donne, ma invita donne e uomini a ragionare con l’orizzonte di un diverso modello sociale, sulla necessità di una rivoluzione nelle relazioni fra generi, di un superamento della storica separazione gerarchica fra produzione e riproduzione, domestica e sociale, e di un cambiamento radicale nei processi decisionali relativi sia alla distribuzione della ricchezza prodotta che al che cosa e come produrre.

 Il PNRR non rappresenta un cambiamento / Il paradigma della cura

Stiamo vivendo una crisi multipla, pandemica ma anche economica, sociale, politica e culturale. Tale crisi è trasversale ma non neutra, perché nasce e vive dentro una società nella quale le appartenenze di genere, di classe e di origine geografica determinano asimmetrie di potere e di status, non colpendo tutte e tutti allo stesso modo. Le donne, ancor di più se di classe sociale impoverita e/o migranti, pagano e pagheranno a livello globale un prezzo altissimo in termini di diritti e di condizioni di vita, di ulteriore marginalizzazione economica e sociale. Aggiungiamo che il confinamento ha comportato una maggior esposizione alle violenze maschili, con un aumento esponenziale di violenza domestica, oltre a una preoccupante ripercussione sull’applicazione della 194: diversi ospedali, impegnati contro il coronavirus, hanno sospeso le IVG dichiarandole interventi non urgenti! 

Quali siano i soggetti sociali più colpiti è chiaro! Per questo vogliamo agire di conseguenza, conducendo il conflitto dentro e fuori le istituzioni. Il PNRR, non riconoscendo le differenti condizioni materiali di donne e uomini, non avanza proposte capaci di rispondere ai bisogni concreti. È un programma politico che respinge il cambiamento e nega di fatto la soggettività delle donne, non riconoscendone l’unitarietà nella varietà delle scelte e fasi della vita - donne giovani, anziane, madri se vogliono, lavoratrici – in quanto soggetto che si autodetermina. Noi abbiamo una visione diversa: le donne sono più della metà della popolazione, sono soggetti di diritti, sono protagoniste.


Il PNRR rappresenta la ricaduta italiana delle politiche europee decise durante la epidemia di Covid 19 per affrontare il conseguente tsunami economico, sociale e umano a cui sono sottoposti uomini e donne di questo pianeta. L’allarme è sanitario, sociale, ecologico, umano. Tutto dovrà cambiare, si diceva.

Cosa è rimasto di quel grido?  

Il PNRR procede in continuità sostanziale con il passato, caratterizzato da politiche di austerità che hanno scientemente eroso gli spazi di libertà e di autodeterminazione che le Costituzioni del secondo dopoguerra avevano aperto e le lotte degli anni 70’ e 80‘ allargato. 

 

07/02/21

Assemblea della Magnolia / Non c'è più tempo. Noi siamo la cura

 "Per il pianeta, per il nostro mondo, per le nostre vite"


foto 2020 https://www.quotidiano.net/magazine/milo-manara-coronavirus-1.5134182

Le donne e le associazioni dell’Assemblea della Magnolia comunicano: 

È nata a Roma sei mesi fa, sull’onda di una pandemia lacerante che molti sostenevano fosse

superata ma che ha dato luogo a una seconda ondata forse ancora più letale, l’Assemblea della

Magnolia. Fortemente voluta dalla Casa internazionale delle donne e sostenuta da tantissime

associazioni, gruppi e individue, l’Assemblea è riuscita a produrre, grazie a una fitta rete di

relazioni e discussioni, un documento politico che individua i nodi che il Covid-19

ha fatto prepotentemente emergere e propone soluzioni di genere attente ai diritti e alle libertà

delle donne.

“Non c’è più tempo. Per il pianeta, per il nostro mondo, per le nostre vite. Noi siamo la cura”:

questo il titolo del documento che sottolinea il baratro nel quale siamo piombati tutte e tutti e

chiarisce senza infingimenti che il cambiamento dovrà obbligatoriamente essere radicale e

femminista o non sarà, perché l’epidemia Covid-19 non va affrontata “come una ‘guerra da

vincere’ e per tornare alla ‘normalità’, ma come occasione per cambiare in radice noi, donne e

uomini, e il mondo in cui viviamo”.

La salute, la scuola, il lavoro, l’inclusione, i diritti umani, l’economia, l’ambiente, la pace, il

contrasto alla violenza di genere devono essere declinati attraverso il fitto tessuto della cura che è

“qualità dei corpi e delle menti”.

Da oggi il documento diventa patrimonio di tutte le donne che vorranno sottoscriverlo e

strumento concreto di vertenza politica con le istituzioni italiane ed europee. Perché il Recovery

Fund può essere una grande opportunità o, viceversa, un trabocchetto; perché il Piano di Ripresa e

Resilienza può dare un significativo segnale in controtendenza o, viceversa, rovesciarsi

nell’ennesima manovra predatoria e antisociale.

Ecco perché il documento appena licenziato sarà inviato alle deputate e senatrici italiane, alle

parlamentari europee, alle donne nelle istituzioni, alle rappresentanti politiche, ma anche alle

operatrici della salute, della scuola e dei servizi e alle migliaia di volontarie che hanno fornito il

loro lavoro a sostegno delle persone più deboli nel corso della pandemia. Alle femministe. A tutte

verrà chiesto di condividerlo e di farne strumento di intervento politico e, se necessario, di

conflitto.

Inoltre, oggi stesso il documento verrà recapitato sulla scrivania di Mario Draghi perché prenda

atto che nessun passo ulteriore verso la ricerca di una soluzione può essere compiuto senza il

punto di vista delle donne. Chiediamo, quindi, che quel lento processo di audizioni che era già

iniziato non cessi, anzi, si rafforzi con la costruzione di un tavolo attorno al quale in modo

condiviso e paritario si sviluppi un indispensabile confronto. 

Sarà il prossimo 8 marzo il giorno che simbolicamente e concretamente segnerà la verifica della

capacità del governo di invertire la rotta che sta portando il mondo e le persone che in esso vivono

verso una distruzione ampiamente annunciata. Se entro quella data non ci saranno segnali, la

politica sarà sempre più sola e inutile. 

Roma, 6 febbraio 2021





05/02/21

Libano / La violenza ai tempi del Covid19

 Le donne libanesi di fronte alle sfide del confinamento

Foto Libano 2017

La sera del 28 gennaio, una giovane donna libanese di 30 anni, Zeina Kanjo, è stata strangolata dal marito. Dal febbraio 2020 in Libano venti donne, per lo più giovani, sono state dichiarate morte per mano dei loro coniugi. Ma non sono le sole.


Marie Nassif-Debs*

Il 17 ottobre 2019, più di mezzo milione di libanesi scesero in piazza per esprimere la loro rabbia contro una crisi economica e finanziaria galoppante da oltre dieci anni e che aveva ridotto sulla soglia di povertà metà della popolazione libanese, valutata in quattro e mezzo milione di persone a cui andava aggiunto mezzo milione di profughi palestinesi e un milione e duecentomila siriani sfollati, rifugiatisi nel nostro Paese all'indomani della crisi del 2011 che aveva insanguinato il loro Paese.

Le donne in particolare erano presenti in quella sollevazione. Donne di tutte le età, ma più precisamente donne in età lavorativa, e tra loro molte giovani tra i 20 ei 30 anni. C'era chi non aveva ancora trovato lavoro, ma anche chi era stata costretta alla disoccupazione, totale o parziale, a causa della chiusura di diverse decine di migliaia di piccole e medie imprese obbligate a chiudere i battenti a causa della crisi e del rifiuto delle banche di prestare loro denaro ... abbiamo scoperto, purtroppo troppo tardi, che quel rifiuto era dovuto a delle transazioni rischiose ma anche alla dilapidazione delle riserve della Banca Centrale a causa della corruzione e delle misure prese dal governatore di quella banca per consentire ad alcuni politici di accumulare fortune che hanno nascosto in banche svizzere e in altri paradisi fiscali.

Non erano ancora i tempi del Covid 19 che venne, pochi mesi dopo, ad aggravare una situazione che aveva già portato il Libano sull'orlo della bancarotta. In effetti, i successivi confinamenti, ma anche l'esplosione criminale del porto di Beirut e l'impennata del prezzo del dollaro contro la lira libanese hanno completato ciò che era già stato avviato, travolgendo più del 78 per cento della popolazione libanese, la maggioranza della quale sono donne, in povertà e indigenza: alcuni addirittura arrivano a prevedere la fame in meno di un anno.

Di fronte a quali problemi si sono trovate da oltre un anno le donne libanesi, le donne siriane sfollate e le rifugiate palestinesi?

L'associazione Uguaglianza - Wardah Boutros per l'azione femminile, che opera con l’obiettivo di porre fine alla violenza in tutte le sue forme, e che aveva già condotto una campagna contro la prostituzione, il matrimonio di adolescenti e tutte le forme di commercio delle donne. Ha constatato che i tassi di disoccupazione, già alti all'inizio del secondo decennio del 21 ° secolo, sono in rapido aumento. Per questo ci basta fare riferimento allo studio pubblicato nel luglio 2020 dalle Nazioni Unite col titolo «Piano di ripresa per l'uguaglianza di genere».

Disoccupazione ed esclusione

Lo studio specifica che prima del 2019 quasi il 71% delle donne libanesi era già vulnerabile nel mercato del lavoro, sia a causa della concorrenza che dovevano subire da parte delle siriane sfollate, sia a causa della crisi in alcuni settori, soprattutto quello agricolo che è in declino dal momento della chiusura delle frontiere terrestri tra Siria e Giordania, ma anche quello dei servizi e dell'istruzione ... soprattutto perché gran parte delle donne occupate lavoravano a tempo parziale ed erano, quindi, più esposte al licenziamento. Da qui la stima fornita dall'ONU di una disoccupazione del 19% durante l'anno 2019 a cui va ad aggiungersi nel 2020, secondo la nostra stima, oltre il 25% a causa delle misure di austerità nei due settori femminilizzati, ovvero istruzione e sanità ...

Pertanto, il tasso di disoccupazione tra le donne tra i 18 ei 54 anni è sempre più alto, tocca più della metà di esse. E se aggiungiamo quelle che continuano a lavorare part-time o la cui paga si è ridotta tra il 30 e il 50% a causa delle due crisi, economica e sanitaria, soprattutto nei settori della ristorazione, bancario e dell'istruzione, possiamo misurare l'ampiezza del disastro che ci colpisce ... senza dimenticare l'aumento del costo della vita dovuto alla caduta libera della lira libanese che ha perso più del 500 per cento del suo valore, a tal punto che alcuni economisti hanno iniziato a predirci un destino simile a quello del Venezuela.

Violenza domestica e stress

In tali condizioni di esclusione e violenza nel mondo del lavoro, è comprensibile che anche la violenza domestica sia in aumento, soprattutto nelle famiglie più povere dove donne e uomini sono disoccupati o, ancora, in quelle in cui uno dei due ha una occupazione parziale.

Pertanto, i rapporti del servizio delle forze di sicurezza interna (FSI), incaricata di sbarrare la strada alla violenza domestica, notano un aumento crescente di chiamate telefoniche da donne violentate e maltrattate, che arrivano a oltre duemila al mese. Va sottolineato che queste richieste di aiuto sono la punta dell'iceberg, perché il numero di ragazze e donne che vengono picchiate o subiscono altre forme di violenza è molto più numeroso.

Per quanto riguarda la mortalità delle ragazze e delle donne a causa della violenza, essa deve essere moltiplicata per due o tre nel corso dell'ultimo anno.

A tutto ciò non dimentichiamo di aggiungere i vari tipi di stress e malattie psicologiche che affliggono le donne libanesi e che sono il risultato del lavoro precario e dell'impoverimento generale. Malattia dovuta alla paura del giorno dopo, ma anche alla paura della fame il cui spettro incombe sul nostro Paese, soprattutto perché nulla suggerisce che ci sia una soluzione prossima, dato il diffuso clientelismo, le divisioni confessionali che si sono esacerbate e i problemi di quote che impediscono, da più di cinque mesi, la formazione di un governo capace di dare il via a una soluzione della crisi.

Ecco perché stiamo assistendo nuovamente all’occupazione delle piazze de parte della popolazione che rifiuta di morire di fame o a causa del Covid 19, che si sta propagando visibilmente a causa dell'incompetenza dei leader politici che avevano aperto il Paese a tutti i venti durante le festivitàdi fine anno, in particolare l'aeroporto attraverso il quale sono passati i mutanti del virus.

Quali soluzioni si possono prevedere di fronte a questa situazione catastrofica?

I sindacati dei lavoratori, così come le organizzazioni femminili, devono attivarsi per imporre alcuni punti:

1- Esigere dal governo misure di emergenza per almeno sei mesi, durante i quali erogare sussidi alla maggioranza della popolazione e anche alle famiglie dei profughi.

2- La sottoscrizione della Legge 190 dell'Organizzazione Mondiale del Lavoro (OIL) e la rapida promulgazione di misure contro il licenziamento delle lavoratrici, e soprattutto contro tutte le forme di violenza praticate nel mondo del lavoro.

3- Penalizzare la violenza domestica e vietare il matrimonio di ragazze adolescenti promulgando una legge che stabilisca l'età matrimoniale a 18 anni.

4- La creazione di una catena di solidarietà femminile nella nostra regione, con l'obiettivo di consentire alle donne maltrattate ed emarginate di avere la necessaria assistenza psicologica e politica.

Agiamo subito.

Beirut, 29 gennaio 2021

*Marie Nassif-Debs è presidente dell’Associazione Wardah Boutros per l’azione femminile