30/12/20

Lettera di CODEPINK Women for Peace per il nuovo anno

 

 È inutile mettere il rossetto al maiale. Il 2020 è stato un anno devastante nella vita di milioni di persone in tutto il mondo le cui famiglie e comunità sono state sconvolte dal coronavirus e dalla perdita di reddito. Per noi negli Stati Uniti, lo stress era aggravato dalle immagini di una guerra civile in atto e del narcisista alla Casa Bianca che si rifiutava di andarsene.

Normalmente a questo punto continuerei la mia tradizione annuale di ricordare le 10 cose migliori che sono successe quest'anno ma, onestamente, non sono riuscita a mettere insieme 10 cose buone accadute nel 2020

Tuttavia alcuni motivi per esultare ci sono. Nonostante tutte le lamentele di Trump e della sua base sull'elezione rubata, Trump lascerà la Casa Bianca il 20 gennaio 2021. Hurrah!

Non si tratta solo del fatto che Trump lasci. L'arrivo dell'amministrazione Biden è promettente in alcune aree critiche di politica estera, come: porre fine al sostegno degli Stati Uniti alla guerra capeggiata dai sauditi nello Yemen; rientrare in importanti organizzazioni ed accordi internazionali, tra cui l'accordo sul nucleare con l'Iran, l'accordo di Parigi sul clima e tornare a finanziare l’Organizzazione Mondiale della Sanità in modo da poter avviare un’equa distribuzione globale dei vaccini quanto prima possibile.

Siamo anche liete che “la squadra” nel Congresso americano sia sopravvissuta, prosperi e cresca. Oltre ai favolosi quattro, ora abbiamo rappresentanti in arrivo con profondi legami di base che stanno già criticando il complesso militare-industriale, come Cori Bush e Jamal Bowman. In aggiunta ad altri membri progressisti del Congresso, compresi Pramila, Jayapal, Occasio-Cortez, Ro Khanna e Barbara Lee e il senatore Bernie Sanders, possiamo prospettarci alcuni grandi sforzi, all’interno e all’esterno, per fermare le guerre e tagliare il budget del Pentagono nel 2021.

Il movimento per sconfiggere i sistemi oppressivi di polizia e incarcerazione e sostituirli con altri alternativi ha guadagnato terreno quest'anno sulla scia dell'uccisione di George Flloyd a Minneapolis. Molti dei gruppi coinvolti in questi sforzi, come Black Lives Matter e Poor People's Campaign, hanno interiorizzato le connessioni tra la polizia oppressiva in patria e gli interventi militari abusivi all'estero, dandoci nuovi alleati nel movimento contro la guerra. Diminuire il budget alla polizia; battere il Pentagono!

C'è anche un nuovo slancio per spostare risorse dal Pentagono ai bisogni umani. La pandemia ha messo in luce lo stato terribile del nostro sistema sanitario nazionale ed è cresciuto enormemente il supporto ad un sistema sanitario per tutti. Crescono le richieste alla presidente Nancy Pelosi di portare il disegno di legge Medical for All in aula, così come le richieste di reindirizzare la spesa eccessiva del Pentagono verso l'assistenza sanitaria. Sanità non guerra!

Il rallentamento della nostra economia globale ha avuto il suo lato positivo. La Madre Terra ha avuto un attimo di respiro, con il forte calo dell'inquinamento atmosferico che ci dà una lezione sul tipo di mondo che vogliamo costruire dopo la pandemia. Per far fronte alla crisi, le persone in tutto il mondo hanno rafforzato le loro economie locali, costruendo nuovi modelli di cooperazione, cura e resilienza che sono buoni per la terra, costruiscono comunità e creano alternative all'economia di guerra.

Quindi, siamo pronte a realizzare significativi passi avanti nel nuovo anno. Ma spetterà a tutti noi spingere l'amministrazione Biden - e il Congresso - a porre finalmente fine alle guerre infinite, fermare la guerra fredda con la Cina, porre fine alla guerra informatica e alla corsa agli armamenti con la Russia e bloccare le sanzioni assassine contro Iran , Corea del Nord, Cuba e Venezuela, tagliare i fondi al Pentagono e diventare buoni vicini nella comunità globale. Con il vostro aiuto, non vediamo l'ora di raggiungere un mondo più pacifico nel prossimo anno.

Con speranza e determinazione,

Medea Benjamin e l'intero team di CODEPINK – Women for Peace

10/12/20

GENERAZIONE DONNE EUROPEE SXXI

 

SIAMO DONNE DEL XXI SECOLO
VOGLIAMO UN'EUROPA SOLIDALE E ANTIMPERIALISTA

  

Dichiarazione congiunta di Awmr Italia, MDM Spagna e MDM Portogallo sul piano finanziario europeo 2021-2027 NextGenerationEU, emessa nell'ambito delle Giornate internazionali  di lotta antimperialista (ottobre e novembre 2020)

Con il piano finanziario NextGenerationEU, da incorporare nel bilancio pluriennale 2021-2027, l’Unione Europea ha annunciato enfaticamente le tre transizioni – ecologica, digitale, coesione sociale – da realizzare per “riparare i danni della pandemia e preparare il futuro alla prossima generazione”.

Va detto in premessa che, per finanziare NextGenerationEU, l’Unione Europea ricorre all’emissione di titoli di debito e a prestiti sul mercato finanziario, compresi gli istituti finanziari privati. Ciò significa che i paesi europei che accederanno ai finanziamenti contrarranno un debito aggiuntivo che le generazioni future, soprattutto di lavoratrici e lavoratori, dovranno restituire. Una conseguenza da mettere nel conto in aggiunta a quelle già devastanti della pandemia di COVID 19.

In secondo luogo, al di là delle promesse verbali altisonanti, questo documento non contiene alcuna visione reale di quel cambiamento – politico, economico, sociale e culturale – di cui l’Europa avrebbe bisogno per far fronte all’emergenza che la stringe. Ciò che promette questo piano finanziario è il mero ritorno alla “normalità” precedente l’emergenza e la continuità delle politiche sociali ed economiche che negli ultimi decenni si sono imposte con crescente violenza.

Ma tale “normalità” preesistente è proprio ciò che le donne non vogliono, poiché “la normalità era il problema”! La pandemia ha messo a nudo il fallimento delle politiche neoliberiste vigenti nell’Unione Europea e le profonde ingiustizie generate dall’economia capitalistica, rendendo visibile l’incompatibilità fra accumulazione capitalistica e qualità della vita, vita e futuro degli esseri viventi su questo pianeta. E non abbiamo un altro pianeta dove vivere.

In terzo luogo, il piano finanziario della UE manca del tutto di prospettiva di genere, perché non può dirsi tale il riferimento ai diritti delle donne relegati nel capitoletto dedicato alle categorie “socialmente svantaggiate”. Non ci stiamo a questa visione riduttiva, le donne sono la metà e vogliono essere soggetto che decide. Alleate e unite possiamo superare la frammentazione che oggi ci rende più vulnerabili di fronte al sistema capitalistico e patriarcale che ci sfrutta, ci discrimina e continua a privarci di risorse e diritti.

Noi donne esigiamo risposte efficaci alla domanda di uguaglianza e giustizia che esiste ovunque nel mondo. Noi diamo valore alla cura della vita e vogliamo non solo aver voce riguardo alle priorità nella destinazione delle risorse finanziarie, ma anche decidere che cosa, come e per quali finalità produrre, non lasciando la decisione alla violenza del mercato.

Per uscire dall’emergenza sanitaria e sociale esigiamo un cambiamento radicale di paradigma sociale ed economico. Vogliamo che le risorse finanziarie e le innovazioni scientifiche e tecnologiche siano destinate ad assicurare una vita degna e un lavoro dignitoso a tutte e tutti senza eccezione, a ridurre il carico lavorativo mantenendo un reddito compatibile con le esigenze della vita; che siano finanziati adeguatamente i servizi pubblici di assistenza alla persona, della sanità e dell’istruzione; che sia garantito il reddito di base vitale a tutte le donne vittime di violenza, comprese le vittime di tratta e di prostituzione, insieme a tutte le persone disoccupate o che hanno perduto il lavoro a causa della pandemia; che sia assicurata l’integrazione sociale

alle donne migranti e siano riconosciuti i loro diritti al lavoro, alla salute, all’educazione e alla piena cittadinanza.

Quanto alle risorse per finanziare il cambiamento sociale, proponiamo che siano recuperate attraverso la tassazione progressiva della ricchezza patrimoniale – chi più ha più paghi – e l’eliminazione dei paradisi fiscali. 

Esigiamo la riduzione drastica delle spese militari, poiché la cura della vita è incompatibile con i piani di riarmo e l’aumento della spesa militare fino al 2% del PIL, come pretendono gli Stati Uniti dagli alleati della NATO. 

Denunciamo con forza la pretesa di finanziare coi fondi destinati al “recupero” anche l’industria bellica, la ricerca di nuovi sistemi d’arma più sofisticati e l’ampliamento delle basi militari per continuare a generare guerre, ingerenze e aggressioni ai danni dei popoli nel mondo.

Siamo donne in lotta, eredi delle donne che nel XX secolo lottarono per i loro diritti e per la pace, contro il nazi-fascismo, il militarismo e il colonialismo.

Siamo donne del XXI secolo e continueremo a lottare per far sentire forte la nostra parola contro le disuguaglianze, la povertà, la fame, le malattie che si diffondono nel nostro tempo, contro le guerre imperialiste per il dominio dei mercati scatenate dalle oligarchie europee e mondiali.

Noi donne europee del secolo XXI vogliamo un’Europa antimilitarista e solidale, che rispetti la libertà e la sovranità dei popoli, promuova il disarmo e la pace. Siamo la cura della vita, la decisione di fare il mondo migliore deve essere nostra.

Organizzazioni proponenti:

AWMR Italia-Donne della Regione Mediterranea (Italia), MovimientoDemocrático de Mujeres (Spagna), Movimento democrático de Mulheres (Portogallo)

08/12/20

Fahima Hashim / Sfidare il sistema patriarcale e cambiare le leggi in Sudan

 

Fahima Hashim è una femminista e attivista sudanese, che ora vive in Canada. È stata fondatrice e direttrice del Salmmah Women’s Resource Center a Khartoum, in Sudan. Questo centro femminista si è concentrato sulla documentazione della violenza contro le donne e quindi sull'utilizzo di tale documentazione per chiedere riforme al sistema legislativo del Sudan, in particolare le leggi sull'ordine pubblico che regolavano il modo di vestire e agire delle donne in pubblico. Contravvenire a queste leggi poteva comportare dure punizioni. Il Centro ha anche lavorato per cambiare le leggi che regolano lo stupro, poiché le donne che osavano denunciare uno stupro potevano essere accusate di adulterio. Per questo lavoro rivoluzionario, Fahima è entrata nel mirino dei reazionari. Temendo per la sua sicurezza e per quella del suo bambino, è stata costretta a lasciare il paese.

https://nobelwomensinitiative.org/meet-fahima-hashim-sudan/

Puoi parlarci del lavoro che facevi in Sudan come donna difensora dei diritti umani?

Al Salmmah Women’s Resource Center, avevamo due aree di lavoro principali: una era la prevenzione della violenza contro le donne; e l'altra era il peacebuilding. Dovevamo navigare in un contesto in cui era molto difficile lavorare su questi temi. Bisognava capire come potevamo lavorare su questi temi senza mettere a repentaglio le donne con cui lavoravamo, e anche la nostra stessa organizzazione. L'ambiente era molto complicato. La situazione politica non era propizia per svolgere alcun tipo di lavoro su problematiche come la violenza contro le donne o la pace. Il governo non aveva alcun interesse a cambiare le sue politiche, e neanche a portare questi problemi in superficie.

Dato il contesto preoccupante, quali strategie utilizzavate per poter svolgere il vostro lavoro?

Il nostro programma sulla violenza contro le donne si concentrava su due questioni: una era la documentazione di casi di violenza contro le donne in Sudan; la seconda, le riforme legislative. La documentazione era utile per le riforme legislative perché costruivamo i nostri casi sulla base della documentazione. Esaminavamo la questione più ampia di come le leggi negassero alle donne il diritto alla sicurezza e alla dignità. Ad esempio, la legge sull'ordine pubblico regolava la vita delle donne negli spazi pubblici. Guardava cosa indossavano; dove lavoravano; come agivano. Quindi, se non indossavi quello che chiamano un abbigliamento "islamico", potevi essere portata in tribunale e subire 40 frustate in pubblico. Se non leggevi bene la situazione, non potevi essere in grado di compiere il lavoro che avevi programmato. Dovevamo essere flessibili, come attiviste, e piegarci al vento. Con il nostro lavoro siamo state in grado di navigare in spazi pericolosi ma anche di aprire spazi per le donne.

L'accordo di pace del 2005 ha aperto questo spazio per il nostro lavoro. Il governo doveva dimostrare che si stava muovendo verso la pace e così ne abbiamo approfittato. Abbiamo potuto accedere ai media, fare programmi radiofonici, scrivere articoli, andare nelle scuole e nelle università per lavorare con gli studenti. Abbiamo parlato della violenza domestica e delle leggi che discriminano le donne.

Durante la guerra, l'arma preferita era lo stupro. Abbiamo usato quella realtà per dare uno sguardo alle leggi relative alla violenza sessuale. La violenza sessuale era definita una questione privata / pubblica. All'inizio non sapevamo come parlarne. Ci mancava l'esperienza. Allora abbiamo costruito alleanze con organizzazioni e donne fuori dal Sudan. Abbiamo costruito alleanze con organizzazioni con competenze diverse - media, advocacy, ricerca, formazione, diritto - ma tutte interessate alla violenza sessuale. Bisognava cambiare la legge in Sudan che prevedeva che le donne vittime di stupro venissero accusate di adulterio. Siamo andate in Pakistan e abbiamo sentito dalle donne pakistane come avevano cambiato lì una legge simile. A volte, quando ti trovi in ​​una situazione molto controllata, devi sapere come lavorare in modo diverso. Devi sempre pensare a ciò che vuoi ottenere.

Puoi parlarci di cosa vuol dire lavorare sotto un regime autoritario e che condona la violenza patriarcale? Come siete riuscite a raggiungere i vostri obiettivi?

È molto faticoso. A volte ti senti esausta. È faticoso dover sempre pensare se e come fare qualcosa, perché ogni cosa che pensi di fare potrebbe davvero mettere a repentaglio le donne con cui lavori o la tua organizzazione. Come fai a resistere e difendere la tua stessa esistenza e nello stesso tempo modificare gli stereotipi patriarcali? Cambiare le regole patriarcali che ti vengono imposte? Cambiare il tessuto del sistema sociale? Come si cambiano le norme sociali quando il governo ha tutti gli strumenti - i media, le leggi - per diffondere idee che degradano le donne?

Eppure devi lavorare con il governo. Devi negoziare con loro. Se vuoi cambiare la legge o la politica, devi impegnarti con il governo. Possiamo resistere, ma alla fine è il governo che deve cambiare le leggi. Prendi la questione dello stupro nei conflitti, ci ha aiutate nel nostro lavoro con la pace. La parola "pace", per esempio, anche solo nominarla significava che potevi essere arrestata. Quindi, ne andava della tua vita personale, del tuo lavoro. Abbiamo dovuto fare una scelta su come lavorare. Se andavi alle riunioni a Ginevra, per esempio, potevi essere arrestata all'aeroporto al ritorno. Quindi, ci siamo alleate con persone che potevano fare lobby per noi, che potevano lavorare per noi a livello internazionale. Attraverso il networking a livello regionale e internazionale, siamo state in grado di sollevare anche in quella sede certe questioni. E il governo ha sentito la pressione internazionale per cambiare le leggi.

Voglio dire ancora una cosa sul patriarcato. Il patriarcato è in realtà la filosofia dell'intero sistema. Era qualcosa con cui dovevamo avere a che fare a livello personale. Io non voglio indossare un hijab se sono costretta. Vogliono che tu sia umile e spaventata. Dobbiamo sfidare sia il patriarcato nella società che il patriarcato dello stato.

Che peso ha il sostegno internazionale per le attiviste sudanesi?

Senza la pressione e il sostegno internazionali, non avremmo potuto fare il nostro lavoro. Dovevamo tacere. Quando quattro dei nostri partner hanno chiuso, abbiamo dovuto smettere il nostro lavoro pubblico. Le persone venivano arrestate. Il governo cercava di farci paura. Il nostro ufficio venne chiuso. Ma abbiamo continuato a lavorare con altre organizzazioni e, pochi mesi dopo la chiusura del nostro ufficio, le leggi sono state modificate.

trad. dall'inglese di A.D.

Lidia Menapace

 Ciao Lidia, sorella partigiana

La partenza di Lidia Menapace per il suo ultimo viaggio è stata annunciata in anticipo per via del COVID, con quel rumore delle conferme e delle smentite, che credo l’abbia un po’ infastidita. Ora se n’è andata davvero e possiamo salutarla. Ciao per sempre, Lidia, sorella partigiana. 

Staffetta partigiana lo era stata in Valsesia, in Val d’Ossola e sul Lago Maggiore, dove aveva svolto attività di informazioni, soccorso ed evasione a favore dei detenuti politici. Fu congedata nel ’45 col brevetto di “partigiana combattente, col grado di sottotenente” dal Ministero della Difesa, come ci teneva a sottolineare con la sua bella ironia sorridente, ma anche con quella punta d’orgoglio per aver «partecipato alla Resistenza contro l’occupazione nazifascista, all’unica guerra della storia italiana che è stata di popolo».

Poi, pacifista e femminista per la vita. Pacifista “né indifesa né in divisa”. Da femminista dichiarava di appartenere «a un femminismo che definirei della sorellanza, piuttosto che della madre. Perché parlare di simbolico della sorellanza rimanda a un ambito egualitario». Da docente e saggista si è occupata di diverse cose, comprese linguistica e letteratura, ma qui vorrei ricordare che nei primi anni ’90 raccolse in Economia politica della differenza l’elaborazione del gruppo “Scienza della vita quotidiana” dell’UDI, da lei stessa coordinato, precorritore di parole e temi divenuti in seguito di uso corrente nei luoghi femministi, sul «grande valore del lavoro di riproduzione svolto dalle donne, necessario alla specie ma di nessun riconoscimento, né economico né politico».

Da attivista politica fu tra i fondatori del gruppo de “il Manifesto” e poi senatrice della Repubblica, eletta nel 2006 nelle liste di Rifondazione Comunista.   Nell’ultima parte della sua vita, la “sua” Resistenza amava raccontarla soprattutto ai ragazzi e alle ragazze. A cui spiegava, fra le tante cose utili da sapere, che «una questione non risolta nella Resistenza e nella sua storiografia è quella del riconoscimento del ruolo delle donne».

A postilla della sua autobiografia Canta il merlo sul frumento, pubblicata con Manni nel 2015, scrisse: «Aver ripercorso senza rigore, ma addirittura a capriccio il tratto della mia vita fino a qui, a me ha fatto pensare quanto sia stata fortunata a nascere quando e dove nacqui, sì da poter partecipare nel corso di una sola vita alla Resistenza, al Sessantotto, alla crisi del capitalismo». 

Ada Donno

L'articolo è stato già pubblicato su  Il Paese delle donne :  http://www.womenews.net/2020/12/07/ciao-lidia-sorella-partigiana/

   



01/12/20

1°dicembre 1945-2020 - 75 anni della Federazione Democratica Internazionale delle Donne

 Quale impatto ebbe la sua fondazione sul movimento delle donne?


di Brigitte Triems*

Parigi. 1 dicembre 1945, una data storica. Vide la luce un'organizzazione che sarebbe diventata una delle più importanti alleanze del movimento globale delle donne: la Women's International Democratic Federation (WIDF).

Erano passati appena sei mesi dalla fine della seconda guerra mondiale, che aveva portato infinite sofferenze a milioni di persone. Le ferite fisiche e mentali che la guerra aveva lasciato erano tutt'altro che guarite. Milioni di donne avevano combattuto contro il fascismo e i suoi crimini e difeso la dignità umana. Avevano perso i loro parenti più stretti, i loro mariti e i loro figli; erano state sottoposte a torture disumane nei campi di concentramento nazisti; avevano vissuto e combattuto nell'illegalità. Le univa una comune richiesta: «Mai più una guerra!». Tra loro c'erano donne che sarebbero diventate le prime figure di spicco del WIDF. L’eminente scienziata francese e combattente della Resistenza Eugénie Cotton fu eletta prima presidente della WIDF; la prima segretaria generale fu Marie-Claude Vaillant-Couturier, che era sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz e Ravensbrück e che era comparsa come testimone nel processo di Norimberga.

Già nel marzo 1943, quando a Londra si celebrava la Giornata internazionale della donna con la partecipazione di antifasciste di ogni estrazione sociale, nacque l'idea di creare una federazione globale di donne. Negli anni che seguirono, questa idea prese forma. Donne di tutte le classi sociali e con diverse posizioni ideologiche, politiche e religiose, in particolare francesi e britanniche, formarono un Comitato preparatorio internazionale nel 1945 per il primo Congresso mondiale delle donne, che ebbe luogo a Parigi dal 26 novembre al 1 dicembre 1945, e che culminò nella fondazione della WIDF.

Le 850 partecipanti, provenienti da 41 paesi, espressero la volontà di unire le forze per proteggere la vita dei propri figli, per il rispetto dei loro diritti di madri, lavoratrici e cittadine, per il raggiungimento e la difesa dell'indipendenza nazionale e delle libertà democratiche, nonché per il definitivo abbattimento del fascismo e la difesa della pace.

All’atto della fondazione della WIDF, il 1° dicembre 1945, le partecipanti fecero un giuramento che è rimasto la linea guida delle loro azioni nei 75 anni seguenti:


«A nome di 81 milioni di donne, facciamo solenne giuramento di difendere i diritti economici, politici, civili e legali delle donne, di lottare per la creazione delle condizioni indispensabili per lo sviluppo armonioso e felice dei nostri figli e le generazioni future, di lottare instancabilmente affinché il fascismo venga spazzato via per sempre in ognuna delle sue forme e in modo che un’autentica democrazia sia stabilita in tutto il mondo, di lottare senza tregua per assicurare al mondo un pace duratura, unica garanzia di felicità nelle nostre case e di sviluppo dei nostri figli.»

La storica Francisca de Haan descrive la WIDF come un'organizzazione-ombrello internazionale progressista, femminista di sinistra, con un focus su pace, diritti delle donne, anticolonialismo e antirazzismo. Nella sua analisi della WIDF, sottolinea le principali differenze tra la WIDF e le associazioni femminili internazionali stabilite in precedenza, come la Women's World Association (International Council of Women) e la World Association for Women's Suffrage (International Alliance of Women). Da un lato c'era la forte enfasi sulla difesa della pace, risultante dalle terribili esperienze e dalla lotta di resistenza delle fondatrici della WIDF durante la seconda guerra mondiale: esse erano profondamente convinte di dover fare di tutto perché una simile guerra non affliggesse mai più l'umanità. Dall’altro, vedevano anche la pace come il prerequisito necessario per l'attuazione dei diritti delle donne e dei bambini.

D'altra parte, la WIDF era più inclusiva perché univa donne di tutte le classi sociali e aveva forti associazioni affiliate in tutti i continenti. L'universalità della WIDF e l'appeal del suo programma si riflettevano nella sua costante crescita: nel 1945 la WIDF contava 41 organizzazioni associate; nell'Anno internazionale delle donne 1975 le organizzazioni affiliate erano 103, oggi ne conta 135, unendo donne di diversi paesi di tutti i continenti, indipendentemente dalla loro provenienza. Questo costituisce a tutt’oggi la sua forza.

Non è stato affatto facile trasformare una simile unione dopo la seconda guerra mondiale nella federazione che è oggi. Gli oppositori accusavano la WIDF di essere una "organizzazione di facciata sovietica," che persegue compiti completamente diversi rispetto alla realizzazione degli obiettivi fissati nel programma.[ii] Affermavano che la WIDF era stata fondata dal movimento comunista internazionale e non era interessata ai diritti delle donne.

In questa attività di calunnia si distinse particolarmente il Committee for Un-American Activities (HUAC), fondato nel 1938: in un rapporto del 1949 sulla WIDF l’accusò di essere uno "strumento sovietico” e non un'organizzazione internazionale progressista delle donne, tanto che l’organizzazione americana affiliata alla WIDF, l’American Women's Congress (CAW), fu costretta a sciogliersi nel 1950 a causa della massiccia pressione da parte dell'HUAC. Nel periodo successivo la WIDF ha dovuto far fronte ad altre situazioni difficili, ovviamente dovute anche alle pressioni dell'HUAC. Quando la WIDF protestò contro le azioni del potere coloniale francese con dichiarazioni ed espressioni di solidarietà con il popolo vietnamita, durante la guerra in Indocina, il governo francese ne ordinò l'espulsione dalla Francia nel 1951. Il governo della DDR offrì sostegno alla WIDF, in modo che dal 1951 la segreteria della Federazione trasferì la sede centrale a Berlino. La WIDF subì un'ulteriore battuta d'arresto quando nel 1951 inviò una commissione internazionale d'inchiesta con sue rappresentanti da 17 paesi nella Corea del Nord, per indagare sulla situazione di donne e bambini vittime di attacchi aerei e massacri di civili da parte delle truppe statunitensi. Il rapporto finale «We Accuse», pubblicato in diverse lingue, portò alla revoca del loro status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite sotto la pressione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nel 1954. Fu solo nel 1967 che tale status è stato ripristinato; nel 1969 la WIDF fu collocata nella categoria più alta, lo status consultivo generale.


La WIDF ha sempre attribuito grande importanza alle Nazioni Unite. Già al congresso di fondazione sostenne la creazione nell’ambito delle Nazioni Unite di una Commissione sulla condizione delle donne (CWS). Nel 1972, alla riunione della Commissione, la WIDF propose che fosse indetto un Anno internazionale delle donne, cosa che ebbe luogo con decisione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1975. La WIDF fu anche una delle promotrici della Convenzione sull'eliminazione di tutti Forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1979.

Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, in particolare, l’esistenza della WIDF ha permesso alle donne di avvicinarsi per conoscersi meglio e comprendere meglio le diverse condizioni in cui lavoravano nei loro paesi, tenendo conto delle realtà sociali dei loro paesi. Ciò ha portato a innumerevoli azioni congiunte per la difesa dei diritti delle donne e della parità tra donne e uomini nella società. In questo contesto, è necessario sottolineare che il primo statuto della WIDF ha individuato come una priorità la necessità di lottare per i diritti delle donne. Tuttavia, la Guerra Fredda e le paure di una nuova guerra mondiale hanno portato alla polarizzazione e ad un cambiamento di visione del mondo, focalizzando soprattutto la lotta per la difesa della pace mondiale, a scapito della lotta per i diritti delle donne. Nella sua lunga storia, il WIDF ha combattuto costantemente e attivamente per il mantenimento della pace, contro la minaccia di una guerra nucleare e per il disarmo mondiale. Particolarmente degna di nota è la forte e ferma solidarietà della WIDF con le donne dei paesi che lottano per la loro indipendenza nazionale e che si oppongono all'oppressione in tutte le sue forme.

I passaggi salienti della lunga attività della WIDF comprendono i congressi mondiali delle donne a Budapest, Copenaghen, Vienna, Mosca, Helsinki, Berlino e Praga, il congresso mondiale delle madri a Losanna e l'apertura del centro sanitario per la protezione delle madri e i loro figli ad Hanoi.

Un periodo difficile ebbe inizio per la WIDF dopo la riunione del Consiglio generale del settembre 1989. Era necessario adattarsi alle nuove condizioni politiche globali, che hanno richiesto cambiamenti radicali nella struttura della WIDF, nelle forme e nei metodi di lavoro. Soprattutto, ciò includeva una maggiore attenzione al lavoro nelle regioni del mondo in cui operano le associazioni affiliate. Al 10° Congresso WIDF a Sheffield, nel marzo 1991, le partecipanti si sono impegnate pienamente per gli obiettivi fondanti della WIDF e hanno fatto appello alle donne di tutto il mondo a continuare a lottare per i diritti delle donne e l'uguaglianza tra donne e uomini e ad unirsi per la creazione di un futuro di progresso, giustizia e pace.

A causa della mancanza di interesse da parte del governo federale tedesco a mantenere la sede della WIDF a Berlino e per le crescenti difficoltà finanziarie, la sede della WIDF fu spostata in Francia nel 1992 e in Brasile nel 2002. Oggi la sede centrale della WIDF è nel Salvador, dal 2016. L’attuale presidente è Lorena Peña, ex presidente del parlamento di El Salvador.

La WIDF è rimasta fedele al giuramento fatto dalle fondatrici della WIDF nel 1945 e continua ad operare oggi per migliorare la situazione delle donne, per garantire la democrazia e la pace, per eliminare finalmente il fascismo e il razzismo e per aprire la strada a un futuro felice per le generazioni che verranno.

*Presidente dell'Associazione delle donne democratiche (Germania)

#FDIM75 #WIDF75 #FDIF75

[i]   Hoffnungen auf eine bessere Welt: Die frühen Jahre der Internationalen Demokratischen Frauenföderation (IDFF/WIDF) (1945 – 1950)” in Gabriele Kämper, Regine Othmer, Carola Sachse (Eds.), Gebrochene Utopien. Feministische Studien vol. 27, no. 2 (November 2009): 241-257.

[ii]   Committee on Un-American Activities, U.S. House of Representatives [hereafter, HUAC], Report on the Congress of Ameri-can Women (Washington: United States Government Printing Office, 1950, 23 October 1949, original release date) 

COLOMBIA / IV MISSIONE DELLA FDIM PER LA VERIFICA DEGLI ACCORDI DI PACE

 A BOGOTÁ SI È CONCLUSA LA QUARTA MISSIONE INTERNAZIONALE CHE VERIFICA L'APPLICAZIONE DELL'APPROCCIO DI GENERE NEGLI ACCORDI DI PACE 


La Federazione internazionale democratica delle donne (FDIM), facente parte della Componente Internazionale per la verifica dell'Approccio di genere nell'attuazione dell'Accordo finale per la pace in Colombia, si rivolge agli organismi e organizzazioni internazionali, a organizzazioni sociali ed enti governativi, alla Commissione per il monitoraggio, la promozione e la verifica dell'attuazione dell'Accordo Finale (CSIVI) e alla cittadinanza tutta per illustrare in modo preliminare e sintetico gli elementi contenuti nel Rapporto Finale della IV Missione di Verifica.

1.       In qualità di organizzazione internazionale che accompagna l'attuazione dell'approccio di genere nell'Accordo di Pace, chiediamo al governo nazionale, guidato dal presidente della Repubblica di Colombia, Iván Duque, di adottare, nel quadro del rispetto dei diritti umani, tutte le misure necessarie per garantire efficacemente la sicurezza e la vita dei/delle firmatari/e dell'Accordo di Pace, che sono stati/e oggetto di attacchi sistematici e ripetuti da parte di diversi attori armati, come forma di intimidazione alla verità, elemento indispensabile per superare decenni di conflitto armato e prevenire un nuovo genocidio di un partito politico, come a suo tempo accadde con l'Unione Patriottica. È allarmante che, nonostante gli annunci di piani, misure e i continui appelli a dare priorità alla protezione di questi soggetti, tale tragedia non abbia fine. Ad oggi, secondo quanto riportato dall'Unità Investigativa e di Accusa della Giurisdizione Speciale per la Pace, sono stati perpetrati 242 omicidi di ex combattenti, 55 tentati omicidi e 20 sparizioni forzate.

2.       Allo stesso modo, chiediamo protezione efficace e diligente per i/le leader sociali e gli esponenti dell’opposizione, che si compiano tutte le azioni necessarie per fermare l'ondata di minacce e massacri contro la popolazione civile, intensificatisi nell’anno in corso, e contro oltre 1000 leader sociali e difensori dei diritti umani, 36 dei quali sono donne.

Bogotà 25 novembre 2020 Foto FDIM

        Nella costruzione di Pace, non conta tanto la raffinatezza del suo disegno, quanto è assolutamente importante la sua attuazione. Per questo la IV Missione si rammarica della difficile situazione dell’ordine pubblico che il Paese sta attraversando, con l’aggravarsi delle violenze che i colombiani subiscono da anni, soprattutto nelle zone dove in passato agivano le ex FARC-EP, lasciati alla deriva davanti all'abbandono delle istituzioni, con episodi visibili di sfollamento forzato, confinamento di intere popolazioni e violenza contro le donne. Sollecitiamo il governo nazionale a prendere le decisioni adeguate perché cessino gli innumerevoli atti che causano vittime in aumento quest'anno.

4.       Richiamiamo l'attenzione sugli scarsi progressi nell'attuazione di alcuni aspetti dell'Accordo di Pace, sugli evidenti ritardi nello sviluppo di diversi punti dello stesso, come nel caso della riforma rurale globale e della sostituzione delle colture illegali. È urgente procedere su questi temi, poiché in ultima analisi sono due cause centrali della continuità delle violenze. Una delle principali richieste delle donne riguarda l'accesso alle terre produttive e ai crediti per produrre e garantire la sopravvivenza della famiglia, al fine di realizzare un cambiamento nell'attività economica e nelle loro forme di sussistenza. Ecco perché l'attuazione degli accordi in modo efficace, senza ostacoli burocratici, senza ritardi, è la grande sfida da vincere per fare progressi nella pace.

5.      


Allo stesso modo, persistono i divari tra l'attuazione generale dell'Accordo di Pace e l'Approccio di genere: le misure di correzione degli enti statali non sono sufficienti, generano maggiori iniquità e disuguaglianze di genere, specialmente nei territori colpiti dalla guerra. Insistiamo sulla necessità di una maggiore volontà politica di mettere in pratica quanto concordato, nonché di fornire risorse sufficienti per garantire l'esecuzione delle misure stabilite nel PMI.

6.       Il rafforzamento e la visibilità della leadership politica e sociale delle donne vengono azzerati dall'aumento della violenza nelle aree rurali, dall'aumento dei femminicidi, dall'assassinio di leader sociali, uomini e donne, dal reclutamento forzato di bambini, ragazze e adolescenti e dalle stragi che generano terrore, ostacolano la partecipazione sociale e politica delle donne, tutti fattori che distruggono la già precaria democrazia colombiana.

7.       Insistiamo sull'estensione dell'approccio di genere e delle azioni positive per le persone LGBTIQ, attraverso l'articolazione dei PDET con l'intero complesso di politiche pubbliche a livello nazionale, con i piani di sviluppo dipartimentali e municipali. Allo stesso modo, suggeriamo di promuovere la formazione dei funzionari pubblici sull'approccio di genere e sulle metodologie differenziali.

8.       Raccomandiamo di rafforzare l'Unità Speciale d’Indagine e Smantellamento delle organizzazioni criminali, perché blocchi l'assassinio selettivo e sistematico di ex combattenti e leader sociali, in particolare donne, posteriore alla firma dell'Accordo di Pace.

9.       Suggeriamo che il governo della Colombia riprenda completamente il Programma nazionale per la sostituzione delle colture di uso illecito (PNIS), eserciti maggiore vigilanza sugli operatori dei progetti delle famiglie beneficiarie, specialmente quelle in cui le donne sono capofamiglia. che rappresentano circa il 34% del totale dei beneficiari. Esortiamo il governo a non militarizzare i territori nella sua politica di guerra alla droga e a rispettare l'Accordo di pace.

10.   Chiediamo all'Agenzia Nazionale per la Reincorporazione di tener conto dell'approccio di genere, dato che del totale dei progetti produttivi di carattere collettivo approvati, le ex combattenti beneficiarie sono il 28,5% e del totale dei progetti individuali approvati, le beneficiarie sono il 25,84%. Urge che il CNR prenda provvedimenti per colmare questo divario.

11.   Sottolineiamo l'integrazione dell'approccio di genere in tutto il Sistema di Verità, Giustizia, Riparazione e Non Ripetizione, che viene portato avanti con successo, sia nella Commissione per il Chiarimento della Verità, che nella Giurisdizione Speciale per la Pace e nel Unità di ricerca di persone date per scomparse, lavoro che si è concretizzato nella creazione di gruppi, commissioni e metodologie specializzate che ne consentono l’estensione: la loro esperienza può essere un incentivo perché altri enti, programmi e piani derivanti dall'Accordo di pace acquisiscano l’approccio di genere nel loro lavoro. Ancora una volta chiediamo al governo nazionale di mettere a disposizione le risorse necessarie perché svolgano le loro funzioni.

12.  

Bogotà 25 novemre 2020 Foto FDIM

Segnaliamo il lavoro svolto dalla Giurisdizione Speciale per la Pace (JEP); tuttavia, richiamiamo l'attenzione sulla necessità di dare avvio al macrocaso[H1]  sulla violenza sessuale, che è un debito dello Stato colombiano nei confronti delle donne che l'hanno subita durante decenni di conflitto armato; senza peraltro trascurare l'acquisizione dell'Approccio Etnico, data la diversità che contraddistingue i territori colombiani e le loro popolazioni. 

D'altro canto, riteniamo della massima importanza che la Commissione per il Chiarimento della Verità includa nel suo rapporto una sezione specifica sul genere, debito storico delle istituzioni verso la società.

13.   Evidenziamo il lavoro della II Missione delle Nazioni Unite, delle organizzazioni di cooperazione internazionale e della componente internazionale nel monitoraggio dell'attuazione dell'approccio di genere che accompagni la costruzione della pace in Colombia, il suo finanziamento, sostegno e il suo monitoraggio.

14.   Al fine di avanzare nella ricerca di una pace completa, insistiamo affinché il governo nazionale riprenda il tavolo di dialogo esplorativo con l'Esercito di Liberazione Nazionale.

15.   Esprimiamo la nostra grande preoccupazione per la stagnazione del lavoro del CSIVI, dato che su 17 sessioni portate avanti finora quest'anno, tutti i delegati designati dal Governo Nazionale, secondo quanto concordato nell'Accordo di Pace, hanno partecipato solo a 4 sessioni. Pertanto, chiediamo di regolarizzare e normalizzare il suo funzionamento.

16.   Chiediamo un'azione efficace per smantellare i gruppi armati illegali e paramilitari, come concordato nell'accordo di pace.

17.   Apprezziamo la gestione dell'Alta Istanza delle Donne, che ha ottenuto l'acquisizione di 50 indicatori nel Piano Quadro di Attuazione dell'Accordo di pace, per misurare l'acquisizione dell’approccio di genere nelle diverse azioni. Tuttavia, dimostriamo che non dispone delle garanzie di bilancio e logistiche per il suo corretto funzionamento.

18.   Sottolineiamo l'urgente necessità di promuovere riforme alla normativa elettorale e politica che garantiscano candidature in termini di parità tra uomini e donne e altri cambiamenti per estendere la democratizzazione e la trasparenza nella partecipazione politica, un aspetto centrale in questa fase postbellica. Esortiamo lo Stato colombiano a realizzare speciali circoscrizioni di pace come garanzia di inclusione dei territori storicamente colpiti dal conflitto.

La Colombia deve superare gli ostacoli che si presentano quotidianamente nell'attuazione della pace. Per questo è necessaria una maggiore volontà di tutti gli attori politici, sociali e istituzionali, per lavorare insieme in questo sforzo che ci riguarda tutti e tutte, e per superare decenni di violenza, intolleranza e atti aberranti, con garanzie di non ripetizione.

A distanza di quattro anni dalla firma dell'Accordo, la Federazione Internazionale Democratica delle Donne ribadisce il suo impegno e sostegno al processo di pace, alle donne e al popolo colombiano. Non ci arrenderemo finché in Colombia non vi sarà pace, rispetto dei diritti umani, giustizia sociale e una democrazia piena ed egualitaria!

Bogotá D.C, Colombia, 27 novembre 2020

Le componenti della IV Missione FDIM:

Argentina: Cristina Romano

Italia: Ada Donno

Perú: Rita Rojas

Ecuador: Rosa Salazar

Brasil: Liege Rocha

Venezuela: Maritza Roquetts

Guatemala: Alba Estella Maldonado  e Ana María Monzón

El Salvador: Jenniffer Velásquez

Líbano: Wafy Ibrahim

Colombia: Gloria Inés Ramírez, Magnolia Agudelo, Alba Cecilia Pineda, Gloria Lara, Elvinia, Lina Collazos, Beatriz Hernández, Matilde Mora y delegadas territoriales de Asonam, Asudemuj, Corporación casa de la mujer y la familia Stella Brand, UMD y CONAMU.


 [H1]