31/05/20

1° giugno, Giornata internazionale dei bambini e delle bambine

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L’associazione Russia’s Hope ricorda in un messaggio alle donne del mondo che la giornata per la protezione dell’infanzia fu istituita 70 anni fa per iniziativa della Federazione Democratica Internazionale delle Donne







Care amiche,


condivido di cuore e cordialmente con voi il nostro grande e glorioso comune anniversario. 70 anni fa, il 1° giugno 1950, l'umanità progressista per la prima volta celebrava una meravigliosa festa: la Giornata internazionale per la protezione dei bambini e delle bambine.
Siamo orgogliose che questa festa sia stata istituita dalla Federazione Democratica Internazionale delle Donne (WIDF/FDIM) che, nel suo congresso di Mosca del 1949, ne propose la ricorrenza ogni anno in tutto il mondo.

L'istituzione di questa festa, che ha ricevuto ampio sostegno sia dalle popolazioni sia dalle istituzioni statali e internazionali, comprese le Nazioni Unite, è stata una brillante conquista della WIDF/FDIM e ha contribuito notevolmente a rafforzare l'autorevolezza di questa storica organizzazione femminile autenticamente democratica e progressista.

Oggi noi donne del mondo stiamo lottando per i diritti dei bambini in condizioni estremamente difficili. La grave crisi economica causata dall'epidemia di coronavirus ha colpito fortemente l’economia capitalistica e ha portato a un forte calo della produzione, alla chiusura delle imprese e alla perdita di molti posti di lavoro. Tutto questo è avvenuto anche negli stati che in passato facevano parte dell’Unione Sovietica. Al contempo, possiamo vedere come nei paesi socialisti si è riusciti a ridurre al minimo le conseguenze dell'epidemia e a prevenire una caduta del tenore di vita delle lavoratrici e dei loro figli.

In questo momento cruciale, il compito più importante per noi è serrare le fila del nostro movimento, rafforzare la nostra solidarietà, unire le nostre volontà nello sforzo di proteggere la salute e il benessere dei nostri figli.
Vi auguro sinceramente, care amiche, grande serenità e nuovi successi nella meritoria azione che svolgete per il futuro dei nostri figli e della vita sulla Terra!

Russia’s Hope
Rappresentante della WIDF nella CSI

18/05/20

Cina e Usa di fronte all’emergenza COVID-19


La Cina, la "tigre di carta" imperialista e il Medio Oriente

“Il modello cinese è un'alternativa al capitalismo brutalmente ineguale e guerrafondaio degli Stati Uniti e al suo impresentabile capo di stato!”






«Forte all’apparenza, ma in realtà è una tigre di carta incapace di resistere al vento e alla pioggia», disse Mao Zedong dell'imperialismo USA. Da allora è piovuto molto e, parallelamente all'aumento della sua aggressività militare, gli Stati Uniti si sono trasformati in qualcosa di simile a uno stato fallito, venuto allo scoperto davanti al mondo dapprima con l'uragano Katrina (2005) e ora con il coronavirus: il paese che ospita solo il 4% della popolazione mondiale ha un terzo dei casi di Covid-19 del pianeta, con circa 88.000 morti e 36,5 milioni di disoccupati fino ad oggi.
A confronto, la Repubblica popolare cinese (RPC) si presenta come un efficace gestore della pandemia a livello nazionale - i vantaggi di un'economia pubblica e pianificata - e leader mondiale e alternativo agli Stati Uniti, che invia forniture mediche e aiuti finanziari ad almeno 100 paesi. La RPC, senza avere le enormi risorse naturali degli Stati Uniti e con una popolazione quattro volte più grande, nutre un quinto dell'umanità ed è stata ancora in grado di quadruplicare i salari reali dei suoi lavoratori negli ultimi 20-25 anni, secondo l'economista britannico Richard Wolff, nonché di sollevare 850 milioni di persone dallo stato di povertà negli ultimi decenni, secondo il plauso delle Nazioni Unite. Il modello cinese è un'alternativa al capitalismo brutalmente ineguale e guerrafondaio degli Stati Uniti e al suo impresentabile capo di stato!

Questa situazione sta dando luogo a dibattiti su un nuovo ordine mondiale e sulla possibilità che la RPC scalzi gli Stati Uniti dal ruolo egemonico che hanno ricoperto dal 1946.
Tuttavia, in Medio Oriente (MO), regione strategica per il fatto di possedere circa il 65% del petrolio e del gas del mondo ed essere vicina alle due grandi potenze, Cina e Russia, questa realtà è percepita diversamente. E cioè: non è affatto vero, come sostengono gli avversari di Donald Trump più bellicosi, che egli abbia abbandonato il Medio Oriente consegnandolo a Russia e Cina. Al contrario, il presidente ha ottenuto di:
-          Espandere il potere di Israele, dando una"soluzione finale" alla causa palestinese.
-          Mantenere l’affare della guerra contro lo Yemen.
-          Stabilire nuove sanzioni contro l'Iran, strangolandolo.
-          Aumentare il numero delle sue truppe in Arabia Saudita, Iraq e Afghanistan.
-          Collocare una ventina di basi militari in Siria e mandare il partner della NATO, la Turchia, ad occupare parte del suo territorio e, nel processo, impantanare questo stesso alleato ribelle.
-          Smantellare l'OPEC e assumere il controllo del prezzo del petrolio.
-          Militarizzare ulteriormente il Golfo Persico.
      
La posizione della Cina

La politica nazionalista guidata da Mao Zedong, che pose fine al "secolo dell'umiliazione", fu incarnata nella Teoria dei Tre Mondi, secondo cui gli Stati Uniti e l'URSS erano imperialisti e formavano il primo mondo; Europa, Giappone, Canada e Australia appartenevano al secondo, e la Cina con i paesi sottosviluppati costituivano il terzo mondo (da qui l'espressione); di conseguenza gli ultimi due avrebbero dovuto unirsi per sconfiggere il primo, con un gravissimo errore di analisi: gli Stati Uniti erano un impero in declino, quindi la Cina avrebbe dovuto reclutare il mondo contro "l'imperialismo sociale ascendente" sovietico. Henry Kissinger approfittò della divisione tra i due giganti socialisti e preparò la visita di Nixon nel 1968 in un viaggio segreto in Cina con due scopi: 1) contenere l'URSS, e 2) chiedere l’aiuto cinese per uscire dalla palude vietnamita.

Questo approccio, che esclude il concetto di "lotta di classe", riappare durante le rivolte popolari arabe nel 2011: sia la Cina che la Russia etichettano come "cospirazione" le primavere arabe, come se la lotta contro la povertà e per la libertà si fosse paralizzata in queste società per magia. Le ribellioni popolari in Egitto, Tunisia, Yemen, Iraq, Arabia Saudita e Bahrein - il quartier generale della VI flotta americana (dove i carri armati sauditi invasero il paese per reprimere le proteste di Pearl Square) - non avevano nulla a che fare con le trame degli Stati Uniti e dei loro alleati contro la Libia e la Siria.
Partendo da questo punto di vista, la RPC ha stretto alleanze strategiche con Arabia Saudita, Algeria, Egitto, Iran, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Giordania, Kuwait, Marocco, Oman, Qatar e Turchia ed è, dal 2013, il maggiore investitore straniero nella regione con circa 123 miliardi di dollari.

I successi di Pechino sono dovuti a diversi fattori:

-          Non ha un'agenda imperiale né una storia coloniale, né proclama "scontri di civiltà" del buddismo o del confucianesimo contro l'Islam o l'ebraismo. La "guerra religiosa" si verifica piuttosto all'interno delle stesse religioni semitiche. La Cina preferisce mantenere un profilo basso e non essere coinvolta nella politica della regione.
-          Applica la regola "occhio per occhio in positivo": un atteggiamento di reciprocità e riconoscenza e, avvolto in un alone di debito morale, profondamente radicato nelle culture di questa regione e difficile da captare, intendere e decifrare dagli estranei.
-          Pone la "cooperazione tra stati" al centro della propria diplomazia, respingendo l'approccio sia di Hobbes che di Marx allo stato.
-          Proietta il suo potere, non attraverso la militarizzazione di regioni strategiche o un realismo offensivo, ma basato sull'interdipendenza economica che si riflette nell'Iniziativa "Belt and Road", la Nuova Via della Seta che cerca "sviluppo reciproco” degli stati e una crescita condivisa. Per tale più grande progetto infrastrutturale della storia, ha già stanziato circa 400 miliardi di dollari in circa 80 paesi. Negli Stati Uniti, l'industria delle armi è uno dei pilastri dell’economia: le sue esportazioni occupano il 36% della quota di un mercato in cui la Cina ha il 5,2% della quota.
-          Il fattore umano: se si confronta il presidente Xi, dalla leadership calma, seria e rispettosa, con quello di Donald Trump, si resta senza commenti.

“La Cina, il maggiore attore sulla scena della storia, non richiede un nuovo ordine mondiale, lo sta producendo alla velocità della luce”

15/05/20

15 maggio 2020 / 72° anniversario della Nakba palestinese


I Palestinesi hanno diritto ad avere il loro Stato e a vivere in pace. Diciamo No all'annessione dei Territori occupati da Israele

72 anni fa come oggi, si compiva la NAKBA (catastrofe) palestinese, l’espulsione dei Palestinesi dai loro Territori per mano delle milizie sioniste. L’ Awmr Italia ha firmato la Petizione per una pace giusta in Palestina inviata al governo italiano dalla Rete della pace:





Di fronte alle ripetute dichiarazioni dell'Amministrazione USA di voler sostenere Israele con l’occupazione e l’annessione dei territori palestinesi della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Valle del Giordano denunciamo ancora una volta il grave errore che si sta compiendo pensando che il "Piano del secolo", proposta unilaterale del Presidente Trump, possa sostituire e spazzar via le Risoluzioni delle Nazioni Unite e il diritto internazionale.

A questo disegno, improntato ancora una volta su di una visione del mondo unipolare, miope, arrogante, fondata sul ricatto che ha già provocato guerre e sofferenze in tutta la regione medio orientale, non vi può essere indifferenza o silenzio da parte della comunità internazionale.
La pace giusta è un impegno ed una responsabilità di ogni democrazia e comunità che si riconosce nei principi e nei valori della Carta delle Nazioni Unite e nel primato del diritto e della politica per la risoluzione dei conflitti.

Rinnoviamo quindi le nostre richieste già espresse nella “lettera-appello” rivolta al Governo italiano e alla Unione Europea per l’immediato riconoscimento dello Stato di Palestina nei confini del 1967 con Gerusalemme capitale condivisa, decisione che non può più essere rinviata, dimostrando così la volontà e l’impegno per la pace giusta nel solco del diritto internazionale.

Chiediamo, inoltre, di adottare azioni concrete e coraggiose a favore della legalità internazionale, ivi compreso quanto sancito dalla IVConvenzione di Ginevra, sospendendo, in caso di violazioni, gli accordi commerciali ed economici collegati e di sospendere la cooperazione militare con lo Stato di Israele, fin quando persisterà l’occupazione e l’isolamento della Striscia di Gaza. Non si può continuare a far finta di nulla di fronte alla sofferenza del popolo palestinese e all'esproprio della sua terra.
Il popolo palestinese ha diritto ad avere il proprio Stato e a vivere in pace.

13 maggio 2020


09/05/20

Cecile Rol-Tanguy, eroina della Resistenza francese


“Fedele ai suoi ideali di gioventù fino all’ultimo respiro”



L’8 maggio, 75° anniversario della fine della Seconda guerra Mondiale, è deceduta Cecile Rol-Tanguy (101 anni). 

Ebbe un ruolo chiave nella Liberazione di Parigi accanto al marito Henri Rol-Tanguy







Molte donne che hanno avuto un ruolo chiave nella storia sono state spesso relegate nel ruolo di "moglie di". Questo è accaduto talvolta anche a Cécile Rol-Tanguy, che era sposata, sì, con Henri Rol-Tanguy, l'eroe della Liberazione di Parigi nel 1944, ma anche un'eroina della Resistenza per merito proprio. Era la dimostrazione che la lotta antifascista è stata fatta, in buona parte, dalle donne. Proprio nel giorno in cui si celebrava il 75° anniversariodella fine della seconda guerra mondiale, si è spenta la vita di Cécile Rol-Tanguy, all'età di 101 anni, non senza aver prima ottenuto il proprio riconoscimento nella storia.

Cécile Rol-Tanguy è deceduta nella sua casa di Monteaux, nella Francia centrale, come riferito dalla sua famiglia. «Con lei scompare una delle ultime figure della Resistenzafrancese e, più precisamente, della Liberazione di Parigi nell'agosto del 1944», hanno detto i suoi parenti in una dichiarazione inviata all'Agence France Presse. La sua età avanzata le aveva impedito, l'anno scorso, di assistere all'inaugurazione del Museo della Liberazione in commemorazione del 75 ° anniversario della fine dell'occupazione nazista della capitale francese, nella quale Cécile Rol-Tanguy ebbe un ruolo fondamentale. 


Il museo si affaccia sulla Coronel Rol-Tanguy Avenue, nel 14° arrondissement di Parigi, di fronte all'ingresso delle catacombe che servirono a Henri Rol-Tanguy come quartier generale da cui guidò l'insurrezione parigina che portò alla liberazione della capitale quando vi entrarono le truppe del generale Leclerc, con in testa i soldati spagnoli della brigata La Nueve.
Un impegno al quale anche Cécile prese parte attiva, come ricordava suo figlio Jean Rol-Tanguy lo scorso anno nelle dichiarazioni a questo giornale, sottolineando il ruolo di Cécile: «Anche mia madre era sempre lì presente l’intera settimana. I miei genitori hanno combattuto per le loro idee, la libertà, la democrazia. Oggi, un po' dovunque, anche in Francia, si alzano voci retrograde, filo-fasciste o filo-naziste. È tempo per noi di ricordare questi ideali e quelle battaglie».

La lotta politica fece parte integrante della vita di questa figlia unica di un elettricista, attivista comunista, entrato nella Resistenza e morto ad Auschwitz nel 1942. Anche sua madre fu una resistente. Nata il 10 aprile 1919 a Royan, nel dipartimento della Charente-Maritime, Cécile Le Bihan, il suo nome da nubile, crebbe nella periferia di Parigi e nella capitale stessa, dove nel 1936 è entrò a lavorare come dattilografa - un'occupazione rivelatasi fondamentale per il suo lavoro di combattente clandestino - negli uffici del settore metallurgico della CGT. Fu lì che incontrò suo marito, Henri Tanguy, poco prima che questo operaio comunista partisse per combattere nelle Brigate Internazionali durante la guerracivile spagnola, dove combatté tra il 1937 e il 1938. Dalla Spagna tornò dopo aver partecipato alla battaglia dell'Ebro con una ferita e con lo pseudonimo che avrebbe finito per far parte del suo cognome, Rol, adottato da Henri durante la sua lotta clandestina in onore di un amico caduto in Spagna.

Si sposarono nel 1939, poco prima dell'inizio della seconda guerra mondiale. Mentre Henri era nelle file combattenti e se ne perdevano le tracce, Cécile entrava nella Resistenza digitando volantini e articoli rivoluzionari. Quando suo marito tornò a Parigi e si unì alla lotta clandestina, nell'ottobre dello stesso anno, divenne anche la sua ufficiale di collegamento. La famiglia crebbe - i loro figli Hélène e Jean nacquero nel 1941 e nel 1943 - mentre il lavoro clandestino della coppia continuava. Cécile ha usato il passeggino dei bambini per nascondere documenti segreti per la rete comunista dei Francs-tireurs et partisans (FTP), di cui suo marito era uno dei capi parigini. Henri, sotto il nome di colonnello Rol, salì di posizione fino ad essere nominato, nel giugno del 1944, capo regionale della regione parigina della FFI, le Forze francesi dell’interno. Durante tutto il tempo della lotta clandestina, Cécile continuò a combattere al suo fianco. Anche in quell'estate del 1944, in cui si giocò la fine dell'occupazione di Parigi e s’avviò la conclusione di tutto il conflitto bellico.
Prova del suo ruolo fondamentale è il fatto che Cécile Rol-Tanguy fece parte della delegazione ricevuta dal generale Charles de Gaulle nel Ministero della Guerra il 27 agosto 1944, insieme ad altri venti capi della resistenza parigina.

«Insignita delle più alte onorificenze della Repubblica (grande ufficiale della Legione d'Onore, Gran Croce dell'Ordine nazionale al merito, Medaglia della resistenza, Croce di combattente volontaria della Resistenza), Cécile fu emblematica del ruolo delle donne nella lotta contro il regime di Vichy e l'occupante nazista», ha ricordato la sua famiglia. Dopo la morte di suo marito nel 2002, ha continuato a partecipare alle commemorazioni della sconfitta nazista. Come hanno sottolineato i suoi figli venerdì scorso, «fino al suo ultimo respiro, Cécile Rol-Tanguy ha reso testimonianza della sua fedeltà alla generosa utopia del comunismo, al suo ideale impegno di gioventù per la giustizia sociale e l'emancipazione delle donne».
Trad. A.D.

07/05/20

Ungheria blocca la ratifica della Convenzione di Istanbul


Una decisione che espone ancor più le donne alla violenza domestica durante l'emergenza COVID-19



Il 5 maggio 2020 il parlamento ungherese ha votato una dichiarazione nella quale si afferma che non ratificherà la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.
L'Ungheria fa così marcia indietro sulla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, che aveva sottoscritto nel 2014. Perché essa diventasse legge nazionale occorreva la ratifica parlamentare, ma ora questa dichiarazione la blocca definitivamente.

Il governo ungherese ha ignorato in tutti questi anni le pressioni dei movimenti delle donne per la ratifica, definendo le preoccupazioni da loro espresse come «piagnistei politici».
Proteste immediate sono venute dalla società civile: la sezione ungherese di AmnestyInternational ha stigmatizzato la decisione del parlamento come «estremamente pericolosa in un momento in cui gli episodi di violenza domestica denunciati in Ungheria sono raddoppiati dall'inizio del lockdown per il COVID-19. Ciò non solo mette a rischio le donne e le ragazze, ma invia un messaggio dannoso agli autori del reato che i loro atti non saranno perseguiti.

Il governo ha accampato giustificazioni aberranti, come quelle secondo cui la Convenzione «supporta la migrazione illegale» e «prescrive pericolose ideologie di genere». In realtà il governo di Orban cerca di nascondere le proprie carenze nell’azione di contrasto alla tragedia degli abusi su donne e ragazze, testimoniate da vergognose indagini e procedimenti giudiziari senza conclusione.

«L'Ungheria deve revocare questa dichiarazione – continua Amnesty -  e ratificare con urgenza la Convenzione di Istanbul e adottare tutte le misure necessarie per proteggere sufficientemente le donne e le ragazze dalla violenza e dagli abusi domestici, in particolare nella lotta attuale contro la pandemia».