29/10/18

Congresso MDM/Portogallo

L'uguaglianza nella vita è la nostra lotta


Misoginia, violenza di genere, sessismo sono in relazione funzionale e indissolubile con il capitalismo e il neoliberismo. Per superare lo sfruttamento capitalista e neoliberista, è urgente affrontare e superare  le mentalità e le pratiche patriarcali, non c'è altro modo.









Il 27 e 28 ottobre 2018 si è tenuto il X Congresso del MDM - Movimento Democrático de Mulheres a Sétubal, Portogallo, il 27-28 ottobre. Lorena Peña, presidente della FDIM / WIDF - Federazione Democratica Internazionale delle Donne, ha portato al congresso il saluto di tutta la Federazione.

"Saluto le donne del MDM riunite in congresso e nel loro 50 ° anniversario, nello spirito e nei valori di aprile. E' un momento molto importante. Stiamo vivendo uno scontro politico e ideologico tra le forze capitaliste patriarcali e i movimenti democratici, progressisti e rivoluzionari: abbiamo di fronte guerre, colpi di stato, crisi degli immigrati, che colpiscono il popolo e le donne con maggiore forza.

Ma viviamo anche un nuovo slancio delle forze democratiche, dei movimenti popolari e dei movimenti femministi al loro interno. Il Portogallo è un esempio.
La FDIM / WIDF - Federazione Democratica Internazionale delle Donne nei suoi 72 anni di lotta ha tenuto alte le bandiere della pace, autodeterminazione dei popoli, uguaglianza e giustizia sociale, con un'attenzione particolare ai nostri diritti di donne.
La Widf Fdim nell'ultima riunione del suo comitato direttivo ha deciso di approfondire la lotta per queste cause e ha denunciato come funzionale e indissolubile il rapporto tra misoginia, violenza di genere, sessismo e il capitalismo e il neoliberismo, tale rapporto economico ideologico e culturale è alla base del sistema sociale. Lo possiamo vedere nelle maquilas, nella privatizzazione dei servizi, nelle guerre, nella esacerbazione dei conflitti e la criminalizzazione della politica: tutti questi processi sono accompagnati da una recrudescenza del sessismo, omofobia, femminicidio e più profondi livelli di discriminazione.
Sicché per superare lo sfruttamento capitalista e neoliberista, è urgente affrontare e superare mentalità e pratiche patriarcali, non c'è altro modo. In alcuni settori della sinistra c'è una forte resistenza a riconoscere questa realtà, il che impedisce di affrontarla, e in molti casi impedisce alle donne non solo di esercitare il loro diritto alla lotta e alla partecipazione politica, ma priva la stessa sinistra del contributo ottimale delle donne. Una visione del fenomeno della discriminazione e dell'oppressione delle donne come problema secondario impedisce di compiere un cambiamento concettuale e reale in profondità.
L'approccio alla liberazione delle donne in quanto tale e ai nostri diritti fondamentali è all'origine del movimento rivoluzionario, lo possiamo vedere nella rivoluzione in Russia dell'ottobre 1917, tuttavia noto con preoccupazione che l'imperialismo ha ora trasformato questo problema in alcuni paesi in un elemento della controrivoluzione.

Noi donne della FDIM / WIDF - Federazione Democratica Internazionale delle Donne FDIM siamo impegnate a continuare a lottare per la pace, per l'autodeterminazione dei popoli, per una società giusta per uomini e donne, e perché le donne a sinistra recuperino un approccio di classe e femminista che ci permetta di riposizionare nella sinistra il movimento delle donne, di rafforzare il movimento delle donne lavoratrici, contadine, borghesi, intellettuali, ecc, nella difesa e nella promozione di società più eque, e fortemente affrontare l'offensiva imperialista e dei suoi alleati. Anche smascherando coloro che in nome dei nostri diritti si schierano col  fascismo e differenziandoci nettamente dalle posizioni fondamentaliste, religiose e di destra che vogliono costringerci a mantenere la nostra vita, i nostri corpi sottomessi alla chiesa,allo stato, al datore di lavoro e, infine, al marito.
Vi auguro ogni successo e che le vostre risoluzioni arricchiscano la lotta del popolo portoghese e rappresentino un contributo efficace al progresso delle donne in Europa e nel mondo.
Viva il congresso del MDM - Movimento Democrático de Mulheres! Lunga vita alla Widf Fdim


Saludo a las integrantes del MDM en su congreso y por su 50 aniversario en el espíritu y los valores de abril. Un momento muy importante en el que se desarrolla.
Una confrontación política e ideológica entre las fuerzas patriarcales capitalistas y los movimientos democráticos, progresistas y revolucionarios: enfrentamos guerras, golpes de estado, crisis de inmigrantes, que golpean a los pueblos y con mayor fuerza a las mujeres.
Pero también vivimos un impulso de las fuerzas democráticas, de los movimientos populares, y los movimientos feministas dentro de ellos. Portugal es un ejemplo.
La Federación Democrática Internacional de Mujeres en sus más de 70 años de lucha ha levantado las banderas de la paz, la autodeterminación de los pueblos y de la igualdad y la justicia social, con un enfoque especial en nuestros derechos como mujeres.
La FDIM en su última reunión del comité mundial de dirección resolvió profundizar la lucha por estas causas, y constatamos que la relación entre la misoginia, la violencia de género y el sexismo con el capitalismo y el neoliberalismo, es funcional e indisoluble, se encuentran sosteniendo la base económica ideológica y cultural del sistema social. Podemos verlo en las maquilas, en la privatización de los servicios, en las guerras, en la agudización de los conflictos y en la judicialización de la política, todos estos procesos van acompañados de un recrudecimiento del sexismo, la homofobia, los feminicidios y niveles más profundos de discriminación.
De tal forma urge para superar la explotación capitalista y neoliberal, enfrentar y superar las mentalidades y prácticas patriarcales, no hay otro camino. En algunos sectores de la izquierda existen grandes resistencias en reconocer tal situación, lo que impide enfrentarla, y en muchos casos priva a las mujeres no sólo de ejercer su derecho a la lucha y a la participación política, sino que se priva la izquierda del aporte óptimo de las mujeres. Por lo que llamo a dejar la mirada del fenómeno de la discriminación y opresión de las mujeres como un problema secundario y a realizar a fondo un cambio conceptual y real.
El planteamiento de la liberación femenina como tal y nuestros derechos fundamentales están en los orígenes del movimiento revolucionario, podemos verlo en la revolución de octubre de 1917 en Rusia, sin embargo, señalo con preocupación que en la actualidad el imperialismo ha hecho de este tema en algunos países un componente de la contra revolución.
Las mujeres de FDIM estamos empeñadas en continuar luchando por la paz, por la autodeterminación de los pueblos, por sociedades justas para hombres y mujeres, y porque la izquierda y las mujeres de la izquierda volvamos al enfoque de clase y feminista que nos permita reposicionarnos en el movimiento de mujeres, fortalecer el movimiento de mujeres obreras, campesinas, de clase media, intelectuales, etc., en la defensa y promoción de sociedades más justas, y enfrentar con fuerza la ofensiva imperialista y sus aliados. Desenmascarando además a quienes en nombre de nuestros derechos se unen al fascismo y diferenciándonos claramente de las posiciones fundamentalistas, religiosas y de derecha que quieren obligarnos a mantener nuestras vidas, nuestros cuerpos sometidos a la iglesia, al estado, al patrono y finalmente al marido. 
Les deseo muchos éxitos y que sus conclusiones enriquezcan la lucha del pueblo portugués y sea una contribución efectiva al avance de las mujeres en Europa y el mundo. Viva el congreso del MDM!! Viva la FDIM!
Lorena Peña, Presidenta de FDIM
27 de octubre de 2018

22/10/18

WOMEN AT WORK

Liberare il lavoro dagli stereotipi di genere

Una campagna di comunicazione sociale affronta, con leggerezza ed ironia, sei temi importanti per il mondo lavorativo e la vita delle donne: conciliazione vita - lavoro, tetto di cristallo, sessismo nei luoghi di lavoro, linguaggio stereotipato e disparità salariale




Sei poster fotografici per le strade di Lecce per una campagna di comunicazione che fa parte del progetto di cooperazione internazionale WOMEN AT WORK della Casa Delle Donne Lecce a cui partecipa Awmr Italia - donne della regione mediterranea insieme a Alveare Lecce, Meticcia Lecce, BLABLABLA, WILPF Albania, l'associazione albanese Aca Npo, col sostegno della Regione Puglia, CNA Impresa Donna, Assessorato pari opportunità del Comune di Lecce. Nel progetto è compreso il corso di formazione WAW cercare creare lavoro destinato a donne native e migranti residenti nel Salento, che viene realizzato in contemporanea anche in Albania. 

Stereotipi sessisti più o meno radicati e attitudini discriminatorie persistono  nel mondo del lavoro e, anziché diminuire o scomparire, sembrano ritornare con maggiore aggressività in presenza, da una parte, dei processi di deindustrializzazione e di mancata nuova occupazione connessi con la crisi economica, che esasperano la competitività nel mercato del lavoro; dall’altra, in presenza di politiche di austerità che incidono sui servizi sociali e addirittura pretendono di riformare il “ciclo di vita” delle persone. Tutti fattori che giocano a sfavore delle donne e rischiano di annullare i risultati di decenni di lotte di emancipazione.
 #facciamochenonsiauneccezione  è il claim che ricorre in ciascuno dei poster fotografici, per ribadire che ciò che oggi rappresenta una singolarità dovrebbe diventare una prassi, un’abitudine di vita condivisa tra uomini e donne, un contesto culturale entro cui tutti e tutte debbano riconoscersi, affinché ciascuno/a possa crescere e vivere come persona, con bisogni e necessità che vanno al di là dello stereotipo dei ruoli sociali. 
È il caso del congedo parentale, che ben rappresenta l’attuale situazione. Infatti, sebbene la legislazione italiana preveda dal 2013 il congedo per i neo-papà, la percentuale di uomini che ne beneficiano è ancora troppo bassa. Dall'11,0% del 2012 al 18,4% del 2016,  nonostante si riscontri un aumento continuo, lINPS non ritiene che questo dato sia un valore a regime.


Il tetto di cristallo, come si sa, è quella barriera invisibile che impedisce tuttora alle donne di raggiungere posizioni dirigenziali e alti livelli manageriali in ogni campo del lavoro produttivo, riducendo anche i loro stipendi nei confronti degli uomini. Le statistiche dicono che tale meccanismo negativo, presente nel mercato del lavoro globale, agisce con maggior efficacia nel mondo del lavoro in Italia rispetto ad altri paesi europei. Analisi più approfondite indicano che non è solo una questione legata alla maternità e a mancate politiche di conciliazione vita-lavoro, ma è un meccanismo discriminatorio legato al persistere degli stereotipi di genere.  A parità di curriculum vitae, gli uomini hanno più probabilità di accedere a ruoli dirigenziali e, a parità di performances, gli uomini hanno più probabilità di avanzare nella carriera.

Sessismo nei luoghi di lavoro


Secondo le ultime rilevazioni statistiche condotte dall’ISTAT, sono 1 milione e 173 mila in Italia le donne che durante la loro vita hanno subìto ricatti sessuali sul posto di lavoro. In modo particolare, le disoccupate più delle occupate perché più vulnerabili; le indipendenti più delle dipendenti; le impiegate più delle operaie. Solo lo 0,7% però ha sporto denuncia, sia per paura di perdere il lavoro che per “vergogna” di essere giudicate dalla società e dai familiari. La campagna #metoo, nata negli Usa e diffusasi in breve in tutto il mondo per sensibilizzare il genere femminile nei confronti di abusi fisici o psicologici che possono avvenire sul posto di lavoro o in un qualunque altro contesto, ha contribuito ad aprire uno squarcio sul substrato sociale della violenza più diffusa e silenziosa esercitata sulle donne da parte degli uomini che occupano posizioni di potere nel mondo lavorativo. Il movimento #metoo ha avuto il merito di scoperchiare il vaso di Pandora della condizione di ingiustizia entro cui la relazione sociale fra donne e uomini è strutturata. Non si tratta soltanto di denunciare comportamenti moralmente riprovevoli, ma di scardinare la strutturale e radicata asimmetria di potere che tuttora caratterizza, anche nel mondo del lavoro e della produzione sociale, i rapporti fra uomini e donne.

La gabbia del “lavori tipicamente maschili e/o femminili”



Indagare il sessismo e la discriminazione di genere nel lavoro significa combattere stereotipi e pregiudizi sedimentati nello schema del lavoro “tipicamente” maschile e/o femminile, cioè delle mansioni tradizionalmente riservate all’uno o all’altro genere. Solitamente questa gabbia si traduce in una discriminazione a danno delle donne e in una forma di segregazione sessuale del lavoro. Le statistiche indicano che alcune cose stanno cambiando, tuttavia ancora oggi, quando una donna svolge una professione considerata tradizionalmente “maschile”, il sessismo riemerge sotto la forma di una vera e propria “invalidazione”, che si manifesta non solo nel trattamento economico (ancora oggi in molti contesti professionali le donne ricevono inferiori rispetto ai loro colleghi uomini di pari livello e, pur avendo pari competenze, vengono “de-mansionate”, se non scartate, perché considerate “non idonee”) ma anche nei comportamenti e nel linguaggio.
Spesso le donne per essere accettate si adattano a rientrare in cliché di scelta e/o di comportamento, cioè tendono a preferire lavori “tipicamente” femminili, oppure ad imitare sul lavoro i comportamenti dei colleghi maschi. Alcune indagini condotte fra lavoratrici con mansioni tradizionalmente maschili (tipografe, camioniste, minatrici, guardie giurate, agenti di polizia, ma anche maestre d’orchestra e avvocate) hanno messo in luce come esse avessero finito col modificare il loro modo di essere, confermando così inconsapevolmente lo schema della segregazione e divisione sessuale del lavoro. Accade allora che, di una lavoratrice che dimostra buone capacità si dica che “è una donna con le palle”.


Una forma mascherata di mancato riconoscimento delle capacità professionali delle donne è l’attribuzione di titolo professionale e qualifica lavorativa non declinati al femminile, come invece la lingua italiana consente agevolmente. 
«Le donne sono più brave nei lavori di cura» 
«Architetta suona strano, no?» 
«Non puoi diventare uno chef, semmai una cuoca» 
«Mi scusi, potrei parlare con l’ingegnere? Ah, è lei? Pensavo fosse la segretaria!» 
Queste domande, apparentemente innocue, hanno alla base una concezione stereotipata del ruolo delle donne nella società. Le donne non intendono più rimanere nascoste e indistinte all'interno del genere grammaticale maschile. L’uso non indifferenziato, e perciò non discriminante, dei titoli professionali in riferimento alle donne è un risultato importante, perché l’appropriazione declinata al femminile di un appellativo, un titolo o una qualifica, favorisce nelle nuove generazioni la consapevolezza di un mondo più equo e diversificato a favore delle donne. 

13/10/18

NADA QUE CELEBRAR

"Il 12 ottobre e le quote di complicità"




Il 12 ottobre viene celebrato da  secoli, con grande enfasi, come l'anniversario della cosiddetta "scoperta dell'America". Ma da qualche decennio è stato ribattezzato e viene ricordato dalle popolazioni indigene del  continente americano come "giornata della resistenza indigena", nella quale non c'è niente da celebrare. Perché l'America non fu scoperta,  semmai  invasa e saccheggiata dai conquistadores europei. 





di Ada Donno

La storia scritta dai vincitori parla della avventurosa “scoperta” di un continente – e poi della sua “evangelizzazione” e “civilizzazione” – inneggiando all'eroe Cristoforo Colombo che, per errore e per caso, ne fu autore.
Nelle espressioni più ragionate e critiche, oggi lo si definisce anche “incontro fra culture diverse”.
La storia raccontata dai vinti nega invece che tale incontro ci sia stato, lo chiama “conquista” e narra di genocidi, saccheggi, usurpazioni, cancellazioni di identità e valori culturali che erano radicati nei millenni. E nomina eroi come l’Inca Tupac Amaru, ucciso dai conquistadores; o come il suo discendente Josè Gabriel Condorcanqui, che due secoli più tardi ne assunse il nome e capeggiò una leggendaria e tragica rivolta di cacicchi peruviani contro gli occupanti spagnoli.
Opportunamente sollecitata, da qualche tempo, questa stessa storia racconta anche che accanto a Condorcanqui-Tupac Amaru c’era Micaela Bastidas, sua compagna orgogliosa e fedele, che ne condivise con tanta forza la passione per la libertà, da impugnare anch’essa le armi. “Sono pronta a morire là dove muore mio marito” aveva detto. E quando i ribelli furono travolti dalle soverchianti armi spagnole e dal tradimento, Micaela fu catturata assieme a lui sul campo di battaglia.
La legge della cattolicissima Spagna, per molti altri aspetti piuttosto discriminatoria nei confronti delle donne, le riconobbe il diritto ad un uguale trattamento e la sottopose allo stesso atroce supplizio del marito: tortura, taglio della lingua e decapitazione. A Cuzco, il 18 maggio 1781.
Una volta che hanno cominciato anch’essi a scrivere la storia, i vinti non possono essere fermati.
Molte donne (e molti uomini) del continente “scopritore” rimasero sorprese e attonite, quel giorno dell'ormai lontano 1985 in cui Rigoberta Menchù, piccola india del Guatemala,  si chiamò davanti alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra e raccontò la vita e la morte senza valore delle campesine quiché cresciute, come lei, nelle fincas di caffè coloniali.
“Me llamo Rigoberta Menchù…” cominciò a dire, e il racconto sommesso della sua insignificante sofferenza si fece parola che sopravvive al silenzio imposto alle popolazioni indigene del continente “scoperto”. Man mano che parlava, la sua voce si faceva d’oro, il suo sguardo tondo di quetzal  divenne acuto e pungente sull’uditorio mondiale e Rigoberta percepiva che, nominandosi, stava ridando storia e vita a se stessa e alla sua gente.
Quel racconto di Rigoberta diede la possibilità anche a molti e molte di noi di ripensarsi.
Ma la scelta di campo non sempre è agevole. Si tratta di scardinare concezioni rocciose e rinunciare al privilegio: non soltanto quello economico – il che sarebbe già tanto – ma anche a quello di considerarsi come appartenenti alla “civiltà”, quella per antonomasia, quella che per destino fatale illumina ed orienta tutte le altre. E il dibattito nei luoghi del femminismo occidentale - ancora oggi - dice quanto sia facile incappare in certe trappole.
La disuguaglianza e il privilegio attraversano anche il genere femminile, si materializzano nell’ineguale distribuzione dei diritti delle donne e si esprimono attraverso diversi punti di vista.
La scelta di campo - anche in questo caso e anche nella giornata del 12 ottobre dell’anno 526 dopo Colombo - non può lasciare spazio ad equivoci. Bisogna ritirare dalla società dei conquistadores le proprie “quote di complicità”, sia quelle ereditate dal colonialismo che quelle che continuano a riprodursi attraverso i meccanismi della dominazione e dello sfruttamento economico, ed investirle in quote di solidarietà.

06/10/18

#RIACE NON SI ARRESTA

La legge è potente, ma più potente è la necessità

Noi stiamo con Riace


@AWMR Italia esprime piena solidarietà al Sindaco di Riace MIMMO LUCANO per la coraggiosa azione di accoglienza e integrazione a favore di uomini, donne e bambini immigrati e profughi in fuga da guerre, fame, carestie, persecuzioni, approdati in  Italia per vie diverse, spesso rischiando la morte in mare. Grazie all’impegno del sindaco Lucano la piccola comunità di Riace in questi anni è diventata un modello di accoglienza, offrendo a migliaia di migranti, di molte nazionalità diverse,  opportunità di lavoro e formazione, di inserimento nel tessuto produttivo e lavorativo, sottraendoli alla disoccupazione e alle mafie che prosperano sul loro sfruttamento.
Assurdamente, per questa sua azione, il sindaco Lucano è stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Noi della AWMR Italia esprimiamo solidarietà al sindaco di Riace e auspichiamo che sia riconosciuta presto l’infondatezza delle accuse e che prevalga  il suo coraggio umanitario.
Noi crediamo che l’arresto del sindaco Lucano sia un’offesa ai principi umanitari in base ai quali egli ha agito. Prima di ogni altra considerazione, l’accoglienza è la risposta doverosa a una richiesta di aiuto, è parte del diritto alla vita di ogni essere umano ed è compito delle istituzioni statali assicurare che si svolga nelle  condizioni migliori, con l'inserimento dignitoso delle persone accolte nella società civile.
"La legge è potente, ma più potente è la necessità", ha detto qualcuno. Il sindaco di Riace ha fatto del suo meglio per assicurare questo diritto e assolvere a questo compito, forse agendo ai limiti consentiti dalla legge, ma in questo caso si tratta di una legge - la Bossi-Fini - già fondatamente sospettata di contenere disposizioni contrarie ai principi costituzionali.
Anziché operare perché in tutta l’Italia e nell’intera Unione Europea si affermino comportamenti e scelte sull’esempio di Riace (come avviene già in diversi Comuni del nostro paese), questo Governo ha scelto la strada di procurarsi un facile consenso a poco prezzo, sollecitando nei cittadini italiani i più bassi istinti  egoistici e xenofobi.

Colpendo Riace, si vuole colpire coloro che ogni giorno sfidano la deriva razzista, sessista e fascista che si espande nel continente europeo. Si vuole criminalizzare chi pensa – come il sindaco Lucano - che il fenomeno migratorio sia il prodotto delle ingiustizie presenti nel mondo, da contrastare prima di tutto con una politica solidale di accoglienza e integrazione. Si vuole colpire l’idea che tutti gli sfruttati – migranti e cittadini europei – possono camminare insieme, fianco a fianco, per rendere questo mondo più giusto.
Noi pensiamo che il governo e le istituzioni statali farebbero meglio ad agire con più energia ed efficacia:
-         per  contrastare tutte le forme di vile speculazione di chi approfitta ignobilmente della catastrofe migratoria per scopi di arricchimento personale, sia all’interno del paese che sul piano internazionale;
-       per assicurare che i fondi stanziati per la cooperazione internazionale siano destinati effettivamente al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni nelle realtà di provenienza delle ondate migratorie;
-   per incentivare politiche internazionali di pace e cooperazione con i popoli dell’Africa, dell’Asia e degli altri continenti, riducendo le spese destinate agli armamenti e cancellando le missioni militari che alimentano le guerre e lo sfruttamento economico, la rapina delle risorse, la corruzione e i disastri che sono la vera causa delle migrazioni in massa dai paesi poveri verso quelli più ricchi.

01/10/18

NON UNA DI MENO / BOLOGNA

L'Assemblea nazionale di Non Una di Meno a Bologna si riunisce il 6 e 7 ottobre 2018 presso Giurisprudenza, Università di Bologna


Contrasto alla violenza di genere, autodeterminazione e salute delle donne, razzismo e lotte migranti, lavoro e welfare, contrasto alla violenza sui corpi, i territori, gli animali sono le cinque aree tematiche sulle quali si confronterà l'Assemblea nazionale di Non Una Di Meno.

Partendo dall'assunto che "la violenza maschile e di genere è un fattore strutturale della società globale"; che "in ogni parte del mondo, questa violenza è la risposta brutale a ogni esigenza di libertà e di riscatto avanzata dalle donne e da chiunque rifiuti di essere un oggetto silenzioso e passivo di violenza"; che "questa violenza assume forme diverse, attraversa le case e i luoghi di lavoro, la famiglia e le altre istituzioni" ed è una violenza sociale, perché sostiene e garantisce la riproduzione delle gerarchie patriarcali e di classe su cui si regge l’ordine neoliberale; l'assemblea nazionale di Non Una Di Meno si propone di: "mettere in campo una risposta politica forte ed espansiva alle proposte di legge governative che colpiscono direttamente le donne e tentano di cancellare le conquiste ottenute in decenni di lotte femministe"; declinare il "nesso tra la violenza patriarcale e quella sociale" con azioni di contrasto a strumenti giuridici restrittivi e repressivi, come il Ddl Pillon e il nuovo decreto sicurezza proposto dal Ministero degli Interni, che, in nome dell’”ordine e del decoro” mira ridurre ulteriormente le possibilità di ottenere la protezione umanitaria per donne e uomini migranti. Tutto ciò anche in vista del 25 novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.