27/01/22

Olocausto ieri e oggi

 



Nella Giornata della Memoria ripubblichiamo una riflessione già apparsa nella stessa occasione alcuni anni fa su Il Paese delle Donne. 



di Ada Donno

Esistono profonde ragioni ideali ed etiche che hanno motivato e tuttora motivano la trasmissione di memoria delle vicende racchiuse nella parola Olocausto, e presiedono alla ri-narrazione rituale di esse, ad una data annualmente condivisa perché significativa e simbolica. Serbare la memoria, ce lo ripetiamo, aiuta a comprendere la storia e i suoi percorsi difficili. Compiere il viaggio ad Oswiecim, almeno una volta nella vita, per visitare il museo di Auschwitz-Birkenau, ci aiuta a dire che ci assumiamo la nostra quota di responsabilità degli orrori e le atrocità, come un fardello di dolore che ci è stato lasciato in eredità e che vogliamo custodire ancora nel nuovo secolo, anche se al tempo dei campi nazisti non eravamo neppure nati. In quanto donne e uomini di questo paese, di questo continente, di questo pianeta. E’ un antidoto contro la dimenticanza, perché è rimasto com’era negli ultimi giorni della “soluzione finale della questione ebraica”, perché i suoi costruttori non fecero in tempo a seppellirlo, come avevano fatto con gli altri centri d’internamento e sterminio disseminati in Europa.

Nel leggere la vasta letteratura sull’Olocausto, due domande mi ritornano sempre con inquietudine.

25/01/22

Ucraina / Fermiamo l’escalation del conflitto

 

Comunicato 

AWMR Italia – Donne della regione mediterranea esprime grande allarme per la pericolosa escalation della tensione al confine tra Russia e Ucraina ed estrema preoccupazione per la crescente probabilità di una guerra nel cuore dell’Europa.

Il confronto sul confine ucraino, che la propaganda atlantista descrive strumentalmente come “minaccia russa” alla sicurezza dell’Occidente, avviene in un clima di crescente tensione globale innescata dall’esasperata ricerca della supremazia attraverso il riarmo e la competizione militare da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati.

In realtà le origini della crisi al confine ucraino risalgono alla decisione della NATO di continuare a espandersi verso Est, violando gli accordi che posero fine alla Guerra Fredda: a partire dal 1999 la NATO ha inglobato 11 paesi dell’Europa orientale, espandendo freneticamente le sue installazioni di basi e sistemi d’arma fino ai confini della Russia.

Denunciamo l‘irresponsabile spinta degli Stati Uniti e della NATO verso il conflitto militare e diciamo ai Paesi direttamente coinvolti: deponete le armi, fermate le minacce e avviate trattative.

23/01/22

NICARAGUA / NON IN NOME DEL FEMMINISMO!

 


La Rete Internazionaledi Articolazione delle Organizzazioni di Donne, Movimenti sociali e Donne deipartiti di Sinistra (RIAOMPI) denuncia in una dichiarazione pubblica la manipolazione ai danni delle donne del Nicaragua che si nasconde dietro la sedicente “Articolazione Femminista” e le sue campagne di disinformazione contro il governo sandinista.

Awmr Italia – Donne della regione mediterranea ha sottoscritto la dichiarazione di RIAOMPI. Leggere sullo stesso tema l’articolo di Tita Barahona da noi pubblicato già tre anni fa.

«Noi donne riunite nello spazio della Rete Internazionale di Articolazione delle Organizzazioni di Donne, Movimenti sociali e Donne dei partiti di Sinistra (RIAOMPI) denunciamo una strumentalizzazione del movimento femminista a vantaggio dell’agenda imperialista contro i processi rivoluzionari dell’America Latina e i Caraibi.

Non è un caso che in vista dell’8 marzo torni a circolare in certi spazi femministi la disinformazione su Daniel Ortega e il governo del Nicaragua.

L’imperialismo statunitense tenta di usare noi donne, le nostre lotte e organizzazioni, come pretesto per giustificare le sue aggressioni a quei paesi che, per il fatto di voler salvaguardare la propria sovranità e indipendenza, sono qualificati come “terroristi”.

La stessa ricetta adottata in paesi come Venezuela o Cuba, accusati falsamente di avere governi dittatoriali, la applicano al Nicaragua tramite la cosiddetta “Articolazione Femminista”, composta di gruppi di donne nicaraguensi e di altre nazionalità, radicate in Francia, Olanda, Regno Unito, Germania o Spagna.

L’attività di Tale Articolazione consiste nel “levare la voce e lo sguardo femminista su ciò che succede in Nicaragua”, come esse dicono usando argomenti pretestuosi fatti penetrare negli spazi femministi internazionali.

Non vogliamo essere strumentalizzate dagli Stati Uniti e dai loro alleati, dato che tale narrativa proviene da organizzazioni femministe finanziate dagli Stati Uniti, dalle oligarchie travestite da società civile e da personaggi in stretta relazione con l’estrema destra statunitense.

Dobbiamo liberare il movimento femminista dalle grinfie dell’imperialismo fascista e patriarcale: da quando il movimento femminista ha svelato agli occhi di molte persone l’alleanza criminale tra patriarcato e capitale, questo si affanna a minare il movimento femminista, affinché tale svelamento non continui a risvegliare le coscienze delle donne lavoratrici e della gente in generale che va prendendo coscienza dell’incompatibilità del sistema capitalistico con la propria vita.

Per spirito di sorellanza con le donne nicaraguensi, poiché sappiamo che quelle di “Articolazione” non le rappresentano, poiché siamo consapevoli dei progressi nell’uguaglianza fatti grazie alla loro rivoluzione, sosteniamo le loro lotte riguardo alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi, sui quali esse sole devono decidere senza ingerenze esterne.

Secondo il Global Gender Gap 2020, aggiornato annualmente dal Forum Economico Mondiale, il progresso dei 153 paesi esaminati rispetto alla parità di genere viene valutato in base a quattro fattori: empowerment politico, salute e sopravvivenza, partecipazione economica e successi nell’istruzione.

UN Women sottolinea che il Nicaragua nel 2006 occupava il 62° posto in questa classifica e che attualmente può ritenere di contare sul divario di genere più ridotto di tutta l’America Latina, dato che è il quinto paese al mondo per parità tra uomini e donne. Inoltre, in una scala da 0 a1, ha raggiunto lo 0.139 dal 2006, cioè negli anni della presidenza Ortega (a partire dal 2007). Il che significa che migliora non solo la posizione globale, ma anche quella interna.

Noi donne della rete RIAOMPI esprimiamo la nostra indignazione per il fatto che in nome dell’emancipazione delle donne si difendano gli interessi di una potenza imperialista, che cerca di spodestare un governo eletto democraticamente lo scorso novembre, col sostegno del 75% dei voti e con la partecipazione del 65,34% degli elettori, sensibilmente superiore a quello che si registra negli Stati Uniti. Una potenza che cerca di fare, in definitiva, ciò che ha fatto in altri paesi dell’America Latina con le sue ingerenze, che non hanno certo migliorato le condizioni di vita delle donne.

Denunciamo l’infiltrazione nel movimento femminista internazionale di gruppi sedicenti femministi della “Articolazione”, che sono Ong finanziate sia direttamente dallo stesso governo nordamericano, sia da fondazioni globaliste filantropiche che ne condividono gli obiettivi.

Il femminismo che difende gli interessi delle donne operaie e contadine, di qualsiasi nazionalità, non può esser complice dei genocidi che gli Stati Uniti hanno perpetrato in America Latina e nei Caraibi gli Stati Uniti, che essi considerano il loro cortile di casa e non rinunciano a voler controllare.

Come RIAOMPI denunciamo la manipolazione dell’informazione da parte di coloro che, in nome del femminismo, lavorano per altri interessi.

NON IN NOSTRO NOME. Il Nicaragua e le donne nicaraguensi decidono da sé quali cambiamenti fare. Non li decidono né il denaro né l’agenda degli Stati Uniti e dei loro alleati».

Per aderire alla Dichiarazione scrivere a: riaompi.europ@gmail.com

21/01/22

Presidenza della Repubblica / Se non le donne chi?

 


Due assemblee dei Luoghi delle donne sono state convocate on line dalla Casa Internazionale delle Donne di Roma (14 gennaio 2022) e dalla CasaDelle Donne di Milano (18 gennaio 2022) per discutere sull’elezione del prossimo presidente della repubblica italiana e rispondere alla domanda: Vogliamoche sia donna? A conclusione del dibattito vivace e partecipato, è stato concordato il documento che segue.


«Noi femministe vogliamo prendere la parola in questo momento cruciale per la vita democratica del nostro paese.

La discussione sull’elezione del Presidente della Repubblica riguarda la natura e le forme della democrazia e il significato della Costituzione. È la Costituzione che stabilisce il ruolo del Presidente quale coordinatore dell’equilibrio dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario e deve rappresentare e garantire l’unità nazionale.

Servirebbe un dibattito alto, rigoroso, un ancoraggio solido alla cultura costituzionale, ai suoi principi e ai suoi valori, al nesso inscindibile tra promozione della democrazia (che non è malata di conflitto ma di rappresentanza), promozione dell’uguaglianza dei diritti (nel riconoscimento delle differenze) e difesa della laicità (che non è relativismo etico ma un pensiero forte che riconosce che principi ordinatori delle leggi non debbono seguire i valori etico confessionali).

Servirebbe una discussione che non rimovesse le fatiche, le sofferenze, le disperazioni, le solitudini che la follia e l’ingiustizia di questo sistema economico continuamente produce.

Servirebbe una discussione che promuovesse fiducia, speranza, soprattutto oggi, in piena nuova ondata Covid, in questo tempo di incertezza e disorientamento in cui la “cura”, che dovrebbe essere base di ogni scelta politica, è diventata una “cosa da donne” o da “anime pie”.

L’elezione del Presidente riguarda certamente il voto dei “grandi elettori”, ma la figura del Presidente deve essere riconosciuta dalla società, rappresentante simbolico dei bisogni delle vite di tutte e di tutti, dal nord al sud, in tutto il territorio nazionale.

La miseria del dibattito politico rischia di aumentare lo scarto, lo scollamento tra cittadine, cittadini e politica, partiti, istituzioni, spingendo ancora di più verso un populismo che sceglie soluzioni autoritarie, come il presidenzialismo. Il presidenzialismo è infatti il convitato di pietra: non aumenterà la sovranità popolare, ma cancellerà la democrazia parlamentare rappresentativa, sovvertendo il dettato costituzionale.

La percezione di un pericolo per la democrazia è suffragata dalla candidatura di Berlusconi che è inaccettabile, irricevibile, indecente, ma senza sufficiente scandalo istituzionale.

Berlusconi è quello del conflitto di interessi, dei rapporti con la mafia e la P2; dei reati contro lo Stato passati in giudicato, dei 36 processi, della condanna per frode fiscale, delle leggi ad personam. È colui che ha sdoganato i fascisti, che ha sovvertito il dettato costituzionale con le scelte eversive sulla sanità, con l’ubriacatura individualistica dell’uomo solo al comando, della supremazia dell’impresa rispetto ai diritti costituzionalmente esigibili. È il simbolo del più becero maschilismo, del sistema di scambio tra sesso, denaro e potere. Questa candidatura è una vergogna per chi la propone ma denuncia l’intero sistema politico italiano (quando accetta e non espelle corruzione, legami criminali, opportunismi), la cultura politica (quando è contigua al neoliberismo, alimenta il revisionismo culturale e storico), il sessismo (che pervade politiche, linguaggi, comportamenti).

Berlusconi è stato e continua ad essere il primo cavaliere del presidenzialismo.

L’altro candidato in campo è Draghi, l’uomo dei poteri forti, delle banche, dell’élite, che sta governando come il salvatore del paese, quale garante in Italia ed in Europa delle risorse del PNRR. Ma è soprattutto il garante degli obblighi europei in materia di riforme da attuare, come quella sulla concorrenza, che stravolge la titolarità pubblica dei servizi affidandoli al mercato. Draghi attenta al sistema universalistico dei diritti previsto dalla Costituzione, con il provvedimento sull’autonomia differenziata. Sebbene mai votato, gode di immunità mediatica e la sua candidatura è un’anomalia che azzera il ruolo della politica e dei partiti, rendendo di fatto operativa la Repubblica presidenziale.

“Una donna al Quirinale?” Molte e molti si chiedono se sia il momento di proporre una donna al Quirinale.

L’esclusione delle donne dalle istituzioni è un problema grave della nostra democrazia, che le battaglie per la parità, le azioni positive e le norme antidiscriminatorie non hanno certo colmato. E siamo consapevoli che la riduzione del numero dei parlamentari, oltre a rimuovere il ruolo delle opposizioni, delle minoranze e del conflitto, peggiorerà la presenza delle donne nel Parlamento, perché decideranno le segreterie dei partiti. Saranno premiati i fedeli e le ancillae domini. Vinceranno le caste, le lobbies - in primis quella degli uomini contro le donne - in un paese profondamente maschilista.

Senza affrontare queste criticità, appare strumentale e anche ipocrita il dibattito su “una donna al Quirinale”. E poi, perché “una” donna? Senza un nome e un cognome? Quasi che la donna giusta sia quella senza un volto? Quale donna? Una donna qualunque? Anche una donna di destra? Anche una donna pur autorevole ma non laica?

Non possiamo annacquare la singolarità delle storie e delle personalità politiche femminili nell’indistinto della categoria di genere. Non può essere che una donna valga l’altra. C’è indubbiamente una questione di rappresentazione della realtà della vita, fatta da donne e uomini e sarebbe simbolicamente significativo che anche nelle istituzioni venga rappresentato un paese reale, fatto di donne e uomini. Ma c’è anche la questione della rappresentanza politica di genere, che certo non può identificarsi con il protagonismo delle donne di destra, che rivendicano il ruolo patriarcale della donna all’interno della famiglia e della società, sposano l’emancipazione individualistica, accettando persino di piegare la biologia agli interessi dell’impresa, in nome di una conciliazione tra carriera e maternità.

Per la carica di Presidente della Repubblica proponiamo oggi un preciso profilo di donna autorevole, di robusta formazione costituzionale, antifascista e garantista, di esperienza istituzionale, profondamente democratica e laica. Soprattutto che sia capace di porre la propria individualità con la consapevolezza di ciò che ha significato e continua a significare appartenere a un genere».

Le Assemblee promosse dalla Casa internazionale delle donnedi Roma e dalla Casa delle donne di Milano

18 gennaio 2022

20/01/22

TPNW / ITALIA, RIPENSACI!


Il Trattato per la proibizione delle armi nucleari TPNW compie un anno: Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica e invitano a celebrare il primo anniversario dell’entrata in vigore del Trattato per rafforzare i percorsi verso il disarmo nucleare


Fra pochi giorni si celebra il primo anno dall’entrata in vigore del Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), il primo strumento internazionale che dichiara illegali le armi nucleari, discusso e votato all’ONU nel luglio 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021.

Si tratta di un giorno fondamentale per le campagne internazionali impegnate per il disarmo nucleare. Senzatomica e Rete Italiana Pace e Disarmo, (a cui AWMR Italia – Donne del Mediterraneo aderisce) promuovono la campagna “Italia, ripensaci”.

 Discusso e votato all’ONU nel luglio del 2017, il TPNW sancisce l’illegalità delle armi nucleari e ne vieta l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento. Ad oggi 59 Stati lo hanno ratificato, impegnandosi a rispettare un processo graduale e sicuro verso il disarmo nucleare totale. Sono 9 i Paesi che ne sono entrati a far parte nel corso del 2021, una crescita che dimostra la dinamica positiva di rafforzamento del Trattato. Che già oggi, pur se nessuno tra Stati nucleari e loro alleati lo ha ratificato, produce effetti positivi come la riduzione dei fondi messi a disposizione delle aziende produttrici da parte degli investitori internazionali (diminuiti di 63 miliardi di dollari in due anni secondo l’analisi condotta da ICAN nel rapporto “Don’t bank on the bomb”).

 Il nostro Paese non ha ancora firmato il Trattato TPNW, ed è per questo motivo che Rete Italiana Pace e Disarmo e Senzatomica hanno lanciato l’azione “Italia, ripensaci” affinché Governo e Parlamento decidano di compiere passi concreti verso la costruzione di un mondo libero da armi nucleari, dando degno seguito all’impegno sottoscritto con il Trattato di Non Proliferazione (NPT). Recentemente le cinque potenze nucleari ufficiali (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) hanno diffuso una dichiarazione congiunta in cui affermano che “non si può vincere una guerra nucleare”. Eppure non si allontanano dalla perversa logica di continuare a giustificarne l’esistenza per scopi di sicurezza nazionale, oltre che investire pesantemente (circa 73 miliardi di dollari nel 2021) nel loro mantenimento e ammodernamento.

Come “Italia, ripensaci!” siamo convinti che sia necessario trasformare la logica della giustificazione delle armi nucleari alla radice e concepire una sicurezza basata sul rispetto della dignità della vita di tutti. Uno degli aspetti più rilevanti riguardanti il TPNW è la sua nascita e concretizzazione grazie all’impegno della società civile internazionale riunita nella International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (insignita per questi sforzi del Premio Nobel per la pace 2017). Vogliamo, quindi, celebrarlo come una grande vittoria della società civile, delle persone e degli hibakusha, che ha aperto la strada affinché ognuno possa compiere la propria parte nel processo del disarmo nucleare.

Nel TPNW si prevedono anche programmi di assistenza e compensazione per le vittime di armi e test nucleari, e per l’ambiente in cui vivono, ed è per questo che chiediamo all’Italia di avvicinarsi ai contenuti del Trattato impostando azioni di cooperazione in tal senso, valorizzando la grande tradizione umanitaria del nostro Paese. È questo uno dei due obiettivi principali della nostra mobilitazione per il 2022, insieme alla richiesta al Governo di decidere la partecipazione come “Stato osservatore” alla prima Conferenza degli Stati Parti del TPNW che si svolgerà a Vienna nel marzo 2022. Norvegia (membro della NATO) e Germania (membro della NATO e come l’Italia con presenza di testate nucleari USA sul proprio territorio) hanno già deciso in tal senso: confidiamo nel fatto che anche il Governo italiano prenda la stessa strada.

19/01/22

Il Paese delle Donne/ Premio di scrittura femminile 2022

 


L’Associazione Il Paese delle donne indice la XXIII edizione del Premio di scrittura femminile per Editi e Tesi di Laurea, aperto a Case editrici, Enti pubblici e privati, Autrici (senza limiti di età, cittadinanza, residenza e titolo di studio).

 

Per ogni sezione saranno attribuiti 1° e 2° premio e segnalazioni di merito per:

A)     Saggistica 1: a. generali e di genere; b. emigrazione e immigrazione.     

B)     Narrativa: a. romanzi e novelle; b. testi di cantautrici.  

C)      Tesi di Laurea in lingua italiana o inglese o francese o spagnola, conseguite in Università italiane, pubbliche e private (dal 2019);

D)     Poesia (escluse pubblicazioni in giornali, riviste, social).    

E)      Arti visive: a. generali e di genere; b. autobiografie e biografie; c. cataloghi individuali; d. cataloghi di collettive e di mostre promosse da enti pubblici e privati.

F)      Opere per l’infanzia.  

Premio (unico) Redazione “Marina Pivetta”; Premio Speciale (unico) “Franca Fraboni”.

 

Le opere in concorso dovranno pervenire alla giuria del premio entro le ore 24:00 del 22 luglio 2022 a: Maria Paola Fiorensoli, Via San Pellegrino n. 39 - 06132 Perugia (sezioni A, B, D, E, F); Fiorenza Taricone - Via Rifredi n. 48 - 00148 Roma (sezione C).

La premiazione è prevista per sabato 3 dicembre 2022 presso la Casa Internazionale delle donne, Via della Lungara 19, Roma.

 

Per altre informazioni rivolgersi a:

Associazione Il Paese delle donne: s.l. Via della Lungara 19, 0165 Roma

Email: paesedelledonne@libero.it   Tel. 334 199 3885 (Lun-Ven h. 10-18)

15/01/22

Presidenza della Repubblica / Vogliamo che sia una donna?

 


Vogliamo una donna al Quirinale?

Le CASE DELLE DONNE hanno accolto l’invito della Casainternazionale delle donne di Roma e hanno partecipato all’Assemblea della Magnolia online per rispondere alla domanda: Vogliamo che sia donna?

Non era scontato che fossimo tutte d’accordo ad entrare in questa discussione. Non per indifferenza o estraneità, tutt’altro. Il fatto è che le opinioni al riguardo fra noi variano da chi la ritiene una discussione inutile, essendo la nostra parola del tutto ininfluente nella situazione data, a chi invece ritiene che tirarsi fuori e tacere sia perdente. Passando per chi la considera comunque un’occasione utile per intervenire nel dibattito che si sta svolgendo su più piani e mettere, per così dire, dei paletti affinché la nostra parola non venga confusa nell’indistinto chiacchiericcio mainstream, se non addirittura strumentalizzata nelle dispute di palazzo che non ci appartengono.

Un paletto è stato piantato per escludere subito alcune argomentazioni, apparse in certi appelli che sollecitano la nomination di una donna al Quirinale, come quelle che “ci sono anche le donne da prendere in considerazione”, oppure che “è tempo di eleggere una donna perché negli altri paesi europei, ecc.”, che figura ci facciamo come paese, e così via. Argomenti indietro di decenni rispetto alla crescita di soggettività, libertà e responsabilità che le donne italiane si riconoscono.

Insomma, diciamo subito NO ad una donna purchessia. Donne in posizioni apicali ce ne sono state e ce ne sono: in ogni campo, compresa la politica. Per restare al presente, bastino i nomi di Lagarde, Merkel, von der Leyen… Apprezzate perché brave, diligenti, efficienti nei loro ruoli. Ma per ciò che concerne i contenuti della politica? Non s’è vista la differenza, sovrapponibili ai loro colleghi uomini. Ci basta?

No, evidentemente, anche ad una donna di destra, per queste ed altre ragioni in più.

Intervenire in questo dibattito può essere dunque l’occasione per cercare, intanto, risposte ad alcune domande che premono: come e perché la politica italiana è tuttora, a 74 anni dalla promulgazione della Costituzione, così ottusamente declinata al maschile? Perché la soggettività politica femminile che ci riconosciamo non è in grado di esprimere una rappresentanza che abbia qualche chance nel gioco della politica? Detto in altre parole: perché i requisiti richiesti per avere qualche chance sono così distanti dai requisiti che le femministe si aspettano da una donna perché rappresenti la soggettività politica femminile?

Il passo successivo, dopo avere risposto a queste domande, dovrebbe essere chiedersi che fare per accorciare questa distanza. Una domanda che investe l’intero nostro agire nella società, la nostra capacità di “accumulare forze” per determinare il cambiamento che vogliamo. Un lavoro ancora lungo, evidentemente.

Nell’immediato quello che possiamo fare è forse cercare, fra le persone in grado svolgere il compito di presidente della repubblica, la donna o le donne da sostenere perché portatrici, prima di tutto, dei valori di cambiamento che vadano nella direzione della parità e giustizia di genere, ma non solo di genere, data per acquisita l’intersezionalità del movimento femminista.

Da sostenere sia per il valore simbolico, sia considerando i requisiti politici ed etici richiesti nella situazione concreta e il contesto nel quale si andrà a svolgere il settennato. Che verosimilmente sarà segnato dall’aggravarsi delle conseguenze sociali ed economiche della pandemia che, ricordiamolo, si è innestata su una drammatica preesistente crisi dell’economia capitalistica, contro la quale non esiste vaccino.

È prevedibile infatti, a smentita dell’ingannevole ottimismo dispensato dai vari piani di recupero europei e nazionali, che si accentuerà la drammatica polarizzazione della distribuzione delle risorse prodotta dalle politiche neoliberiste, con la concentrazione della ricchezza in poche mani e l’estensione della povertà relativa e assoluta. Cui si legherà l’inasprimento di ogni forma di sfruttamento e violenza, oltre che della crisi ambientale, e un aumento senza precedenti delle spese militari e delle tensioni internazionali.

In questo contesto va inscritta la crisi profonda delle istituzioni politiche, quella che già viene descritta come “crisi verticale delle democrazie costituzionali” (non solo italiana, quindi, basti pensare a quanto sta accadendo negli Stati Uniti) indebolite dai potentati economico-finanziari multinazionali, sempre più remissive di fronte ai revanscismi neofascisti e suprematisti, sempre meno capaci di esprimere rappresentanze politiche e parlamentari in grado di contrastarla.

E sta tutta dentro questa crisi l’indecente candidatura di Berlusconi, contro la quale noi donne poniamo il nostro veto senza se e senza ma.

Insomma, vogliamo una donna dal profilo politico ed etico affidabile in previsione di una stagione che sarà prevedibilmente di regressione generale.

Un’ultima considerazione riguarda la preoccupazione emersa per la frammentazione dei movimenti sociali progressivi potenzialmente capaci di resistere: movimenti giovanili, sindacali, ambientalisti… incluso quello delle donne. Se infatti è inoppugnabile che la soggettività, libertà e responsabilità del genere femminile si siano affermate al grado più alto negli ultimi decenni, è pur vero che esse poggiano sulle gambe di un movimento molto frammentato. E se questa è una preoccupazione fondata, sta a noi lavorarci.

Per il momento la discussione resta aperta sulla domanda: siamo d’accordo per una donna al Quirinale, ma è sufficiente che convergiamo sulla descrizione del suo profilo politico ideale? o è opportuno indicare anche dei nomi di donne che più corrispondano a quel profilo? O sarebbe meglio convergere su un nome? La discussione fra noi è a questo punto.


14/01/22

Palestina / La detenzione amministrativa è un crimine contro l'umanità

 


AWMR Italia ha sottoscritto l’appello della Coalizione Europea di sostegno ai Detenuti Palestinesi 

La detenzione amministrativa è un crimine contro l'umanità e una palese violazione dei diritti!

500 prigionieri palestinesi in regime di detenzione amministrativa hanno dichiarato la loro intenzione di non comparire più davanti ai tribunali israeliani a partire dal 1° gennaio 2022.

Questa decisione coraggiosa è venuta in risposta al ricorso sistematico dell'autorità di occupazione israeliana ad una legge detta di "Detenzione amministrativa", legge che risale al tempo del mandato britannico in Palestina, prima della creazione di Israele nel 1948. Applicandola i tribunali israeliani hanno dimostrato di essere parte integrante dell'arsenale repressivo israeliano e che i detenuti palestinesi non hanno alcuna possibilità di ottenere giustizia di al loro cospetto.

Questa decisione è arrivata dopo che 6 detenuti amministrativi palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame di diversi mesi per ottenere la fine della loro detenzione e l’obbligo per l'Autorità carceraria israeliana di fissare un limite alla detenzione.

La detenzione amministrativa è una pratica arbitraria che consente all'autorità militare occupante di arrestare qualsiasi palestinese senza informarlo sulla natura dell'accusa, con il pretesto delle “ragioni di sicurezza”.  Il periodo dell’arresto può durare 6 mesi ed è ogni volta rinnovabile, sicché per alcuni palestinesi la detenzione amministrativa nelle carceri d’occupazione israeliana è durata per anni.

Dall'inizio dell'occupazione nel 1967, le forze di occupazione israeliane hanno emesso 54.000 mandati di arresto amministrativo. Nel 2021, l'autorità militare di occupazione ha emesso 1595 mandati, per nuove detenzioni amministrative o per prorogare quelle vecchie.

Di fronte a queste pratiche arbitrarie, i detenuti palestinesi hanno come sola arma di difesa lo sciopero della fame, per quanto siano consapevoli dei grandi rischi per la loro vita.

In appoggio al rifiuto di 500 detenuti amministrativi palestinesi di comparire davanti ai Tribunali israeliani, i firmatari di questa dichiarazione:

• Dichiarano il loro totale sostegno ai prigionieri palestinesi nella loro decisione fino a quando non avranno ottenuto la libertà

• Chiedono alle istituzioni internazionali, in particolare al Consiglio per i diritti umani, di denunciare l'uso da parte dell'occupante israeliano della legge sulla detenzione amministrativa e chiedere la fine di questa pratica arbitraria

• Chiedono ai vari parlamenti dei paesi democratici di dichiarare il loro rifiuto di tale a legge arbitraria

• Chiedono anche l'immediato rilascio di tutti i detenuti palestinesi malati, bambini, donne e anziani

• Chiedono al Parlamento europeo di denunciare l'uso di questa legge contraria allo Stato di diritto e lesiva dei principi fondamentali dei diritti umani 

La Coalizione Europea a sostegno dei detenuti palestinesi

Bruxelles, 31/12/2021

13/01/22

UCRAINA / Un appello di CODEPINK Women for Peace

 Diciamo alla NATO e agli Stati Uniti di fermare l'escalation del conflitto in Ucraina


Al confine tra Russia e Ucraina è in atto una pericolosa escalation della tensione e c’è la reale possibilità di un conflitto militare che potrebbe facilmente sfuggire al controllo. Gli Stati Uniti e la NATO hanno svolto il ruolo maggiore nell'inasprimento di questo conflitto, invitiamoli ora a svolgere un ruolo nella sua attenuazione.

Aiutiamo la comunità pacifista globale ad impedire che questo conflitto si trasformi in una guerra. Firma lapetizione al Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e alla negoziatrice statunitense Wendy Sherman!

Egregi vice segretaria di Stato Usa Wendy Sherman e segretario generale della NATO Jens Stoltenberg,

Vi scriviamo da persone preoccupate per la pericolosa escalation delle tensioni al confine tra Russia e Ucraina e per la reale possibilità di un conflitto militare che potrebbe facilmente sfuggire al controllo. Riteniamo che gli Stati Uniti e la NATO abbiano svolto un ruolo notevole nell'inasprimento di questo conflitto e debbano ora svolgere un ruolo fondamentale nella sua attenuazione.

L'espansione della NATO ha contribuito notevolmente alle radici dell'attuale crisi violando gli accordi che hanno posto fine alla Guerra Fredda originaria e riunificato la Germania. La NATO avrebbe dovuto mantenere la sua promessa di non espandersi verso est. Invece, ha aggiunto 11 paesi membri che un tempo erano repubbliche sovietiche o membri del Patto di Varsavia, per espandere trionfalmente l'alleanza militare occidentale fino ai confini della Russia.

La Russia è sempre stata contraria all'ingresso dell'Ucraina nella NATO. Nel 2008, quando il presidente ucraino Viktor Yushchenko ha chiesto per la prima volta l'adesione alla NATO, il presidente Putin ha definito l'adesione dell'Ucraina "una minaccia diretta" alla Russia. La NATO dovrebbe riconoscere e rispettare l'indipendenza e la neutralità dell'Ucraina e non dovrebbe inimicarsi la Russia consentendo ad essa di entrare nella NATO, né gli Stati Uniti né la NATO dovrebbero entrare in guerra con la Russia per riunificare l'Ucraina con la forza.

Le tensioni con la Russia sono state esacerbate anche da esercitazioni militari della NATO inopportune, chiaramente intese a intimidire la Russia. Non c'è equivalenza tra la Russia che conduce esercitazioni militari e movimenti di truppe all'interno dei propri confini e le truppe della NATO nordamericane e dell'Europa occidentale che volano a migliaia dotate di armi esiziali per condurre esercitazioni direttamente attraverso quegli stessi confini.

Non possiamo rischiare uno scontro militare tra i due stati nucleari più pesantemente armati del mondo: gli Stati Uniti e la Russia. Ciò di cui abbiamo bisogno invece è una diplomazia vigorosa per promuovere la riduzione dell'escalation e cercare una soluzione negoziata, per evitare la guerra e far avanzare il processo diplomatico di Minsk II. Ciò sarà nell’interesse di tutte le nazioni della NATO, del popolo russo, di tutto il popolo ucraino e della comunità mondiale.

Perfirmare la petizione:

https://www.codepink.org/ukraine_nato?recruiter_id=917534&fbclid=IwAR2X6OlN-w8PoUfLwo3v3xXmCsKv8PTpWp1deu2cFJS__Ig7ZgmjnSJ0qYQ

05/01/22

ABDULLAH OCALAN / IL TEMPO DELLA LIBERTÀ È ARRIVATO


 

Appello della comunità Curda in Italia per una mobilitazione per la liberazione di Abdullah Öcalan, il 12 febbraio 2022 a Roma e Milano

L’Awmr Italia - Donne della Regione Mediterranea aderisce all’appello e alla mobilitazione

23 anni fa Abdullah Öcalan è stato imprigionato a seguito della cospirazione internazionale del 15 febbraio 1999. Per oltre dieci anni è stato l’unico prigioniero nell’isola fortezza di Imrali. Nonostante le condizioni indescrivibili del suo isolamento non ha mai smesso di sperare in una soluzione pacifica ai conflitti in Medio Oriente. Per diversi anni Öcalan è riuscito a negoziare con il governo turco per raggiungere questo obiettivo. La stragrande maggioranza della popolazione curda vede Abdullah Öcalan come proprio rappresentante, e ciò è stato confermato dalla raccolta di firme di oltre 3,5 milioni di curdi nel 2005. Ocalan è un esponente politico e il suo status ha anche dimensioni politiche più ampie. La società curda, così come gli analisti politici, lo considerano un leader nazionale e il rappresentante politico dei curdi.

La prigione dell’isola di İmralı, gestita dallo stato turco, continua ad essere sottoposta ad uno status straordinario. Il continuo isolamento di Ocalan, che dura già da 23 anni, si basa su pratiche considerate illegali sia dalla magistratura turca che dal sistema giuridico internazionale. Le Nazioni Unite hanno la responsabilità di garantire che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si applichi e venga applicata anche per Ocalan. Il sistema İmralı può continuare ad esistere solo con il consenso, o almeno il totale disinteresse, di istituzioni internazionali come l’ONU.

Lo Stato turco sta attualmente sottoponendo Abdullah Öcalan a un regime di isolamento che non ha precedenti. Ogni visita dei suoi avvocati o dei suoi familiari è resa possibile solo attraverso lunghe lotte e mobilitazioni. Nel 2019, ad esempio, è stato possibile rompere l’isolamento attraverso lo sciopero della fame di migliaia di prigionieri politici nelle carceri turche e di esponenti della società civile durato diversi mesi. Per la prima volta dopo molti anni gli è stato possibile entrare in contatto con i propri familiari e i propri avvocati.

L’ultima breve telefonata tra Abdullah Öcalan e suo fratello è avvenuta nel marzo 2021, ma è stata improvvisamente interrotta. Il fatto che da allora non sia stato ricevuto un solo segno di vita fa temere per le sue condizioni di salute.

In tutto il paese le pratiche adottate sull’isola di Imrali sono state estese per ridurre al silenzio ogni voce di dissenso, ogni forma di opposizione che veda nella soluzione politica della questione curda una svolta per una trasformazione democratica di tutto il Medioriente. Attraverso Imrali lo Stato turco si sta sforzando non soltanto di isolare fisicamente Abdullah Öcalan come persona, ma di sopprimere i risultati democratici che sono emersi dalle sue idee.

Infatti il Confederalismo democratico introdotto da Abdullah Öcalan ha prodotto il risveglio della società in tutto il Kurdistan. I valori di uguaglianza di genere e di credo, per una società democratica ed ecologica, sono alla base di importanti processi di trasformazione democratica fondati sull’autogoverno come nel caso dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est e dell’autogoverno degli yazidi di Shengal.

Sia che si tratti della guerra di invasione del Kurdistan del sud (nord Iraq), sia che si tratti dell’invasione del Rojava o delle politiche fasciste del governo dell’AKP contro il popolo curdo in Turchia, questo modello democratico e partecipativo è sottoposto a pesanti attacchi da parte della Turchia e delle forze della modernità capitalista.

Per questa ragione oggi è più che mai necessario far sentire la nostra voce. Rompere l’isolamento e liberare Abdullah Öcalan significa dare una prospettiva di pace e di democrazia a tutti i popoli del Medioriente.

Il tempo della libertà è arrivato: invitiamo tutti i partiti, le organizzazioni sindacali, gli esponenti della società civile e del mondo della cultura a partecipare alla giornata di mobilitazione nazionale sabato 12 febbraio 2022 a Roma e Milano.

Per adesioni:  info.uikionlus@gmail.com ; info@retekurdistan.it

Comitato "Il momento è arrivato. Liberta per Öcalan", Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia, Rete Kurdistan Italia, Comunità curda in Italia

 http://uikionlus.org/il-tempo-della-liberta-e-arrivato-appello-per-una-mobilitazione-in-italia-il-12-febbraio-per-la-liberazione-di-abdullah-ocalan/