13/12/18

10 dicembre 2018 / 70 anni di diritti umani

 Gli strumenti giuridici che hanno le donne a tutela dei loro diritti



Una nota del Movimento Democratico de Mulheres (MDM), Portogallo, nel 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani


Nel 70 ° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, firmata e ratificata all'indomani della seconda guerra mondiale nel 1948, è dovere fondamentale delle donne e di tutte le persone democratiche riconoscere il passato che ha portato a un meritorio consenso attorno ai  principi della Dichiarazione e richiamare alle proprie responsabilità quei governi e Stati che la vorrebbero eludere o ignorare, in un momento in cui il mondo vive conflitti così oscuri e minacciosi, incertezze e violenze. Violenze e disuguaglianze che, se non vengono contrastate, troveranno un'eco nelle forze più arretrate del mondo che già oggi, assetate di sangue e di potere,  si stanno auto-riororganizzando.
Per l'MDM celebrare questa Dichiarazione significa riconoscere in essa un'Etica dei diritti umani, un'etica interculturale, universale, che ha forza giuridica e requisiti politici, pedagogici e di altro genere, che giustificano la sua rigorosa applicazione a favore di:  
  • dignità, libertà, uguaglianza, diversità, reciprocità e solidarietà di tutti gli esseri umani;
  • non discriminazione, tolleranza, democrazia, sviluppo e pace;
  • relazione tra la vita umana e il suo ambiente;
  • responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future, che implica la protezione del patrimonio genetico, naturale e culturale (materiale e immateriale) dell'umanità

                             2. Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, entrambi del 1966, ed entrambi da rivisitare,  traducono giuridicamente i principi della Dichiarazione universale dei diritti umani, indicando chiaramente che tali diritti sono da applicarsi a tutte le persone senza alcun tipo di discriminazione e considerando inammissibile il genere come motivo di discriminazione tra le persone. Questi Patti hanno consacrato la promozione dei diritti delle donne in settori particolarmente vulnerabili come il matrimonio e la famiglia, che non a caso furono oggetto di molte controversie al momento della definizione della Dichiarazione dei diritti umani, la quale non stabiliva alcun obbligo in merito al rispetto dei diritti stessi, né affrontava le discriminazioni in modo dettagliato, ad esempio eludendo le questioni legate ai costumi su cui si basa la perpetuazione di molte forme di discriminazione nei confronti delle donne. È quindi molto importante e attuale richiamare i Patti e i loro principi.

          3. Vogliamo sottolineare che per noi  dell'MDM, gran parte di ciò che è stato fatto nel campo legislativo internazionale – ed è già stato molto - è il risultato dell'azione e della convergenza di molte donne, delle loro organizzazioni più progressiste e conseguenti. E tra queste rimarchiamo il ruolo fondamentale che ha avuto la WIDF (Federazione Democratica Internazionale delle Donne, una organizzazione internazionale creata nel 1945 nel secondo dopoguerra, forgiata nella lotta per la pace e contro il nazifascismo, guidata a lungo dalla scienziata francese Eugenie Cotton. La WIDF, della cui direzione fa parte l'MDM, rimane attiva sulla scena internazionale. Abbiamo celebrato il suo 70 ° anniversario nel 2015. La WIDF è la più grande rete internazionale di donne che pone la lotta per i diritti delle donne nel contesto di un ampio fronte anti-imperialista per la pace e l'autodeterminazione dei popoli.
          4. In seguito alla ratifica dei Patti, la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1979, ratificata da 184 Stati, è uno strumento essenziale per definire il quadro giuridico e politico dei diritti delle donne.


07/12/18

8 dicembre Non Una di Meno

Portiamo nelle piazze la parola femminista



L’8 dicembre #agitazionepermanente per la messa in sicurezza dei territori contro le grandi opere inutili e dannose e sul clima





Lo scorso 24 novembre,  dopo due anni di lotte, in 150.000 abbiamo sfilato a Roma arrivando da più di 20 città. Il 25 novembre abbiamo dato vita a una grande e partecipata assemblea nazionale dando prova della nostra forza vitale, della nostra capacità di mobilitazione, della nostra autonomia, della radicalità del nostro percorso politico e del radicamento del nostro movimento nei territori.
Il cambiamento  climatico si traduce nell’aumento delle oppressioni e diseguaglianze per le quali intere popolazioni (umane e non) sono costrette  a spostarsi trovando sofferenza, morte e confini sbarrati.
Come movimento femminista e transfemminista conosciamo bene la violenza ambientale. Il Piano di Non Una Di Meno ha riconosciuto il biocidio e la devastazione ambientale come una delle espressioni della violenza patriarcale contro i corpi delle donne e delle soggettività LGBPT*QIA, degli animali non umani, della terra.
Una violenza sistemica, che si fonda in tutti gli ambiti del vivere su logiche di proprietà e sfruttamento del capitalismo estrattivista e del patriarcato in cui i corpi oppressi di animali umani e non e la terra sono al contempo “femminilizzati” e “naturalizzati”. Si sfrutta la terra per soddisfare la crescente domanda di consumo indotta, riproducendo l’idea che lo sviluppo corrisponda alla crescita economica. Una violenza che invisibilizza e criminalizza le lotte per la difesa delle risorse (terra, acqua, aria, boschi,…), per il diritto alla libertà e all’autodeterminazione sui nostri corpi.
Non possiamo non vedere come in diverse parti del mondo si stiano affermando governi reazionari e autoritari che promuovono politiche di dominio sui corpi e sull’ambiente considerati risorse sfruttabili e a disposizione. Allo stesso tempo, non possiamo non vedere come le donne e le comunità native siano ovunque in prima fila nella resistenza contro lo sfruttamento neo-liberale delle risorse (dalle attiviste Mapuche e Guaranì in america del sud, alle mamme della Terra dei Fuochi a quelle NoPfas, No TAP e NO TAV,….) e nella sperimentazione di nuove forme di autodeterminazione e autogestione dei territori, di condivisione del lavoro di cura e di riproduzione, di un modello di vita sostenibile e alternativo al modello capitalista antropocentrico e androcentrico.

Stiamo vivendo una politica caratterizzata da un patriarcato fortemente violento, razzista, sessista, transomofobo e abilista, incubatore di quella saldatura tra la Lega, neofascisti e fondamentalisti cattolici che, nelle amministrazioni locali e al governo del Paese, cerca agibilità politica proprio sui nostri corpi, attraverso forme di oppressione, strumentalizzazione, imposizione di modelli e negazione di diritti e libertà.
Portiamo nelle piazze dell’8 dicembre la radicalità di un punto di vista femminista e transfemminista nel nostro cammino verso l’8 marzo, giornata dello sciopero globale femminista durante la quale praticheremo forme nuove di sciopero di genere e dai generi, dal lavoro produttivo e riproduttivo, ma anche dai consumi e dalle grandi opere in nome dell’ecofemminismo per costruire pratiche di alternative a questo sistema.
Le manifestazioni dell’8 dicembre rappresentano un’occasione importante di presa di parola a partire dai nostri contenuti e di risignificazione in chiave femminista di una mobilitazione che ci appartiene.
Una presa di parola anche nei confronti di una narrazione mediatica mainstream che invisibilizza la radicalità dei percorsi femministi e antirazzisti mentre esalta la cosiddetta “rivoluzione gentile” (e neoliberale) delle donne imprenditrici torinesi a sostegno della realizzazione del TAV, opera inutile e dannosa a cui da oltre trent’anni le comunità della Val Susa, e non solo, si oppongono con fermezza e determinazione.

Cambiamo il sistema, non il clima!

Assemblea transterritoriale Terra Corpi Territori e Spazi urbani di Non Una di Meno