31/01/19

APPELLO PER IL VENEZUELA



Siamo dalla parte delle donne e del popolo del Venezuela che difendono l'esperienza della Repubblica Bolivariana contro il cinico assedio economico, politico e mediatico capeggiato dagli Stati Uniti di Trump



Il 20 maggio 2018 il popolo venezuelano ha confermato Nicolas Maduro alla presidenza del Venezuela con una ampia maggioranza di voti, dopo una competizione elettorale non facile, ma la cui validità non può essere contestata solo perché il risultato non è gradito a qualche potente della Terra.

Eppure la legittimità di quelle elezioni è stata contestata da uno schieramento internazionale capeggiato dagli Stati Uniti di Trump e da governi dell’America Latina che sono espressione della destra oligarchica, come quello brasiliano e quello colombiano. Costoro vogliono il caos e la guerra civile in Venezuela per mettere fine a un’importante esperienza democratica che ha rappresentato un grande progresso per il popolo venezuelano sul piano politico, sociale e culturale.

Per questa coraggiosa politica di sviluppo indipendente, oggi la Repubblica Bolivariana del Venezuela deve far fronte al cinico assedio economico, politico e mediatico capeggiato dagli Stati Uniti, che hanno trovato nell’oscuro deputato Guaidò il loro cavallo di Troia.                                                           
Noi, come parte dell’ampio schieramento di donne e uomini, associazioni e organizzazioni popolari e democratiche che in Italia e in Europa contrastano questo assedio, 
-    affermiamo la nostra solidarietà al Popolo venezuelano e al legittimo Governo di Nicolas Maduro;
 -   chiediamo al governo Italiano e ai governi dell'Unione Europea di non seguire gli Stati Uniti in questa aggressione all'autodeterminazione del Venezuela, ma di adoperarsi per una soluzione pacifica della crisi venezuelana, da raggiungere con gli strumenti del dialogo istituzionale interno e della cooperazione internazionale nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite.


Awmr Italia - donne della regione mediterranea

LETTERA PER IL VENEZUELA


«Chiediamo la non ingerenza dell’Unione Europea negli affari interni del Venezuela, nel rispetto del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite».

«Chiediamo che l’Unione Europea ponga fine alle sanzioni e alle misure coercitive unilaterali nei confronti del Venezuela, che procurano danno e sofferenza al popolo venezuelano»



A Federica Mogherinialta rappresentante della Unione Europea per le relazioni estere e politica della sicurezza. Email:  federica.mogherini@ec.europa.eu

«Di fronte alle ultime dichiarazioni rilasciate dall’Unione Europea in relazione alla situazione in Venezuela, come cittadine europee che credono nel principio sancito dalle Nazioni Unite per cui “la democrazia è un valore universale basato sulle libertà espresse dal popolo …”, e sostengono la difesa incondizionata del popolo venezuelano nel pieno rispetto della sua sovranità, le chiediamo quanto segue:

1 – Che l’Istituzione da lei rappresentata applichi il principio di legalità e di non ingerenza negli affari interni di un altro Paese, nel rispetto del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite.

2 – Che questa Istituzione promuova un appello ad un dialogo di pace con l’obiettivo che siano gli stessi venezuelani a trovare un accordo tra le parti, nel rispetto del proprio quadro giuridico e dell’autodeterminazione del popolo venezuelano.

3 – Che questa istituzione non sia paladina di una sola parte, con il susseguente incremento delle differenze tra i diversi settori presenti ed attivi in Venezuela, ma che piuttosto si attivi per contribuire a mediare le diverse posizioni al fine di trovare una soluzione dei loro conflitti.

4 – Che si metta immediatamente fine alle sanzioni e alle misure coercitive unilaterali che l’Unione Europea applica al Venezuela perché colpiscono e danneggiano il popolo venezuelano.

5 – Che la volontà del popolo venezuelano espressa nelle urne il 20 maggio 2018 sia rispettata e che questa Istituzione NON voglia riconoscere o sostenere come Presidente del Venezuela altra persona che non sia Nicolas Maduro che ha ricevuto legittimo mandato dal popolo nel contesto della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela e nel rispetto dei principi dello Stato di Diritto.

Infine, chiediamo che i rappresentanti del legittimo Governo venezuelano possano anch’essi essere ascoltati dall’Unione Europea, dal momento che non è per nulla ragionevole prendere decisioni avendo ascoltando una sola delle parti.

La ringraziamo per la attenzione prestata ed auspichiamo un suo positivo ruolo attivo in direzione di una soluzione pacifica e giusta a questa delicata situazione.»

AWMR Italia – Donne della Regione Mediterranea
@awmr.italia
#HandsOffVenezuela #NoAlGolpeEnVenezuela #Paz

25/01/19

#SolidaridadConVenezuela /3


Lettera aperta al governo degli Stati Uniti

«La recessione economica in Venezuela è stata aggravata dalle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti. Se l'amministrazione Trump ed i suoi alleati continuano a seguire il loro corso avventato in Venezuela, il risultato più probabile sarà spargimento di sangue, caos e instabilità»
Nella foto: Washington 24 gennaio 2019, flash mob di Medea Benjamin, attivista di CODEPINK Women for Peace e firmataria della lettera aperta a Trump, durante la riunione del Consiglio OAS (Organizzazione Stati Americani) «Non supportate il golpe della destra  in Venezuela» 


La seguente lettera aperta - firmata da 70 statunitensi studiosi della realtà latinoamericana e di scienze politiche e storia, nonché cineasti, leader della società civile e altri esperti (primo firmatario Noam Chomsky) - è stata rilasciata il 24 gennaio 2019 in opposizione all'intervento minacciato dagli Stati Uniti in Venezuela:

«Il governo degli Stati Uniti deve cessare di interferire nella politica interna del Venezuela, specialmente se con l’intento di rovesciare il governo del paese. Le azioni dell'amministrazione Trump e dei suoi alleati nell'emisfero certamente non faranno che peggiorare la situazione in Venezuela, causando inutili sofferenze umane, violenze e instabilità.
La polarizzazione politica del Venezuela non è nuova; il paese si è andato dividendo lungo linee etniche e socioeconomiche. Ma la polarizzazione si è approfondita negli ultimi anni. Ciò è in parte dovuto al sostegno degli Stati Uniti a una strategia di opposizione volta a rimuovere il governo di Nicolás Maduro attraverso strumenti extra-elettorali. Mentre l'opposizione si è divisa su questa strategia, gli Stati Uniti  hanno spalleggiato i settori dell'opposizione più intransigenti nel loro obiettivo di rimuovere il governo di Maduro con proteste spesso violente, un colpo di stato militare o altre vie che eludono le urne.

24/01/19

#SolidaridadConVenezuela/2



Il Movimiento de Mujeres Clara Zetkin alle donne del mondo


“Esprimete la vostra

 solidarietà di fronte

 al nuovo attacco

delle oligarchie 

 al popolo del Venezuela”





«Noi del Movimiento de Mujeres Clara Zetkin (MMCZ) * guidate dai principi che regolano la nostra organizzazione internazionale -  l'uguaglianza, la solidarietà e la lotta per la pace -  rivolgiamo un appello alla Federazione Democratica Internazionale delle Donne (WIDF/FDIM), alle sue organizzazioni affiliate e amiche in tutto il mondo.

Fate sentire la vostra solidarietà di fronte al nuovo attacco dell'imperialismo Nord Americano, alla sua politica d’ingerenza che non rispetta l'autodeterminazione dei popoli, intensifica un'aggressività  dalle molte facce, acutizza la pressione del criminale embargo internazionale contro il popolo venezuelano, concerta scenari di rinnovate provocazioni di confine, di violenza interna e di rotture istituzionali, al fine di imporre il disconoscimento  del diritto legittimo e sovrano del popolo venezuelano ad eleggere democraticamente, come ha fatto lo scorso 20 maggio 2018, il compatriota Nicolas Maduro Moros presidente costituzionale della Repubblica Bolivariana del Venezuela.


Ciò che si sta sviluppando contro il Venezuela, attraverso questo piano d'intervento, è la distruzione dello Stato nazionale, entro il quale le azioni intraprese dalla destra antipatriottica sono circoscritte, nel contesto di una aggressione multiforme e del tentativo di scatenare una  "guerra non convenzionale" promossa dall'imperialismo Statunitense, dai suoi alleati europei e dalle oligarchie latinoamericane lacchè. 

Noi dichiariamo che il nostro paese è libero e sovrano e, insieme col nostro popolo, in unità e resistenza rivoluzionaria, lo difenderemo.

Consapevoli della nostra responsabilità storica verso le cause della liberazione, dell'autodeterminazione e della sovranità dei popoli, chiamiamo la WIDF/FDIM e le organizzazioni affiliate e amiche ad esprimere la loro solidarietà alle donne e al popolo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, unitamente al suo presidente costituzionale Nicolas Maduro Moros».

#HandsOffVenezuela #NoAlGolpeEnVenezuela #Paz

#SolidaridadConVenezuela

Respingiamo l’inaccettabile prepotenza di Trump




L'AWMR Italia - donne della regione mediterranea si dichiara solidale con le donne e il popolo della Repubblica Bolivariana del Venezuela contro il piano messo in atto dal presidente USA Trump, in coalizione con la destra interna e le oligarchie latino-americane alleate di Washington, per cambiare con la forza il governo eletto democraticamente.

Denunciamo come inaccettabile ingerenza e inconcepibile prepotenza le minacce proferite da Donald Trump e le sue macchinazioni per sostituire d’imperio il presidente Nicolas Maduro, legittimamente eletto nel maggio 2018, con l'oscuro deputato Guaidò della destra oligarchica.

Auspichiamo che nessun governo europeo, compreso quello italiano, ceda alle provocazioni del presidente degli Stati Uniti e nessuno accetti di riconoscere il deputato Guaidò autoproclamatosi "presidente" del Venezuela.

#HandsOffVenezuela #NoAlGolpeEnVenezuela #Paz

19/01/19

CODEPINK/RASHIDA TLAIB

"Spezzare e condividere il pane con i Palestinesi"



CODEPINK-Women for peace lancia una campagna a sostegno della neoeletta parlamentare americano-palestinese Rashida Tlaib che sta progettando di guidare una delegazione del Congresso americano in Palestina. 


Lo scorso dicembre le neoelette parlamentari Rashida Tlaib e Alexandria Ocasio-Cortez dichiararono che intendevano sottrarsi al rituale viaggio di propaganda dell'AIPAC (la lobby israeliana negli Stati Uniti) in Israele. Ora Rashida Tlaib ha annunciato la sua intenzione di guidare una delegazione del Congresso in Cisgiordania, affinché i colleghi congressisti possano conoscere la vera realtà della Palestina occupata

Di fronte alla volontà di Rashida e Alexandria di cambiare le cose nel Congresso degli Stati Uniti – scrive Codepink - la “pallida, raffinata, maschile struttura repubblicana sta andando fuori di testa”. Il repubblicano Brian Babin ha infatti chiesto formalmente alla presidenza del Congresso di non permettere questo viaggio, sostenendo che "comprometterebbe" le relazioni USA-Israele, come se si trattasse di uno sfortunato effetto collaterale.  

Ma il punto è - sostiene Codepink - che le relazioni USA-Israele devono cambiare! I viaggi sponsorizzati dall'AIPAC, infatti, occultano le violazioni dei diritti umani da parte di Israele e incoraggiano il Congresso a continuare senza controllo il sostegno finanziario e diplomatico degli Stati Uniti a Israele, tutto a scapito dei diritti dei palestinesi. 

Il desiderio di Rashida Tlaib è di portare i suoi colleghi a visitare la Cisgiordania per prendere visione della realtà dell'occupazione, dei problemi della povertà, della detenzione di bambini palestinesi nelle carceri israeliane, dell’accesso ineguale all'acqua pulita. E possibilmente visitare anche il villaggio di sua nonna. "Non puoi dire di conoscere il popolo palestinese se non vai a condividere e spezzare il pane con loro, se non ti siedi e guardi cosa vuol dire vivere come vive adesso mia nonna", ha detto la neo-parlamentare americano-palestinese.

Codepink sostiene con forza il progetto di Rashida e chiede agli altri membri del Congresso di unirsi alla delegazione in Cisgiordania, sottraendosi invece al viaggio dell'AIPAC. Le Women for Peace si dicono sicure che “i tentativi del Partito Repubblicano di bloccare la delegazione del Congresso in Cisgiordania non fermeranno lo slancio che sta crescendo per i diritti dei palestinesi”.

https://www.facebook.com/codepinkalert

15/01/19

Ricordo di Carla Ravaioli

Carla Ravaioli durante il seminario Donne
 e lavoro nel Medierraneo (Gallipoli  1998)
Foto C.Gerardi 

Il 16 gennaio di cinque anni fa ci lasciava Carla RavaioliGiornalista, saggista, politica, autrice di testi sul femminismo che sono stati veri e propri “cult”. E, per ultimo ma non ultimo per noi, co-fondatrice dell’AWMR Italia, venti anni fa.

di Ada Donno

Ci lasciò del tutto impreparate, costernate, la notizia della sua morte, quella mattina del 16 gennaio 2014, il giorno successivo al suo novantunesimo compleanno. Ad ucciderla era stato un malore, forse per aver ingerito una dose eccessiva di medicinali. La donna che l’assisteva l’aveva trovata riversa a terra, a pochi passi dal tavolo della cucina, in casa, a Roma. Su alcuni giornali scrissero che tutto faceva pensare a un suicidio. «Soffriva di solitudine esistenziale» , scrissero altri. Ma le amiche che le erano più vicine protestarono che no, non poteva essere vero, non si toglie la vita una persona che ti ha salutato la sera prima dandoti appuntamento al cinema per il giorno dopo! Non chiude così la sua vita chi ha nella mente un nuovo progetto di lavoro!
Ma che importa, a questo punto? La vita di Carla Ravaioli resta formidabilmente intatta e luminosamente esemplare per le donne (e gli uomini) che da lei hanno appreso a leggere la realtà con sguardo rigoroso e problematico, ma fecondamente teso verso le possibilità di cambiamento, come era il suo.

Nata a Rimini il 15 gennaio 1923 – raccontano le brevi note biografiche sulle retrocopertine dei suoi libri -  e laureatasi in Lettere all'Università di Bologna, dai primi anni Cinquanta fino agli anni Settanta Carla Ravaioli ha vissuto e lavorato a Milano, come giornalista. 
Nel corso dei decenni dedicati alla professione giornalistica ha collaborato con "Il Giorno", "L'Europeo", "Il Messaggero", "La Repubblica", "Il Manifesto" e la Rai-tv; ha anche collaborato a diverse riviste, quali "Tempi moderni", "Rinascita", "Critica marxista", “Liberazione”.
La felice attitudine all’osservazione analitica e alla scrittura, unita alla progressiva motivazione sociale e politica, la portano ben presto ad affermarsi come acuta saggista che osserva e racconta prevalentemente i fenomeni legati alla condizione femminile nella società moderna. Sul finire degli anni ’60 si accosta ai temi del femminismo, che segue, dapprima con attenzione vigile e, via via, con sempre più convinta adesione.

Carla Ravaioli e Sancia Gaetani (foto C.Gerardi)
Soggetto preferito d’indagine sono le donne emancipate, ma non ancora liberate dai riti e retaggi del patriarcato. In “La donna contro se stessa”, pubblicato nel 1969, ne analizza con sguardo severo limiti e difetti, soprattutto dal punto di vista culturale e psicologico. In realtà, come ammetterà nella prefazione alla riedizione del libro dieci anni dopo, lei stessa vi si riconosce e la stesura di quel libro («il mio libro più laborioso e tormentato») è per certi versi una sorta di solitaria autocoscienza, che anticipa quelli che saranno argomenti e modalità collettive del femminismo degli anni ‘70. Partendo dall’osservazione della realtà e dalle letture allora disponibili (De Beauvoir, Friedan, Sullerot…), indaga i ruoli storicamente assegnati ai due sessi (l’uomo produttore, la donna riproduttrice) che trovano la loro più esemplare formulazione nella forma attuale della famiglia, secondo le esigenze del sistema sociale complessivo.

13/01/19

Rosa Luxemburg / Centenario



"Socialismo o barbarie"

Il 15 gennaio 2019 ricorre il primo centenario del barbaro assassinio di Rosa Luxemburg, donna rivoluzionaria, economista, teorica del socialismo e figura di primo piano del comunismo europeo e mondiale 


Rosa Luxemburg, nata a Zamosc (Polonia) il 5 marzo 1870, da giovanissima diviene attivista del movimento di sinistra "Proletariat". A causa della dura repressione che questo movimento subisce, è costretta nel 1895 ad abbandonare la Polonia e ad emigrare, prima in Svizzera e poi in Germania.
Quando si trasferisce in Germania, nel 1898, è già un’affermata pensatrice marxista. Tra il 1907 e il 1914 insegna Economia politica, ma ben presto abbandona la carriera di insegnante ed inizia quella di attivista politica nel partito socialdemocratico tedesco. Nel 1914 si schiera contro l’adesione del partito alla guerra, partecipa alle manifestazioni pacifiste e viene arrestata dalla polizia del kaiser Guglielmo II. Abbandona quindi il partito e nel 1916 fonda, con Karl Liebknecht, la "Lega di Spartaco" e poi, nel dicembre 1918, il Partito Comunista di Germania.
È alla testa della "insurrezione di gennaio" del 1919, che viene soffocata con inaudita durezza dall'esercito del governo socialdemocratico di Ebert.  Il 15 gennaio, insieme con Karl Liebknecht, viene sequestrata e poi brutalmente assassinata dai cosiddetti Freikorps, i gruppi paramilitari agli ordini del ministro della Difesa, Noske. Il suo corpo viene ritrovato il 31 maggio di quell’anno in un canale di Berlino e sepolto nel cimitero centrale di Friedrichsfelde (ma nel 1935 il cimitero sarà distrutto dai nazisti, e i resti dei sepolti andranno dispersi).
Unanimemente considerata “una delle menti più brillanti dell’ideologia marxista” e teorica autorevole del socialismo, Rosa Luxemburg scrisse, fra le altre opere, “L'accumulazione del capitale” (1913), incentrata sull'analisi dell’evoluzione del capitalismo nel ventesimo secolo, caratterizzato dall'imperialismo più sfrenato, dalla concorrenza feroce degli Stati capitalistici per la conquista di colonie e di sfere d'influenza economica, dal sistema dei prestiti internazionali, dal protezionismo economico, dal prevalere del capitale finanziario e dei grandi monopoli industriali nella politica internazionale. L'ultimo capitolo de “L'accumulazione del capitale” è dedicato, significativamente, al fenomeno del militarismo che, secondo Rosa Luxemburg, nel capitalismo non ha solo una rilevanza politica ma anche economica ben determinata, in quanto costituisce "un mezzo primario per la realizzazione del plusvalore". Militarismo e guerra sono esiti inevitabili del capitalismo nella fase dell’imperialismo. Da qui, il socialismo come una necessità storica e, secondo un’espressione cara alla Luxemburg, il configurarsi sempre più netto dell’alternativa “socialismo o barbarie” per il futuro dell’umanità.
(A.D.)

02/01/19

Nicaragua / L'imperialismo strumentalizza le lotte delle donne

 "Non in nome del femminismo"

Nelle ultime settimane la stampa corporativa, la radio e la tv non hanno smesso di occuparsi della situazione in Nicaragua, teatro - dallo scorso aprile - di disordini volti a rovesciare il governo di Daniel Ortega. Tutti all'unisono si sforzano di convincere l’opinione pubblica che Ortega è un "dittatore", un "autoritario" e un "genocida". Sono rumori già familiari, che di solito preludono agli "interventi" - duri o blandi - degli Stati Uniti in qualche paese del globo: li abbiamo sentiti risuonare con Saddam Hussein, Muammar Gheddafi, Bashar al-Assad, Hugo Chávez; risuonano ora con Nicolás Maduro e con Daniel Ortega...



di TITA BARAHONA / Redazione CANARIAS-SEMANAL.ORG.

24 dicembre 2018

https://canarias-semanal.org/art/24189/cooptacion-de-grupos-feministas-e-imperialismo-yanqui-el-caso-de-nicaragua

Tutto questo mi ricorda una frase che ho sentito da Noam Chomsky, qualche anno fa, in un'intervista. Alla domanda sul significato della parola "terrorista", rispose: "terrorista significa che Obama vuole ucciderti". Si può cambiare terrorista con dittatore o con misogino; Obama con Trump, uccidere con rovesciare, ma l'equazione produrrà lo stesso risultato.

Altrove ho richiamato l'attenzione su come l'imperialismo statunitense strumentalizza le donne, le loro lotte e organizzazioni, per giustificare attacchi contro paesi classificati come terroristi. L'ho illustrato con i casi dell'Afghanistan e della Libia. Oggi, in Nicaragua, assistiamo alla stessa strategia. Una cosiddetta "Articolazione Femminista", composta da gruppi di donne nicaraguensi e di altre nazionalità, con sede in Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, Germania e Spagna, proclama che Ortega è uno stupratore e definisce "patriarcale e sessista" ( sic) il suo governo. L'attività di questa Articolazione è incentrata, secondo le sue stesse affermazioni, sul "levare la voce e lo sguardo femminista su ciò che sta accadendo in Nicaragua". E ciò che ritengono stia accadendo in Nicaragua è ciò che stiamo leggendo o sentendo nei media mainstream: che manifestazioni spontanee e pacifiche di cittadini scontenti delle politiche di Ortega sono state brutalmente represse, anche con l'ausilio di bande paramilitari, lasciando un bilancio di centinaia di morti (tutti dalla stessa parte), detenuti politici e un'ondata di profughi.

Questa narrazione, messa in dubbio da altre fonti, proviene da istituzioni nicaraguensi come l'Alleanza civica per la Giustizia e la Democrazia, nelle cui file sono compresi imprese private e lobbisti dell'agrobusiness, la direttrice della Camera di commercio USA-Nicaragua, María Nelly Téllez, di cui si parla come futura candidata alla presidenza; gli studenti dell’università privata ​​che formano il Movimento 19 Aprile; oligarchi travestiti da società civile, come Juan Sebastián Chamorro; qualche ex alto funzionario sandinista; Azalea Solís, direttrice di un'organizzazione femminista finanziata dal governo degli Stati Uniti; e un “leader campesino”, sostenuto da Washington, che fu espulso dal Costa Rica per traffico di esseri umani. Alcuni appartengono al Movimento per il Rinnovamento del Sandinismo (MRS), che dal 2007 si è andato avvicinando all’estrema destra statunitense del Partito Repubblicano, e ultimamente al partito salvadoregno ARENA, noto per i suoi legami con gli squadroni della morte che assassinarono l'arcivescovo Óscar Romero.

 Sotto queste prime figure, c'è una rete di oltre duemila giovani che con i finanziamenti del National Endowment for Democracy (NED) si sono formati nella gestione dei social network, tra i quali c’è la "Articolazione Femminista". Con hashtag come #SosNicaragua, questo battaglione è stato in grado di plasmare e controllare l'opinione pubblica su Facebook in soli cinque giorni dal 18 al 22 aprile. Ci hanno pensato i giornali con la maggior tiratura al mondo, dal New York Times al Guardian o El País, ad amplificare il discorso. Quest'ultimo si avvale di editorialisti legati a Confidencial, il principale promotore delle rivolte, che riceve fondi non solo dalla NED ma anche dalla Open Society Foundation.

Dovrebbe essere fonte di sorpresa - ed è certamente fonte di indignazione - che in nome della emancipazione delle donne si stiano difendendo gli interessi di una potenza imperialista che cerca di spodestare un governo eletto nel 2016 con elezioni eque, non contestate da nessun partito, in cui Ortega è stato eletto con il 72,4 per cento dei voti e un'affluenza alle urne del 66 per cento, significativamente superiore a quella degli Stati Uniti. Insomma, una potenza che cerca di fare la stessa cosa che ha fatto con Beltrand Aristide ad Haiti, con Mel Celaya in Honduras e tanti altri nei paesi dell'America Latina e dei Caraibi, dove la situazione delle donne in assoluto ha dato segni di miglioramento, anzi. Ma non sorprende, perché questi gruppi femministi di “Articolazione” sono ONG finanziate o direttamente dallo stesso governo degli Stati Uniti o da fondazioni filantropiche globaliste che condividono gli stessi obiettivi.

   La United States Agency for International Development (USAID), il National Democratic Institute (NDI) e il NED svolgono un'intensa attività non solo in Nicaragua, ma anche in altri paesi centroamericani, con migliaia di "attivisti", centinaia di ONG, università e partiti politici, ai quali fornisce fondi e attrezzature. Da qualche anno la tendenza è quella di favorire organizzazioni femminili, indigene, gruppi LGBT, sostenitori dei diritti umani e ambientalisti. Una costellazione di organismi contribuisce a questo in Nicaragua, tra cui figurano : Seattle International Foundation, Inter-American Foundation, Open Society Foundations, Global Greengrants Fund, Kenoli Foundation, Ford Foundation, Fund for Global Human Rights, Astrea Lesbian Foundation for Justice, Global Fund for Women, Oxfam America, Grassroots International, FRIDA Young Feminist Fund e Calala Women's Fund.

Quest'ultimo, Calala Fund, ha sede a Barcellona e sovvenziona il gruppo delle donne Verena, uno di quelli che sostengono la Carovana di Solidarietà Internazionale per il Nicaragua che viaggia in Europa per «chiedere alla comunità internazionale di prendere misure contro la violazione dei diritti umani che Daniel Ortega sta commettendo». Tra le partecipanti c'è Jessica Cisneros, che si presenta come una femminista e attivista per i diritti umani, e appartiene al Movimiento Cívico de Juventudes (MCJ), finanziato dal già citato NDI (National Democratic Institute), la cui presidente è Madelaine Albright. La Freedom House, invece, ha coperto il viaggio di una rappresentanza de leader studenteschi a Washington, dove hanno incontrato i deputati repubblicani che guidano l'offensiva contro il Nicaragua.

   Credere che gli Stati Uniti non siano coinvolti nei disordini che devastano il Paese centroamericano, membro dell'ALBA, è una ingenuità o una complicità. June Fernández, direttrice di Píkara Magazine, con esperienza nella cooperazione internazionale in Nicaragua, sostiene che questa ipotesi di intervento nordamericano "cade sotto il suo peso", adducendo delle "lotte antimperialistiche" in cui sarebbero stati coinvolti studenti dell'opposizione, e citando come fonte affidabile La Prensa, che è di proprietà di un membro dell'oligarchia nicaraguense molto ben alimentato dalla lobby di destra a Miami. La signora Fernandez dovrebbe saperlo meglio. Ci sono prove dell'interesse degli Stati Uniti nel controllo degli stati caraibici, fornite da loro stessi. Il 1° novembre 2018, John Bolton, consigliere di Trump per le questioni di sicurezza nazionale, ha dichiarato a Miami che Cuba, Nicaragua e Venezuela sono la "troika della tirannia". Ma Fernández e altre sono impegnate ad esigere "elezioni libere ed eque" dove ci sono state, mentre hanno taciuto dove non ci sono state e il risultato ha favorito il candidato di Washington (mi riferisco, in effetti, all'Honduras).

La Carovana della Solidarietà con il Nicaragua ha trovato in Spagna un terreno ben fertilizzato dove radicare la narrativa di "Ortega è un genocida". Con gruppi femministi associati a dei media totalmente coinvolti in un riformismo di corte social-liberale, che non mette in discussione la politica estera dell'UE, degli Stati Uniti e della NATO, e si aggrappa alla politica delle identità, è facile capire che si sia dato carattere istituzionale agli interventi delle partecipanti alla Carovana con figure locali di rilievo, come Ada Colau, deputati di Podemos e la cosiddetta Commissione 8-M, alla cui riunione dello scorso ottobre a Gijón hanno assistito e attirato applausi. Anche in alcuni comuni come Córdoba sono state presentate mozioni di condanna contro Daniel Ortega, su proposta di Ganemos.

Già le accuse contro Ortega, da questa "prospettiva di genere" si estendono al fatto che il Nicaragua registra livelli molto alti di violenza contro le donne, che l'aborto è proibito, che le donne soffrono di condizioni molto avverse. Dati che non corrispondono a quelli presentati dal World Economic Forum, che nel suo rapporto sull'indice di Gender Gap 2015, colloca il Nicaragua al 12° posto su 145 paesi. L'aborto non è legale in nessuno stato circostante, nemmeno in molti degli Stati Uniti. Il record di femminicidi, e di violenza in generale in Centroamerica, è detenuto dall'Honduras, dove il presidente recentemente eletto, a differenza di Ortega, è uscito da elezioni provatamente manipolate, che hanno dato luogo a proteste con un alto numero di morti, feriti e arrestati... Ma dall'Honduras, dove crescono anche le ONG globaliste come funghi, non è partita nessuna Carovana di Solidarietà Internazionale, né si è pianto per le donne honduregne.

Il quotidiano Público ha titolato qualche giorno fa: «Le donne sono state la chiave della ribellione in Nicaragua». Una brutale generalizzazione manipolativa che cerca di nascondere che non tutte le donne nicaraguensi o di altri luoghi sostengono l'offensiva contro il governo di Daniel Ortega. Non tutte le donne o i gruppi femministi in Nicaragua partecipano a questa "ribellione" di cui beneficerà solo un'élite disposta a seguire i dettami del FMI, come in Colombia, Argentina o Brasile. Molte nicaraguensi ritengono che queste donne che sfilano attraverso i saloni di mezzo mondo per provocare la caduta del governo, non rappresentano «la collettività dei movimenti di emancipazione delle donne in Nicaragua»; condannano anche il silenzio dei media sia sulla violenza che questi gruppi hanno esercitato, sia sui collettivi di donne che l’hanno denunciata. E concludono che «facendo appello alla sorellanza, si stanno cooptando altre lotte per imporre l'agenda imperialista».

   Ma queste e altre voci non si sentono. Si diffonde invece quella delle componenti della Carovana Internazionale, che ultimamente lamentano presunte minacce e attacchi alle loro persone, e che in Nicaragua il movimento femminista viene “criminalizzato”. Non in nostro nome. Il femminismo non può essere arma di nessun imperialismo, perché in tal caso si estingue la sua forza rivoluzionaria, il suo potenziale per trasformare la realtà e, con esso, il suo stesso significato e scopo. Il femminismo che difende gli interessi delle donne operaie e contadine, indipendentemente dalla loro nazionalità, non può essere complice dei genocidi perpetrati in America Latina e nei Caraibi dagli Stati Uniti, che non rinunciano al controllo sui “cortili di casa”. Dobbiamo denunciare la manipolazione implicita nel discorso di coloro che, presentandosi in nome del femminismo, lavorano per altri interessi. NON IN NOSTRO NOME. Molte cose possono cambiare in Nicaragua; ma deve essere opera degli uomini e donne nicaraguensi, non del denaro e dell'agenda degli Stati Uniti e dei loro alleati.

Trad. Awmr Italia



01/01/19

AUGURI 2019



AWMR Italia augura a tutte e tutti Buon Anno!

Nel 2019 l'Awmr Italia - Donne della Regione Mediterranea compie vent'anni. L'abbiamo costituita, infatti, nel maggio 1999 e da allora operiamo con essa e in collegamento con altre associazioni e organizzazioni non governative locali, nazionali e internazionali, per promuovere insieme i diritti e la libertà delle donne in Italia, nel Mediterraneo e ovunque nel mondo; per eliminare ogni forma di discriminazione, sessuale, economica, sociale, etnica e culturale, e ogni forma di violenza contro le donne; per diffondere la cultura della giustizia, della solidarietà e della pace. 


AWMR Italia wishes everyone Happy New Year!  This year Awmr Italia - Women of the Mediterranean Region enters its twentieth year. Our association was established in May 1999 and since then we have been working, in cooperation with other local, national and international non-governmental organizations, to promote the women's rights and freedom in Italy, in the Mediterranean and everywhere in the world; to eliminate all forms of sexual, economic, social, ethnic and cultural discrimination and all forms of violence against women; to build and spread the culture of justice, solidarity and peace.


¡AWMR Italia les desea a todas y todos un Feliz Año Nuevo! 
Este año, la Awmr Italia - Mujeres de la Región Mediterránea cumple veinte años. La asociación se estableció en mayo de 1999 y desde entonces continuamos trabajando con ella y en contacto con otras organizaciones no gubernamentales locales, nacionales e internacionales  para promover los derechos y la libertad de las mujeres en Italia, en el Mediterráneo y en el mundo, para eliminar todas las formas de discriminación sexual, económica, social, étnica y cultural y todas las formas de violencia contra las mujeres; para difundir la cultura de justicia, solidaridad y paz.


AWMR Italia souhaite à toutes et tous une bonne et heureuse année! 
Cette année, l’AWMR Italie - Femmes de la région de la Méditerranée a vingt ans. L’association a été créée en mai 1999 et depuis lors, nous continuons de travailler en liaison avec d’autres organisations non gouvernementales locales, nationales et internationales pour promouvoir les droits et la liberté des femmes en Italie, en Méditerranée et partout dans le monde; pour éliminer toutes les formes de discrimination, sexuelle, économique, sociale, ethnique et culturelle, ainsi que toutes les formes de violence à l'égard des femmes; pour diffuser la culture de la justice, de la solidarité et de la paix.