27/08/22

Autocrazia di un impero in decadenza / L'esportazione del caos


"Bisogna sbarazzarsi dei vecchi paradigmi per capire che gli Stati Uniti non hanno bisogno di vittorie militari più grandi che generare caos, disunione e frammentazione dei paesi che non si subordinano" 





Maria Fernanda Barreto*

https://misionverdad.com/globalistan/autocracia-de-un-imperio-en-decadencia  

Nessuno può aspettarsi che un impero crolli senza scuotere la storia, tanto meno quando quell'impero ha concentrato il potere economico e militare in una misura senza precedenti, in un mondo quasi totalmente globalizzato.

Gli Stati Uniti, come vertice dell'impero capitalista, sono riusciti a concentrare l'economia mondiale, a costruire la forza militare più potente, a dominare i più grandi organismi di integrazione che dovrebbero essere multilaterali e, a loro volta, hanno condensato il potere delle corporazioni mediatiche sempre più cartellizzate a loro favore.

È un potere mostruosamente consolidato in quarantacinque anni trascorsi dal dopoguerra in un mondo bipolare e in più di tre decenni di unipolarismo, fatto a loro misura.

Se nessun impero prima aveva ottenuto così tanto potere sul resto dell'umanità, non ci dovrebbero sorprendere i terremoti che provoca una caduta così gigantesca.

Gli Stati Uniti e il loro esercito imperialista, la NATO, stanno conducendo il mondo intero in una guerra senza fine per difendere la storica conquista di essere riusciti a sostenere per tre decenni quel mondo da essi dominato, in cui tutti i popoli, compresi i loro, sono potenziali vittime dei loro attacchi multidimensionali e del "pubblico target" delle loro operazioni psicologiche e comunicative.

Occorre sbarazzarsi dei vecchi paradigmi per capire che gli Stati Uniti non hanno bisogno di un trionfo militare più grande che generare caos, disunione e frammentazione dei paesi che non si subordinano a loro e, anche, dei popoli che, al di là della loro stessi governi, osino ribellarsi ai loro interessi, perché questa tigre di carta ferita ha imparato da tempo a rafforzarsi nel caos degli altri.

LA VIOLENZA SCATENATA DAL MONDO UNIPOLARE

Per riassumere brevemente l'analisi che più volte abbiamo fatto su quanto sta accadendo oggi in Ucraina, diremmo che questo Paese è lo scenario in cui è in corso una guerra di Stati Uniti e NATO contro la Russia, il cui obiettivo strategico è impedire il consolidamento del mondo multipolare e sostenere il loro potere egemonico assoluto. Ha deciso di iniziare questa guerra attaccando indirettamente, ovviamente, la terza potenza più forte che, insieme alla Cina, rappresenta la più importante minaccia alla sua egemonia in campo economico, militare, culturale e, quindi, anche politico.

Indebolendo la terza potenza, potrà concentrarsi sul suo obiettivo principale, che è in definitiva la Cina. Con il coinvolgimento anche del gigante asiatico in un conflitto armato, aumenterebbe rapidamente la violenza che gli Stati Uniti esercitano su altri che rifiutano di sottomettersi. Vale a dire, i paesi insubordinati dell'Asia occidentale con in testa l'Iran e quelli dell’America Latina guidati da Cuba e Venezuela.

Con questo conflitto ai confini russi, inoltre, gli Stati Uniti stanno recuperando il loro potere economico e militare sull'Europa, che cominciava a dare segni di sovranità. Il risultato è un'Ucraina devastata e traumatizzata dalla guerra, una delle tre maggiori potenze mondiali impegnata a risolvere un conflitto senza impegnare tutta la sua potenza militare per non intensificare la violenza in un Paese territorialmente e culturalmente così vicino, nel mentre si misura con un’inusitata batteria di sanzioni economiche e con la censura mediatica. Nonché un'Europa che fa una guerra su comando nel suo stesso campo, sempre più indebitata e cominciando a sentire il peso della carenza di carburante e di alimenti per essersi subordinata al capo della NATO.

Inoltre, questo conflitto ha già cominciato a incidere sulla situazione ecologica di quella regione, con il ritorno all'uso massiccio del carbone e con il pericolo latente di una guerra nucleare che cerca di mimetizzarsi dietro il sipario di un incidente, di bombardamenti di impianti nucleari, per evitare una risposta russa diretta al Nord America, che ovviamente riguarderebbe anche l’America Latina.

I PIU' RECENTI ATTACCHI CONTRO LA CINA COME OBIETTIVO STRATEGICO

Gli Stati Uniti, attraverso le operazioni delle loro corporazioni come la Lockheed Martin - la più grande corporazione militare del pianeta - le loro misure coercitive unilaterali mascherate da sanzioni, azioni politiche aperte come la visita di Nancy Pelosi, intendono utilizzare Taiwan nello stesso modo che stanno usando l'Ucraina, alimentando un conflitto esternalizzato contro la Cina e continuando a fare pressione su presunti conflitti interni nella regione autonoma Uigura dello Xinjiang.

Nel suo libro Geopolitica multipolare, il ministro del Potere popolare per la difesa del Venezuela, generale in capo Vladimir Padrino López, avverte che «Nella Escalation di Tucidide verso la tripolarità [1]abbiamo illustrato ciò che vedremo presto quando la zona occidentale della Cina, co- abitata da una popolazione musulmana di etnia Uigur, inizierà a turbare la stabilità del circuito per impedire la ripresa del vecchia Via della Seta», spiegando inoltre che ciò sta avvenendo nel contesto di un riposizionamento delle forze occidentali nella regione indo-pacifica.

IL RUOLO DELLE CORPORAZIONI MEDIATICHE E DELLE ONG NEL GIUSTIFICARE LE INTERFERENZE

Se abbiamo imparato qualcosa in Venezuela, è l'importanza delle corporazioni dei media e delle presunte organizzazioni non governative, all'interno di guerre imperialiste multidimensionali, che preparano il terreno per giustificare le interferenze e cercare di legittimare le leggi e tutti i tipi di azioni unilaterali, extraterritoriali e di violazione del diritto internazionale con cui gli Stati Uniti s’ingeriscono negli affari interni di tutti i paesi del mondo, utilizzano a proprio piacimento organizzazioni internazionali, compiono rapine e saccheggi come quelli dell'oro venezuelano, del petrolio, delle società Citgo e Monómeros e, più recentemente, l'aereo dell'Emtrasur, mentre manipolano l'opinione pubblica mondiale a favore delle loro azioni.

Ovviamente, tutte queste dimensioni della guerra vengono applicate anche contro la Cina. Partendo dall'avvertimento lanciato dal generale in capo, dobbiamo ora prestare attenzione alla Legge sulla prevenzione del lavoro forzato Uigur, che estende i divieti di importazione sui prodotti fabbricati in quella regione, principalmente cotone. Questo divieto ha già avuto conseguenze per il settore tessile in tutto il mondo e ha avuto ripercussioni sull'economia interna della regione, cioè proprio sul popolo Uiguro che sostiene di difendere.

Si tratta di circa 7 milioni di agricoltori che si dedicano alla produzione di cotone, il cui sostentamento è messo a rischio da questa misura arbitraria. Il che dimostra che è il perseguimento di azioni economiche per minare la crescita dell'economia cinese, e non una sincera preoccupazione per i diritti umani, a motivare questo tipo di azione da parte degli Stati Uniti.

Come avviene anche in Venezuela, colpire la popolazione con misure coercitive che si configurano come blocchi ma che la narrativa filoimperialista chiama “sanzioni”, è diventato il loro modus operandi. Vengono emessi divieti di importazione verso gli Stati Uniti e contro leader politici del Paese, e poi vengono estesi ai paesi terzi che sono minacciati di misure simili se non supportano detto blocco, facendo ricadere il peso delle conseguenze economiche di tali misure sulle spalle dei popoli e violando i loro diritti fondamentali.

Per questo motivo, "Durante la 46a sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite appena conclusa, Cuba ha rilasciato una dichiarazione congiunta a nome di 64 paesi, in cui esorta i paesi interessati a smettere di interferire negli affari interni della Cina attraverso la manipolazione delle questioni relative allo Xinjiang, ad astenersi dal formulare accuse infondate contro la Cina per motivi politici e a smettere di frenare lo sviluppo dei paesi in via di sviluppo con il pretesto dei diritti umani». In essa, tra l'altro, si denuncia il doppio standard adottato dalle potenze occidentali quando si tratta di difendere i diritti umani.

Non è un caso che questa Legge interventista sia stata introdotta nel 2020 anche dal senatore Marco Rubio, acerrimo nemico di Cuba e del Venezuela. Infine, questa legge è stata convalidata da Joe Biden alla fine di dicembre 2021 ed è entrata in vigore il 21 giugno 2022.

Né è un caso che questo tipo di leggi si mascherino dietro una presunta difesa dei diritti umani e che si appoggino per questo su Human Rights Watch e Amnesty International, che sono tra le organizzazioni che senza mezze misure possiamo definire mercenarie che coprono e cercano di legittimare l'ingerenza degli Stati Uniti, mentre sono timide, sorde e persino mute, quando si tratta di denunciare le numerose violazioni dei diritti fondamentali all'interno degli Stati Uniti e dei paesi della NATO. Tanto meno osano denunciare le massicce violazioni dei diritti umani che questa ingerenza genera nei paesi del Sud del mondo.

Ma, senza dubbio, la cosa più preoccupante di tutte è come l'opinione pubblica mondiale venga manipolata dalle grandi multinazionali mediatiche, sempre più massificate attraverso i social network e condizionate dagli algoritmi di un'intelligenza artificiale che impara a controllarci ad ogni ricerca che facciamo su Internet.

L'impero delle fobie, che è stato promotore di islamofobia, russofobia e sinofobia, continua nel suo tentativo di espandere e salvaguardare il proprio dominio, imponendo la guerra e seminando il caos. La lotta per il mondo multipolare guidata da Cina e Russia è accompagnata anche da Iran, Siria, Palestina, Cuba e, naturalmente, Venezuela, tra gli altri paesi del mondo che rifiutano di rinunciare alla loro sovranità e ipotecare il loro diritto all'autodeterminazione. Perché solo in un mondo condiviso sarà possibile quella “costruzione storica fondamentale per potersi sviluppare pienamente” che è la pace

In quello stesso libro, il generale Padrino López afferma brillantemente che "l'equazione della pace sarà sempre negoziata e si presume che chi siederà a quel tavolo con maggior potere otterrà maggiori vantaggi e benefici, motivo per cui il potere è la risorsa improrogabile da conquistare".

La costruzione di quel potere non passa solo attraverso la preparazione militare e lo sviluppo economico, ma implica, in linea di principio, il raggiungimento dell'unità dei Popoli nella lotta per il mondo multipolare e pluricentrico, che richiede una "opinione pubblica" capace di svelare e contrastare la guerra comunicativa diretta dai cartelli mediatici e dalla loro industria dell'intrattenimento.

Finché si continuerà ad accettare che gli Stati Uniti destabilizzino il diritto internazionale in nome delle proprie leggi, impongano guerre in nome della pace, violino le sovranità in nome della libertà, impoveriscano i nostri popoli in nome dei diritti lavorativi e attacchino le nostre democrazie in nome del loro modello liberale di democrazia, continueremo ad essere deboli e, parafrasando Bolívar, saremo "strumenti ciechi della nostra stessa distruzione".

Se l'ingerenza statunitense finisce per indebolire Cina e Russia, tutta l'umanità corre il rischio di finire sommersa nell'autocrazia più assoluta dell'imperialismo. Di tale portata è rischio che il mondo corre in questo momento storico, ma per quanto è stato detto fin qui, l'opportunità è della stessa dimensione.

*Analista politica e ricercatrice venezuelana



[1] «L'escalation di Tucídide verso la tripolarità» del generale in capo Vladimir Padrino López, è un recente lavoro pubblicato dall'editore El Perro y La Rana ai fini di FILVEN 2020, un'analisi del riadattamento del Nuovo Ordine Mondiale, in un contesto post-pandemia caratterizzato dalla guerra commerciale tra USA e Cina.  Vi si descrivono le condizioni nelle quali lo scenario della “Trappola di Tucidide” di Graham Allison – in cui si allude alla guerra del Peloponneso documentata da Tucidide – avrebbe come esito inevitabile la guerra mondiale, con la Cina e gli Stati Uniti come protagonisti. Tale escalation avrebbe luogo dal 2021 al 2025. Nell'analisi di Allison, Sparta rappresenta il potere conservatore dello status quo e Atene il potere emergente con un sistema di organizzazione politica innovativa e progressiva.


09/08/22

La Colombia volta pagina / Col nuovo governo progressista rinasce la speranza di pace

 


Il 7 agosto 2022, migliaia di colombiani si sono radunati in Plaza Bolívar a Bogotà per festeggiare Gustavo Petro e Francia Márquez, presidente e vicepresidente del primo governo progressista nella storia della Colombia.

«Questa è la rinascita della speranza» - ha detto nel discorso di apertura Roy Barreras, presidente entrante del Senato colombiano - «Oggi, il mandato popolare per la pace, una vita dignitosa, la giustizia sociale e ambientale ci ha portato in questa piazza e in tutte le piazze della Colombia».

La vicepresidente afro-colombiana Francia Márquez ha prestato giuramento di servire il suo paese «hasta que la dignidad sea costumbre», finché la dignità non diventi consuetudine, e un grido unanime si è levato dalla folla in Plaza Bolívar: «No mas guerra! Mai più guerra!», mentre Gustavo Petro indossava la fascia presidenziale e inaugurava il suo "Governo della Vita" che porrà fine a sei decenni ininterrotti di violenze e conflitti armati in Colombia.

L'Awmr Italia - Donne della Regione Mediterranea, insieme a tutte le organizzazioni affiliate alla Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDIM) in Europa e nelle altre regioni del mondo, esprime l'augurio più vivo e la piena solidarietà al nuovo governo che apre grandi speranze di cambiamento in Colombia e non solo in Colombia!

Siamo orgogliose di accompagnare Gustavo Petro e Francia Márquez lungo questa strada che si apre verso una pace vera in Colombia, in America Latina e nel mondo.

Siamo orgogliose di accompagnare la nostra sorella di lotte Gloria Inés Ramírez, vicepresidente della FDIM, nel suo incarico di Ministra del Lavoro nel nuovo governo. La sua nomina è il meritato riconoscimento al suo grande e tenace impegno nel movimento operaio e femminista del suo paese ed  è un’altra pietra miliare nella storia della lotta collettiva per i diritti delle donne, per l'uguaglianza e la pace in America Latina.

#FDIM #WIDF #SolidaridadFeminista


La guerra, la cura e l’incuria


 Parliamo di questa guerra, anche se ve ne sono in corso altre decine in altrettanti angoli del mondo, di cui non ci accorgiamo perché avvengono a sufficiente distanza di sicurezza dai nostri confini geografici e dalla nostra mappa mentale.



di ADA DONNO

Parlare della guerra è parlare di questa guerra, anche se ve ne sono in corso altre decine in altrettanti angoli del mondo, di cui non ci accorgiamo perché avvengono a sufficiente distanza di sicurezza dai nostri confini geografici e dalla nostra mappa mentale. Ma forse anche per via di un difetto della vista legato a una visione pervicacemente eurocentrica della storia. 

Una forma di miopia che c’impedisce di vedere come il Nord e il Sud, l’Est e l’Ovest del pianeta siano interdipendenti; come l’economia dello spreco su cui si regge il Nord del pianeta sia resa possibile dal sistematico saccheggio delle risorse del Sud; come esista un nesso causale tra la predazione e lo spreco di risorse, le politiche di riarmo e l’aggravarsi della fame che miete vittime ogni giorno alle altre latitudini. Ma quando anche lo vedessimo, temo che l’ignavia forse inibirebbe l’impulso a rinunciare all’agio che ci procurano le nostre piccole o grandi, ignobili, quote di complicità.

«Una guerra in atto è già una sconfitta», ha scritto la Women’s International Democratic Federation nel suo appello a sostegno della mobilitazione del 5 marzo per la pace in Ucraina, pochi giorni dopo l’avvio della “operazione speciale” della Russia, che ai russi è vietato chiamare guerra.

«Lo è per le donne che creano la vita e se ne prendono cura, per ogni persona impegnata nella costruzione della pace, per i popoli che ne subiscono le peggiori conseguenze, per le istituzioni statali e internazionali che non hanno saputo o voluto né prevenirla né fermarla, facendo agire le costituzioni, le Carte, le convenzioni e i trattati che richiamano a relazioni pacifiche fra gli Stati, alla soluzione negoziata delle controversie, alla cooperazione. Lo è per i suoi terribili effetti immediati e quelli che restano nel tempo, per le morti, le distruzioni, le ferite inferte ai corpi e alle cose, i bambini traumatizzati, le separazioni dolorose e gli esodi forzati. Per i diritti negati». (Fermare la guerra in Ucraina, fermare tutte le guerre! Appello della WIDF, 2 marzo 2022).  

Ma lo è anche, aggiungo, per i risvolti più miserabili che l’eccitazione bellica riverbera nelle comunità che ne sono in misura diversa investite o coinvolte – direttamente o indirettamente, più o meno vicine o lontane dai teatri di guerra – e portano con sé un deterioramento delle relazioni umane che è altrettanto difficile e lungo da risanare.

Uno di questi risvolti è il clima di sospetto e intimidazione che ricade su chi fra noi non si mostri abbastanza solerte nel rispondere alla chiamata alla cobelligeranza. Dai media irreggimentati ci viene ripetuto incessantemente che questo accade in Russia, ma non si racconta con altrettanta diligenza il sospetto di connivenza col nemico, perfino lo zelo delatorio che colpiscono chi non si allinea con la guerra, anche da questa parte della frontiera (Il coraggio di volere la pace, 6 marzo 2022).

Per tutto questo, in tante, abbiamo rifiutato di schierarci con l’una o con l’altra delle parti che si fronteggiano in questa guerra, abbiamo detto che essa va fermata subito, prima che si espanda e risucchi nel suo vortice il resto dell’Europa e altre regioni del mondo. Ciò non vuol dire però che siamo rimaste in silenzio, né che ci siamo astenute dall’esprimere un giudizio e una condanna di chi questa guerra l’ha premeditata e voluta, cioè gli Stati Uniti e la NATO, o se ne è reso complice, o non ha fatto nulla per fermarla.  

Non ci schieriamo perché «non esistono guerre umanitarie, non esistono guerre giuste, non esistono guerre per portare la pace», come abbiamo detto nell’appello Fermiamo la guerra in Ucraina! dell’Assemblea della Magnolia del 5 marzo 2022. Ma anche perché le cause di questa guerra sono troppo complicate per cedere alla retorica facile della “piccola coraggiosa democrazia che combatte contro il grande despota” e al gioco di chi vorrebbe ribaltare il giudizio che inchiodò i nazisti nei banchi del tribunale di Norimberga e riscrivere la storia del Novecento. Il male che ritorna nella sua banalità.  Grande abbaglio delle parlamentari che hanno votato per l’invio di armi al governo dell’Ucraina.

Nelle reti femministe tessute soprattutto online nei due anni di pandemia ci siamo interrogate su come continuare ad elaborare quel “paradigma della cura” che ci pare un’ineludibile opzione di cambiamento, poiché «le armi non sono servite contro la pandemia, ed è invece la necessità della rivoluzione della cura la lezione più importante che il Covid ha insegnato al mondo, per un’idea di interdipendenza e convivenza, per ribaltare il paradigma del profitto, che distrugge il pianeta, alimenta le disuguaglianze e fomenta le guerre». E abbiamo anche molto ragionato su «l’insostenibile sistema patriarcale coniugato con le politiche liberiste che da anni insanguina il mondo e distrugge umanità e natura, con guerre e occupazioni: le chiamano ipocritamente umanitarie o esportatrici di libertà per le donne o veicoli di valori democratici e sicurezza... Afghanistan, Iraq, Siria, Sudan, Libia, Yemen, Palestina...», (Siamo realiste, rifiutiamo la guerra! Appello del Gruppo Femminista della Società della Cura, 5 marzo 2022). 

Un’altra idea di sicurezza

Già nel seminario internazionale femminista Cura e incuria, del 23-24 ottobre 2021, avevamo cercato di fare il punto su un’altra idea di sicurezza, demilitarizzata, sostenendo che «sicurezza è accesso all'assistenza sanitaria, all'approvvigionamento alimentare, all'istruzione, a redditi dignitosi; sicurezza è prendersi cura degli esseri umani e di tutti gli esseri viventi, salvaguardare il futuro del pianeta: la proliferazione delle armi non può fornire tutto ciò all’intera umanità».

E avevamo aggiunto che, proprio per questa convinzione che avevamo, ci allarmava e ci preoccupava profondamente la “professione di atlantismo” rilanciata dal governo italiano proprio nel momento in cui la pandemia di COVID 19 aveva messo in luce la fallacia di politiche che incentivano gli investimenti nella “sicurezza militarizzata” a scapito della sicurezza umana, della salute del pianeta, della capacità di prevenzione dei conflitti. 

Fuori la guerra dalla storia – fortunato epigramma che Bertha von Suttner, premio Nobel per la Pace 2005, formulò alla fine dell’800 in “Die Waffennieder” (Abbasso le armi), 1889 e che divenne parola di donna nel corso del ‘900  – ritorna se possibile con più convinzione nel terzo millennio, non solo come imperativo morale retto da nobile tensione utopistica. Nell’era nucleare, quando il mondo non è mai stato così vicino all'olocausto nucleare, è stato detto autorevolmente, esso finisce col coincidere con l’istinto di conservazione dell’essere umano.

Non schierarsi con la guerra – che fino ad ora, ma non sappiamo ancora per quanto, si sta conducendo con gli arnesi ideologici e tecnologici dell’ultima guerra mondiale – dovrebbe perlomeno risvegliare questo istinto. Ma il punto è se siamo in grado di tradurre l’opzione morale e l’istinto di conservazione – utilizzando gli strumenti associativi, culturali, politici che ci siamo date – in termini di costruzione giuridica e legislativa. Se si riuscirà a far diventare la pace un diritto universale.

Infatti, « la questione centrale non è la pace in Europa, quanto piuttosto la pace sulla Terra e la pace con la Terra», è stato detto in un recente convegno internazionale in cui si è proposto di aprire la strada ad un Nuovo Accordo di Helsinki e di prendere in seria considerazione l’alternativa «giustizia economica o suicidio dell'umanità» (World BEYOND War, “Secure Finland without NATO and nuclear weapons”, Helsinki, 7 maggio 2022).

Come ha scritto Samanta Picciaiola, dell’Associazione Orlando di Bologna, in occasione del seminario Cura e Incuria di cui dicevo prima, «una delle prime parole che la pandemia ci ha consegnato è “cura”. Il paradigma della cura emerge già al termine del periodo del primo “confinamento” ed è carico di istanze ed echi diversi. Cura non solo come rimedio alla malattia ma da subito cura come nuova postura dell’abitare il mondo (la cura e il mondo di Elena Pulcini); cura come paradigma relazionale (prendersi cura di sé e delle altre, le nuove forme di sorellanza) e infine la cura come modello sociale da realizzare attraverso nuove pratiche di partecipazione diretta alla gestione delle risorse e dei beni comuni».

Quando si è diffusa la prima ondata della pandemia di Covid – sembra tanto tempo fa – desiderio comune era “tornare alla normalità”, ma in molti hanno avvertito: niente sarà più come prima. E noi femministe abbiamo aggiunto: “Il ritorno alla normalità non ci basta, perché la normalità era il problema”.

Oggi possiamo specificare meglio che del problema fa parte l’atlantismo, compresa la sua specificazione euro-atlantica, un vecchio arnese ideologico-militare che gli Stati Uniti e l’UE pretendono di rilanciare. Del problema fa parte la pretesa di supremazia dell’Occidente transatlantico che non vuole accettare la realtà di un mondo multipolare, decolonizzato, in cui prevalgano relazioni paritarie e decisioni negoziate e condivise.

Del “paradigma della cura” – la soluzione che vogliamo – fa parte, viceversa, spezzare il triangolo micidiale patriarcato-militarismo-capitalismo; affermare un concetto di sicurezza umana non militarizzata, non fondata su alleanze militari contrapposte, bensì sui valori della cooperazione e delle scelte condivise per la salute dei viventi e del pianeta.

Purtroppo, come dice Samanta, «a fronte del rinnovato protagonismo delle donne abbiamo riscontrato una risposta debole e tardiva da parte delle politiche istituzionali a livello internazionale: una sorta di inerzia a recepire questo necessario salto di paradigma. I movimenti delle donne su scala mondiale chiedono una riconversione produttiva che punti a economie della cura che rigettano l’approccio neocolonialista, che cassano le spese per gli armamenti e ripropongono come strumenti della democrazia le diplomazie, l’ascolto, la partecipazione e la condivisione delle responsabilità».

Ciò di cui abbiamo bisogno è «una diplomazia efficace per ottenere una riduzione immediata dell'escalation, fermare la guerra e iniziare la ricerca di una soluzione politica duratura, nel rispetto della sicurezza e dei diritti di tutti i popoli. Ciò di cui abbiamo bisogno è intensificare i nostri sforzi affinché un nuovo concetto di mutua sicurezza non militarizzata si affermi nelle relazioni internazionali e la parola guerra scompaia finalmente dal vocabolario delle relazioni umane» (POR LA PAZ, NO A LA OTAN! Risoluzione adottata al XVII congresso internazionale WIDF, Caracas, aprile 2022).

Scriveva Nora Garcia della Asamblea Internacional de los Pueblos, parte convocante di una Cumbre de la Paz tenutasi a Madrid nel giugno scorso , in coincidenza con il Summit della guerra riunito nella sua città dalla NATO, che «il femminismo è un grido globale che ci offre una mappa in cui "noi" significa tutte e a "tutte" offre delle risposte. In questo "tutte", non dimentichiamo nessuna. Le donne sanno che ora, proprio ora, quando tutto è frammentato, diviso, polarizzato, semplificato e dimenticato, dobbiamo fermarci, riflettere e dare una risposta collettiva: un'agenda femminista per la pace. Dobbiamo posizionare il nostro sguardo sul mondo, che è quello che allarga l'analisi, tesse alleanze e genera processi di cooperazione, solidarietà e sostegno reciproco, guardando sempre a chi soffre, chi è sfruttata, oppressa, resa invisibile. Questo è anche il motivo per cui, mentre “loro” organizzano un Vertice per la guerra nella mia città, Madrid, “noi” convochiamo un Vertice per la Pace.  Tutta questa storia di lotta femminista per una pace duratura ci ha insegnato che la pace è fatta di coraggio e di lotta. Avanti sorelle, lottiamo per una pace che non sia solo un cessate il fuoco, ma una transizione da questo mondo violento alla solidarietà, al rispetto reciproco, all’uguaglianza, i diritti, la cooperazione e la sostenibilità del pianeta! Le armi non ci salveranno. Lo faremo noi». (Feminismo es un grito global contra la guerra, maggio 2022).




07/08/22

Hiroshima 77 / L'IPPNW alle potenze nucleari: Se vogliamo sopravvivere dobbiamo cambiare rotta

 Dichiarazione rilasciata dall'ex co-presidente dell’IPPNW*, Ira Helfand, alla Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione (NPT) presso le Nazioni Unite a New York, il 5 agosto 2022


Più di 50 anni fa le nazioni del mondo, comprendendo la grave minaccia esistenziale rappresentata dalle armi nucleari, si sono riunite in questo Trattato di non proliferazione per fermare la diffusione di queste armi e impegnarsi per la loro eliminazione quanto prima possibile.

Per più di cinque decenni, la stragrande maggioranza delle nazioni del mondo ha onorato gli impegni presi. Tuttavia nove nazioni, di cui cinque che sono firmatari di questo Trattato, hanno scelto di ignorare i propri obblighi. Invece, hanno mantenuto enormi scorte di queste armi, in grado di distruggere la civiltà moderna e uccidere la stragrande maggioranza della razza umana, e sono tutti impegnati in scenari estremamente costosi di modernizzazione e potenziamento di quegli arsenali. Hanno continuato a giocare d'azzardo con il destino della terra, tenendo in ostaggio l'intera umanità e, in molte occasioni, ci hanno portato sull'orlo di un'apocalisse nucleare.

Una recente dichiarazione congiunta con i nostri colleghi -  di World Medical Association, International Council of Nurses, World Federation of Public Health Associations e International Federation of Medical Student Associations - ha sottolineato l’indiscutibile corpo di prove secondo cui le conseguenze dell'uso delle armi nucleari sono catastrofiche, globali e senza rimedio.

Non siamo sopravvissuti grazie alla presunta saggezza dei leader di questi paesi, o la solidità delle loro dottrine militari o l'infallibilità della loro tecnologia. Al contrario, siamo sopravvissuti nonostante loro. Siamo qui solo perché, come l'ex segretario alla Difesa americano Robert McNamara ha avvertito: “Siamo stati fortunati. È stata la fortuna a prevenire la guerra nucleare”.

L'estremo pericolo con cui abbiamo convissuto a causa del comportamento sconsiderato di questi nove paesi è ulteriormente cresciuto con l'invasione russa dell'Ucraina all'inizio di quest'anno. Nel corso di in questo conflitto, la Russia ha minacciato più volte di usare le sue armi nucleari e la NATO, attraverso Francia, Regno Unito e Stati Uniti, ha risposto con le proprie minacce nucleari.

In risposta, 18 premi Nobel per la pace hanno rilasciato una dichiarazione, che allego al nostro messaggio di oggi, invitando sia la Russia che la NATO a impegnarsi a non usare armi nucleari nell'attuale conflitto. Questo appello è stato sostenuto da più di un milione di persone in tutto il mondo e presentato qui all'ONU e ai governi della Russia e della Nato.

La loro risposta: un silenzio fragoroso.

Ora questi paesi sono qui a questa Conferenza di Revisione chiedendo ancora una volta alle altre nazioni del mondo di rinnovare l’impegno a non acquisire armi nucleari, mentre essi stessi neppure promettono di non far saltare in aria il mondo con le armi che già hanno. Non dovrebbero essere autorizzati a lasciare questa Conferenza senza assumere un simile impegno.

 Dovremmo fare in modo che tengano conto di alcuni fatti.

Nel luglio del 2017, 121 nazioni si sono riunite qui all'ONU e hanno adottato il Trattato sul divieto di Armi nucleari, riaffermando il loro impegno per l'eliminazione di queste armi e vincolando se stessi a non acquisirle. Gli Stati dotati di armi nucleari sostengono questo nuovo Trattato? No.

Guidati dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, i cinque stati vincolati da questo TNP ad eliminare le loro armi nucleari, attaccano il TPNW sostenendo che è una minaccia per il TNP. Il loro attacco non è altro che un tentativo sfacciato di distogliere l'attenzione dalla vera minaccia alla non proliferazione: la loro continuata inabilità ad eliminare i propri arsenali. Queste armi rappresentano un pericolo immediato e crescente per la civiltà umana e deviano la nostra attenzione dagli altri grandi problemi che abbiamo di fronte.

Oggi ci troviamo di fronte a una seconda minaccia esistenziale: la crisi climatica che peggiora ogni giorno. Noi stiamo impoverendo le risorse del mondo e inquinando aria, acqua e terra. Siamo di fronte all'emergenza globale di pandemie e le nostre popolazioni sopportano lo scandalo quotidiano dell'ingiustizia sociale, economica e razziale che devastano la vita di miliardi.

Ma invece di occuparsi di queste vere minacce, i leader delle grandi potenze continuano a fare il gioco pericoloso del “Re della Montagna” per vedere chi arriverà "in cima" nella competizione globale per sempre più potere e ricchezza, apparentemente ignari del fatto che il "vincitore" di questo gioco finirà seduto, non su una montagna, ma sul mucchio di cenere che sarà rimasto della civiltà umana.

Questo non è il futuro che deve essere. Non siamo condannati a distruggerci in una guerra nucleare, né a distruggere l'ambiente da cui tutti dipendiamo. Né siamo condannati a vivere in un mondo in cui alla maggior parte della gente vengono negati cibo, alloggio, assistenza sanitaria e istruzione adeguati. 

Ma se vogliamo sopravvivere, e se i nostri popoli vogliono godersi la vita a cui hanno diritto, dobbiamo cambiare rotta. Le grandi potenze devono capire che la propria sicurezza, così come la sicurezza di tutta l'umanità, esige che esse collaborino per affrontare i problemi reali che dobbiamo affrontare. 

Ad iniziare dalla minaccia più urgente di tutte: la minaccia rappresentata dalle loro armi nucleari. I cinque stati possessori di armi nucleari che sono parte del TNP dovrebbero entrare ora - qui a questa riunione - in trattative per un accordo verificabile e durevole per eliminare tali armi, e invitare gli altri quattro stati in possesso di armi nucleari a unirsi a loro, in modo da entrare tutti nel Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari, nel rispetto dell'articolo 6 del presente Trattato di non proliferazione.

La nostra sopravvivenza e la sopravvivenza dei nostri figli non richiedono niente di meno. 

* International Physicians for the Prevention of Nuclear War (IPPNW) è una federazione internazionale di medici che lavorano insieme per l'abolizione delle armi nucleari, la prevenzione della violenza armata e la pace nel mondo. Fondata nel 1980 durante la Guerra Fredda che ha minacciato il nostro pianeta di catastrofe nucleare, IPPNW è stata insignita del Premio Nobel per la Pace nel 1985 per la sua campagna globale per educare i leader mondiali e il pubblico sulle conseguenze mediche e ambientali delle armi nucleari e della guerra nucleare. Ha più di 54 sezioni nazionali in tutto il mondo che operano per la pace.

 

05/08/22

HIROSHIMA 77 ANNI / MAI PIU' GUERRA

 
LE DONNE DEL MONDO VOGLIONO PACE E DIRITTI. 

LA PACE NON SI COSTRUISCE CON LE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA NÉ CON LE ALLEANZE MILITARI IMPERIALISTE.  

SCIOGLIERE LA NATO! MAI PIU’ HIROSHIMA E NAGASAKI!

Atomic bombing in Japan jpg

Appello della Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDM/WIDF) alle donne del mondo: «A 77 anni da Hiroshima, reclamiamo pace, democrazia e indipendenza per i popoli»

Questo 6 agosto 2022 commemoriamo il 77° anniversario della crudele e spietata strage di esseri umani causata dal lancio su Hiroshima, Giappone, nel 1945 di una bomba atomica dalle forze armate degli Stati Uniti, vile attacco che in un paio di secondi fece più di 150mila vittime.

Mentre onoriamo la memoria di migliaia di innocenti sterminati a Hiroshima, in questa giornata rivolgiamo un appello urgente alla mobilitazione per la pace mondiale a tutte le forze democratiche del mondo e chiediamo alle potenze imperialiste di fermare i conflitti bellici che colpiscono l’umanità.

Incombe la minaccia di un terzo conflitto di dimensioni globali e non possiamo lasciar passare la commemorazione del massacro di Hiroshima   senza ricordare al mondo che sono vite umane quelle che muoiono in guerra, che le guerre peggiorano le già deteriorate condizioni di esistenza delle grandi maggioranze impoverite e la vita stessa del pianeta.

Davanti alla escalation del riarmo e la risorgente minaccia di un conflitto mondiale, ci angoscia il pensiero che le donne e le bambine siano le più colpite dalle guerre e i suoi “effetti collaterali”, gli esodi e le migrazioni forzate, la fame, la violenza in tutte le sue manifestazioni, la tratta delle persone, la schiavitù sessuale, la perdita dei diritti fondamentali.

Alla fine del 2021 il numero di persone sfollate a causa delle guerre, la violenza, la persecuzione e le violazioni dei diritti umani ammontava a 89,3 milioni, più del doppio rispetto alla cifra di dieci anni fa. Ad oggi, solo per il conflitto Russia-Ucraina ci sono quasi 10 milioni di persone rifugiate e profughe sparse per tutta l’Europa, compresa la Russia. Queste cifre da sole ci parlano dell’allarmante aumento della guerra e della violenza nel mondo.

È per questo che denunciamo le decisioni assunte dall’élite mondiale del capitalismo, capeggiata dal governo degli Stati Uniti, nell’ultimo vertice della NATO a Madrid, che inducono ad approfondire e globalizzare i conflitti ed espandere le sue basi militari negli altri continenti.

Alla NATO, che pretende di mostrarsi al mondo come paladina dei valori democratici, dei diritti umani, della libertà e rispettosa del diritto internazionale, “preoccupata” per il degrado ambientale e per le disuguaglianze di genere, diciamo che la guerra interventista che essa istiga e diffonde è molto lontana dal rispetto della sovranità dei popoli e che i successi militaristi che essa ostenta non servono né alla pace, né all’equità, tantomeno all’eliminazione della povertà, né rimediano ai gravi pericoli che corre il pianeta.

Di sicuro le guerre distruggono qualsiasi possibilità di uguaglianza e giustizia per le donne.

Noi donne non vogliamo vivere subendo violenza e maltrattamenti, non vogliamo essere violentate, né diventare bottino nei conflitti causati dal patriarcato capitalista e colonialista.

È per questo che la FDIM denuncia il terrorismo e il fascismo in tutte le loro forme; esige lo scioglimento della NATO e l’eliminazione delle sue basi militari nel mondo; chiede ai governi del mondo che non si prestino ad essere base di appoggio per nessuna guerra; esorta i popoli a mobilitarsi per una pace che non passi attraverso il potenziamento militare né tantomeno attraverso lo sterminio di centinaia di migliaia di persone, come accadde ad Hiroshima.

Chiamiamo alla mobilitazione contro la guerra e a favore della vita e della pace!.

Hiroshima 77 / ICAN: è ora di finirla con le armi nucleari

 Invito alle donne e gli uomini di pace

Hiroshima image

«Il 6 agosto 1945 gli Stati Uniti lanciarono una bomba atomica su Hiroshima, uccidendo indiscriminatamente decine di migliaia di persone, sconvolgendo e alterando profondamente la vita dei sopravvissuti.

Ogni anno, gli anniversari dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki (il 9 agosto) ci ricordano le catastrofiche conseguenze umanitarie delle armi nucleari e qual è la posta in gioco nel nostro lavoro per eliminare queste armi di distruzione di massa.

Quest'anno, l'anniversario cade nel mezzo di un aumento del rischio di uso di armi nucleari e mentre gli stati si incontrano a New York per rivedere il Trattato di non proliferazione nucleare delle Nazioni Unite. C'è un contrasto stridente tra le potenti testimonianze di Hibakusha e dei sopravvissuti ai test nucleari e le vuote dichiarazioni degli stati dotati di armi nucleari che ancora non riescono a mantenere le promesse di disarmo.

Elyzaveta Khodorovska, una diciottenne ucraina che rappresenta l'ICAN ha chiamato le armi nucleari per quello che sono e ha detto la verità al potere durante la conferenza:

«Le radiazioni non conoscono confini e il nostro mondo globalizzato non conosce isolamento dalla catastrofe socioeconomica di un conflitto nucleare anche limitato», ha affermato in una dichiarazione alle Nazioni Unite venerdì pomeriggio: «Conosciamo troppo bene l'impatto umanitario delle armi nucleari: l'uso nucleare ha portato enormi sofferenze a Hiroshima e Nagasaki; le conseguenze dei test nucleari perseguitano ancora la popolazione del Kazakistan, delle Isole Marshall e altrove».

Nel frattempo, gli stati parte del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) hanno intrapreso azioni concrete per affrontare l'eredità umanitaria dell'uso e dei test delle armi nucleari e portare avanti la richiesta di un mondo libero dalle armi nucleari da parte degli Hibakusha. A giugno, è stato adottato il Piano d'azione di Vienna in occasione della prima Riunione degli Stati parte del TPNW, un progetto in 50 punti per l’applicazione del trattato verso l'eliminazione totale delle armi nucleari. Un Hibakusha parlando alle Nazioni Unite questa settimana ha fatto appello al Giappone e a tutti i paesi affinché si uniscano al TPNW.

Gli Hibakusha sono parte integrante della storia dei bombardamenti atomici di queste città - non solo perché sono tra i pochi veri esperti per aver sperimentato l'impatto reale delle armi nucleari - ma anche per gli instancabili sforzi di molti Hibakusha per eliminare queste armi.

Per commemorare questo anniversario potete guardare lo streaming (ospitato dai nostri partner Peace Boat e ANT-Hiroshima) del momento di silenzio della mattina del 6agosto a Hiroshima, cercare un evento commemorativo che si svolge vicino a voi o prendervi un momento per essere solidali con gli hibakusha, per un mondo libero da armi nucleari».

Alicia Sanders-Zakre

Coordinatrice delle politiche e della ricerca ICAN