31/12/22

2023 / Desideri per il nuovo anno


(Ripresi in prestito da Eduardo Galeano e declinati al femminile plurale)

Ci auguriamo di essere degne di disperata speranza.

Che possiamo avere il coraggio di stare da sole ed il coraggio di rischiare di stare insieme, perché non serve a niente un dente fuori dalla bocca o un dito fuori dalla mano.

Che possiamo essere disobbedienti, ogni volta che riceviamo ordini che umiliano la nostra coscienza o violano il nostro buon senso.

Che possiamo essere così testarde da continuare a credere, contro ogni evidenza, che la condizione umana ne valga la pena, perché gli esseri umani sono stati fatti male, ma non sono finiti.

Che possiamo essere capaci di continuare a camminare sui sentieri del vento, nonostante le cadute, i tradimenti e le sconfitte, perché la storia continua, al di là di noi, e quando essa dice addio, sta dicendo: ci vediamo dopo.

Che ciascuna possa mantener viva la certezza che è possibile essere compatriota e contemporanea di chiunque vive animata dal desiderio di giustizia e da volontà di bellezza, nasca dove nasce e viva quando vive, perché non hanno confini le mappe dell’anima né del tempo.

AWMR Italia – Donne della Regione Mediterranea


Ufficiale: nell’anno nuovo Ana Belén Montes sarà una donna libera

Ana Belén Montes. Foto/Facebook
L’8 gennaio 2023 sarà finalmente scarcerata Ana Belén Montes, ex analista dell'intelligence statunitense presso la Defense Intelligence Agency (DIA), che ha trascorso oltre 20 anni di detenzione nelle condizioni umane più avverse in un carcere manicomiale di massima sicurezza in un'unità militare statunitense. 

Arrestata nel settembre 2001 con l’accusa di "cospirazione a scopo di spionaggio” per aver fornito a Cuba informazioni sui piani di aggressione degli Stati Uniti contro l'isola, Ana Belén Montes fu condannata l’anno dopo. 

Con grande coraggio si dichiarò colpevole delle accuse che le erano state mosse, pur sapendo che avrebbero potuto valerle la pena di morte, così esprimendosi davanti al tribunale federale di Washington DC, il 16 ottobre 2002: «Vostro Onore, mi sono impegnata nell'attività che mi ha portato davanti a voi perché ho obbedito alla mia coscienza piuttosto che alla legge. Ritenendo che la politica del nostro governo nei confronti di Cuba sia crudele e ingiusta, profondamente ostile, mi sono ritenuta moralmente obbligata ad aiutare l'isola a difendersi dai nostri tentativi di imporle i nostri valori e il nostro sistema politico. Abbiamo mostrato intolleranza e disprezzo verso Cuba… non abbiamo mai rispettato il diritto di Cuba a definire il proprio destino, i propri ideali di uguaglianza e giustizia».

Ana Belén Montes fu infine condannata a 25 anni di carcere, a seguito del patteggiamento con la pubblica accusa. Avrebbe potuto essere scarcerata già alla fine del 2021 per buona condotta e inviata agli arresti domiciliari, ma ha dovuto trascorrere ancora un anno in prigione per l’accanita opposizione del tribunale federale. Se non ci saranno ulteriori impedimenti, Ana Belén Montes potrà festeggiare il suo 66° compleanno con la sua famiglia, il 28 febbraio prossimo, per la prima volta dopo 21 anni.

#LibertadParaAnaBelenMontes #Nobloqueo

Qui sotto l’articolo di #Cubainformacion.

20/12/22

L'intrappolamento di Julian Assange

 ...si avvicina la sentenza della “Camera Stellata"


Lo scorso 10 dicembre, giornata mondiale per i diritti umani, si sono tenute in molte capitali del mondo sit in davanti alle ambasciate Usa per chiedere la liberazione di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks perseguitato da 13 anni per avere documentato agli occhi del mondo i crimini di guerra degli Stati Uniti.  In questo articolo, l’attivista statunitense Ellen E. Taylor ha ricostruito per Socialist Action il calvario di Assange, che nella prigione di Belmarsh attende la decisione della Star Chambre, l’Alta Corte inglese, sull’estradizione negli Usa. Nonostante diversi importanti quotidiani internazionali che hanno pubblicato articoli basati su documenti Wikileaks abbiano recentemente chiesto al governo degli Stati Uniti di lasciar cadere le accuse, contro di lui si profila un processo da tribunale illegale.

di Ellen E. Taylor*

Il 28 novembre il New York Times, Der Spiegel, The Guardian, Le Monde e El Pais hanno inviato una lettera aperta al mondo, in cui si afferma che «il governo degli Stati Uniti dovrebbe smetterla di accusare Julian Assange di aver pubblicato segreti di Stato».

Questa lettera è imperdonabilmente tardiva. Julian è stato sepolto vivo per oltre un decennio. Da quanto viene riferito, è in condizioni terribili. Pare che in questo paese siamo diventati tolleranti nei confronti di pene detentive interminabili, e che scopriamo l'innocenza delle vittime solo molto tempo dopo che le loro vite sono state distrutte.

Nella lettera, questi "Papers of Record" non fanno menzione della parte che essi stessi hanno avuto nella distruzione di questo essere umano. Hanno persino il coraggio di ricordarci le loro riserve sul caso di Julian, a proposito della criptazione/redazione e l’hackeraggio, questioni che sono state definitivamente messe a tacere anni fa, durante processi, le udienze e una testimonianza ritrattata. Inoltre, essi stessi hanno partecipato alla campagna diffamatoria, che ha trasformato Julian in un paria, lasciato marcire in condizioni orribili che sono state equiparate dalle Nazioni Unite a torture.

La manipolazione della percezione, secondo il Dizionario dei Termini Militari e Associati del Dipartimento della Difesa, consiste in «azioni volte a trasmettere e/o negare informazioni selezionate al pubblico per influenzarne le emozioni, motivazioni e ragionamento oggettivo... che alla fine risultano in comportamenti e azioni ufficiali favorevoli agli obiettivi dell'originatore. In vari modi, la manipolazione della percezione combina proiezione della verità, sicurezza delle operazioni, copertura e inganno ed operazioni psicologiche».

Come funziona questa gestione della percezione è illustrato da Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura dal 2014 al 2022, che quest'anno ha pubblicato un libro, The Trial of Julian Assange. Durante la sua carriera, egli ha intervistato centinaia di torturatori, vittime di torture, prigionieri di guerra e altre persone sottoposte a trattamenti crudeli, inumani o degradanti, in tutto il mondo. In molti anni di esperienza ha potuto discernere la verità dalle bugie e svelare calunnie di ogni genere. Tuttavia, quando ha ricevuto un appello dal team legale di Julian Assange, alla fine del 2018, che chiedeva protezione da trattamenti disumani durante la sua reclusione presso l'ambasciata ecuadoriana a Londra, Melzer l'ha accantonato.

Demonizzazione di Assange

La sua scrivania era piena zeppa di incriminazioni di tortura, prigionieri a rischio, possibili crimini di guerra. Per lui, "come per la maggior parte delle persone in tutto il mondo, Assange era solo uno stupratore, nichilista, un hacker, una spia, un narcisista". Melzer aveva del lavoro più importante da fare. «Come tanti, ero convinto di conoscere la verità (su Assange), anche se non riuscivo a ricordare bene da dove provenisse quella conoscenza».

27/10/22

Appello /"I diritti delle donne contro la destra, il fascismo e l’imperialismo”

 


Un appello alle donne d’Europa e una proposta d’azione sono contenuti nella dichiarazione finale dell’Assemblea femminista tenutasi il 22 ottobre ad Atene nell’ambito del VI Forum europeo delle Forze di Sinistra Verdi e Progressiste per la Pace, la Giustizia sociale e climatica (21-23 ottobre 2022).

All’assemblea, dedicata alla riflessione femminista sui diritti delle donne che sono sotto attacco in questo complicato passaggio della storia europea, nel contesto di una riflessione più generale sull’urgenza di costruire la pace insieme ad una strategia politica alternativa in Europa, hanno partecipato esponenti politiche della sinistra e di movimenti femministi europei ed extraeuropei (vedi l’articolo “I diritti delle donne contro la destra, ilfascismo e l’imperialismo”).

La proposta, formulata nel suo commento conclusivo da Cristina Simó Alcaraz del Movimiento Democratico de Mujeres (MDM, Spagna), è quella di un piano d’azione da costruire a partire da un prossimo incontro delle donne europee da tenersi nel febbraio 2023 in Italia, in vista di una grande mobilitazione per l’8 marzo. Proposta accolta dall’Assemblea e riferita nella sessione plenaria di chiusura del VI Forum Europeo da Marta Martin Morán, che ha letto la dichiarazione qui riportata.


«Il fascismo e i suoi alleati non passeranno! Vogliamo aprire questa dichiarazione conclusiva esprimendo la nostra condanna per lo stupro che una ragazza di 19 anni ha subito mercoledì scorso alla stazione di polizia di Omonia per mano di due poliziotti. Non può essere che chi dovrebbe proteggerci diventi il ​​nostro carnefice.

Da questo VI Forum delle Forze di Sinistra, Verdi e Progressiste di Atene vogliamo inviare tutta la nostra solidarietà a tutte le donne del mondo che subiscono abusi e oppressioni, vittime di guerre, blocchi o sanzioni, ma che nonostante tutto continuano a resistere. Continuiamo e continueremo.

Il patriarcato, principale alleato del capitalismo, rinsalda la destra, l'estrema destra, l'imperialismo e il fascismo, che sono facce diverse della stessa medaglia.

L'alleanza criminale tra patriarcato e capitale ci vuole senza diritti e al loro servizio per soddisfare le necessità di cura, sessuali e riproduttive e continuare a trattarci come manodopera a basso costo.

Di fronte a questa aggressione è urgente dare una risposta europea, globale e unitaria! Avendo ben chiaro che non si può essere femministe senza essere anche antifasciste, antimperialiste e anticolonialiste.

Per questo, dall'Assemblea delle donne di questo Forum decidiamo di incamminarci verso un 8 marzo 2023 che affermi la centralità del sistema di sanità pubblica e di tutti i servizi sociali, e dica NO alla guerra e agli investimenti in armamenti.

Noi ci opponiamo all'incremento della spesa militare a detrimento degli investimenti nel sistema di assistenza pubblica!

Per cominciare il nostro percorso di realizzazione degli accordi presi in questo Forum, proponiamo un incontro europeo delle donne nel febbraio 2023 in Italia, dove purtroppo da oggi si è insediato un governo fascista e profondamente patriarcale che intende privare le donne delle loro conquiste, in vista di un 8 Marzo che sia ancora una volta una grande mobilitazione femminista in Europa.

Non vogliono ascoltarci, ma ci faremo sentire.

Come femministe antifasciste e antimperialiste, diremo loro chiaramente che i nostri corpi non sono territorio di conquista e, per quanto ci provino, il fascismo e i suoi alleati, il patriarcato e il capitale, non passeranno!»

25/10/22

Atene 2022 / VI Forum Europeo delle forze di sinistra, verdi e progressiste

“I diritti delle donne contro la destra, il fascismo e l’imperialismo” 

I diritti delle donne contro le destre, il fascismo e l'imperialismo

di Ada Donno (FDIM Europa)

È stata una Assemblea femminista molto partecipata e combattiva quella che si è tenuta il 22 ottobre ad Atene, nell’ambito del VI Forum europeo delle Forze di Sinistra Verdi e Progressiste per la Pace, la Giustizia sociale e climatica (21-23 ottobre 2022). Il Forum, organizzato da European Left e Transform!Europe in collaborazione con i partner greci, ha riunito esponenti di partiti politici, esperti e militanti dei movimenti sociali e della società civile di tutta l’Europa, per ragionare insieme sull’urgenza di riportare la pace nel continente europeo e costruire una strategia politica alternativa per l’Europa, nel quadro di una transizione globale ad un ordine mondiale multipolare fondato sulla giustizia sociale e climatica e una vera sicurezza umana demilitarizzata.

Per quanto i temi dei diritti delle donne attraversassero trasversalmente l’agenda del Forum Europeo e lo sguardo di genere fosse presente in ogni sessione e panel, un’assemblea dedicata alla riflessione femminista sui diritti delle donne, sotto attacco in questo complicato passaggio della storia europea, era indispensabile. E riflettendo su quale titolo darle, quali parole scegliere per nominare le priorità che segnano questo momento in Europa, in fase preparatoria si era convenuto su “I diritti delle donne contro la destra, il fascismo e l’imperialismo”.
Da sin.: Aida Sopi Niang, Ada Donno,Gabriela Lopez,
Elisa Giustinianovich, Cristina Simò

Riprendendo le motivazioni di questa titolazione, Katerina Papatheodorou  ed io, coordinando l’assemblea, abbiamo cercato di esplicitarne così il senso: dopo la grande stagione di crescita culminata nella conferenza mondiale di Pechino nel 1995, nella quale è sembrato che il mondo intero convergesse verso il riconoscimento dei diritti delle donne, oggi abbiamo la percezione che essi siano sotto attacco ad ogni latitudine, che stiamo facendo passi indietro e che ci troveremo a dover difendere con la mobilitazione sociale di massa quello che sembrava incancellabile perché scritto nelle leggi. Tuttavia le donne non cederanno alla logica della lagnanza che le vuole eterne vittime e, capovolgendola, riaffermeranno i loro diritti di fronte ad ogni forma vecchia e nuova di aggressione da parte della destra, del fascismo e dell’imperialismo.

04/10/22

Lettera dalle donne iraniane: «Vi chiediamo di far eco alla voce del nostro popolo»

 

Mentre il regime islamico teocratico di Teheran ha indossato una maschera antimperialista, tenendo però nascosti tutti gli accordi stretti con gli imperialisti; mentre gli Stati Uniti, l'Unione Europea e i loro alleati versano lacrime di coccodrillo; mentre monarchici screditati e vecchi Mujaheddin cercano di rivendicare a sé la direzione delle proteste, prosegue in IRAN il coraggioso movimento di protesta ispirato dalle donne e dal loro slogan "Donna, vita, libertà", in un crescendo sempre più turbolento e pericoloso. 

Appello dell’Organizzazione democratica delle donne iraniane (DOIW) alla Federazione democratica internazionale delle donne (WIDF)

Care compagne e sorelle,

Vi abbiamo scritto di recente del movimento che si è diffuso in tutto l'Iran in seguito all'uccisione della 22enne Mahsa Amini. Negli ultimi 17 giorni, da quando il popolo iraniano ha iniziato a chiedere la fine del dispotismo teocratico in Iran, il regime ha messo in moto le sue forze per reprimerne le giuste richieste. I video pubblicati sui social media testimoniano la brutalità delle forze di sicurezza, che vanno dalle sparatorie direttamente contro i manifestanti ai violenti pestaggi di civili disarmati. Alcuni hanno chiamato la sera di ieri la notte del terrore, quando il regime ha attaccato l'Università Sharif di Teheran. Molti studenti sono rimasti feriti e un numero imprecisato è stato portato via.

Vengono arrestati ex prigionieri politici. Neda Naji è stata una degli studenti e attivisti civici arrestati in casa, mentre durante la notte era in corso l'attacco all'università. Nella prigione di Evin, le detenute politiche hanno organizzato un sit-in per mostrare la loro solidarietà alla rivolta. Negli stessi giorni Nika Shakarami, 17 anni, scomparsa durante le proteste del 20 settembre a Teheran, è stata uccisa in prigione. Le forze di sicurezza hanno seppellito il suo corpo, nel giorno che sarebbe stato il suo compleanno, in un remoto villaggio lontano da casa sua, senza che nessuno dei suoi familiari fosse presente.

Il bilancio delle vittime è in aumento. Alcuni dei morti hanno appena 15 anni. Ai manifestanti, che sono principalmente giovani donne e uomini, si uniscono sempre più madri che hanno perso i propri figli. Hanno bisogno del sostegno delle organizzazioni progressiste internazionali, in particolare delle donne.

Nel frattempo, il regime ha indossato una maschera antimperialista, mentre tiene nascosti tutti i suoi accordi con gli imperialisti. Gli Stati Uniti, l'Unione Europea e i loro alleati versano lacrime di coccodrillo. I monarchici screditati e l'Organizzazione dei Mujaheddin cercano di rivendicare a sé la direzione delle proteste.

In mezzo a tutto questo il movimento del popolo iraniano, questa volta ispirato dalle donne e dal loro slogan "Donna, vita, libertà", prosegue in una situazione turbolenta e sempre più pericolosa. Ci auguriamo che possa farlo con il sostegno delle donne progressiste del mondo e della WIDF.

Vi chiediamo di dar eco alla voce del nostro popolo e a chiedere la fine della repressione delle donne e del popolo iraniano. La lotta di ciascuna donna è lotta di tutte le donne.

In solidarietà

L'Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane (DOIW)

03.10.2022

25/09/22

DOIW (Iran) / Fate in modo che l'appello alla giustizia del nostro popolo coraggioso sia ascoltato in tutto il mondo

 

L'Organizzazione democratica delle donneiraniane (DOIW) condanna l'uccisione di Mahsa Amini e la detenzione di coloro che hanno protestato per la sua morte

Viva la lotta unitaria delle donne e degli uomini coraggiosi dell'Iran per la libertà dal dispotismo teocratico e l'abrogazione di tutte le leggi che minano i diritti umani delle donne!


L'Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane (DOIW) condanna con forza l'uccisione di Mahsa (Gina) Amini, da parte delle forze di sicurezza della Repubblica Islamica dell'Iran. Esprimiamo le nostre condoglianze alla famiglia in lutto di Mahsa e a tutte le donne e gli uomini amanti della libertà dell'Iran.

La Guidance Patrol (o Polizia Morale) del regime ha arrestato la giovane donna di 22 anni mentre viaggiava sulla metropolitana di Teheran con suo fratello, con il pretesto che “indossava male” l’hijab.

A seguito della brutalità della Polizia e delle percosse mentre era in arresto, Mahsa Amini è morta in ospedale il 16 settembre. Questo nuovo crimine della Repubblica islamica ha suscitato la rabbia lungamente repressa del popolo dell'Iran.  

Il nome e la memoria di Mahsa Amini si sono trasformati in un grido di lotta per le persone che sono scese in piazza per insorgere contro l'oppressione, la dittatura e l'ingiustizia sociale. Sulla lapide temporanea di Mahsa c'è scritto: "Cara Gina, non morirai, il tuo nome diventerà un simbolo". Oggi, il nome di Mahsa Amini è davvero diventato il grido di lotta per le persone che insorgono per la libertà.

Negli ultimi quarant'anni, il regime reazionario islamico dell'Iran ha usato la violenza sistematica per imporre la sua volontà e per calpestare vergognosamente i diritti sociali e umani del popolo iraniano, in particolare delle donne iraniane.

La Repubblica islamica dell'Iran ha visto aumentare la povertà, l'insicurezza economica e sociale, ha favorito le pratiche di appropriazione indebita e l'ipocrisia nello stato, ha saccheggiato la ricchezza nazionale per l'interesse personale dell'élite dominante e dei suoi associati e si è resa direttamente responsabile di violenza e crimini contro innumerevoli donne e uomini. Questi vanno dall'obbligo dell’hijab e da leggi medievali contro le donne, alle torture, gli stupri e l'esecuzione di centinaia di ragazze e donne delle organizzazioni di sinistra o mujahed durante gli anni '80, agli eccidi di prigionieri politici nell'estate del 1988, all'esecuzione di Fatemeh Modaresi, consigliere del Comitato Centrale del Partito Tudeh dell'Iran nel 1989, al brutale assassinio di altri dissidenti come Parvaneh Forouhar negli anni '90, e Zahra Kazemi, Zahra Bani Yaqub nelle camere di tortura del regime, fino all'omicidio di Neda Agha Soltan in manifestazioni di piazza. Queste atrocità continuano ancora oggi e la gente ha detto basta.

La negazione di responsabilità del regime per la morte di Mahsa Amini ha alimentato la rabbia della gente. Dapprima il regime ha dichiarato che Mahsa era morta a causa di problemi di salute, cosa che la sua famiglia ha negato con veemenza. La posizione contraddittoria del regime su questa tragedia, ripete le loro smentite e bugie subito dopo l'abbattimento dell'aereo ucraino sull'Iran da parte delle Guardie Rivoluzionarie nel dicembre 2019. 

Il popolo iraniano ha dovuto convivere con le ricadute delle politiche neoliberiste del regime, con la povertà conseguente, l'approfondimento delle divisioni di classe e la diffusa corruzione, con i poveri, le donne e i giovani che ne hanno sopportato il peso maggiore e hanno poco da perdere in questa lotta ineguale. 

Gli scontri di strada continuano ad estendersi in più di 80 città e paesi dell'Iran, nonostante l'accesso a Internet sia stato tagliato per impedire le comunicazioni. Le donne e gli uomini del nostro Paese hanno mostrato un coraggio indescrivibile nell’affrontare le brutali forze di sicurezza del regime e nonostante i pesanti costi di questa lotta impari – pugni contro proiettili – stanno resistendo. L'eco degli slogan della gente fa arrivare le loro proteste: "Morte alla dittatura", "Abbasso la teocrazia" e infine quel "Donna, vita, libertà" – slogan elevatosi sulle proteste per gridare le aspirazioni specifiche delle donne – che ci rammenta il detto di Marx secondo cui una società è libera solo quando le donne sono libere. Oggi le donne iraniane stanno lottando coraggiosamente per la loro libertà e per la libertà della società dalla teocrazia. 

Da giovedì 22 settembre diverse organizzazioni, tra cui Iran Human Rights, hanno annunciato che almeno 31 persone sono state uccise nelle proteste. Alcuni rapporti portano questa cifra a 50. Ci sono notizie dell'arresto di un gran numero di manifestanti, inclusi giornalisti, attivisti civili e politici, donne, studenti ed ex prigionieri politici. Attualmente le carceri dell'Iran sono piene di attivisti per i diritti dei lavoratori, insegnanti, minoranze nazionali, minoranze religiose come i baha'i, dissidenti, artisti e studenti.

 Il momento, il regime islamico continua la sua brutale repressione, tagliando Internet e l'accesso ai social network. Nel 2019, durante la rivolta popolare, furono uccise più di 600 persone innocenti tra cui 23 bambini e ragazzi di età inferiore ai 18 anni. Anche allora il regime tagliò Internet (spense le luci sulle uccisioni) e ridusse spudoratamente il numero ufficiale delle vittime a 224. Allora il regime non ammise alcuna responsabilità nelle atrocità: nel settembre 2022 sta ripetendo la stessa brutale repressione antipopolare.

Anche oggi le armi del regime mirano al cuore delle donne e dei giovani iraniani. Ra'isi, il presidente del regime, fu uno dei principali autori dell'uccisione di migliaia di prigionieri politici nel 1988. Proprio mentre egli parlava di diritti umani all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 21 settembre, il quindicenne Abdullah Mohammadpur e il sedicenne Amin Ma'refat morivano sparati dalla polizia del regime. Gli arresti in massa continuano in tutto l'Iran.

La DOIW condanna la brutale repressione del popolo e crede che la vittoria nella fiera lotta che ci attende per i diritti e le libertà democratiche, la giustizia sociale e la fine della discriminazione – in altre parole la realizzazione della richiesta espressa dal grido "Donna Vita Libertà” – può essere assicurata solo attraverso la lotta unita di tutte le forze sociali e politiche progressiste e lo smantellamento della dittatura religiosa che governa l'Iran. La nostra vittoria dipende dalla separazione della religione dallo stato e dall'instaurazione di una repubblica nazionale e democratica in Iran.

Infine, la DOIW fa appello a tutte le forze progressiste nel mondo, in particolare alle organizzazioni di donne progressiste, affinché condannino questa ultima atrocità perpetrata dagli islamisti in Iran – l'arresto e l'uccisione di Mahsa (Gina) Amini con l’accusa di comportamento fuori da “leggi e decreti religiosi” – e le altre uccisioni di giovani, e condannino la detenzione di chi si batte per la libertà nel nostro paese.

Con la vostra solidarietà potete estendere la portata di queste proteste e far sì che l'appello alla giustizia del nostro popolo coraggioso sia ascoltato in tutto il mondo.

23 settembre 2022

07/09/22

PRESIDIO ALLA BASE MILITARE DI GHEDI (BS) - QUANTO CI COSTA PARTECIPARE ALLE GUERRE DELLA NATO

 


Nella campagna elettorale in corso non se ne parla, ma non c’è solo la guerra in Ucraina. Vogliamo che si parli anche di tutte le altre a cui la NATO ci impone di partecipare! Appello delle associazioni pacifiste che hanno convocato per il 17 settembre un presidio presso l’aerobase militare NATO di Ghedi (Brescia), dove sono stoccate una ventina di testate nucleari. Awmr Italia - Donnedella Regione Mediterranea aderisce all’appello e al presidio insieme a WILPF Italia e altre associazioni femministe.

L’Italia partecipa attivamente ai conflitti in corso nel mondo attraverso 38 missioni militari attualmente attive, incluso il foraggiamento (armi, soldi, veicoli militari) dell’Ucraina, su ordine della NATO.

La partecipazione a queste guerre ci costa, ad oggi, 26 miliardi di euro l’anno: cifra destinata in pochi anni ad aumentare fino a 40 miliardi, ossia fino al 2% del PIL, come imposto dagli accordi NATO e sancito dal Parlamento italiano lo scorso 12 marzo.                                                    

Oltre a questa spesa, essa ci è costata finora 8mila militari ammalati per l’uranio impoverito, oltre al personale militare contaminato dall’amianto sulle navi militari e da altri fattori cancerogeni legati alla produzione e sperimentazione di armamenti bellici. Inoltre, innumerevoli civili dei paesi bombardati dalla NATO sono oggi vittime di patologie tumorali e da inquinamento ambientale.

Ci costa l’inquinamento di interi territori, con annesse patologie tumorali diffuse tra i civili italiani che vivono e lavorano nei pressi dei poligoni militari, inclusi i tre poligoni NATO in Sardegna, ad Aviano (PD) e gli altri sparsi sul suolo nazionale.

Ci costa, negli scenari di guerra che la classe dominante evoca e alimenta, essere uno dei paesi più esposti come bersaglio di guerra, per la presenza delle 113 localizzazioni NATO-USA sul suolo italiano, a cui si aggiungono altre 20 basi “segrete” di cui non conosciamo il contenuto nonché la base USA di Camp Darby, ad oggi il più grande deposito al mondo di armi del governo statunitense. Queste basi fanno del nostro paese un vero parcheggio militare USA-NATO e, allo stesso tempo, un avamposto importante delle guerre scatenate dagli Stati Uniti: da Sigonella (CT) e da Lago Patria (NA) partono regolarmente i comandi e i droni che in giro per il mondo spiano e bombardano altri paesi e popolazioni.

Di tutto ciò la campagna elettorale in corso non parla. Vogliamo parlarne noi!

Per questo terremo sabato 17 settembre una mobilitazione presso la base NATO di Ghedi (BS). Un presidio popolare, partecipato al pari di quello del 6 marzo scorso. In più, intendiamo organizzare una ispezione parlamentare per verificare lo stato della base, grazie alla disponibilità di alcuni eletti/e a fine mandato.

Un segnale forte e importante agli sgoccioli delle elezioni politiche, per mettere al centro i temi che ci interessano e ci riguardano da vicino.

NO ALLA NATO! NO ALLA PARTECIPAZIONE DELL’ITALIA ALLA GUERRA!

PIÙ INVESTIMENTI IN SANITÀ, LAVORO, ENERGIE RINNOVABILI E LOTTA AL CAROVITA!

Seguono le firme.

Primi firmatari: Associazione Nazionale Vittime dell'Uranio Impoverito (ANVUI); Centro Sociale 28 Maggio – Rovato (BS); Donne e uomini contro la guerra – Brescia; Centro di documentazione “Abbasso la guerra”

27/08/22

Autocrazia di un impero in decadenza / L'esportazione del caos


"Bisogna sbarazzarsi dei vecchi paradigmi per capire che gli Stati Uniti non hanno bisogno di vittorie militari più grandi che generare caos, disunione e frammentazione dei paesi che non si subordinano" 





Maria Fernanda Barreto*

https://misionverdad.com/globalistan/autocracia-de-un-imperio-en-decadencia  

Nessuno può aspettarsi che un impero crolli senza scuotere la storia, tanto meno quando quell'impero ha concentrato il potere economico e militare in una misura senza precedenti, in un mondo quasi totalmente globalizzato.

Gli Stati Uniti, come vertice dell'impero capitalista, sono riusciti a concentrare l'economia mondiale, a costruire la forza militare più potente, a dominare i più grandi organismi di integrazione che dovrebbero essere multilaterali e, a loro volta, hanno condensato il potere delle corporazioni mediatiche sempre più cartellizzate a loro favore.

È un potere mostruosamente consolidato in quarantacinque anni trascorsi dal dopoguerra in un mondo bipolare e in più di tre decenni di unipolarismo, fatto a loro misura.

Se nessun impero prima aveva ottenuto così tanto potere sul resto dell'umanità, non ci dovrebbero sorprendere i terremoti che provoca una caduta così gigantesca.

Gli Stati Uniti e il loro esercito imperialista, la NATO, stanno conducendo il mondo intero in una guerra senza fine per difendere la storica conquista di essere riusciti a sostenere per tre decenni quel mondo da essi dominato, in cui tutti i popoli, compresi i loro, sono potenziali vittime dei loro attacchi multidimensionali e del "pubblico target" delle loro operazioni psicologiche e comunicative.

Occorre sbarazzarsi dei vecchi paradigmi per capire che gli Stati Uniti non hanno bisogno di un trionfo militare più grande che generare caos, disunione e frammentazione dei paesi che non si subordinano a loro e, anche, dei popoli che, al di là della loro stessi governi, osino ribellarsi ai loro interessi, perché questa tigre di carta ferita ha imparato da tempo a rafforzarsi nel caos degli altri.

LA VIOLENZA SCATENATA DAL MONDO UNIPOLARE

Per riassumere brevemente l'analisi che più volte abbiamo fatto su quanto sta accadendo oggi in Ucraina, diremmo che questo Paese è lo scenario in cui è in corso una guerra di Stati Uniti e NATO contro la Russia, il cui obiettivo strategico è impedire il consolidamento del mondo multipolare e sostenere il loro potere egemonico assoluto. Ha deciso di iniziare questa guerra attaccando indirettamente, ovviamente, la terza potenza più forte che, insieme alla Cina, rappresenta la più importante minaccia alla sua egemonia in campo economico, militare, culturale e, quindi, anche politico.

Indebolendo la terza potenza, potrà concentrarsi sul suo obiettivo principale, che è in definitiva la Cina. Con il coinvolgimento anche del gigante asiatico in un conflitto armato, aumenterebbe rapidamente la violenza che gli Stati Uniti esercitano su altri che rifiutano di sottomettersi. Vale a dire, i paesi insubordinati dell'Asia occidentale con in testa l'Iran e quelli dell’America Latina guidati da Cuba e Venezuela.

Con questo conflitto ai confini russi, inoltre, gli Stati Uniti stanno recuperando il loro potere economico e militare sull'Europa, che cominciava a dare segni di sovranità. Il risultato è un'Ucraina devastata e traumatizzata dalla guerra, una delle tre maggiori potenze mondiali impegnata a risolvere un conflitto senza impegnare tutta la sua potenza militare per non intensificare la violenza in un Paese territorialmente e culturalmente così vicino, nel mentre si misura con un’inusitata batteria di sanzioni economiche e con la censura mediatica. Nonché un'Europa che fa una guerra su comando nel suo stesso campo, sempre più indebitata e cominciando a sentire il peso della carenza di carburante e di alimenti per essersi subordinata al capo della NATO.

Inoltre, questo conflitto ha già cominciato a incidere sulla situazione ecologica di quella regione, con il ritorno all'uso massiccio del carbone e con il pericolo latente di una guerra nucleare che cerca di mimetizzarsi dietro il sipario di un incidente, di bombardamenti di impianti nucleari, per evitare una risposta russa diretta al Nord America, che ovviamente riguarderebbe anche l’America Latina.

I PIU' RECENTI ATTACCHI CONTRO LA CINA COME OBIETTIVO STRATEGICO

Gli Stati Uniti, attraverso le operazioni delle loro corporazioni come la Lockheed Martin - la più grande corporazione militare del pianeta - le loro misure coercitive unilaterali mascherate da sanzioni, azioni politiche aperte come la visita di Nancy Pelosi, intendono utilizzare Taiwan nello stesso modo che stanno usando l'Ucraina, alimentando un conflitto esternalizzato contro la Cina e continuando a fare pressione su presunti conflitti interni nella regione autonoma Uigura dello Xinjiang.

Nel suo libro Geopolitica multipolare, il ministro del Potere popolare per la difesa del Venezuela, generale in capo Vladimir Padrino López, avverte che «Nella Escalation di Tucidide verso la tripolarità [1]abbiamo illustrato ciò che vedremo presto quando la zona occidentale della Cina, co- abitata da una popolazione musulmana di etnia Uigur, inizierà a turbare la stabilità del circuito per impedire la ripresa del vecchia Via della Seta», spiegando inoltre che ciò sta avvenendo nel contesto di un riposizionamento delle forze occidentali nella regione indo-pacifica.

IL RUOLO DELLE CORPORAZIONI MEDIATICHE E DELLE ONG NEL GIUSTIFICARE LE INTERFERENZE

Se abbiamo imparato qualcosa in Venezuela, è l'importanza delle corporazioni dei media e delle presunte organizzazioni non governative, all'interno di guerre imperialiste multidimensionali, che preparano il terreno per giustificare le interferenze e cercare di legittimare le leggi e tutti i tipi di azioni unilaterali, extraterritoriali e di violazione del diritto internazionale con cui gli Stati Uniti s’ingeriscono negli affari interni di tutti i paesi del mondo, utilizzano a proprio piacimento organizzazioni internazionali, compiono rapine e saccheggi come quelli dell'oro venezuelano, del petrolio, delle società Citgo e Monómeros e, più recentemente, l'aereo dell'Emtrasur, mentre manipolano l'opinione pubblica mondiale a favore delle loro azioni.

Ovviamente, tutte queste dimensioni della guerra vengono applicate anche contro la Cina. Partendo dall'avvertimento lanciato dal generale in capo, dobbiamo ora prestare attenzione alla Legge sulla prevenzione del lavoro forzato Uigur, che estende i divieti di importazione sui prodotti fabbricati in quella regione, principalmente cotone. Questo divieto ha già avuto conseguenze per il settore tessile in tutto il mondo e ha avuto ripercussioni sull'economia interna della regione, cioè proprio sul popolo Uiguro che sostiene di difendere.

Si tratta di circa 7 milioni di agricoltori che si dedicano alla produzione di cotone, il cui sostentamento è messo a rischio da questa misura arbitraria. Il che dimostra che è il perseguimento di azioni economiche per minare la crescita dell'economia cinese, e non una sincera preoccupazione per i diritti umani, a motivare questo tipo di azione da parte degli Stati Uniti.

Come avviene anche in Venezuela, colpire la popolazione con misure coercitive che si configurano come blocchi ma che la narrativa filoimperialista chiama “sanzioni”, è diventato il loro modus operandi. Vengono emessi divieti di importazione verso gli Stati Uniti e contro leader politici del Paese, e poi vengono estesi ai paesi terzi che sono minacciati di misure simili se non supportano detto blocco, facendo ricadere il peso delle conseguenze economiche di tali misure sulle spalle dei popoli e violando i loro diritti fondamentali.

Per questo motivo, "Durante la 46a sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite appena conclusa, Cuba ha rilasciato una dichiarazione congiunta a nome di 64 paesi, in cui esorta i paesi interessati a smettere di interferire negli affari interni della Cina attraverso la manipolazione delle questioni relative allo Xinjiang, ad astenersi dal formulare accuse infondate contro la Cina per motivi politici e a smettere di frenare lo sviluppo dei paesi in via di sviluppo con il pretesto dei diritti umani». In essa, tra l'altro, si denuncia il doppio standard adottato dalle potenze occidentali quando si tratta di difendere i diritti umani.

Non è un caso che questa Legge interventista sia stata introdotta nel 2020 anche dal senatore Marco Rubio, acerrimo nemico di Cuba e del Venezuela. Infine, questa legge è stata convalidata da Joe Biden alla fine di dicembre 2021 ed è entrata in vigore il 21 giugno 2022.

Né è un caso che questo tipo di leggi si mascherino dietro una presunta difesa dei diritti umani e che si appoggino per questo su Human Rights Watch e Amnesty International, che sono tra le organizzazioni che senza mezze misure possiamo definire mercenarie che coprono e cercano di legittimare l'ingerenza degli Stati Uniti, mentre sono timide, sorde e persino mute, quando si tratta di denunciare le numerose violazioni dei diritti fondamentali all'interno degli Stati Uniti e dei paesi della NATO. Tanto meno osano denunciare le massicce violazioni dei diritti umani che questa ingerenza genera nei paesi del Sud del mondo.

Ma, senza dubbio, la cosa più preoccupante di tutte è come l'opinione pubblica mondiale venga manipolata dalle grandi multinazionali mediatiche, sempre più massificate attraverso i social network e condizionate dagli algoritmi di un'intelligenza artificiale che impara a controllarci ad ogni ricerca che facciamo su Internet.

L'impero delle fobie, che è stato promotore di islamofobia, russofobia e sinofobia, continua nel suo tentativo di espandere e salvaguardare il proprio dominio, imponendo la guerra e seminando il caos. La lotta per il mondo multipolare guidata da Cina e Russia è accompagnata anche da Iran, Siria, Palestina, Cuba e, naturalmente, Venezuela, tra gli altri paesi del mondo che rifiutano di rinunciare alla loro sovranità e ipotecare il loro diritto all'autodeterminazione. Perché solo in un mondo condiviso sarà possibile quella “costruzione storica fondamentale per potersi sviluppare pienamente” che è la pace

In quello stesso libro, il generale Padrino López afferma brillantemente che "l'equazione della pace sarà sempre negoziata e si presume che chi siederà a quel tavolo con maggior potere otterrà maggiori vantaggi e benefici, motivo per cui il potere è la risorsa improrogabile da conquistare".

La costruzione di quel potere non passa solo attraverso la preparazione militare e lo sviluppo economico, ma implica, in linea di principio, il raggiungimento dell'unità dei Popoli nella lotta per il mondo multipolare e pluricentrico, che richiede una "opinione pubblica" capace di svelare e contrastare la guerra comunicativa diretta dai cartelli mediatici e dalla loro industria dell'intrattenimento.

Finché si continuerà ad accettare che gli Stati Uniti destabilizzino il diritto internazionale in nome delle proprie leggi, impongano guerre in nome della pace, violino le sovranità in nome della libertà, impoveriscano i nostri popoli in nome dei diritti lavorativi e attacchino le nostre democrazie in nome del loro modello liberale di democrazia, continueremo ad essere deboli e, parafrasando Bolívar, saremo "strumenti ciechi della nostra stessa distruzione".

Se l'ingerenza statunitense finisce per indebolire Cina e Russia, tutta l'umanità corre il rischio di finire sommersa nell'autocrazia più assoluta dell'imperialismo. Di tale portata è rischio che il mondo corre in questo momento storico, ma per quanto è stato detto fin qui, l'opportunità è della stessa dimensione.

*Analista politica e ricercatrice venezuelana



[1] «L'escalation di Tucídide verso la tripolarità» del generale in capo Vladimir Padrino López, è un recente lavoro pubblicato dall'editore El Perro y La Rana ai fini di FILVEN 2020, un'analisi del riadattamento del Nuovo Ordine Mondiale, in un contesto post-pandemia caratterizzato dalla guerra commerciale tra USA e Cina.  Vi si descrivono le condizioni nelle quali lo scenario della “Trappola di Tucidide” di Graham Allison – in cui si allude alla guerra del Peloponneso documentata da Tucidide – avrebbe come esito inevitabile la guerra mondiale, con la Cina e gli Stati Uniti come protagonisti. Tale escalation avrebbe luogo dal 2021 al 2025. Nell'analisi di Allison, Sparta rappresenta il potere conservatore dello status quo e Atene il potere emergente con un sistema di organizzazione politica innovativa e progressiva.


09/08/22

La Colombia volta pagina / Col nuovo governo progressista rinasce la speranza di pace

 


Il 7 agosto 2022, migliaia di colombiani si sono radunati in Plaza Bolívar a Bogotà per festeggiare Gustavo Petro e Francia Márquez, presidente e vicepresidente del primo governo progressista nella storia della Colombia.

«Questa è la rinascita della speranza» - ha detto nel discorso di apertura Roy Barreras, presidente entrante del Senato colombiano - «Oggi, il mandato popolare per la pace, una vita dignitosa, la giustizia sociale e ambientale ci ha portato in questa piazza e in tutte le piazze della Colombia».

La vicepresidente afro-colombiana Francia Márquez ha prestato giuramento di servire il suo paese «hasta que la dignidad sea costumbre», finché la dignità non diventi consuetudine, e un grido unanime si è levato dalla folla in Plaza Bolívar: «No mas guerra! Mai più guerra!», mentre Gustavo Petro indossava la fascia presidenziale e inaugurava il suo "Governo della Vita" che porrà fine a sei decenni ininterrotti di violenze e conflitti armati in Colombia.

L'Awmr Italia - Donne della Regione Mediterranea, insieme a tutte le organizzazioni affiliate alla Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDIM) in Europa e nelle altre regioni del mondo, esprime l'augurio più vivo e la piena solidarietà al nuovo governo che apre grandi speranze di cambiamento in Colombia e non solo in Colombia!

Siamo orgogliose di accompagnare Gustavo Petro e Francia Márquez lungo questa strada che si apre verso una pace vera in Colombia, in America Latina e nel mondo.

Siamo orgogliose di accompagnare la nostra sorella di lotte Gloria Inés Ramírez, vicepresidente della FDIM, nel suo incarico di Ministra del Lavoro nel nuovo governo. La sua nomina è il meritato riconoscimento al suo grande e tenace impegno nel movimento operaio e femminista del suo paese ed  è un’altra pietra miliare nella storia della lotta collettiva per i diritti delle donne, per l'uguaglianza e la pace in America Latina.

#FDIM #WIDF #SolidaridadFeminista


La guerra, la cura e l’incuria


 Parliamo di questa guerra, anche se ve ne sono in corso altre decine in altrettanti angoli del mondo, di cui non ci accorgiamo perché avvengono a sufficiente distanza di sicurezza dai nostri confini geografici e dalla nostra mappa mentale.



di ADA DONNO

Parlare della guerra è parlare di questa guerra, anche se ve ne sono in corso altre decine in altrettanti angoli del mondo, di cui non ci accorgiamo perché avvengono a sufficiente distanza di sicurezza dai nostri confini geografici e dalla nostra mappa mentale. Ma forse anche per via di un difetto della vista legato a una visione pervicacemente eurocentrica della storia. 

Una forma di miopia che c’impedisce di vedere come il Nord e il Sud, l’Est e l’Ovest del pianeta siano interdipendenti; come l’economia dello spreco su cui si regge il Nord del pianeta sia resa possibile dal sistematico saccheggio delle risorse del Sud; come esista un nesso causale tra la predazione e lo spreco di risorse, le politiche di riarmo e l’aggravarsi della fame che miete vittime ogni giorno alle altre latitudini. Ma quando anche lo vedessimo, temo che l’ignavia forse inibirebbe l’impulso a rinunciare all’agio che ci procurano le nostre piccole o grandi, ignobili, quote di complicità.

«Una guerra in atto è già una sconfitta», ha scritto la Women’s International Democratic Federation nel suo appello a sostegno della mobilitazione del 5 marzo per la pace in Ucraina, pochi giorni dopo l’avvio della “operazione speciale” della Russia, che ai russi è vietato chiamare guerra.

«Lo è per le donne che creano la vita e se ne prendono cura, per ogni persona impegnata nella costruzione della pace, per i popoli che ne subiscono le peggiori conseguenze, per le istituzioni statali e internazionali che non hanno saputo o voluto né prevenirla né fermarla, facendo agire le costituzioni, le Carte, le convenzioni e i trattati che richiamano a relazioni pacifiche fra gli Stati, alla soluzione negoziata delle controversie, alla cooperazione. Lo è per i suoi terribili effetti immediati e quelli che restano nel tempo, per le morti, le distruzioni, le ferite inferte ai corpi e alle cose, i bambini traumatizzati, le separazioni dolorose e gli esodi forzati. Per i diritti negati». (Fermare la guerra in Ucraina, fermare tutte le guerre! Appello della WIDF, 2 marzo 2022).  

Ma lo è anche, aggiungo, per i risvolti più miserabili che l’eccitazione bellica riverbera nelle comunità che ne sono in misura diversa investite o coinvolte – direttamente o indirettamente, più o meno vicine o lontane dai teatri di guerra – e portano con sé un deterioramento delle relazioni umane che è altrettanto difficile e lungo da risanare.

Uno di questi risvolti è il clima di sospetto e intimidazione che ricade su chi fra noi non si mostri abbastanza solerte nel rispondere alla chiamata alla cobelligeranza. Dai media irreggimentati ci viene ripetuto incessantemente che questo accade in Russia, ma non si racconta con altrettanta diligenza il sospetto di connivenza col nemico, perfino lo zelo delatorio che colpiscono chi non si allinea con la guerra, anche da questa parte della frontiera (Il coraggio di volere la pace, 6 marzo 2022).

Per tutto questo, in tante, abbiamo rifiutato di schierarci con l’una o con l’altra delle parti che si fronteggiano in questa guerra, abbiamo detto che essa va fermata subito, prima che si espanda e risucchi nel suo vortice il resto dell’Europa e altre regioni del mondo. Ciò non vuol dire però che siamo rimaste in silenzio, né che ci siamo astenute dall’esprimere un giudizio e una condanna di chi questa guerra l’ha premeditata e voluta, cioè gli Stati Uniti e la NATO, o se ne è reso complice, o non ha fatto nulla per fermarla.  

Non ci schieriamo perché «non esistono guerre umanitarie, non esistono guerre giuste, non esistono guerre per portare la pace», come abbiamo detto nell’appello Fermiamo la guerra in Ucraina! dell’Assemblea della Magnolia del 5 marzo 2022. Ma anche perché le cause di questa guerra sono troppo complicate per cedere alla retorica facile della “piccola coraggiosa democrazia che combatte contro il grande despota” e al gioco di chi vorrebbe ribaltare il giudizio che inchiodò i nazisti nei banchi del tribunale di Norimberga e riscrivere la storia del Novecento. Il male che ritorna nella sua banalità.  Grande abbaglio delle parlamentari che hanno votato per l’invio di armi al governo dell’Ucraina.

Nelle reti femministe tessute soprattutto online nei due anni di pandemia ci siamo interrogate su come continuare ad elaborare quel “paradigma della cura” che ci pare un’ineludibile opzione di cambiamento, poiché «le armi non sono servite contro la pandemia, ed è invece la necessità della rivoluzione della cura la lezione più importante che il Covid ha insegnato al mondo, per un’idea di interdipendenza e convivenza, per ribaltare il paradigma del profitto, che distrugge il pianeta, alimenta le disuguaglianze e fomenta le guerre». E abbiamo anche molto ragionato su «l’insostenibile sistema patriarcale coniugato con le politiche liberiste che da anni insanguina il mondo e distrugge umanità e natura, con guerre e occupazioni: le chiamano ipocritamente umanitarie o esportatrici di libertà per le donne o veicoli di valori democratici e sicurezza... Afghanistan, Iraq, Siria, Sudan, Libia, Yemen, Palestina...», (Siamo realiste, rifiutiamo la guerra! Appello del Gruppo Femminista della Società della Cura, 5 marzo 2022). 

Un’altra idea di sicurezza

Già nel seminario internazionale femminista Cura e incuria, del 23-24 ottobre 2021, avevamo cercato di fare il punto su un’altra idea di sicurezza, demilitarizzata, sostenendo che «sicurezza è accesso all'assistenza sanitaria, all'approvvigionamento alimentare, all'istruzione, a redditi dignitosi; sicurezza è prendersi cura degli esseri umani e di tutti gli esseri viventi, salvaguardare il futuro del pianeta: la proliferazione delle armi non può fornire tutto ciò all’intera umanità».

E avevamo aggiunto che, proprio per questa convinzione che avevamo, ci allarmava e ci preoccupava profondamente la “professione di atlantismo” rilanciata dal governo italiano proprio nel momento in cui la pandemia di COVID 19 aveva messo in luce la fallacia di politiche che incentivano gli investimenti nella “sicurezza militarizzata” a scapito della sicurezza umana, della salute del pianeta, della capacità di prevenzione dei conflitti. 

Fuori la guerra dalla storia – fortunato epigramma che Bertha von Suttner, premio Nobel per la Pace 2005, formulò alla fine dell’800 in “Die Waffennieder” (Abbasso le armi), 1889 e che divenne parola di donna nel corso del ‘900  – ritorna se possibile con più convinzione nel terzo millennio, non solo come imperativo morale retto da nobile tensione utopistica. Nell’era nucleare, quando il mondo non è mai stato così vicino all'olocausto nucleare, è stato detto autorevolmente, esso finisce col coincidere con l’istinto di conservazione dell’essere umano.

Non schierarsi con la guerra – che fino ad ora, ma non sappiamo ancora per quanto, si sta conducendo con gli arnesi ideologici e tecnologici dell’ultima guerra mondiale – dovrebbe perlomeno risvegliare questo istinto. Ma il punto è se siamo in grado di tradurre l’opzione morale e l’istinto di conservazione – utilizzando gli strumenti associativi, culturali, politici che ci siamo date – in termini di costruzione giuridica e legislativa. Se si riuscirà a far diventare la pace un diritto universale.

Infatti, « la questione centrale non è la pace in Europa, quanto piuttosto la pace sulla Terra e la pace con la Terra», è stato detto in un recente convegno internazionale in cui si è proposto di aprire la strada ad un Nuovo Accordo di Helsinki e di prendere in seria considerazione l’alternativa «giustizia economica o suicidio dell'umanità» (World BEYOND War, “Secure Finland without NATO and nuclear weapons”, Helsinki, 7 maggio 2022).

Come ha scritto Samanta Picciaiola, dell’Associazione Orlando di Bologna, in occasione del seminario Cura e Incuria di cui dicevo prima, «una delle prime parole che la pandemia ci ha consegnato è “cura”. Il paradigma della cura emerge già al termine del periodo del primo “confinamento” ed è carico di istanze ed echi diversi. Cura non solo come rimedio alla malattia ma da subito cura come nuova postura dell’abitare il mondo (la cura e il mondo di Elena Pulcini); cura come paradigma relazionale (prendersi cura di sé e delle altre, le nuove forme di sorellanza) e infine la cura come modello sociale da realizzare attraverso nuove pratiche di partecipazione diretta alla gestione delle risorse e dei beni comuni».

Quando si è diffusa la prima ondata della pandemia di Covid – sembra tanto tempo fa – desiderio comune era “tornare alla normalità”, ma in molti hanno avvertito: niente sarà più come prima. E noi femministe abbiamo aggiunto: “Il ritorno alla normalità non ci basta, perché la normalità era il problema”.

Oggi possiamo specificare meglio che del problema fa parte l’atlantismo, compresa la sua specificazione euro-atlantica, un vecchio arnese ideologico-militare che gli Stati Uniti e l’UE pretendono di rilanciare. Del problema fa parte la pretesa di supremazia dell’Occidente transatlantico che non vuole accettare la realtà di un mondo multipolare, decolonizzato, in cui prevalgano relazioni paritarie e decisioni negoziate e condivise.

Del “paradigma della cura” – la soluzione che vogliamo – fa parte, viceversa, spezzare il triangolo micidiale patriarcato-militarismo-capitalismo; affermare un concetto di sicurezza umana non militarizzata, non fondata su alleanze militari contrapposte, bensì sui valori della cooperazione e delle scelte condivise per la salute dei viventi e del pianeta.

Purtroppo, come dice Samanta, «a fronte del rinnovato protagonismo delle donne abbiamo riscontrato una risposta debole e tardiva da parte delle politiche istituzionali a livello internazionale: una sorta di inerzia a recepire questo necessario salto di paradigma. I movimenti delle donne su scala mondiale chiedono una riconversione produttiva che punti a economie della cura che rigettano l’approccio neocolonialista, che cassano le spese per gli armamenti e ripropongono come strumenti della democrazia le diplomazie, l’ascolto, la partecipazione e la condivisione delle responsabilità».

Ciò di cui abbiamo bisogno è «una diplomazia efficace per ottenere una riduzione immediata dell'escalation, fermare la guerra e iniziare la ricerca di una soluzione politica duratura, nel rispetto della sicurezza e dei diritti di tutti i popoli. Ciò di cui abbiamo bisogno è intensificare i nostri sforzi affinché un nuovo concetto di mutua sicurezza non militarizzata si affermi nelle relazioni internazionali e la parola guerra scompaia finalmente dal vocabolario delle relazioni umane» (POR LA PAZ, NO A LA OTAN! Risoluzione adottata al XVII congresso internazionale WIDF, Caracas, aprile 2022).

Scriveva Nora Garcia della Asamblea Internacional de los Pueblos, parte convocante di una Cumbre de la Paz tenutasi a Madrid nel giugno scorso , in coincidenza con il Summit della guerra riunito nella sua città dalla NATO, che «il femminismo è un grido globale che ci offre una mappa in cui "noi" significa tutte e a "tutte" offre delle risposte. In questo "tutte", non dimentichiamo nessuna. Le donne sanno che ora, proprio ora, quando tutto è frammentato, diviso, polarizzato, semplificato e dimenticato, dobbiamo fermarci, riflettere e dare una risposta collettiva: un'agenda femminista per la pace. Dobbiamo posizionare il nostro sguardo sul mondo, che è quello che allarga l'analisi, tesse alleanze e genera processi di cooperazione, solidarietà e sostegno reciproco, guardando sempre a chi soffre, chi è sfruttata, oppressa, resa invisibile. Questo è anche il motivo per cui, mentre “loro” organizzano un Vertice per la guerra nella mia città, Madrid, “noi” convochiamo un Vertice per la Pace.  Tutta questa storia di lotta femminista per una pace duratura ci ha insegnato che la pace è fatta di coraggio e di lotta. Avanti sorelle, lottiamo per una pace che non sia solo un cessate il fuoco, ma una transizione da questo mondo violento alla solidarietà, al rispetto reciproco, all’uguaglianza, i diritti, la cooperazione e la sostenibilità del pianeta! Le armi non ci salveranno. Lo faremo noi». (Feminismo es un grito global contra la guerra, maggio 2022).