26/03/21

NAWAL AL-SAADAWI, IL COMUNE SGUARDO CHE UNISCE

 

Ci ha lasciate Nawal Al-Saadawi, scrittrice, saggista, psichiatra e attivista egiziana che in 89 anni di vita e scrittura  ha raccontanto al mondo le "verità selvagge e pericolose" sulla condizione delle donne che il patriarcato e l'integralismo islamico volevano occultare 



di Ada Donno



Se n’è andata il 21 marzo a primavera, Nawal Al-Saadawi, scrittrice, psichiatra e femminista egiziana. Nel dare la notizia della sua morte, che l’ha raggiunta a 89 anni mentre era ricoverata per malattia in un ospedale del Cairo, agenzie e testate giornalistiche internazionali hanno scritto che è stata un “faro” per le donne progressiste in tutto il mondo arabo e hanno messo l’accento sulla sua figura di donna “ribelle” che ha sfidato con coraggio i tabù, ha divorziato tre volte perché non ha voluto sottomettersi all’autorità maritale prescritta dalle leggi del suo paese; ha sostenuto campagne contro il velo, lottato contro la disuguaglianza di diritti, la poligamia e la circoncisione femminile e tutte le mostruosità misogine perpetrate dal patriarcalismo islamico; ha affrontato anche il carcere a più riprese e subito la proscrizione da parte delle più alte autorità religiose.

Nawal era nata in un villaggio nei pressi del Cairo nel 1931, in una famiglia osservante delle tradizioni che aveva deciso di farla sposare appena compiuti i dieci anni. Ma lei si era ribellata e aveva rifiutato quel matrimonio combinato dai genitori per darle “sicurezza e stabilità”. Più tardi avrebbe raccontato nella sua autobiografia Una figlia di Iside” (pubblicata in Italia nel 2002) di quanto le fosse costato quel rifiuto, della riprovazione e il ripudio che a lungo l’aveva circondata tra familiari e parenti, ma anche della solidarietà che leggeva nello sguardo di sua madre, che la confortò e la sostenne nella sua volontà di studiare e poi di laurearsi in medicina.

Dopo la salita al potere di Nasser nel ‘52, le cose sembrarono a cambiare in Egitto, nuove opportunità si aprirono anche per le donne. Nawal si specializzò in psichiatria e ottenne incarichi di rilievo, come direttrice generale del Dipartimento di educazione sanitaria presso il Ministero della Salute e segretaria generale dell’Associazione Medica del Cairo. Ma nel 1972 fu estromessa dai suoi incarichi per avere pubblicato “Donne e sesso”, un’aperta denuncia dell’oppressione sessuale delle donne egiziane, che le attirò la condanna e l’ostracismo da parte delle massime autorità religiose e politiche.

Nel 1975 pubblicò il romanzo Firdaus (Una donna al punto zero), racconto terribilmente asciutto e realistico della vita di una donna nell’Egitto del suo tempo. Il libro sollevò di nuovo grande scalpore, il potere patriarcale arcaico e misogino vi si riconobbe e perciò lo mise al bando. Ma fu tradotto in decine di altre lingue e fece conoscere Nawal ad ogni latitudine.

Alle autorità religiose egiziane che l’accusarono di essere ′′selvaggia e pericolosa" perché si ribellava alle leggi e ai costumi che sottomettono e schiavizzano le donne, Nawal rispose: «Dico la verità, la verità è selvaggia e pericolosa». E di quelle pericolose verità che la società patriarcale islamica voleva occultare lei si è fatta portavoce, raccontandole nei suoi libri: oltre cinquanta, fra narrativa e saggistica (senza contare la sua attività di giornalista che ha svolto fino all’ultimo), per molti dei quali ha tratto ispirazione dalla sua attività professionale di medica psichiatra.

Raccontando ha denunciato le rigide clausure imposte alle donne, l’esposizione a castighi pubblici, le condanne a morte per adulterio, i matrimoni precoci forzati. Ha parlato apertamente di sessualità femminile, di prostituzione, aborto, violenza fisica e psicologica. si è battuta strenuamente contro il crimine della circoncisione femminile, ricordando di averla subita lei stessa a sei anni e incitando le donne arabe a ribellarsi perché, con il loro corpo, anche l'anima e il pensiero vengono circoncisi.

Nel 1985 fondò la Arab Women’s Solidarity Association, la prima organizzazione femminista indipendente riconosciuta in Egitto, a cui in breve aderirono centinaia di donne di diversi paesi arabi (la figlia Mona Helmy, anche lei scrittrice e attivista femminista, ne è stata a lungo segretaria generale).

Nel maggio 1987 venne in Italia per partecipare al seminario Non ci basta dire basta, a Torino, dove la Casa delle donne mise in movimento la diplomazia femminista di «Visitare luoghi difficili» e lanciò la proposta di un campo internazionale di donne nel Libano scorticato e fatto a brandelli dalla guerra. In quella occasione Nawal si presentò come «donna egiziana, araba, africana» e spiazzò più di qualcuna con la sua energica requisitoria nei confronti delle «femministe che separano i problemi delle donne da quelli politici».

Andando dritta a quello che per lei era il cuore del problema, sosteneva che le lotte delle donne non possono essere separate dalla lotta politica, che il femminismo è politica e deve confrontarsi col potere politico. «In ogni occasione internazionale di incontri di donne – disse - c'è sempre qualcuna che ci chiede: perché dovete parlare per forza di imperialismo e di sionismo, che c'entrano con le donne? Ma noi rispondiamo che il sionismo è parte del nostro problema di donne e c’è un nesso tra oppressione sessuale, psicologica, sociale ed economica delle donne».

Negli anni ’90 dovette allontanarsi dall’Egitto perché subiva quotidiane minacce di morte da gruppi fondamentalisti. Accettò un incarico nell’Università del North Carolina, ma questo non le impedì di accusare Bush di «usare i diritti delle donne e la democrazia come scusa per invadere l’Iraq, rubare il petrolio e dominare l’intero Medio Oriente». E di «appoggiare i dittatori più reazionari del mondo arabo, il re in Arabia saudita, Sadat in Egitto, Hussein prima della guerra, e tutto il resto».

Nel 2005 gettò lo scompiglio in Egitto annunciando di volersi candidare alle elezioni presidenziali. Sorse una disputa pubblica sulla legittimità della sua candidatura e scesero in campo le più alte autorità religiose. Nawal stessa, più tardi, spiegò pubblicamente le ragioni della sua sfida: «Quando ho annunciato la mia candidatura non pensavo certo di contendere il posto di presidente a Mubarak. Non sono pazza. Non ho mai pensato di poter essere eletta. Io volevo solo aprire un dibattito e sotto questo aspetto credo di esserci riuscita, perché tutti hanno parlato della mia candidatura. Non era mai accaduto prima che si parlasse di una donna alla presidenza dell’Egitto».

Con sua grande soddisfazione, il Grande Imam di Al Azhar dovette ammettere che sì, le donne potevano partecipare alla competizione politica, che niente nell’Islam impedisce ad una donna di farlo. Invece il gran Muftì della Repubblica, che aveva lo stesso livello di autorità, disse che no, l’Islam lo vietava. E alla domanda «perché?», rispose che una donna è impura perché ha il mestruo. «Ridicolo!» commentò Nawal sarcastica. «Anche Condoleeza Rice ha il mestruo, eppure le massime autorità politiche dei paesi islamici non esitano a stringerle la mano».

Ma l’ironia non la salvò dalla vendetta del fanatismo. La sua candidatura fu considerata comunque inammissibile perché su di lei pendeva l’accusa – lanciata dall’Università islamica del Cairo Al Azhar - di apostasia e disprezzo dei principi dell’Islam per una commedia scritta molti anni prima e ripubblicata, in cui affermava che, essendo dio puro spirito, non è né uomo né donna. Dovette rinunciare ad affrontare il processo in patria, come in un primo momento aveva pensato di fare, perché il suo nome era stato inserito dai fondamentalisti in una “lista della morte”. 

Continuò a lavorare per lo più all’estero, senza trascurare occasione di far sentire la sua presenza attiva nel suo paese, dove le sue opere continuavano ad essere censurate, mentre lei continuava a scrivere e ad essere insignita di premi e riconoscimenti internazionali.

In “Dissidenza e scrittura” (2008), ha raccontato il suo complesso «itinerario intellettuale». Era convinta, da «socialista e femminista», che le donne arabe non dovessero solo lottare contro gli stereotipi sessisti e la propria immagine distorta nelle società islamiche, ma anche combattere l’immagine distorta e gli stereotipi occidentali sull’Islam; che le donne dovessero fare politica e opporsi alle arroganti ideologie identitarie presenti in ogni cultura ad ogni latitudine, perché «sono i sistemi politici e i nostri governi a distorcere l’immagine dell’Islam e ad alimentare il fondamentalismo. Sono le due facce della stessa medaglia. In Egitto era Sadat a incoraggiare i fondamentalisti, con il benestare del governo Usa. C’è ovunque una connessione evidente fra potere politico e i gruppi fanatici, di ogni religione, non solo nei paesi arabi: Vale per i fanatici cristiani negli Usa, come per il fanatismo ebraico che sostiene la destra in Israele».

Quando gli studenti dell’Università di California, al tempo della sua candidatura, le chiesero cosa pensava che avrebbero fatto gli Stati Uniti se fosse stata eletta presidente dell’Egitto, rispose: «Forse cercherebbero di uccidermi. Come hanno fatto con Castro, o con Nasser quando nazionalizzò il canale di Suez. Ogni volta che sorge un leader un po’ democratico nei paesi arabi, in Africa, in Asia e in America Latina, lo bloccano o lo fanno fuori».

Nel 2011 partecipò alle proteste in Piazza Tahrir, pronta a combattere ancora una volta in prima linea per un Egitto libero e democratico. Ma nel 2013 si attirò le critiche degli ambienti progressisti per aver sostenuto senza riserve il regime di Al-Sisi che, dopo il rovesciamento militare di Morsi, si dimostrò non meno dispotico e conservatore.

E tuttavia non sono critiche che possano intaccare il suo lascito intellettuale e morale, che è grande e sarà raccolto dalle generazioni future di donne, non solo egiziane, non solo del mondo arabo. L’8 marzo del 2012, Nawal aveva detto: «Viviamo in un mondo dominato dallo stesso sistema oppressivo: il sistema capitalista, imperialista, religioso, razzista, militare e patriarcale. Prima o poi ci libereremo. Non perderemo mai la speranza perché la speranza è potere».

Sì, Nawal Al-Saadawi è stata certamente un “faro” per le donne in tutto il mondo arabo, come è stato scritto. Ma dobbiamo onestamente dire di più: lo è stata anche per noi donne occidentali, quando ci ha aiutate a mettere da parte l'abitudine a certe letture eurocentriche e semplificate del mondo. Ad abbracciarne la complessità, che implica la rinuncia alla tentazione di ogni forma di «esportazione della democrazia e dei diritti» e di «protettorato» di stampo neocoloniale nei confronti delle “povere sorelle” dei paesi arabi e africani. A praticare la ricerca dell’«incontro faticoso» e a cogliere nella pluralità delle visioni il «comune sguardo che unisce». 







16/03/21

Libano / Donne per la dignità e i diritti

 Sindacati operai e organizzazioni civiche e femminili alleati nella lotta contro la violenza sulle lavoratrici domestiche


In occasione dell'8 marzo - Giornata internazionale della donna, domenica 14 marzo - una video conferenza dal titolo «Donne per la dignità e i diritti» ha riunito rappresentanti di sindacati e associazioni di diversi paesi arabi, oltre a rappresentanti dell'Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite (ILO). Il Libano era rappresentato dall'associazione "Uguaglianza - Wardah Boutros per l'azione femminile" la cui presidente Marie Nassif-Debs ha presentato una sintesi dell'esperienza che, lanciata dieci anni fa dal sindacato Fenasol e dal suo presidente Castro Abdallah, ha visto l’adesione delle associazioni femminili libanesi.

di Marie Nassif Debs*

Il problema del lavoro domestico non è nuovo, né in Libano né nel mondo; e le violenze subite dai lavoratori, in particolare dalle donne, sono state fin dall'antichità, oggetto di denuncia di un gran numero di storici e scrittori illuminati che hanno attirato l'attenzione su questo problema ... Si chiamasse schiavitù oppure lavoro retribuito, resta il fatto che questo tipo di sfruttamento è sempre stato riferito in particolare ai popoli del Sud del pianeta, che l’hanno subito sin dalle prime colonizzazioni e continuano a soffrirne ancora, per via della povertà in cui vivono perché depredati delle risorse naturali da quello stesso colonialismo che è tornato sotto la forma di multinazionali e transnazionali.

Il Libano, non c’è bisogno di dirlo, non fa parte del club dei paesi ricchi e conquistatori. Tuttavia, nonostante sia un paese piccolo, fin dalla seconda metà dell'Ottocento gran parte della sua popolazione ha intrapreso la via dell'emigrazione verso le Americhe, ma anche e soprattutto verso l'Africa e, più tardi, il Golfo Arabico. Questo popolo di emigranti recò fortune al paese, cosa che permise, dalla seconda guerra mondiale, alle famiglie ricche (borghesi e rimanenze del feudalesimo) di procurarsi l'aiuto di lavoratori e lavoratrici domestici principalmente dai paesi vicini. Fu solo nella seconda metà del Novecento, e più precisamente negli anni Novanta, che si diffuse però l'uso del lavoro domestico, per lo più tra le famiglie della classe media: le statistiche del Ministero del Lavoro in Libano riportano, per il periodo dal 1991 al 2014, la cifra di 245mila lavoratori domestici, in maggioranza donne.

Sri Lankesi, prima di tutte, ma anche filippine, seguite presto da donne africane, soprattutto dall'Etiopia e dal Madagascar, e altre asiatiche, come le nepalesi ... Senza dimenticare le lavoratrici siriane e palestinesi. Tutta un'attività lucrativa è fiorita attorno a questa forza lavoro sottopagata, per lo più maltrattata che aveva bisogno di un "garante" per ottenere il permesso di soggiorno in Libano. "Garanzia" che a volte si vendeva a caro prezzo ...

Va detto che l'articolo 7 della Legge sul lavoro nel nostro Paese, promulgata nel 1946, vieta ai lavoratori domestici, donne e uomini, così come ai muratori, ai lavoratori agricoli e ai pescatori il diritto di organizzarsi in sindacati e, soprattutto, di godere delle tutele lavorative. Di conseguenza, queste diverse centinaia di migliaia di donne, venute da lontano per lavorare e provvedere alle loro famiglie, si sono trovate in situazioni insopportabili, sia sotto l’aspetto legale che quello della vita quotidiana.

Questa situazione ha spinto, dal 2010, la Federazione nazionale dei lavoratori e degli impiegati in Libano (Fenasol) a contattare questi lavoratori, soprattutto le donne, spingendole a formare comitati di coordinamento secondo le diverse nazionalità. Quindi, a seguito della centesima conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e della promulgazione da parte di essa della Convenzione n. 189, che si applica a tutte le "lavoratrici o lavoratori che svolgono un lavoro domestico nel contesto di un rapporto di lavoro" e ne richiede la tutela,  Fenasol ha contattato nel 2014 le organizzazioni femminili (tra cui l'associazione Egalité - Wardah Boutros) e altre ONG che operano nel campo dei diritti delle donne, per contribuire ad organizzare questo settore e, soprattutto, per promuovere le capacità di queste donne e formarle per l'attività sindacale. Va anche detto che l'ufficio dell'ILO a Beirut è stato ed è tuttora molto collaborativo in questo senso.

Nel corso dei quattro anni successivi, e dopo numerosi incontri che hanno portato alla formazione di centinaia di donne provenienti da tutto il mondo, 300 di queste sono state delegate a formare un comitato costituente del sindacato delle lavoratrici e lavoratori domestici, dal quale è stata presentata una richiesta al Ministero del Lavoro libanese seguita dallo svolgimento, il 25 gennaio 2015, di un congresso di fondazione cui hanno partecipato rappresentanti dell'ILO e delle organizzazioni sindacali arabe e internazionali. Il governo libanese era rappresentato dal direttore generale della sicurezza nazionale.

E così, nonostante la minaccia del ministro del Lavoro di vietare lo svolgimento del Congresso, si è potuto eleggere un comitato direttivo, promulgare gli statuti e il programma di lotta del sindacato, cioè del primo sindacato che raggruppa donne che svolgono lavori domestici nel mondo arabo.

Tuttavia dobbiamo dire che, contrariamente alla Convenzione ILO 87, ratificata dal Libano, che garantisce il diritto di organizzazione di lavoratori e lavoratrici, il Ministero del lavoro ha finora rifiutato di legalizzare questo sindacato. Ma questo non ci impedisce di continuare la lotta che abbiamo iniziato con Fenasol sette anni fa.

In questa lotta abbiamo messo a fuoco il problema della "garanzia", che impone alle donne straniere che svolgono il lavoro domestico di dipendere da un garante della loro presenza in Libano; a questo proposito, abbiamo ricevuto sostegno di funzionari e sindacalisti di paesi come l'Etiopia e il Nepal; inoltre, abbiamo vinto la causa per quanto riguarda la possibilità di viaggiare e rientrare in Libano senza aver bisogno della presenza del “garante” per ogni collaboratrice domestica con permesso di soggiorno delle autorità competenti.

E oggi, con la pandemia di Covid 19 e i problemi economici e finanziari che stanno scuotendo il nostro Paese, tra cui la chiusura di decine di migliaia di attività e i numerosi licenziamenti che ne sono derivati, Fenasol e le associazioni femminili non hanno mollato, continuando sostenere questi lavoratori e lavoratrici che hanno sofferto particolarmente di questa situazione di crisi acuta. Hanno anche aiutato centinaia di loro a tornare nei loro paesi di origine, o hanno continuato a sostenere il più possibile coloro che sono rimasti in Libano.

Crediamo che questa forma di violenza contro le donne costrette a emigrare per provvedere ai bisogni delle loro famiglie, in particolare i bambini piccoli che sono costrette a lasciare nel loro paese, sia diventata una piaga generale per centinaia di milioni di sfollati/e, a causa delle guerre, della povertà e della carestia. Questo è il motivo per cui questa deve essere inclusa tra le priorità delle Nazioni Unite, ma anche del movimento sindacale internazionale e del movimento delle donne nel mondo in questo anno dominato dalla lotta per la ratifica della Convenzione 190 sulla violenza e le molestie.

Beirut, 14 marzo 2021

*Uguaglianza - Wardah Boutros per l'azione femminile

09/03/21

Palestina / Liberare Khalida Jarrar

 



Appello del Centro regionale arabo della Federazione internazionale democratica delle donne(FDIM/WIDF) per la libertà della deputata palestinese Khalida Jarrar

La violazione del diritto di una parlamentare eletta che combatte per la causa della sua patria occupata, la Palestina, è incompatibile con il diritto umano, internazionalmente riconosciuto, di difendere la propria patria e la propria terra!

Una settimana fa, il tribunale sionista "Ofer" ha condannato la parlamentare palestinese detenuta, Khalida Jarrar, a due anni di carcere e una pena pecuniaria.

Le autorità di occupazione avevano già fatto ripetutamente ricorso alla pratica di rinnovare ed estendere la detenzione amministrativa di Khalida Jarrar, accusandola di svolgere attività politica! Queste pratiche israeliane violano tutte le carte e le risoluzioni internazionali, in continuità con le pratiche di occupazione, usurpazione della terra, costruzione ed espansione di colonie, nonché detenzione e tortura, tra le altre, al fine di imporre la loro volontà e mettere a tacere le voci che rivendicano il diritto del popolo palestinese al riscatto e la liberazione della propria patria.

Le associazioni e le organizzazioni componenti del Centro regionale arabo della Federazione internazionale democratica delle donne riaffermano il loro sostegno permanente alla lotta dei palestinesi per la liberazione della loro patria e il riconoscimento del loro stato nazionale nella loro terra con Gerusalemme come capitale.

Insieme dichiariamo la nostra piena solidarietà a Khalida Jarrar, deputata del Consiglio legislativo palestinese e personalità di spicco del Fronte popolare; la nostra condanna perla reiterazione della sua detenzione arbitraria e quella di tutti gli altri eroici prigionieri palestinesi

Invitiamo a promuovere una vasta campagna di solidarietà per liberare Khalida Jarrar e gli altri palestinesi che si trovano nelle carceri e nei centri detentivi di occupazione israeliana.

Invitiamo la segreteria della Federazione democratica internazionale delle donne ad adoperarsi con tutta la sua autorevolezza perché l'ingiustizia commessa nei confronti di Khalida Jarrar sia denunciata sulla base di questo appello alla Croce Rossa Internazionale e alle altre competenti organizzazioni internazionali, perché intervengano rapidamente per la liberazione della deputata Jarrar e di tutti gli altri prigionieri dalle prigioni di occupazione israeliana.

Il Centro regionale arabo della Federazione internazionale democratica delle donne

Beirut, 9 marzo 2021

07/03/21

OTTOMARZO 2021 / L’Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane alle donne del mondo


 Care compagne,

l'Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane (DOIW) trasmette i suoi saluti, in occasione dell'8 marzo, giornata di solidarietà delle donne nel mondo, a voi e, tramite voi, a tutte le donne dei paesi rappresentati e del mondo.

Quest'anno commemoriamo il 111° anniversario della Giornata internazionale della donna e rinnoviamo il nostro impegno a lottare per un mondo libero da povertà, violenza, pregiudizi, ingiustizia e distruzione dell'ambiente. È passato un anno dall'inizio della crisi mondiale del Coronavirus e abbiamo assistito al modo in cui ha approfondito il divario di classe e di genere in modo disastroso, portando a un aumento esponenziale della povertà, della violenza domestica e di altri mali sociali. Il peso di tutto ciò ricade principalmente sulle donne e sui poveri.

Compagne,

come ha affermato la WIDF nei suoi documenti, i paesi che godono di un forte servizio sanitario statale si sono trovati in una buona posizione per combattere questa pandemia. Mentre gli stati capitalisti con un'agenda neoliberista hanno visto aumentare la disuguaglianza sociale ed economica e donne e ragazze subiscono una recrudescenza di violenza e persecuzione.

Anche nel nostro paese le politiche del regime, insieme alle nuove sanzioni massacranti imposte dagli Stati Uniti, hanno accentuato il divario di classe e costretto un numero sempre maggiore di persone alla povertà più assoluta; hanno portato il Paese ad una profonda crisi, accrescendo la pressione sui poveri, soprattutto sulle donne. Il regime le assicura la sopravvivenza attraverso la feroce repressione dei movimenti sociali e femminili.

La povertà e la disoccupazione devastano la società e portano a femminicidi, suicidi, matrimoni precoci, precarietà del lavoro e hanno privato i bambini vulnerabili e poveri ​​dell'istruzione durante la crisi di COVID 19.

Anche la discriminazione di genere sul lavoro è aumentata durante la crisi. La situazione delle donne occupate era disastrosa in Iran a causa delle politiche misogine del regime teocratico, anche prima del COVID 19. Nelle nuove condizioni, le donne hanno visto diminuire ulteriormente il loro scarso tasso di occupazione, con conseguenti danni economici e sulla salute mentale. Le privatizzazioni avevano già trasferito il 70% dei posti di lavoro dal settore formale a quello informale. Ciò significa che per sopravvivere le donne sono costrette a condizioni di lavoro più dure con una retribuzione più bassa, orari più lunghi, senza assicurazione o protezione legale.

Inoltre, le donne sono state in prima linea nella lotta al coronavirus, come operatrici sanitarie, lavoratrici essenziali o casalinghe. Sulle donne è ricaduto il duplice onere di prendersi cura dei bambini, istruirli a casa o prendersi cura dei genitori anziani o dei membri della famiglia. La violenza sulle donne in tutti i paesi, specialmente nei paesi poveri come il nostro, è aumentata, così come la violenza domestica, l'abuso su donne e bambini all’interno delle famiglie e i suicidi. L'estrema pressione sugli addetti alla sanità e la noncuranza dei loro bisogni e delle giuste richieste di una migliore retribuzione ha fatto sì che molti siano stati costretti ad abbandonare la professione o emigrare.

Negli ultimi dodici mesi trascorsi con la crisi del Coronavirus l'aumento della povertà ha portato ad un aumento del numero dei matrimoni precoci. Ciò ha contribuito ad aumentare il numero di ragazze prive di istruzione. Piuttosto che considerare questo come il problema, il regime incoraggia e protegge questa pratica e la favorisce affermando che è in linea con gli insegnamenti della religione e le leggi della Repubblica islamica.

Negli ultimi 9 mesi, sono stati segnalati 25mila matrimoni di minori, di età inferiore ai 18 anni. Secondo il Center for Statistics of Iran pubblicato il 21 gennaio 2021, durante questo periodo 9.058 ragazze di età compresa tra 10 e 14 anni sono state sottoposte a questo calvario e sono stati registrati 188 casi di divorzio che hanno coinvolto ragazze di età compresa tra 10 e 14 anni. Anche bambine diventate vedove sono entrate nelle statistiche, per via del fatto che sono state costrette a sposare uomini anziani. Il disegno di legge che propone il divieto di matrimonio di minori di 13 anni è stato continuamente respinto dagli organi legislativi del regime. Durante il lockdown, l'accesso a Internet è diventato una risorsa fondamentale. Eppure in alcune province il 53% degli insegnanti e degli alunni non ha accesso a Internet. Il suicidio tra i ragazzi che non hanno potuto continuare gli studi perché non hanno potuto accedere a Internet, laptop o persino telefoni cellulari è un altro tragico fenomeno di questi tempi, che di tanto in tanto si fa strada sui giornali quotidiani.

Accanto a questi mali, abbiamo assistito a un aumento della tossicodipendenza, dei senzatetto, della prostituzione e della vendita di organi. Questi sono solo alcuni dei problemi portati al centro dell'attenzione durante la crisi del Coronavirus.

Compagne,

il regime della Repubblica Islamica iraniana è uno dei soli quattro paesi del mondo che non hanno firmato la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e ritiene che l'uguaglianza di genere sia in violazione della sua legge costituzionale, insiste sull'applicazione della legge religiosa, e invita le donne a sopportare violenze e abusi e ad accettare la violazione dei loro diritti e non ha remore sui matrimoni precoci.

Il regime iraniano ha soppresso i diritti civili e umani del popolo iraniano, in particolare quelli delle bambine e delle donne, e ha perseguito con gli arresti e le torture coloro che si oppongono a questi abusi.

Organizzazione democratica delle donne iraniane (DOIW)

7 marzo 2021 

DOIW to WIDF on the occasion of international women’s day

05/03/21

OTTOMARZO 2021 / Donne progressiste di Turchia / Lottare per un sistema sociale egualitario, per una nuova repubblica!


İLERİCİ KADINLAR DERNEĞİ (IKD)

ASSOCIAZIONE DI DONNE PROGRESSISTE (TURCHIA)


Con la pandemia di COVID-19, che colpisce il mondo intero dal 2020, siamo poste ancora una volta di fronte alla realtà che il capitalismo non offre alcuna prospettiva futura all'umanità. La pandemia ha ulteriormente aggravato le disuguaglianze esistenti. Infatti, mentre la classe capitalista ha aumentato i propri profitti, la classe lavoratrice si trova a lottare contro la disoccupazione e la povertà.


Durante questo periodo di sfruttamento intensificato, la pandemia è diventata una scusa per attaccare i diritti acquisiti dai ceti popolari. La pandemia che ha acuito la gravità della crisi economica, contrariamente alle dichiarazioni di "economia forte" del governo, ha indotto milioni di lavoratori a scegliere tra il contagio e la fame. Le ferie non pagate e il lavoro a tempo ridotto hanno causato un'enorme crescita della disoccupazione, mentre il lavoro flessibile, informale e precario è diventato modalità comune di occupazione.

Le più colpite da questo corso sono state ancora una volta le donne, considerate dal capitalismo come manodopera a basso costo. Il tasso di occupazione femminile, già basso prima della pandemia nel nostro Paese, è ulteriormente diminuito, mentre è aumentato in modo esponenziale il lavoro informale e precario per le lavoratrici. La sospensione dell'istruzione, la formazione a distanza, l'assistenza all'infanzia, l'assistenza ai malati e agli anziani, le difficoltà nell'accesso ai servizi sanitari e la necessità di maggiore igiene e alimentazione più sana hanno aumentato il carico domestico delle donne.

Inoltre, milioni di donne considerate casalinghe e non incluse nelle statistiche della forza lavoro, dipendenti dal reddito di altri membri della famiglia per la sopravvivenza, attualmente si trovano ad affrontare la povertà. Le proclamazioni di "economia forte" così come la propaganda del "porre fine alla povertà" da parte del governo non sono altro che parole. Mentre enormi fondi vengono trasferiti alla classe capitalistica attraverso misure e pacchetti di incentivi durante la pandemia, il salario minimo stabilito per la classe lavoratrice è da fame. Di fatto la maggior parte delle donne è costretta a lavorare anche per meno del salario minimo.

Nel nostro paese, Insieme al crescente sfruttamento, le politiche reazionarie opprimono le classi lavoratrici, principalmente le donne. Le autorità continuano a predicare la pazienza e l'accettazione del destino di fronte alla povertà. Il governo, in ogni occasione, dichiara che l'uguaglianza tra donne e uomini è contro natura, mentre definisce le donne unicamente con ruoli domestici e pretende di riformare la società su riferimenti religiosi. L’introduzione di elementi reazionari in ogni fase dell'istruzione, la promozione di discussioni su progetti di coeducazione e università femminili, nonché l'attuazione della separazione della vita sociale per donne e uomini sono gli indizi della "nuova società" che s’intende costruire. In questa "Nuova Turchia" del governo, dove la laicità è de facto liquidata, le comunità religiose e le sette sono inserite ad ogni livello statale e la Direzione degli affari religiosi agisce come ministero delle ideologie e predica su ogni questione, le donne sono subordinate, soggette alla violenza e al femminicidio.

Laddove la violenza contro le donne e il femminicidio sono in aumento, usare la Convenzione di Istanbul come mezzo di scambio elettorale è la dimostrazione della natura reazionaria sia del governo che della cosiddetta opposizione, a cui siamo soggetti. Inoltre, il governo che mira a sancire la "Nuova Turchia" disponendo l'agenda della "Nuova Costituzione", intende distruggere anche le briciole della Repubblica del 1923, principalmente il principio di laicità, che di fatto rimane solo sulla carta

Questo sistema che non consente il diritto alla vita alle donne, dove i lavoratori sono venduti al capitale internazionale come manodopera a basso costo, dove lo sfruttamento, la povertà e la disoccupazione sono considerati come un destino, dove la laicità è liquidata e il contro riformismo religioso è diventata l'ideologia prevalente, dove ogni giorno donne e bambini affrontano sempre più violenze e abusi, devono cambiare. La società del futuro egualitaria, libera e illuminata sarà costruita solo attraverso la lotta della classe lavoratrice, delle donne e dei giovani.

L'eredità socialista e operaia che ha combattuto contro il capitalismo per cambiare il sistema vive nella forte e reale volontà su cui si fonda l'8 marzo. Questo fatto storico deve essere sottolineato oggi più fortemente che mai dalle donne socialiste.

La conoscenza della storia ci dice che la condizione per la liberazione delle donne è la liberazione sociale di tutti che si realizza attraverso la prospettiva socialista di un nuovo sistema sociale che cambi i rapporti di produzione e distribuzione.

La Giornata internazionale della donna lavoratrice, attualmente "celebrata" fuori contesto, vulnerabile alle manipolazioni ideologiche liberali e reazionarie della borghesia, appartiene infatti alla classe operaia e deve ritornare ad essa!

L'8 marzo, Giornata internazionale della donna lavoratrice è un momento importante per noi donne lavoratrici e per la classe operaia. Questa storia è un'eredità significativa della lotta delle donne lavoratrici da oltre un secolo e va portata avanti. Sulla base di questa eredità, è essenziale per noi promuovere la lotta contro lo sfruttamento, la reazione e la discriminazione di genere, per un sistema sociale egualitario, libero e laico, una nuova repubblica.

L'8 marzo, chiamiamo tutte le forze progressiste, rivoluzionarie, di sinistra e socialiste e le organizzazioni femminili a riunirsi per promuovere la solidarietà e la lotta per un sistema sociale egualitario e una nuova repubblica, opponendo alla nuova costituzione del governo quella della classe lavoratrice, lottando insieme contro la crisi, lo sfruttamento e la disoccupazione che sono diventati ulteriormente visibili e brutali con la pandemia, alzando la nostra voce comune contro le politiche reazionarie che comprimono i diritti delle donne.

Un sistema sociale egualitario, una vita umana è possibile.


OTTOMARZO 2021 / Federazione delle donne greche / La via è la lotta collettiva per la salute, la vita e i nostri diritti


OGE - 8 marzo 2021


SPEZZIAMO LE CATENE DELLE VIE INDIVIDUALI 

RAFFORZIAMO LA LOTTA COLLETTIVA
PER LA SALUTE E LA VITA  
CON I DIRITTI

Ci rivolgiamo a te,

lavoratrice, disoccupata, autonoma in città e in campagna, studentessa, giovane madre, pensionata, immigrata e rifugiata.

L'8 marzo, Giornata internazionale della donna, è una giornata dedicata alle lotte delle donne per i loro diritti sul lavoro, per la loro uguaglianza nella società. A 111 anni dal suo lancio, su proposta di Clara Zetkin, il messaggio dell’otto marzo rimane vivo e rilevante perché la disuguaglianza delle donne vive e regna.

Individualmente non possiamo sfuggire alle difficoltà della vita quotidiana, allo sfruttamento e alla oppressione. L'insicurezza e il risentimento per le condizioni di vita e di lavoro delle donne possono trovare una via d'uscita nella lotta collettiva per ciò di cui abbiamo bisogno nel 21° secolo. In queste difficili condizioni non sei solaLa Federazione delle Donne Greche (OGE) con le sue associazioni e sezioni è al tuo fianco ed esige misure per proteggere la nostra salute e i nostri diritti.

La pandemia ha messo a nudo le cause della barbarie che stiamo vivendo. L'UE e i governi considerano la nostra salute e quella delle nostre famiglie un "costo" per lo Stato e un "vantaggio" per i gruppi di imprese attivi nel settore sanitario. Da un lato regalano milioni di euro ai proprietari di cliniche, miliardi di euro alle aziende farmaceutiche e alle attrezzature della NATO, e dall'altro tagliano la spesa statale per la sanità (96 milioni di euro sono stati tagliati quest'anno nel settore delle cure primarie). Per questa ragione:

- Stiamo restando senza medici e visite di controllo, in particolare controlli prenatali, poiché i servizi di assistenza sanitaria di base sono a corto di personale, senza attrezzature o addirittura inesistenti. Ci spingono a pagare “in oro” alla sanità privata.

- Migliaia di lavoratrici del settore sanitario stanno crollando per la stanchezza fisica e mentale e il superlavoro, poiché sono costrette a coprire l'enorme carenza di personale al di là delle loro possibilità.

- Ci sentiamo insicure per i genitori anziani, le persone con bisogni speciali, i malati cronici, a causa della mancanza di infrastrutture moderne, pubbliche e gratuite per il loro monitoraggio e cura. Queste esigenze vengono caricate sulle nostre spalle.

Con lo sviluppo che la scienza e la tecnologia hanno raggiunto nel 21° secolo, è evidente che la salute delle nostre famiglie è incompatibile con le leggi del mercato e del profitto. Per questo motivo non ci accontenteremo di nulla di meno che la piena copertura dei nostri bisogni, nulla di meno che la sicurezza della nostra uguaglianzaOggi si evidenzia più che mai la necessità di un sistema sanitario di base esclusivamente pubblico e gratuito, che copra i bisogni speciali di donne e bambini per la prevenzione, la cura, la riabilitazione e la promozione della salute.

Non permetteremo che i nostri diritti vengano messi in quarantena.

Le lotte per il diritto al lavoro e un orario di lavoro umano, sostenute nel secolo scorso dalle lavoratrici che si sollevarono contro il padronato e le sue istituzioni, illuminano ancora oggi la necessità delle donne lavoratrici e disoccupate di organizzarsi e lottare. Stiamo alzando il tono della lotta in modo che imprese e governo non carichino di nuovo le conseguenze della crisi finanziaria e la gestione della pandemia sulle nostre spalle. L'attacco ai nostri diritti sta già gettando la sua ombra pesante con:

- Migliaia di licenziati o contratti sospesi

- Generalizzazione della flessibilità, intensificazione del telelavoro.

- Peso ulteriore sulla salute fisica e mentale delle donne perché l'orario di lavoro diventa elastico e il tempo libero reale scompare.

Il governo offre nuove armi ai gruppi imprenditoriali perché possano approfittarsi di noi senza freni. Lavorare 10 ore se richiesto dai datori di lavoro con aumento degli straordinari e prolungamento del lavoro alla domenica ed essere “retribuite” con pause, ferie .... quando lo decideranno, a scapito della nostra salute, dato che non avremo un minuto per prendere fiato dal lavoro. Stanno preparando nuove misure per colpire la sindacalizzazione, il diritto di sciopero, l'azione sindacale, perché ci vogliono isolate e spaventateMa non importa quali misure prenderanno, non reprimeranno le nostre lotte. Né la violenza di Stato né quella padronale ci chiuderà la bocca.

- I piani del governo, dell'UE, della grande impresa non devono trovarci disarmate e disilluse.

- La lotta per il futuro nostro e dei nostri cari deve trovarci forti e attive.

- Prendiamo posizione nella lotta collettiva per una vita con diritto al lavoro stabile, per la riduzione dell'orario di lavoro, misure per la salute e la sicurezza sul lavoro, a tutela del corpo femminile e della maternità.

SPEZZIAMO LE CATENE DELLA VIA INDIVIDUALECoraggio, resistenza, liberazione da ogni tipo di pressione e violenza che le donne ricevono sul posto di lavoro, nell'istruzione, nello sport possono fiorire solo nella terra della collettività e della solidarietà. Il vero scudo si forgia nella lotta collettiva per una vita senza sfruttamento e oppressione, consona alle esigenze e alle potenzialità esistenti oggi, nel 21° secolo.

04/03/21

OTTOMARZO 2021 / Le donne irachene resistono nonostante la violenza e la pandemia


Shamiran Odisho - Iraqi Women's League


Viva l'8 marzo, Giornata internazionale di tutte le donne. I più vivi saluti a ogni donna che si sta impegnando per rendere il nostro mondo un luogo sicuro per tutti, dove le donne possano godere di una vita libera, dignitosa e sicura 

Lega delle Donne Irachene*


L'8 marzo è un giorno in cui rinnoviamo il nostro impegno a continuare la lotta come difensore dei diritti delle donne, contribuendo ad affrontare i problemi del paese in generale, e quelli delle donne e delle ragazze in particolare, e migliorando le loro condizioni di vita e sociali nelle aree urbane e Iraq rurale. Ciò include la risposta ai loro bisogni sanitari, psicologici e legali e la garanzia di rifugi e alloggi adeguati per proteggerle dalla violenza, dallo sfruttamento e dalla tratta.

L'8 marzo 2021 è arrivato mentre stiamo ancora affrontando molte sfide sanitarie e ambientali a causa della pandemia di coronavirus e del suo impatto sociale ed economico, che sono ulteriormente aggravate da una complessa situazione politica e di sicurezza. Quest'ultima è determinata dal sistema etnico-settario di spartizione del potere e dalla corruzione che ancora affligge l'Iraq e la sua gente. Nonostante queste enormi sfide, le donne irachene hanno dimostrato la loro forza di volontà e la loro elevata capacità di affrontare le difficoltà e le crisi.

Indicatori e rapporti locali, nazionali e internazionali confermano che le donne irachene vivono in condizioni difficili e sono soggette a maggiori ingiustizie, abbandono, violenza, emarginazione ed esclusione, oltre a disparità di opportunità. È così nonostante il loro contributo in molti campi e la lotta per affermare il loro diritto a una reale partecipazione politica ea livello decisionale. Continuano inoltre a combattere tutte le forme di violenza diretta contro di loro e lottano per abolire tutte le decisioni e le legislazioni ingiuste che violano la loro dignità e i diritti umani.

Noi, nella Lega delle donne irachene, nonostante le difficoltà che stiamo affrontando come donne a vari livelli culturali e sociali, continuiamo la nostra lotta per unificare gli sforzi nazionali e civici per riformare il processo politico in Iraq. Rispettiamo pienamente la volontà della gente di costruire un sistema politico giusto che salvi l'Iraq dalle crisi economiche e dai conflitti politici. Chiediamo a tutti gli organi esecutivi e legislativi competenti, nonché alle Nazioni Unite, di garantire il diritto della donna alla partecipazione a tutti i livelli e di affermare il principio di giustizia sociale e di genere. Il ruolo delle donne deve essere affermato come partner fondamentali ed efficaci nei processi di sviluppo, costruzione, sicurezza e pace. È essenziale promuovere la partecipazione delle donne e l'emancipazione economica, garantendo la loro sicurezza e fornendo loro protezione all'interno della famiglia e della società. Ciò richiede di accelerare la promulgazione della legge sulla protezione dalla violenza domestica e la sua attuazione, rendendo conto degli autori e perseguendoli, assicurandosi che non se la cavino impunemente. Devono essere fornite garanzie sociali complete alle vedove, alle donne divorziate, ai rimpatriati dallo sfollamento, alle donne con bisogni speciali e alle donne che provvedono alle loro famiglie e sono colpite dalla pandemia di Coronavirus.

L'8 marzo è un'opportunità per celebrare la nostra fermezza di fronte a grandi sfide, nonché un'occasione per dimostrare che siamo in grado di apportare cambiamenti in tutti i campi e forum. È anche un'occasione per alzare la nostra voce nelle proteste contro tutte le politiche antipopolari. È un giorno per ricordare al governo iracheno e alla comunità internazionale i loro impegni nei confronti delle questioni femminili e per apprezzare gli sforzi delle donne e i sacrifici da loro compiuti ogni giorno. Li invitiamo ad adottare programmi di sviluppo al fine di liberare le donne, i loro bambini e le famiglie dalla povertà, indigenza e privazione, e si sforzano di fornire loro una vita libera e dignitosa, proteggere i loro diritti e abolire tutte le legislazioni e le decisioni che le privano di i loro diritti.

Viva l'8 marzo, la Giornata internazionale per tutte le donne. I più cordiali saluti a ogni donna che si sta impegnando per rendere il nostro mondo un lugoogo sicuro, dove le donne possano godere di una vita libera, dignitosa e sicura

Gloria alle donne martiri e alle donne scomparse in Iraq e. tutto il mondo. 

 *Iraqi Women's League

03/03/21

OTTOMARZO 2021/ Per una alleanza tra donne delle varie forme della politica


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 di Maria Carla Baroni*


La giornata di lotta dell’8 marzo viene da lontano, da oltre un secolo e, benché sia stata agita innumerevoli volte, è ancora necessaria: anzi, è più che mai necessaria, soprattutto in Italia, in quanto il nostro è il Paese europeo con la condizione femminile fra le peggiori (sono peggio di noi solo la Grecia, Malta e Cipro) e soprattutto in quanto la pandemia da Covid 19 ha ulteriormente e pesantemente aggravato la condizione delle italiane sul doppio fronte della perdita dei posti di lavoro e dell’aumento della violenza domestica, a partire dai femminicidi. E proprio per la gravità della situazione la lotta non deve certo limitarsi all’8 marzo, ma deve essere portata avanti anche negli altri 364 giorni dell’anno.

Da qualche anno a questa parte, da quando è nato il movimento Non Una Di Meno, l’8 marzo è caratterizzato dallo sciopero femminista globale: globale in doppio significato: perché coinvolge moltissime donne in vari continenti, potenzialmente tutte le donne del pianeta, in quanto  è a questo obiettivo che bisognerà arrivare; e nel senso che riguarda sia il lavoro per la produzione o per il mercato che dir si voglia, sia il lavoro domestico e di cura, cioè il lavoro per la riproduzione biologica e sociale.

Poiché in base alla legislazione italiana Non Una Di Meno non è un soggetto abilitato a indire uno sciopero in ambito lavorativo, è indispensabile che vi siano sindacati in grado di proclamarlo: a questa necessità rispondono i sindacati di base e sporadicamente alcune categorie dei sindacati confederali a livello locale. Dobbiamo quindi ringraziare soprattutto i sindacati di base, che danno al movimento un supporto fondamentale, ma essi sono molto piccoli e disuniti e non sono in grado di sviluppare – e neppure di supportare – un’azione a tutto tondo per modificare dalle fondamenta la condizione delle donne in Italia, che deve essere portata avanti tutto l’anno e su molti fronti.

Su questo obiettivo, insieme a Non Una Di Meno, dovrebbe attivarsi la CGIL nazionale, con la metà degli iscritti che sono lavoratrici (2.700.000) e con le sindacaliste che costituiscono ormai quasi la metà donne degli organismi dirigenti a ogni livello. Dal punto di vista logico bisognerebbe partire dalla proclamazione dello sciopero femminista, che è uno sciopero politico. La CGIL ha al suo attivo scioperi politici, come quelli che negli anni ’70 del secolo scorso portarono a ottenere la legge 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, ma oggi non accetta che l’iniziativa di questa proclamazione parta da un soggetto di movimento, tanto più piccolo e tanto più recente. Non Una Di Meno, d’altro canto, sopravvaluta la sua forza e non si rende conto delle enormi differenze storiche e quantitative che separano i due soggetti e che non possono essere colmate di colpo con un atto volontaristico unilaterale.

Occorre costruire un percorso di collaborazione tra Non Una Di Meno e la CGIL, che, a partire dalle dirigenti e dalle delegate - realtà territoriale per realtà territoriale – arrivi alle lavoratrici, ad es, organizzando assemblee nei luoghi di lavoro tenute congiuntamente da sindacaliste e da femministe del movimento sulla condizione delle donne in Italia, sui loro diritti sindacali e politici e sulla loro effettiva concretizzazione, su obiettivi condivisi di emancipazione e di liberazione, su modalità concordate di sostegno reciproco alle rispettive lotte. Questa è la prospettiva verso cui hanno iniziato a muoversi – a Milano – FIOM e FLC e Non Una Di Meno, dopo un primo incontro promosso dall’A.Do.C. PCI (Assemblea delle Donne Comuniste).

La proposta di costruire un’alleanza tra donne delle varie forme della politica è infatti il filo conduttore e lo scopo di un convegno realizzato a Milano nell’ottobre scorso, dal titolo “Donne e politica ieri oggi e domani. Uniamoci per essere libere tutte”. Tra le compagne di Democrazia e Lavoro, ad esempio, non mancano le favorevoli all’indizione dello sciopero femminista globale anche da parte della CGIL, per cui sarebbe bello e utile per tutte le donne italiane che tutte le compagne di Democrazia e Lavoro si attivassero per ottenere questo obiettivo, insieme alla tessitura di un’alleanza globale tra donne.

* Pubblicato su Democrazia e lavoro, on line della Sinistra sindacale CGIL

WOMENOMICS e PNRR

Donne ed economia, un matrimonio di interesse (generale)


di Agnese Palma*

Si è detto molto, e si dirà ancora molto, sulla pandemia che ci ha colpito un anno fa e che sta cambiando in modo inesorabile la vita degli esseri umani sul pianeta. Ha scardinato certezze, pianificazioni, a volte anche l’idea di un futuro. Una certezza però si è delineata: le disuguaglianze stanno aumentando, tra paesi ricchi e paesi poveri, tra garantiti e precari, tra donne e uomini.

La crisi economica generata dalla pandemia ha colpito tutti, e questo ha spinto la UE a mettere sul piatto ingenti risorse per la ripresa.

È difficilmente credibile una sincera inversione di tendenza rispetto alle politiche liberiste fin qui perseguite, ma ha agito piuttosto la consapevolezza che stavolta non si tratta di lasciar affondare la piccola Grecia da sola, in questa crisi nessun paese membro si sarebbe potuto salvare da solo. Da qui nasce quindi l’ambizioso Next Generation UE, un piano che dovrebbe portarci, alla fine della pandemia, verso un’Europa che cresce in modo ecologico e sostenibile, con meno disuguaglianze, più solidale, che guarda ai giovani e alle donne. Le condizioni affinché ci si avvii lungo questa transizione socio-ecologica, verso un Rinascimento europeo, sono però tutte da costruire. Siamo ai blocchi di partenza e l’Italia ha molti svantaggi da recuperare.

Veniamo a noi donne ed iniziamo facendo due conti, molto realisticamente.

Le trattative del precedente governo avevano portato ad ottenere dalla UE la somma di 223,91 miliardi di euro per l’Italia. Non sappiamo ancora cosa ne farà il governo Draghi, e probabilmente lo sapremo all’ultimo momento, ma possiamo partire dal PNRR del governo Conte per capire cosa fosse previsto per il riequilibrio di genere. Draghi dovrà sbrigarsi perché la scadenza per presentare il piano è il 30 aprile.

Transizione ecologica, digitalizzazione, donne e giovani sono i pilastri indicati per la ripresa europea.

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) definisce il piano di riforme ed investimenti del triennio 2021-2023, piano che ogni stato membro deve presentare per accedere ai fondi. Si deve rispettare il vincolo che almeno il 37% deve essere destinato alla transizione ecologica e almeno il 20% a quella digitale.

L’attuale PNRR destina il 40,8% (80 mld) alla transizione green ed il 23% (45 mld) alla transizione digitale. Tutto il piano si articola in sei missioni, all’interno delle quali sono definiti i progetti da sviluppare e gli impegni di spesa.

La missione 5 (inclusione e coesione sociale) include anche la parità di genere, ad essa va l’8,7% (17,1 mld), e riguarda le misure sulle politiche del lavoro, infrastrutture sociali, coesione territoriale e giovani. Alla parità di genere sono destinati 4,2 mld di euro. Come si vede, non è molto, anche se si dichiara che il sostegno all’empowerment femminile e il contrasto alle discriminazioni di genere deve essere trasversale in tutto il piano. I 4,2 mld sarebbero destinati, tra l’altro, a favorire l’imprenditoria e l’indipendenza economica delle donne vittime di violenza.

In attesa della ristesura non “farisaica” di Draghi, abbiamo un problema: le donne hanno perso moltissimi posti di lavoro, in questa pandemia. Fino a dicembre su 101mila posti persi, 99mila erano di donne. Questa crisi pandemica, diversamente da quelle industriali e finanziarie, colpisce i settori a maggior occupazione femminile: commercio, ristorazione, turismo.

L’occupazione femminile (e giovanile) è una vera emergenza su cui non si può pensare di intervenire con le solite ricette della decontribuzione e degli sgravi acritici alle imprese.

Con questo sistema si perpetua il precariato, il lavoro povero, e non si crea sviluppo vero e duraturo. C’è il rischio, già sperimentato, di immettere soldi che daranno un’altra spinta alla giostra fino alla prossima crisi, perché c’è sempre una crisi nel capitalismo.

Dobbiamo intervenire per rimuovere le cause che tengono le donne lontane dal mondo del lavoro, e che ne determinano la precarietà e i bassi salari.

Per anni ci hanno detto che le donne erano poco occupate, e occupate nei posti meno qualificati, perché non erano abbastanza istruite, non avevano il titolo di studio.

Lo svantaggio è stato recuperato da trent’anni; in Italia risale ai primi anni novanta del 900 il sorpasso delle donne sugli uomini per numero di diplomate e laureate. Non neghiamo i progressi, ma il divario occupazionale ed il divario salariale è ancora pesante.

Da qualche tempo a questa parte sono partite le campagne per spingere le ragazze verso le lauree STEM. Prima non avevamo l’istruzione, ora non abbiamo l’istruzione giusta. Pare che ci manchi sempre qualcosa, e trovo queste campagne promozionali anche vagamente irritanti.

Premesso che ad una figlia, come ad un figlio, direi studia quello che più ti piace, quello per cui hai più inclinazione, ho difficoltà a credere che sia questo il motivo per cui oggi le donne sono più precarie e meno pagate. Senza risalire al quarto secolo con Ippazia, o a tutte le scienziate a cui fu negato il riconoscimento del proprio lavoro, condannate all’invisibilità, oggi è un fatto la fuga di cervelli, molti dei quali albergano in teste femminili. Ragazze, prendetevi una bella laurea STEM e poi andate a lavorare all’estero. Piuttosto aiutiamole a restare, queste ragazze, favorendo le pari opportunità nell’ambito dell’istruzione e della ricerca (missione 4 del PNRR, 19.2 mld). Un esempio di intervento di genere trasversale.

A distanza di un anno la pandemia ci ha fatto capire cosa conta veramente per avere una buona qualità della vita. La cura delle persone è importante sotto tutti gli aspetti: la salute fisica e mentale, l’assistenza ai bambini e agli anziani, la scuola, la socialità, il decoro urbano, persino l’accesso alla rete internet.

Nel memorandum 2021 dell’Eurogruppo c’è un capitolo dedicato all’approccio femminista al Green Deal e al Care Deal Europeo, che mette al centro la cosiddetta economia della cura. Vuol dire restituire dignità ai lavori di cura perché contribuiscono al benessere delle persone. Sono settori in cui è alta l’occupazione femminile, chiediamo per essi riconoscimento sociale, giusto salario e pari diritti. Non è l’unico settore su cui concentrarci, ma è cruciale per la riduzione del gap di genere. Investire in questi settori vuol dire investire in qualità della vita.

Si avrebbe inoltre il doppio beneficio di liberare le donne dal lavoro di cura, che come sappiamo è uno dei principali ostacoli sia all’occupazione che alla carriera.

Cambiare il modello di sviluppo non può essere uno slogan, un refrain a cui non dare seguito. Per noi donne è una necessità. Il sistema oggi si basa sul welfare gratuito delle donne, questo welfare invece deve generare buona occupazione ed entrare nell’economia.

È ormai provato che una maggiore occupazione e coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro fa bene all’economia nel suo complesso, ha un effetto di crescita del PIL. Riferiamoci ancora al PIL, per ora, anche se è tempo di cambiare questa misura e dovremmo iniziare a dirlo come sindacato. Dovremmo aprire una vertenza su questo. Da anni il PIL è stato messo in discussione perché non misura il benessere reale ma solo tutto ciò che viene monetizzato, disgrazie comprese (definizione di Zygmund Bauman).

Disgrazie ne abbiamo avute abbastanza, mettiamoci al lavoro tutte e tutti perché combattere le disuguaglianze è uno dei pilastri della CGIL.

* Relazione al Coordinamento Donne FISAC CGIL (Federazione italiana sindacati assicurazioni credito) del 3 marzo 2021