27/02/16

Non è l’Europa dei muri e dei recinti quella che vogliamo! 

Appello all'Europa della Rete femminista “No muri, no recinti”, che si è incontrata a 
Roma,  nella Casa internazionale delle donne, il 13 febbraio 2016. 


Primum vivere, prima le persone

Chiediamo alle istituzioni europee di garantire che i fondi per l’immigrazione concessi agli stati membri non vengano usati per costruire muri, recinti e fili spinati, negando in  questo modo lo spirito stesso di Schengen. Sull’esempio del progetto “Mediterranean Hope” chiediamo invece che i fondi siano destinati all’accoglienza dei richiedenti asilo in base all’art. 25 del Regolamento (CE) n.810/2009 del 13 luglio 2009 relativo al Codice comunitario dei visti, sottraendo così migliaia di persone alla morte, allo sfruttamento e alle violenze, e consentendo loro il libero accesso all’interno dello spazio europeo. Il sogno di un’Europa solidale e inclusiva, mai realmente nata, sta ora definitivamente tramontando nel cinismo e nell’ipocrisia delle politiche comunitarie sull’immigrazione. Inutili parole “umanitarie” vengono smentite da accordi che mirano a costruire un vero e proprio muro della vergogna a sud dell’Europa, bloccando ogni libero accesso a migliaia di donne, di uomini e di bambini in fuga dalle guerre e dalla fame.

Chiediamo che vengano ascoltate le voci di chi si oppone a questa deriva politica e umana. Chiediamo che finisca l’orrore dei respingimenti collettivi, chiediamo che si smetta di “selezionare” i migranti per categorie come se fossero non-persone. Non è questa l’Europa in cui poterci riconoscere. L’Europa in cui ci possiamo riconoscere è quella della splendida gente di mare delle coste mediterranee che sfida mille pericoli per salvare vite, è quella delle tante associazioni che s’impegnano in tutti i modi per assistere e proteggere, è quella della società civile che offre accoglienza e riparo anche nelle proprie case.
Non ci possiamo invece riconoscere nei fantasmi securitari costruiti ad arte per riportare le nostre vite sotto meccanismi polizieschi di controllo. Sono le frontiere, sono le gabbie identitarie e nazionaliste che si stanno moltiplicando nei paesi europei a farci paura, perché sappiamo benissimo quale pericolo rappresentino per la libertà delle donne, come sempre è avvenuto a occidente e a oriente, a nord come a sud. Diciamo no a chi vuole farci tornare indietro, a un mondo di fortezze e di barriere che confina i corpi e impoverisce le vite.
Dire no a muri e a recinti per noi significa dire no alla violenza, all’esclusione, al razzismo e soprattutto a un sistema patriarcale fondato ancor oggi sulla disparità e sulle guerre. Un mondo nel segno del femminile non ha bisogno di muri ma di ridare senso alle parole e alle regole minime della convivenza umana su questa terra. Su questa terra nessuna persona è clandestina, che senso ha quindi un reato assurdo come quello di clandestinità? E quale logica può avere una Convenzione come quella di Dublino, costruita apposta per bloccare la libertà di movimento e scaricare la responsabilità dell’accoglienza solo sui paesi del sud Europa? Secondo la Carta dei diritti universali, la Convenzione di Ginevra e altri Trattati esiste l’obbligo internazionale di dare asilo a chi è in pericolo, ma l’Europa lo sta violando. Noi chiediamo invece che venga rispettato a ogni livello e soprattutto chiediamo di non delegare la gestione di questo dramma a Paesi che non rispettano i diritti umani, come la Turchia, oltretutto pagandoli per farlo.
Esistono i modi per affrontare la situazione in modo umano e civile. Ad esempio, il progetto pilota “Mediterranean Hope”, varato dalla Federazione delle Chiese evangeliche, ha portato in Italia alcune migliaia di richiedenti asilo con voli regolari, sottraendoli al rischio di morire nelle acque del Mediterraneo: “La base giuridica di questa iniziativa ecumenica si fonda sull'art. 25 del Regolamento (CE) n.810/2009 del 13 luglio 2009 relativo al Codice comunitario dei visti e prevede la possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata, in deroga alle condizioni di ingresso previste in via ordinaria dal codice frontiere Schengen, ‘per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali’”.
Invitiamo le associazioni e le realtà di donne europee a condividere il nostro appello e anche a diffondere la conoscenza di “Mediterranean Hope”, come esempio che è possibile seguire in ogni altro paese. Un gesto concreto per iniziare a fermare l’orribile drago dell’indifferenza che dal fondo del mare continua a inghiottire vite umane, e per riscoprire lo spirito delle pacifiche società matrilineari dell’antica Europa.


NB: questa proposta fa seguito all’appello “Muri e recinti: non è l’Europa in cui vogliamo vivere”, lanciato lo scorso novembre dalla Casa delle Donne di Milano e sottoscritto da moltissime associazioni di donne italiane, spagnole e greche.

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