Non è l’Europa dei muri e dei recinti quella che vogliamo!
Roma, nella Casa internazionale delle donne, il 13 febbraio 2016.
Primum vivere, prima le persone
Primum vivere, prima le persone
Chiediamo alle istituzioni
europee di garantire che i fondi per l’immigrazione concessi agli stati membri
non vengano usati per costruire muri, recinti e fili spinati, negando in questo modo lo spirito stesso di Schengen.
Sull’esempio del progetto “Mediterranean Hope” chiediamo invece che i fondi
siano destinati all’accoglienza dei richiedenti asilo in base all’art. 25 del
Regolamento (CE) n.810/2009 del 13 luglio 2009 relativo al Codice comunitario
dei visti, sottraendo così migliaia di persone alla morte, allo sfruttamento e
alle violenze, e consentendo loro il libero accesso all’interno dello spazio
europeo. Il sogno di un’Europa solidale e inclusiva, mai realmente
nata, sta ora definitivamente tramontando nel cinismo e nell’ipocrisia delle
politiche comunitarie sull’immigrazione. Inutili parole “umanitarie” vengono
smentite da accordi che mirano a costruire un vero e proprio muro della
vergogna a sud dell’Europa, bloccando ogni libero accesso a migliaia di donne, di
uomini e di bambini in fuga dalle guerre e dalla fame.
Chiediamo che vengano ascoltate le voci di chi si oppone
a questa deriva politica e umana. Chiediamo che finisca l’orrore dei
respingimenti collettivi, chiediamo che si smetta di “selezionare” i migranti
per categorie come se fossero non-persone. Non è questa l’Europa in cui poterci
riconoscere. L’Europa in cui ci possiamo riconoscere è quella della splendida
gente di mare delle coste mediterranee che sfida mille pericoli per salvare
vite, è quella delle tante associazioni che s’impegnano in tutti i modi per
assistere e proteggere, è quella della società civile che offre accoglienza e
riparo anche nelle proprie case.
Non ci possiamo invece riconoscere nei fantasmi securitari
costruiti ad arte per riportare le nostre vite sotto meccanismi polizieschi di
controllo. Sono le frontiere, sono le gabbie identitarie e nazionaliste che si
stanno moltiplicando nei paesi europei a farci paura, perché sappiamo benissimo
quale pericolo rappresentino per la libertà delle donne, come sempre è avvenuto
a occidente e a oriente, a nord come a sud. Diciamo no a chi vuole farci
tornare indietro, a un mondo di fortezze e di barriere che confina i corpi e
impoverisce le vite.
Dire no a muri e a recinti per noi significa dire no alla
violenza, all’esclusione, al razzismo e soprattutto a un sistema patriarcale
fondato ancor oggi sulla disparità e sulle guerre. Un mondo nel segno del
femminile non ha bisogno di muri ma di ridare senso alle parole e alle regole
minime della convivenza umana su questa terra. Su questa terra nessuna
persona è clandestina, che senso ha quindi un reato assurdo come quello di
clandestinità? E quale logica può avere una Convenzione come quella di Dublino,
costruita apposta per bloccare la libertà di movimento e scaricare la
responsabilità dell’accoglienza solo sui paesi del sud Europa? Secondo la Carta
dei diritti universali, la Convenzione di Ginevra e altri Trattati esiste
l’obbligo internazionale di dare asilo a chi è in pericolo, ma l’Europa lo sta
violando. Noi chiediamo invece che venga rispettato a ogni livello e
soprattutto chiediamo di non delegare la gestione di questo dramma a Paesi
che non rispettano i diritti umani, come la Turchia, oltretutto pagandoli per
farlo.
Esistono i modi per affrontare la situazione in modo umano e
civile. Ad esempio, il progetto pilota “Mediterranean Hope”, varato dalla
Federazione delle Chiese evangeliche, ha portato in Italia alcune migliaia
di richiedenti asilo con voli regolari, sottraendoli al rischio di morire nelle
acque del Mediterraneo: “La base giuridica di questa iniziativa ecumenica si
fonda sull'art. 25 del Regolamento (CE) n.810/2009 del 13 luglio 2009 relativo
al Codice comunitario dei visti e prevede la possibilità di concedere visti con
validità territoriale limitata, in deroga alle condizioni di ingresso previste
in via ordinaria dal codice frontiere Schengen, ‘per motivi umanitari o di
interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali’”.
Invitiamo le associazioni e le realtà di donne europee a
condividere il nostro appello e anche a diffondere la conoscenza di
“Mediterranean Hope”, come esempio che è possibile seguire in ogni altro
paese. Un gesto concreto per iniziare a fermare l’orribile drago
dell’indifferenza che dal fondo del mare continua a inghiottire vite umane, e
per riscoprire lo spirito delle pacifiche società matrilineari dell’antica
Europa.
NB: questa proposta fa seguito all’appello “Muri e
recinti: non è l’Europa in cui vogliamo vivere”, lanciato lo scorso novembre
dalla Casa delle Donne di Milano e sottoscritto da moltissime associazioni di
donne italiane, spagnole e greche.
Nessun commento:
Posta un commento