Costruire un Piano femminista
contro la violenza
in tutti i luoghi possibili
www.udinazionale.org
L’UDI (Unione Donne in Italia) è parte della mobilitazione
NONUNADIMENO perché è stata tra le associazioni promotrici del percorso che ha
portato alla marea del 26 novembre a Roma e oltre, sul quale ha attivato il
dibattito dentro e fuori l’associazione.
Vogliamo promuovere insieme a tutte le donne e le realtà che
oggi si riconoscono nel percorso NONUNADIMENO la mobilitazione per l’8 marzo,
da sempre per noi giornata di lotta, alla quale non abbiamo rinunciato nei
momenti di più alta partecipazione, come nei momenti di ridicolizzazione
meschina o indifferenza nei confronti di questa data.
Non dimentichiamo le lotte delle donne venute prima di noi e
siamo consapevoli che la cancellazione è sempre funzionale alla permanenza del
patriarcato che ci costringe, anche subdolamente, a ricominciare da capo come
se fossimo sempre donne smemorate e senza storia.
Oggi, nella fase del neoliberismo trionfante e del tentativo
di restaurazione violenta, espresso da Trump e da tutti i suoi miseri epigoni
ovunque, riteniamo che la mobilitazione possa diffondersi solo se ogni donna si
sente protagonista in prima persona e consideriamo l’esistenza di associazioni
come la nostra, dei Centri antiviolenza, di tutti i collettivi, di gruppi
vecchi e nuovi contro il sessismo e per l’affermazione della libertà delle
donne, l’espressione di una nuova forza politica raggiunta dal Movimento in
Italia, nonostante la censura della scuola, il silenzio dei media, la
svalutazione della politica tradizionale, l’inconsapevolezza di tanti e tante.
Non vogliamo perdere nessuna e se non sarà sciopero generale
di 24 ore come abbiamo richiesto (ma che non si crea a comando) dovremo essere
noi ancora più determinate e creative nella nostra mobilitazione dell’8 marzo e
per questo continueremo il dialogo con tutte le donne in tutti i luoghi delle
nostre vite.
Per questo ci sentiamo ancora più impegnate a costruire un
Piano femminista contro la violenza in tutti i luoghi possibili, con una
pratica di confronto, di ascolto reciproco e relazione dialogante per rendere
visibili autorevolezza ed efficacia della nostra azione.
Costruire un piano significa andare oltre i principi e gli
slogan per affrontare la concretezza della realtà e mutarla.
Riteniamo che il documento con gli otto punti scaturito
dall’assemblea di Bologna registri complessivamente sentimenti, desideri e mete
condivise ma ci sono affermazioni che non ci convincono del tutto anche se sono
posizioni di maggioranza nelle assemblee.
Manteniamo le nostre perplessità sul punto che riguarda la
salute e sulla parte che, parlando di “aborto libero” e di abrogazione
dell’obiezione dei medici, sembra alludere, forse al di là delle intenzioni,
alla richiesta di abrogazione della Legge 194 che la prevede. Cosa che i molti
misogini e reazionari in Parlamento sarebbero felici di accogliere
positivamente. Non a caso attaccano la legge da 40 anni: i fondamentalisti
l’attaccano da quando è stata varata, mentre politici ed obiettori provvedevano
a boicottarla negli ospedali rendendola inefficace con grave danno per le
donne.
Noi ci siamo sempre state per difendere il diritto delle
donne all’autodeterminazione e denunciare obiezioni di struttura, riaprire
reparti chiusi per mancanza di non obiettori fino a pretendere le liste
pubbliche dei medici obiettori e la regolamentazione del loro mancato impegno
che penalizza oltre alle donne anche i medici non obiettori.
Riteniamo che l’obiezione di coscienza vada regolamentata
contro gli obiettori che finora sono stati privilegiati anche nel loro opportunismo,
in funzione di una piena applicazione della Legge 194, anche perché ogni
garanzia di libertà che viene tolta può ritorcersi prima di tutto contro di
noi. Per noi questo vuol dire aborto gratuito e sicuro nelle strutture
pubbliche, altrimenti rischiamo di riconsegnarlo a pagamento agli studi
privati, dividendo le donne tra chi può e chi non può abortire per ragioni
economiche. È materia da 40 anni troppo delicata e complessa perché sia
possibile anche solo rischiare equivoci e confusioni. Ed è materia che dovremmo
conoscere tutte, assemblee o non assemblee, perché ogni esigenza di principio
deve comunque fare i conti con la realtà per poterla davvero mutare.
Anche sui consultori, se parliamo di
quelli pubblici e li vogliamo riportare alla loro funzione di servizi per la
sessualità e la libertà della procreazione, cura della gravidanza ecc.,
dobbiamo sapere come sono stati svuotati della politica dall’aziendalizzazione
e dall’eccesso di funzioni senza mezzi e personale, e come sono “privatizzati”
in tante regioni in modi diversi.
Siamo anche convinte che nell’elaborazione delle iniziative
di contrasto alla violenza vadano coinvolte tutte le associazioni impegnate da
decenni su questa fenomenologia strutturale, sia a livello territoriale che
nazionale, insieme ai centri antiviolenza, anche per evitare che sotto questo
nome si presentino associazioni senza storia, attratte dai finanziamenti e con
finalità lontane da quelle del movimento delle donne.
Possiamo e dobbiamo discutere, ma non siamo all’ Anno Zero
della politica delle donne e sappiamo che le lotte di un intero secolo sono il
nostro patrimonio, anche se i libri di storia le hanno ignorate e i media le
hanno spesso deformate o rimosse per cui non ci meraviglia che anche tante
donne non le conoscano.
Ma noi le difendiamo perché sono un patrimonio a cui
possiamo attingere per ricordare i cambiamenti ottenuti con le nostre lotte,
non ripetere errori e costruire intorno alla mobilitazione dell’8 marzo e del
Piano il consenso del maggior numero di donne possibile.
Unite siamo una forza possente, una marea, divise o incapaci
di ascoltarci rischiamo di essere una meteora.
9 febbraio 2017
Le Responsabili nazionali
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