22/10/18

WOMEN AT WORK

Liberare il lavoro dagli stereotipi di genere

Una campagna di comunicazione sociale affronta, con leggerezza ed ironia, sei temi importanti per il mondo lavorativo e la vita delle donne: conciliazione vita - lavoro, tetto di cristallo, sessismo nei luoghi di lavoro, linguaggio stereotipato e disparità salariale




Sei poster fotografici per le strade di Lecce per una campagna di comunicazione che fa parte del progetto di cooperazione internazionale WOMEN AT WORK della Casa Delle Donne Lecce a cui partecipa Awmr Italia - donne della regione mediterranea insieme a Alveare Lecce, Meticcia Lecce, BLABLABLA, WILPF Albania, l'associazione albanese Aca Npo, col sostegno della Regione Puglia, CNA Impresa Donna, Assessorato pari opportunità del Comune di Lecce. Nel progetto è compreso il corso di formazione WAW cercare creare lavoro destinato a donne native e migranti residenti nel Salento, che viene realizzato in contemporanea anche in Albania. 

Stereotipi sessisti più o meno radicati e attitudini discriminatorie persistono  nel mondo del lavoro e, anziché diminuire o scomparire, sembrano ritornare con maggiore aggressività in presenza, da una parte, dei processi di deindustrializzazione e di mancata nuova occupazione connessi con la crisi economica, che esasperano la competitività nel mercato del lavoro; dall’altra, in presenza di politiche di austerità che incidono sui servizi sociali e addirittura pretendono di riformare il “ciclo di vita” delle persone. Tutti fattori che giocano a sfavore delle donne e rischiano di annullare i risultati di decenni di lotte di emancipazione.
 #facciamochenonsiauneccezione  è il claim che ricorre in ciascuno dei poster fotografici, per ribadire che ciò che oggi rappresenta una singolarità dovrebbe diventare una prassi, un’abitudine di vita condivisa tra uomini e donne, un contesto culturale entro cui tutti e tutte debbano riconoscersi, affinché ciascuno/a possa crescere e vivere come persona, con bisogni e necessità che vanno al di là dello stereotipo dei ruoli sociali. 
È il caso del congedo parentale, che ben rappresenta l’attuale situazione. Infatti, sebbene la legislazione italiana preveda dal 2013 il congedo per i neo-papà, la percentuale di uomini che ne beneficiano è ancora troppo bassa. Dall'11,0% del 2012 al 18,4% del 2016,  nonostante si riscontri un aumento continuo, lINPS non ritiene che questo dato sia un valore a regime.


Il tetto di cristallo, come si sa, è quella barriera invisibile che impedisce tuttora alle donne di raggiungere posizioni dirigenziali e alti livelli manageriali in ogni campo del lavoro produttivo, riducendo anche i loro stipendi nei confronti degli uomini. Le statistiche dicono che tale meccanismo negativo, presente nel mercato del lavoro globale, agisce con maggior efficacia nel mondo del lavoro in Italia rispetto ad altri paesi europei. Analisi più approfondite indicano che non è solo una questione legata alla maternità e a mancate politiche di conciliazione vita-lavoro, ma è un meccanismo discriminatorio legato al persistere degli stereotipi di genere.  A parità di curriculum vitae, gli uomini hanno più probabilità di accedere a ruoli dirigenziali e, a parità di performances, gli uomini hanno più probabilità di avanzare nella carriera.

Sessismo nei luoghi di lavoro


Secondo le ultime rilevazioni statistiche condotte dall’ISTAT, sono 1 milione e 173 mila in Italia le donne che durante la loro vita hanno subìto ricatti sessuali sul posto di lavoro. In modo particolare, le disoccupate più delle occupate perché più vulnerabili; le indipendenti più delle dipendenti; le impiegate più delle operaie. Solo lo 0,7% però ha sporto denuncia, sia per paura di perdere il lavoro che per “vergogna” di essere giudicate dalla società e dai familiari. La campagna #metoo, nata negli Usa e diffusasi in breve in tutto il mondo per sensibilizzare il genere femminile nei confronti di abusi fisici o psicologici che possono avvenire sul posto di lavoro o in un qualunque altro contesto, ha contribuito ad aprire uno squarcio sul substrato sociale della violenza più diffusa e silenziosa esercitata sulle donne da parte degli uomini che occupano posizioni di potere nel mondo lavorativo. Il movimento #metoo ha avuto il merito di scoperchiare il vaso di Pandora della condizione di ingiustizia entro cui la relazione sociale fra donne e uomini è strutturata. Non si tratta soltanto di denunciare comportamenti moralmente riprovevoli, ma di scardinare la strutturale e radicata asimmetria di potere che tuttora caratterizza, anche nel mondo del lavoro e della produzione sociale, i rapporti fra uomini e donne.

La gabbia del “lavori tipicamente maschili e/o femminili”



Indagare il sessismo e la discriminazione di genere nel lavoro significa combattere stereotipi e pregiudizi sedimentati nello schema del lavoro “tipicamente” maschile e/o femminile, cioè delle mansioni tradizionalmente riservate all’uno o all’altro genere. Solitamente questa gabbia si traduce in una discriminazione a danno delle donne e in una forma di segregazione sessuale del lavoro. Le statistiche indicano che alcune cose stanno cambiando, tuttavia ancora oggi, quando una donna svolge una professione considerata tradizionalmente “maschile”, il sessismo riemerge sotto la forma di una vera e propria “invalidazione”, che si manifesta non solo nel trattamento economico (ancora oggi in molti contesti professionali le donne ricevono inferiori rispetto ai loro colleghi uomini di pari livello e, pur avendo pari competenze, vengono “de-mansionate”, se non scartate, perché considerate “non idonee”) ma anche nei comportamenti e nel linguaggio.
Spesso le donne per essere accettate si adattano a rientrare in cliché di scelta e/o di comportamento, cioè tendono a preferire lavori “tipicamente” femminili, oppure ad imitare sul lavoro i comportamenti dei colleghi maschi. Alcune indagini condotte fra lavoratrici con mansioni tradizionalmente maschili (tipografe, camioniste, minatrici, guardie giurate, agenti di polizia, ma anche maestre d’orchestra e avvocate) hanno messo in luce come esse avessero finito col modificare il loro modo di essere, confermando così inconsapevolmente lo schema della segregazione e divisione sessuale del lavoro. Accade allora che, di una lavoratrice che dimostra buone capacità si dica che “è una donna con le palle”.


Una forma mascherata di mancato riconoscimento delle capacità professionali delle donne è l’attribuzione di titolo professionale e qualifica lavorativa non declinati al femminile, come invece la lingua italiana consente agevolmente. 
«Le donne sono più brave nei lavori di cura» 
«Architetta suona strano, no?» 
«Non puoi diventare uno chef, semmai una cuoca» 
«Mi scusi, potrei parlare con l’ingegnere? Ah, è lei? Pensavo fosse la segretaria!» 
Queste domande, apparentemente innocue, hanno alla base una concezione stereotipata del ruolo delle donne nella società. Le donne non intendono più rimanere nascoste e indistinte all'interno del genere grammaticale maschile. L’uso non indifferenziato, e perciò non discriminante, dei titoli professionali in riferimento alle donne è un risultato importante, perché l’appropriazione declinata al femminile di un appellativo, un titolo o una qualifica, favorisce nelle nuove generazioni la consapevolezza di un mondo più equo e diversificato a favore delle donne. 

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