SOPRAVVISSUTI ALLA BOMBA
6 e 9 agosto 2018 segnano i 73 anni trascorsi da quando due bombe atomiche
furono sganciate su Hiroshima e Nagasaki dal bombardiere americano B-29 Enola
Gay. In pochi secondi centinaia di
migliaia di persone morirono o rimasero mutilate. Le due città devastate e mortalmente
contaminate. Gli effetti di quelle esplosioni continuano a sentirsi ancora
oggi. Da allora la nuvola a forma di fungo è diventata simbolo iconico della
distruzione di massa. Ad esso si contrappone la piccola gru di carta come simbolo di
speranza per un mondo libero dal nucleare.
Due eventi del 2017 rappresentano
uno storico passo avanti globale sul cammino della speranza di denuclearizzare il pianeta: il 7
luglio l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato il Trattato per la
proibizione delle armi nucleari. Hanno votato a favore 122 paesi. Gli altri non
l’hanno votato o si sono astenuti: fra questi l’Italia, per obbedienza all’Alleanza
Atlantica.
Nel dicembre scorso ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear),
una coalizione di organizzazioni non governative di un centinaio di paesi che
promuove l’adesione e la attuazione dello stesso Trattato, ha ricevuto il
Premio Nobel per la pace. Hibakusha, il movimento giapponese dei sopravvissuti alla bomba non si
stanca di testimoniare al mondo quell’evento terribile del 1945, perché
ricordare è importante, né ha smesso di denunciare il carattere criminale dei bombardamenti atomici, opponendosi a chi, perfino in Giappone, ha cercato di accreditare «l’inevitabile il sacrificio di Hiroshima e Nagasaki». E oggi si trova a dover contrastare tentativi come quello del governo di Shinzo Abe, di modificare l'articolo 9 della Costituzione giapponese che impedisce il possesso e l'uso di armi nucleari....
Sopravvissuti alla bomba
Hibakusha è il termine che in
giapponese indica i sopravvissuti alle bombe di Hiroshima e Nagasaki. Parola
terribile, nel suo significato carico di strazio e dolore, che abbiamo imparato
a riconoscere fin da quando il movimento giapponese che porta questo nome ha cominciato a
rendere al mondo la sua tremenda testimonianza.
73 anni da quando, il 6 agosto 1945,
il bombardiere Usa B-29 passato alla storia col nome leggero di Enola Gay, sganciò
la prima bomba atomica su Hiroshima. Tre giorni dopo, il 9 agosto, una seconda
bomba fu sganciata su Nagasaki.
Il bombardamento fu senza preavviso. Una luce
folgorante, una vampata di calore “pari a quella di mille soli”, un vento
violentissimo e nel giro di pochi secondi l’inferno nucleare si abbatté sugli
esseri umani e le loro cose, uccidendo e devastando, strappando i vestiti e la
pelle, bruciando profondamente le carni, schizzando gli occhi fuori dalle
orbite, squarciando i ventri, penetrando fin nel midollo delle ossa.
Nelle ore e nei giorni seguenti, nel deserto di
macerie e cenere che restava delle due città, si aggirarono fantasmi di esseri
umani che invocavano acqua e aiuto, raspavano nei cumuli di pietre e detriti
alla ricerca di figli, fratelli, parenti, amici rimasti sepolti. Altri andavano
vagando senza meta e senza più ragione. Erano gli Hibakusha, i sopravvissuti.
Furono più di 200mila i morti. Molte migliaia morirono
subito, colpiti dall’esplosione, o schiacciati sotto gli edifici crollati, o
bruciati nell’incendio che seguì. Per gli altri i sintomi della terribile
malattia atomica - debolezza, nausea, vomito, febbre alta, diarrea, perdita di
sangue, caduta dei capelli - annunciarono la morte che sarebbe sopravvenuta
entro pochi mesi.
Per quelli che sopravvissero, 300mila, fu invece
l’inizio di un lungo calvario che non è ancora finito. Molti, dopo aver visto
le parti del loro corpo colpite dai raggi termici imputridire infestate dai
vermi, le videro coprirsi di ripugnanti cheloidi.
Altri dovettero affrontare la leucemia, il
cancro ed altre malattie complesse, provocate dalle radiazioni primarie,
secondarie e residue. Tanti morirono nel corso degli anni.
Ma le sofferenze degli Hibakusha non erano soltanto fisiche: molti dovettero assistere al
riprodursi degli effetti della bomba in figli e nipoti; altri vissero nella
paura e rinunciarono a sposarsi e a fare figli; altri vissero a lungo
tormentati dal rimorso di avere abbandonato parenti ed amici nell’incendio o sotto
le macerie.
Molti altri ancora, rimasti soli al mondo,
mutilati ed inabili al lavoro, vissero il resto della loro esistenza nella
miseria e nell’abbandono.
Per molto tempo, in Giappone, il termine Hibakusha
è stato anche sinonimo di “negletto, emarginato”. Agli occhi di chi,
direttamente o indirettamente, fu responsabile di quella immane tragedia, essi
erano colpevoli di essere sopravvissuti.
Oggi gli Hibakusha con i loro figli e
nipoti continuano a battersi, nel loro paese e nel mondo, perché l’agonia che
vissero Hiroshima e Nagasaki non debba più ripetersi. Continuano a indagare le
responsabilità, a denunciare colpe ed
omissioni.
Perché gli Stati Uniti usarono la bomba atomica?
Quando Truman prese la terribile decisione, la seconda guerra mondiale stava
per finire. Nella primavera del ‘45 il Giappone aveva visto quasi interamente
debellata la sua potenza navale ed aerea ed aveva appena di che continuare la
guerra con le forze di terra.
Secondo gli accordi degli Alleati a Yalta,
l’Unione Sovietica sarebbe dovuta entrare in guerra contro il Giappone
all’inizio di agosto, tre mesi dopo la capitolazione della Germania nazista.
Gli Stati Uniti usarono la bomba non per
“abbreviare l’agonia della guerra e salvare migliaia e migliaia di vite”, come
dichiarò il presidente Truman, bensì per “guadagnare un vantaggio politico nel
quadro della strategia post-bellica contro l’Unione Sovietica”, come ammise il
Ministro della guerra Stimson.
Ma ci fu anche un altro scopo recondito:
verificare la potenza della bomba nella prospettiva di un suo uso futuro. Per
questo Hiroshima e Nagasaki furono scelte come bersaglio, col cinico intento di
fare esperimenti sugli esseri umani.
Non si spiega altrimenti perché gli Stati Uniti,
che occuparono subito le due città devastate, nascosero le conseguenze del
bombardamento sotto l’etichetta del “segreto militare” e negarono alla Crocerossa
internazionale il permesso di soccorrere gli Hibakusha.
Portarono invece con la forza molti di loro nei
propri ospedali militari, prelevarono campioni di sangue e di tessuti colpiti
dalle radiazioni per studiare le patologie conseguenti alla bomba, trattando le
vittime come cavie, senza fornire tutta la necessaria assistenza medica.
Sono queste le terribili, inequivocabili accuse
che ancora oggi muovono gli Hibakusha. Quando, nel ‘54, gli Stati Uniti sperimentarono
la bomba all’idrogeno sull’atollo di Bikini, un peschereccio giapponese che
navigava nel Pacifico fu colpito da radiazioni mortali e un’ondata
d’indignazione si levò in tutto il Giappone, crebbe un grande movimento contro
gli esperimenti nucleari, furono raccolte trentadue milioni di firme per
l’interdizione delle bombe A e H.
Un anno dopo ad Hiroshima si tenne la prima
Conferenza mondiale contro la bomba atomica e nel ‘56 gli Hibakusha fondarono la Nihon Hidankyo, la confederazione che
riunisce le associazioni delle vittime atomiche, che dovette battersi a lungo
per ottenere dal governo nipponico l’assistenza agli Hibakusha ed il risarcimento delle vittime atomiche, sulla base del
riconoscimento delle responsabilità del Giappone nella seconda guerra mondiale.
Allo stesso tempo, il movimento degli Hibakusha non ha mai smesso di
denunciare il carattere criminale dei bombardamenti atomici, opponendosi a chi,
perfino in Giappone, ha cercato di accreditare come «inevitabile il sacrificio di
Hiroshima e Nagasaki». E oggi si trova a doversi scontrare con i tentativi (come quello dell'attuale governo di Shinzo Abe) di modificare l'articolo 9 della Costituzione giapponese che vieta la produzione e l'uso di armi di distruzione di massa.
Gli Hibakusha sono sempre di meno per ragioni anagrafiche, ma non meno possente è la loro voce perché hanno fatto della lotta per la totale messa
al bando delle armi nucleari la propria ragione di vita, inviando delegazioni
in tutto il mondo, diffondendo pubblicazioni e filmati, proclamando la verità
di cui furono testimoni.
«Vincete la repulsione e non abbiate paura di
fissare i vostri occhi sulle orribili immagini di Hiroshima e Nagasaki - è il
loro messaggio - esse servono a ricordarvi che, finché esisteranno sulla Terra
armi nucleari, ci sarà sempre per ciascuno di voi il pericolo di diventare un Hibakusha, un sopravvissuto!».
Ada Donno