31/05/22

Monique Picard et Roland Weyl / NATO e legalità internazionale

 La NATO è l’equivalente illegale di una banda armata

"Se compariamo la legalità internazionale con la legalità interna, possiamo dire che la NATO è paragonabile a quella che in un paese sarebbe una banda armata e che anche il pretesto puramente difensivo, sotto cui è stata coperta la sua nascita, non la rende più accettabile di quanto non lo siano i “gruppi di autodifesa” in una democrazia".

"Ma per confrontare questa NATO con la legalità internazionale, è  necessario ricordare prima di tutto in cosa consiste".


Il seguente articolo[1] di Monique Picard e Roland Weyl[2] è stato pubblicato nel numero speciale di maggio 2022 dell'International Reviewof Contemporary Law, rivista dell'Intrnational Association of Democratic Lawyers, dedicato al 75°/76° anniversario della Carta delle Nazioni Unite.

Promemoria sulla legalità internazionale

Non si sottolineerà mai abbastanza che, anche se si fa di tutto per ridurla alle capacità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la legalità internazionale si fonda anzitutto sulla Carta delle Nazioni Unite, che per la prima volta stabilisce regole di diritto universali, obbligatorie per tutti e uguali per tutti.

Fino al 1945 c'erano solo trattati bilaterali o multilaterali tra potenze le cui alleanze e coalizioni si spartivano il mondo attraverso guerre e trattati di pace.

La Carta proclama valori e regole di portata universale ed egualitaria e fonda le Nazioni Unite perché ne garantiscano il rispetto.

Ora, questa legalità internazionale si basa su due assi.

La pace innanzi tutto: 1) la padronanza di ogni popolo sui propri interessi senza alcun intervento straniero, con il solo obbligo del rispetto reciproco e 2) il divieto dell'uso o la minaccia della forza nelle relazioni internazionali, da sostituire con l'obbligo di trovare una soluzione negoziata alle controversie.

Ai sensi dell'articolo 2.4: «I membri dell'Organizzazione si astengono, nelle loro relazioni internazionali, dal ricorrere alla minaccia o all'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualsiasi altro modo incompatibile con le finalità delle Nazioni Unite».


La Carta riconosce certamente il diritto alla legittima difesa, ma solo finché non interviene il Consiglio di Sicurezza, che deve essere richiesto immediatamente e mai con il pretesto della difesa preventiva.

L'articolo 51 prevede che «Nessuna disposizione della presente Carta pregiudica il diritto naturale di legittima difesa, individuale o collettiva, nel caso in cui un Membro delle Nazioni Unite sia oggetto di un attacco armato, fino a quando il Consiglio di Sicurezza non abbia adottato le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionali».

Questo articolo prevede tale diritto di difesa (e d’assistenza: “individuale o collettiva”) solo nel caso in cui un membro ne sia l'oggetto e non nel caso in cui potrebbe esserlo. Troppe guerre sono state scatenate da aggressori che pretendevano di essere minacciati, perciò è esclusa la difesa preventiva.

Il diritto così istituito ha una portata universale (deve applicarsi ai 193 paesi che compongono l'Assemblea degli Stati) ed egualitaria (deve applicarsi allo stesso modo per tutti i paesi, in virtù del principio di «uguaglianza delle nazioni grandi e piccole».

Ne consegue che la forza può essere usata solo dall'istanza che rappresenta tutti i popoli, il Consiglio di Sicurezza, è ciò che si chiama principio di sicurezza perché nessuno Stato o gruppo di Stati può appropriarsene. E lo stesso Consiglio di Sicurezza può usare la forza solo per mantenere la pace (impedire a due paesi di combattersi) o ripristinare la pace (difendere un paese che è stato attaccato da un altro).

Infine, la Carta prevede la possibilità di costituire organizzazioni regionali con il suo articolo 52.1, il quale stabilisce che «nessuna disposizione della presente Carta osta all'esistenza di accordi e organismi regionali destinati a dirimere questioni che, pregiudicando il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, si prestino ad un'azione di carattere regionale». Ma lo stesso articolo prosegue: «purché tali accordi e organizzazioni e le loro attività siano compatibili con le finalità e i principi delle Nazioni Unite» e l'articolo 52.2 prosegue: «I membri delle Nazioni Unite che concludono tali accordi o che istituiscono tali organismi devono adoperarsi per risolvere pacificamente attraverso tali accordi o organismi le controversie locali prima di sottoporle al Consiglio di Sicurezza» cioè a condizione che ciò sia conforme ai suoi principi: diritto esclusivo di ogni popolo alla padronanza delle proprie faccende da parte del proprio Stato, e relazioni pacifiche tra essi.

L’articolo 52.3 aggiunge che «Il presente articolo non pregiudica in alcun modo l'applicazione degli articoli 34 e 35» (che trattano delle competenze del Consiglio di Sicurezza in materia di mantenimento o ripristino della pace).

Le organizzazioni regionali previste dalla Carta non sono quindi intese in alcun modo come possano essere delle coalizioni militari, anche se presunte difensive, contro i vicini della regione, ma come un mezzo per tessere reti per la soluzione pacifica di possibili conflitti tra i paesi membri della regione.

Questo promemoria è sufficiente per evidenziare le molteplici ragioni dell'illegalità della NATO. A cominciare dalla doppia illegalità originaria, quella della sua composizione e quella del suo orientamento.

Prima illegalità, il fatto stesso della sua composizione. La scissione del mondo in due campi è contro il principio di unità universalista ed egualitaria.

Fin dall’origine, il trattato è contro lo spirito di questo nuovo ordinamento giuridico mondiale, fondato sul diritto dei popoli all'autodeterminazione, quindi senza discriminazioni derivanti dalla natura del regime politico che si è scelto.

La Carta, infatti, si basa sulla coerenza dei principi di universalità e di uguaglianza, che esclude ogni discriminazione in funzione dell’organizzazione politica di cui un popolo si dota.

In questa logica, poiché all'epoca il mondo era diviso in due sistemi antagonisti, per evitare ogni rischio di frattura, l'uso della forza diviene di esclusiva competenza del Consiglio di Sicurezza e con la condizione che i suoi cinque membri permanenti, che appartengono ad entrambi i sistemi, concordino all'unanimità.

Ora, la caratteristica della NATO non è quella di raggruppare i paesi di una stessa regione, come può essere l'Europa, ma gli “occidentali” attorno ai loro tre membri permanenti contro una presunta minaccia proveniente da quelli dell'est.

Seconda illegalità: la sua composizione non ha nulla di regionale

Il Trattato del Nord Atlantico si preoccupa, a parole, di darsi copertura legale di fronte alla Carta delle Nazioni Unite facendo riferimento all'articolo 51 e all'articolo 52, ma è del tutto evidente che si tratta solo di una precauzione di linguaggio perfettamente inutile.

Ma la Carta delle Nazioni Unite non ammette altre strutture particolari se non in ragione di una cooperazione di vicinato di carattere regionale.

Ora, la NATO non è regionale né nel suo perimetro né nella sua composizione.

Salvo localizzare il suo centro a Saint-Pierre e Miquelon, un oceano non è una regione. Lo è ancor meno quando la presenza al suo interno degli Stati Uniti spinge il suo perimetro fino alle sponde orientali del Pacifico. E fin dalla sua creazione comprendeva l'Italia che non ha mai confinato con l'Atlantico e, attraverso la Francia, si estendeva fino al Maghreb! E da allora non ha smesso di espandersi verso l'Europa orientale.

Terza illegalità: l'attacco all’autodeterminazione dei popoli

È degno di nota che, nelle parole, il Trattato del Nord Atlantico si preoccupi di fare riferimento ai principi della Carta delle Nazioni Unite per dichiararli propri.

Ma non è meno notevole che nel suo riferimento ai principi della Carta si cercherà invano il minimo riferimento al diritto dei popoli alla loro libera determinazione senza ingerenze straniere.

Si è troppo accreditata l’idea che la NATO fosse la risposta al Patto di Varsavia.

Eppure il Patto di Varsavia é nato solo nel 1955, in risposta alla NATO che è del 1949, inoltre l'obiettivo principale della NATO non è rivolto all'esterno, ma all'interno. È una alleanza di Stati contro il rischio di cambio di regime da parte dei loro stessi popoli.

Non bisogna dimenticare che nel febbraio 1948 i cechi fecero la loro rivoluzione e passarono nel campo dei paesi socialisti, essenzialmente nel rifiuto del “Piano Marshall”. La creazione della NATO nel 1949 è una premunizione contro il rischio che ciò potesse ripetersi altrove.

Al riguardo è molto chiaro l'articolo 4, il quale prevede che le parti «si consultino ogni qualvolta, a giudizio di una di esse, sia minacciata l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti».

Quindi, se c'è una minaccia ad uno Stato membro, non si consulterà il Consiglio di Sicurezza, ma ci si consulterà tra i propri aderenti. E non se uno dei paesi membri si sente minacciato. E non solo nella sua integrità territoriale, ma nella «sua indipendenza politica».

Tutto il senso di ciò è dato dall'articolo 2 che scrive: «rafforzando le loro libere istituzioni, assicurando una migliore comprensione dei principi su cui si fondano queste istituzioni, sviluppando le condizioni idonee ad assicurarne la stabilità (...), si sforzeranno di eliminare ogni opposizione alle loro politiche economiche». Vale a dire, impedire sconvolgimenti sociali e garantire i principi del liberalismo e dell'economia di mercato.

Tuttavia, abbiamo visto che uno dei fondamenti essenziali della Carta delle Nazioni Unite è il diritto dei popoli ad essere gli unici titolari dei loro interessi e quindi della loro scelta delle modalità di governo e di gestione economica.

È vietato alle stesse Nazioni Unite intervenire in questo, anzi l'articolo 2.7 precisa: «Nessuna disposizione della presente Carta autorizza le Nazioni Unite (esse stesse!) ad intervenire in materie che riguardano essenzialmente la competenza nazionale di uno Stato».

Ma la Nato è costruita sulla base dell'impostura ideologica. Infatti, per aggirare sia il divieto di intervenire negli affari interni di un altro Paese, sia il divieto di usare la forza nelle relazioni internazionali se non per soccorrere un Paese aggredito, quattro anni dopo, nella conferenza di Caracas dell'Organizzazione degli Stati americani gli Stati Uniti, per restare nei limiti della Carta e della legittima difesa, fecero adottare una risoluzione secondo la quale un cambiamento politico in un paese poteva essere qualificato come "aggressione interna del comunismo internazionale", e se ne servirono subito per intervenire militarmente in Guatemala e rovesciare il governo Arbenz colpevole di aver nazionalizzato l'azienda americana United Fruit.

Va anche ricordato che, se la NATO aveva già una sorella maggiore nell'Organizzazione degli Stati Americani, le fu assegnata una sorella gemella con la SEATO, l'Organizzazione del Trattato del Sud-Est asiatico. Le tre organizzazioni si sono quindi completate a vicenda per garantire una copertura mondiale sotto la guida degli Stati Uniti. Se si considera che il ruolo preponderante degli Stati Uniti appare non solo nel suo comando ma nel fatto che il trattato prevede che le adesioni siano ricevute e registrate a Washington, la sua creazione si inserisce in un'operazione di quadratura del mondo da parte degli Stati Uniti , essendo queste organizzazioni pseudo-regionali completate da una rete di basi militari - di cui Okinawa, Diego-Suarez e Guantánamo sono solo le più famose - e anche dalla non meno famosa "cintura verde" con cui la strategia americana circondò l'Unione Sovietica di un “muro” islamico, con Bin Laden in testa.

È chiaro che ciò costituisce un duplice attacco al diritto dei popoli all'autodeterminazione, molto attuale all'epoca del Trattato transatlantico, e quindi una sfida agli articoli 2.4 e 51 della Carta delle Nazioni Unite. 

Quarta e principale illegalità: violazione del principio di sicurezza collettiva

Abbiamo visto che la Carta delle Nazioni Unite vieta a qualsiasi Stato o gruppo di Stati di arrogarsi un potere di polizia, che è di esclusiva competenza degli organi di sicurezza collettiva, allo scopo di evitare i potenziali conflitti coltivati ​​dal sistema delle alleanze.

E le organizzazioni regionali previste dalla Carta non possono in alcun modo essere intese come coalizioni militari, poiché devono attenersi ai suoi principi.

Tali coalizioni sono quindi fortemente in contraddizione con il divieto del ricorso alla forza o alla minaccia della forza, di privilegio esclusivo degli organismi internazionali universali ed egualitari di sicurezza collettiva, e per questo solo fatto non hanno più legalità delle bande armate e sono invece in palese violazione delle regole di polizia ufficialmente e legalmente organizzate e uniche legittime.

Ed è ancora una volta a parole e a fini di copertura puramente formale che il Trattato del Nord Atlantico abbia definito nell'articolo 5 la funzione dell'Organizzazione come strettamente difensiva in questi termini: «un attacco contro una parte sarà considerato come diretto contro tutte le parti, e ciascuna, in virtù del principio di legittima difesa riconosciuto dalla Carta, porterà aiuto alla parte l'attaccata».

Ma abbiamo visto che la difesa preventiva è vietata, e che un trattato di mutua assistenza militare tra membri della stessa regione per eventuali attacchi, fosse anche da parte di Stati estranei alla regione, costituisce un'organizzazione di difesa preventiva e quindi non beneficia affatto della copertura di legalità dell'articolo 52.

La NATO costituisce una sfida insolente a tutto questo, ed è stata creata in violazione di tutti i principi della legalità internazionale.

Se si ammettesse, a torto, che il pretesto difensivo nei confronti del blocco socialista sia stato il vero e unico oggetto del Trattato, il crollo del blocco socialista e del Patto di Varsavia avrebbe dovuto portare allo scioglimento della NATO privandola della sua ragion d'essere.

Invece, non solo essa sopravvive, ma le ragioni della sua illegalità si sono solo fatte più evidenti, con un disprezzo ancora più insolente della sua pretesa vocazione e perfino della lettera del Trattato.

La NATO oggi sta accumulando illegalità su illegalità.

Per quanto riguarda il suo regionalismo, i limiti dell'Oceano Atlantico non sono solo più “elastici” fino all'Elba e all'Adriatico. Nell’ammucchiata, ora ci sono la Romania e presto l'Ucraina ad essere atlantiste.

Ma anche se si limitasse agli stati d’Europa, la NATO sarebbe illegale, sia per la definizione dei suoi obiettivi che per il suo carattere militare.

D’altronde, non mancano le dimostrazioni.

Ad esempio, la Jugoslavia non ha mai compiuto alcun attacco armato contro alcuno Stato membro della NATO, e nemmeno l'Afghanistan, che peraltro non può essere considerato rientrante nelle competenze regionali se non partendo dal presupposto che l'entità delle conseguenze del riscaldamento globale del pianeta abbia alzato il livello dell'oceano al punto da estenderne le coste ad est dell'Afghanistan.

E lo stesso dicasi per l'intervento in Libia, dove certo ci fu il mandato dell'ONU, ma ciò non fa che confermare come l'influenza dei poteri finanziari sugli Stati li porti a piegare l'ONU ad essere il loro strumento di governance a dispetto del diritto che essa ha la funzione di fare rispettare.

Oggi più che mai, la NATO agisce apertamente, insolentemente per ciò a cui era destinata: un corpo di polizia militare (di intervento armato) secondo i propri criteri di opportunità e legittimità come braccio armato del dominio del G20 sul mondo, come gendarme mondiale del liberalismo. È proprio la caratteristica dei “gruppi di autodifesa”.

Questa devianza si ripropone accentuata nella distorsione dell'OSCE.

Che cosa era e cosa dovrebbe ridiventare l'OSCE.

L'OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) era alla sua nascita l'opposto e quasi antidoto alla NATO. Nel 1975, era un prodotto dell’«Atto finale» della Conferenza di Helsinki.

Questo Atto è stato accantonato con il pretesto che era stato firmato all'epoca dei due blocchi, e questo lo avrebbe reso obsoleto.

Ma anche se psicologicamente appesantito da questo segno di arcaismo, l'Atto, composto dai risultati dei tre "rami" in cui si è articolata la Conferenza (Diritti umani, Sicurezza reciproca, Cooperazione economica), è stato firmato da tutti i governi d'Europa e, se lo si va a rileggere, si vede che il suo contenuto non ha perduto nulla della sua pertinenza esemplare.

Mentre nel campo dei Diritti Umani prevedeva modalità di scambi di esperienze e visite di monitoraggio reciproche, il capitolo sulla cooperazione economica organizzava quest’ultima tenendo conto e nel rispetto reciproco della differenza tra il sistema che privilegia l'economia privata e quello che privilegia l'economia pubblica.

Quanto alla sicurezza reciproca, essa si basava su prospettive di disarmo garantite da misure di fiducia quali in particolare delle ispezioni reciproche.

Certo, è stato solo un inizio, e non basta che esista un testo per farlo funzionare. Ma l'intenzione e il programma andavano nella giusta direzione e l'OSCE era parte degli strumenti di attuazione. In particolare, doveva garantire quella funzione per la quale la Carta delle Nazioni Unite prevede le organizzazioni regionali, cioè prestarsi alle concertazioni e alla soluzione negoziata dei conflitti.

Dopo il crollo del sistema dell'Europa orientale, purtroppo, una logica alquanto ingenua avrebbe indotto a pensare che la scomparsa di un importante motivo di opposizione, lungi dal rendere obsoleto l'Atto Finale, ne avrebbe reso più facile l'attuazione e l'OSCE ne poteva essere lo strumento utile.

Ebbene, dopo solo otto anni finisce che l'OSCE si riforma per mettersi al servizio del gendarme. Questo è diventata l'OSCE.

È infatti nel 1999 (anno della spedizione contro la Jugoslavia), che l'OSCE riunita a Istanbul si dà una nuova Carta che ne capovolge la missione, per farne prima uno strumento di polizia non solo sugli Stati ma sulla politica interna che i popoli si danno e contro il diritto dei popoli a decidere di se stessi.

Viene dapprima proclamato, sotto il titolo “Sfide comuni”, che «le minacce alla nostra sicurezza possono derivare dallo scoppio di conflitti sia all'interno di uno Stato che tra Stati».

E l'intervento negli affari interni diventa una tale priorità che il “Documento di Istanbul” vi dedica la maggior parte delle sue nuove disposizioni.

Inizia includendo nei suoi obiettivi «creare squadre di assistenza e cooperazione rapida», «rispondere rapidamente alle richieste di assistenza e di avvio di grandi operazioni civili sul campo» e, perché sia ben chiaro, aggiunge «sviluppare la nostra capacità di svolgere attività di polizia al fine di contribuire al mantenimento dello stato di diritto».

Forse i fautori del "diritto" di ingerenza in caso di gravi attentati ai diritti umani applaudiranno, anche se l'esperienza insegna che i Diritti Umani possono essere un ottimo alibi per interventi altrimenti ispirati.

Ma la nozione di "stato di diritto" è intesa in modo diverso.

Il Documento di Istanbul indica che «dobbiamo sviluppare la fiducia tra gli individui all'interno dello Stato» (in altre parole “pace sociale”). Ma soprattutto, affermando così la sua missione di gendarme del liberalismo economico, essa precisa: «Reagiremo più vigorosamente (…) favorendo l'economia di mercato». Certo, si copre la guardia aggiungendo «pur prestando la dovuta attenzione (sic) ai diritti economici e sociali», ma se non perdiamo di vista il fatto che questo è stato scritto nel 1999, apprezzeremo particolarmente l'occhiolino strizzato ai paesi di Europa dell'Est: «Applaudiamo al processo di trasformazione economica senza precedenti che sta avvenendo in molti Stati partecipanti. Incoraggiamo questi stati a continuare questo processo».

È infine il caso di notare che la prima affermazione della Carta di Istanbul precisa che la piattaforma che essa costituisce è intesa a «rafforzare la cooperazione tra l'OSCE e le altre organizzazioni e istituzioni internazionali», ma è anche il caso di ricordare che, in quello stesso momento, la NATO si scatenava contro la Jugoslavia, con il pretesto dei Diritti Umani, appena dopo che quest'ultima si era rifiutata di sottoscrivere gli accordi di Rambouillet, la cui clausola segreta la obbligava a privatizzare l’economia.

Tanto che, in occasione di un incontro internazionale, allorché veniva constatato che l'OSCE si era discostata parecchio dallo spirito dell'Atto Finale di Helsinki che l'aveva originata, un diplomatico che partecipava alla direzione dell'Organizzazione rispondeva attribuendole il merito di aver lavorato per la transizione degli ex paesi socialisti verso un'economia di mercato e un altro, facendogli eco, riassumeva così: «L'OSCE è il metodo morbido e la NATO il metodo duro».

E il cerchio si chiude quando la "Carta di Istanbul" completa il suo ruolo di vettore civile della NATO e la sua estensione geografica al di là di ogni criterio regionale, dichiarando: «Riaffermiamo che la sicurezza delle aree limitrofe, in particolare della regione mediterranea e delle aree in stretta prossimità degli Stati partecipanti, come quelli dell'Asia centrale, rivestono un'importanza crescente per l'OSCE. Siamo consapevoli che l'instabilità delle aree crea problemi che riguardano direttamente la sicurezza e la prosperità degli Stati dell'OSCE». Questo è il motivo per cui la NATO sta dove sta in Afghanistan.

La NATO non è quindi né un'organizzazione regionale né un'organizzazione di difesa comune ai sensi della Carta delle Nazioni Unite. Tende sempre più ad affermarsi come un'organizzazione militare che partecipa a un sistema globale chiamato a sostituire il sistema previsto nel Capitolo VII della Carta con una funzione di polizia globale che va ben oltre il mantenimento o il ripristino della pace.

Sappiamo che ci induce a costose spese militari sulle quali non abbiamo alcun controllo, che ci conduce e può condurci in qualsiasi momento in avventure in cui ci rimettiamo sia uomini che la nostra immagine internazionale per cause che non sono le nostre. Alcuni, pur trovando difficile acconsentire a ciò, si rassegnano pensando che siamo legalmente obbligati a farlo. Vale la pena far loro sapere che la legge non solo non ci obbliga a farlo, ma dovrebbe indurci a ritirarci dalla NATO e combatterne l'esistenza.

È tanto più necessario saperlo e far sapere che il diritto è una lotta e che i testi hanno valore solo in base a questa lotta. Opporsi a un'ulteriore integrazione nella NATO e lavorare per il ritiro è una lotta, al pari della lotta per imporre il rispetto della legalità internazionale.

Quando il Preambolo alla Carta delle Nazioni Unite proclama: «Noi popoli delle Nazioni Unite (…) abbiamo deciso di unire i nostri sforzi. Di conseguenza, i nostri governi hanno firmato questa Carta», ciò conferisce all'intervento dei Popoli una nuova dimensione di cittadinanza che, portando la nozione di sovranità popolare a livello mondiale, legittima l'azione dei popoli, sulla base dei principi di legalità, comunità internazionale e conferisce loro non solo il diritto di farlo, ma anche la responsabilità di farlo.

È quindi diritto del nostro popolo esigere dal nostro governo il ritiro dalla NATO e chiederne lo scioglimento piuttosto che aggravare il nostro coinvolgimento in essa e nelle responsabilità nei confronti di altri popoli.



[1] L’articolo è stato scritto da Monique Picard e Roland Weyl presumibilmente del 2007, come si può evincere dal testo. https://iadllaw.org/2022/06/lotan-et-la-legalite-internationale-monique-et-roland-weyl/

[2] Monique Picard e Roland Weyl sono stati giuristi e avvocati francesi impegnati nelle lotte per i diritti umani e la pace. Il 6 novembre 2021, l'Associazione Internazionale dei Giuristi Democratici (IADL) ha ospitato un omaggio a Monique e Roland e alle loro vite dedicate alla lotta e alla ricerca della vera giustizia e solidarietà internazionale. L'evento, convocato online, ha riunito voci di tutto il mondo della IADL perché testimoniassero i propri ricordi, gli apprendimenti e le analisi che si sono sviluppati attraverso le loro interazioni e il lavoro con Monique e Roland nel corso degli anni  Gli atti di quel convegno sono stati pubblicati nel numero speciale di International Review of Contemporary Law rivista della IADL nell’aprile 2022. Fra le testimonianze, quella di France Weyl, figlia di Monique e Roland, che della madre dice: «Monique n’était pas « seulement une féministe », elle était totalement et profondément engagée dans toutes les luttes des peuples. Elle était profondément, viscéralement pacifiste. Elle était profondément engagée dans la lutte pour la libération et le respect des droits des hommes et des femmes ». https://iadllaw.org/2022/04/intervention-de-france-weyl/





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