09/01/23

Simone de Beauvoir / le libertà delle donne si sorreggono l’una con l’altra come le pietre di un arco

 

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Il 9 gennaio ricorre il 115° anniversario della nascita della scrittrice e filosofa femminista Simone de Beauvoir, figura che continua ad ispirare tante donne a lottare per i propri diritti.

«Il femminismo è un modo di vivere individualmente e lottare collettivamente», ha detto De Beauvoir, che ha avuto l'audacia di mettere in discussione la "femminilità" come costruzione culturale e sociale del patriarcato ed espressione del dominio maschile nella società. E ancora: «Donna non si nasce, lo si diventa», intendendo che non esiste una condizione biologica che determina l'evoluzione storica delle donne come la conosciamo, ma si tratta piuttosto di una costruzione storica che si è cercato di naturalizzare attraverso il predominio patriarcale nelle diverse società. Le donne devono raggiungere insieme la libertà di scegliere la strada su cui costruire per sé una vita dignitosa.

A Simone De Beauvoir è dedicata questa riflessione di Ada Donno *

In principio era Simone de Beauvoir. Così potrebbe cominciare chi volesse fare una storia del femminismo della seconda metà del ‘900, poiché Simone è riconosciuta universalmente come la madre del neofemminismo europeo. Quando pubblica in Francia, nel 1949, Il secondo sesso, Simone de Beauvoir è già una scrittrice e filosofa affermata, ma è più conosciuta come compagna di Sartre, protagonista della vita culturale e politica, non solo francese, del dopoguerra. Ha fondato, insieme a Sartre e Merleau-Ponty, la rivista Temps modernes, punto di coagulo dell’esistenzialismo francese e di quegli intellettuali impegnati che sosterranno le lotte anticolonialiste e per i diritti civili e politici nel corso degli anni sessanta e settanta.  

Il secondo sesso è un saggio fondamentale col quale Simone tenta una prima sintesi generale delle conoscenze biologiche e psicologiche, ma anche storiche e antropologiche, fin allora elaborate sulla donna. Mille pagine in cui mette in discussione realtà codificate da secoli, critica il “determinismo freudiano”, accusando Freud di essere mosso da “pregiudizio maschile” nel porre il problema del destino femminile, analizza la “mistica della femminilità" per smantellarne molti stereotipi, demistifica la nozione falsamente neutra di essere umano, che è invece stata definita dal genere maschile in ogni forma di organizzazione sociale esistente.

Il libro solleva aspre polemiche negli ambienti conservatori e clericali e nel 1956 viene messo all’indice dei libri proibiti da un editto vaticano. Poche reazioni o significativi silenzi, invece, da parte dell’associazionismo femminile di sinistra. La critica più frequente che le viene da questa parte è che la sollecitazione da lei rivolta alle donne a privilegiare la riflessione sul proprio “vissuto personale" crea un diversivo rispetto a tematiche più direttamente sociali e politiche, spinge le donne a vedere solo nel rapporto con l’uomo il campo di una sua possibile rivoluzione, deviandone la ribellione verso sbocchi individuali. La si accusa di focalizzare la dimensione meramente culturale, di porre l’accento sul disagio delle donne frustrate nelle loro aspirazioni personali dal patriarcalismo persistente nella società a capitalismo avanzato, di privilegiare la pars destruens rispetto all’elaborazione di un’ipotesi costruttiva di trasformazione sociale.

Tuttavia il libro diventa ugualmente formidabile agente di una lenta e tenace propagazione culturale (in Italia viene tradotto nel 1961, nella Spagna franchista circola clandestinamente in una edizione argentina del 1962), che troverà sbocchi e sviluppi nel movimento neofemminista generatosi, attraverso un processo contraddittorio ma fertile, dai movimenti giovanili del ’68. 

In realtà, nel mettere a tema la liberazione sessuale della donna, Simone aveva intravisto non un “diversivo” ma il terreno di crescita di nuove attività speculative a lungo oscurate, che avrebbero potuto innescare un profondo e autonomo processo di ripensamento della donna su se stessa, che avrebbe potuto significare di sé la cultura e l’intera società europea occidentale fino a diventare il fenomeno socialmente e culturalmente più rilevante degli anni ’70 e ‘80.

Che cosa dice in sostanza Simone de Beauvoir? La donna è il secondo sesso, quello che l’uomo, ponendosi come soggetto, ha definito e descritto come “altro” da sé, come oggetto. L’autodefinizione del soggetto uomo rispetto alla donna, cioè, non è avvenuta in reciprocità, ma con un atto di oppressione psichica e culturale attraverso il quale l’uomo solo si è arrogato la responsabilità di dare senso al mondo, sostenendo le proprie costruzioni come neutre e universali in ogni campo: religione, linguaggio, filosofia, economia, politica. Nel fare ciò, l’uomo ha anche definito i modi di essere della donna, che essa ha dovuto subire e accettare. Questa condizione di alterità alienata rispetto all’uomo, e di non riconoscimento di sé, è perciò all’origine dello “svantaggio” femminile.

Partendo dall’osservazione della condizione delle donne nella società a capitalismo avanzato (l’occasione del saggio le è data da un viaggio che compie negli Stati Uniti per tenervi una serie di conferenze), Simone mette in luce una dimensione celata dell’oppressione femminile, offre nuovi strumenti concettuali che aprono per le donne la possibilità di uno spazio autonomo in cui ripensare cultura e società, coglie una serie di temi che nel neofemminismo avrebbero trovato sviluppo, come la politicità del corpo e la connessione tra oppressione politica e oppressione personale.                              

Il ripensamento di sé non può non partire, per le donne, dalla sfera del “privato”, nella quale gran parte delle donne vive gli unici rapporti umani e sociali che le siano consentiti: da qui, il prendersi la parola per dare voce a ciò che è stato muto nei secoli, per farsi acquisizione di responsabilità e progetto di trasformazione della società.                                                 

Riprendendo l’analisi marxista della fondamentale contraddizione di classe, Simone vi aggiunge, come originaria, quella tra i sessi, che spiega riportandola alla distinzione tra lavoro di produzione e di riproduzione e alla differente collocazione di donne e uomini rispetto ad essa.                       

Le donne, in quanto donne, non si definiscono in rapporto alla classe, né costituiscono nel loro insieme una classe, e la loro oppressione non è in relazione diretta coi rapporti di produzione, anche se si specifica variamente a seconda del modo di produzione.  

Sulle funzioni biologiche riproduttive femminili si è fondato il ruolo storicamente costruito e socialmente imposto alla donna, la quale può realizzare la propria libertà prendendo coscienza dell’oppressione con un atto di trascendenza e di riconoscimento dell’esproprio operato da cultura e società nei suoi confronti.

 Vorrei sottolineare quanto ciò suoni vicino, pur non essendoci nell’autrice riferimenti che inducano a stabilire l’analogia, a quello che Gramsci aveva definito, a proposito dei gruppi sociali oppressi, il necessario “spirito di scissione”, cioè l’atto soggettivo di “progressivo acquisto della propria personalità storica”.

Superare la femminilità alienata e porsi come soggetto autentico, malgrado la conquista dell’uguaglianza sul piano formale, tuttavia, non è facile nelle società a capitalismo avanzato poiché resta l’impostazione dei rapporti tra i sessi ereditato da un percorso secolare. Tanto più che, diversamente da altri gruppi di persone oppresse, le donne nella società patriarcale sono rese “complici”, mediante privilegi e compensazioni offerti loro per mascherare l’annullamento storico simbolico operato nei secoli e per condizionarle ad accettare la loro posizione subordinata. Fino al punto di incoraggiare in loro, come dice Simone, “il desiderio inautentico di rinunzia e fuga dalla libertà”.

 Finora le capacità della donna sono state soffocate e andate disperse per l’umanità, ed è tempo, dice Simone, nel suo interesse e in quello di tutti, che le sia consentito finalmente di «farsi una nuova pelle e tagliarsi da sé i suoi vestiti». Ma le donne non possono arrivare a questo se non attraverso un’azione collettiva di costruzione delle libertà, operata insieme alle altre donne, poiché «le libertà delle donne si sorreggono l’una con l’altra come le pietre di un arco».

*L’articolo è stato pubblicato sul settimanale La Rinascita della sinistra nel 2008.

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