Ayten Öztürk, 47 anni, giornalista e attivista socialista, è nata ad Antiochia in una famiglia arabo siriana di quindici figli. Una famiglia democratica che ha già perso tre membri per motivi politici. Dopo essere stata più volte arrestata e torturata, Ayten ha deciso di trasferirsi in Siria dove è rimasta per dieci anni.
Nel 2018, a causa della guerra in quel paese, ha cercato di raggiungere
l’Europa attraverso il Libano, ma l’8 marzo è stata arrestata senza alcun
preavviso all’aeroporto di Beirut e il 13 marzo consegnata ad agenti segreti
turchi che con un aereo privato l’hanno riportata incappucciata in Turchia e
rinchiusa in un centro di detenzione segreto, unica donna tra tanti uomini.
Per sei mesi è stata sottoposta a gravi e sistematiche torture, violenze fisiche, verbali e gravissime molestie sessuali nell’inutile tentativo di farla parlare. Lei stessa racconta: «Ho subito detto che non avrei mai parlato con loro in un centro di tortura. Ho detto che non avevo nulla da condividere con dei torturatori».
Consegnata alla polizia turca il 28 agosto di quell’anno, è stata
ufficialmente arrestata perché accusata, senza alcuna prova, di essere
dirigente di una organizzazione rivoluzionaria e condotta nella prigione di
Ankara in condizioni molto precarie, dato il trattamento disumano a lungo
subito, le scosse elettriche, lo sciopero della fame, l’alimentazione forzata.
«Ero ridotta così male che non mi hanno voluta rilasciare subito, anche
se non c’erano capi d’accusa contro di me», racconta. Ricorda che, quando è
arrivata, le compagne di cella hanno contato 898 cicatrici sul suo corpo.
Sebbene abbia presentato una denuncia per tortura, il pubblico
ministero non ha trovato motivi sufficienti per un’azione legale. Ayten Öztürk
ha perso 25 chili durante la detenzione.
Il 28 maggio del 2021 dichiarava: «Sono in prigione da 3 anni senza un
solo motivo concreto. Il motivo della mia detenzione è nascondere le torture. È
la realtà delle torture e della dignità umana (calpestata) che si vuole seppellire
tra le mura. Giustizia! Non rimarrò in silenzio su questa ingiustizia! Anche se
la conclusione sarà la morte, cercherò in tutti i modi di far sentire la mia
voce… Vi chiedo di non rimanere in silenzio di fronte a questa ingiustizia e di
partecipare alla mia udienza che si terrà il 10 giugno 2021 presso la Corte di
Assise a Istanbul alle 13».
Quel 10 giugno, durante l’udienza purtroppo un testimone l’accusò ingiustamente di essere stata presente ad un linciaggio. Comunque Ayten fu infine rilasciata in attesa di un verdetto definitivo che dovrà o meno confermare la condanna durissima a due ergastoli.
Da allora è agli arresti domiciliari e le è stata messa una cavigliera
elettronica che le crea non pochi problemi. Il 3 giugno scorso sono state vergognosamente
respinte le sue richieste per le cure in ospedale di cui ha assoluto bisogno a
seguito delle torture. In questi giorni per la seconda volta la polizia ha
fatto irruzione nella sua casa alle 6:30 del mattino rovistando, senza alcun
esito, dappertutto.
C’è il pericolo imminente che presto venga confermata la condanna
all’ergastolo per cui occorre trovare i modi per impedire che questo accada. La
sua richiesta rivolta a noi di non rimanere in silenzio, di far conoscere la
sua voce interroga tutte e tutti.
Di fronte ai tanti, troppi casi in Turchia di negazione dei diritti
umani, di tortura e detenzioni illegali in cui le donne sono bersaglio
particolarmente oltraggiato e silenziato, la storia di Ayten va conosciuta come
esempio emblematico di coraggio e di coerenza. La sua è una lotta a cui obbliga
il rispetto di sé in quanto essere umano, la convivenza civile, la pratica
democratica.
La sua denuncia non può, non deve cadere nel vuoto, ma essere sostenuta da tante e tanti, a livello internazionale e non solo in nome della solidarietà. È una questione che tocca direttamente anche noi poiché il germe della sopraffazione, dell’autoritarismo e del fascismo non conosce frontiere e, ovunque esso sia, rischia di espandersi, di contaminare e minare alle basi la forma e la sostanza della fragile democrazia così duramente conquistata in tanti paesi, compreso il nostro.
Comitato Giustizia per Ayten Öztürk*
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