La parola è alle lotte delle donne di tutto il mondo per la #pace, i diritti, l’autodeterminazione e al loro impegno di camminare insieme realmente e simbolicamente contro ogni forma di sessismo, discriminazione, emarginazione, violenza, delegittimazione politica.
Nella #Giornata internazionale della donna, vogliamo rilanciare
il nostro invito a disertare le guerre, quella in #Ucraina come le altre
guerre che sono in corso a diverse latitudini e quelle che si stanno
preparando: a dire NO alla riproposizione della esiziale contrapposizione
occidente/oriente e di logiche fallaci come quella dello “scontro di civiltà”,
che vanificano la faticosa ricerca di un’alternativa nella costruzione sociale
e politica come quella che abbiamo chiamato “paradigma della cura”.
Assumere la cura come “paradigma politico”: cura non solo
come rimedio alla malattia, ma come fondamento delle relazioni fra le nazioni e
degli umani con il vivente. Ci sembrava che la pandemia avesse aperto gli occhi
di molte e molti su questa necessità. Ed eravamo convinte di poter avere parola
decisiva – proprio noi donne – in questo prefigurabile salto di paradigma,
dalle logiche di potenza a quella della cura condivisa del pianeta.
Invece la barbarie della guerra ritorna e con essa s’induce nelle persone l’assuefazione alla logica binaria amico-nemico nelle relazioni interne ed internazionali. Anzi, per “normalizzare la paura”, entrano con noncuranza nella comunicazione mainstream perfino ipotesi fino a ieri improponibili come “guerra nucleare”.
Ma noi la nostra paura vogliamo nominarla e reagire. Diciamo
che ci fa paura lo stravolgimento di senso, per cui in nome della “sicurezza” si
moltiplica la produzione di armi per preparare la guerra contro un presunto
nemico da combattere, sia esso uno stato potente o una persona vulnerabile
richiedente asilo.
Ci allarma profondamente che il discorso sulla sicurezza sia
occupato dalle destre neofasciste e che un ministro dell’istruzione minacci
provvedimenti disciplinari nei confronti di una dirigente per aver invitato la
sua comunità scolastica a difendere la Costituzione antifascista. Noi crediamo
nell’alto senso di responsabilità di quella dirigente scolastica e stiamo dalla
sua parte.
Ci fa inorridire un ministro degli interni che accusa di irresponsabilità
le donne e gli uomini profughi che “mettono in pericolo le vite dei loro figli”.
Noi rifiutiamo la retorica cinica di chi, per guadagnare voti, specula sulla
scelta di accogliere o respingere i profughi e stiamo dalla parte di chi è
costretto a mettere il proprio corpo e quello dei propri figli in pericolo –
dentro una barca, un gommone o su un tir – per avere una possibilità di vivere
o di sopravvivere.
Affermiamo un’altra idea di sicurezza, declinata dentro il
paradigma della cura e dell’accoglienza, come diritto degli esseri umani e di
ogni essere vivente a un’esistenza dignitosa. E rifiutiamo invece la
militarizzazione e la corsa al riarmo, le logiche repressive di confino e di
respingimento come il massimo dell’incuria.
Sicurezza è dare accoglienza a chi fugge dalla povertà e contrastare
le crescenti disuguaglianze economiche e promuovere la condivisione della
ricchezza. Sicurezza è dare asilo a chi fugge da ingiustizie e
discriminazioni religiose, etniche o di genere, e lottare per i diritti e le
libertà di tutte e tutti. Sicurezza è dare rifugio a chi fugge dalle guerre e costruire
la pace.
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