27/03/19

WCF / Un congresso contro le donne


Una adunata globale contro la libertà delle donne a Verona



AWMR Italia partecipa alla mobilitazione nazionale convocata dalla rete femminista Non Una di Meno e dai movimenti per i diritti civili in risposta e contestualmente al XIII World Congress of Families (WCF) che si tiene a Verona il 29-31 marzo.

di Ada Donno



Per le sue caratteristiche, i suoi precedenti e le presenze previste, questo congresso mondiale delle famiglie si preannuncia come un’adunata globale contro la libertà delle donne e i diritti civili. Tra i suoi obiettivi, più o meno esplicitati, c’è infatti la restaurazione di un modello di famiglia gerarchico e patriarcale, sostenuto da una visione misogina, omofoba e antistorica delle relazioni umane.

Nato una ventina d’anni fa da una rete di associazioni cristiane statunitensi antidivorziste e antiabortiste (in testa l’International Organization for the Family, IOF, con sede a Washington) si è sviluppato come lobby internazionale inglobando gruppi conservatori e integralisti – la rete di organizzazioni ProVita, CitizenGo, National organization for marriage ed altri – un po’ ovunque, ma specialmente nell’est europeo, con una connotazione sempre più marcatamente antiprogressista e antifemminista.

Al di là della retorica sulla “difesa della famiglia naturale” dalla presunta diffusione di una “mentalità abortista” e di una inesistente “ideologia del gender”, il WCF porta un attacco al cuore dei diritti conquistati dalle lotte delle donne in Europa e nel mondo (divorzio, aborto assistito e gratuito, riforma del diritto di famiglia, leggi sulle unioni civili) e difende un ordine tradizionale sessista e classista di società e di famiglia.

Con parole apparentemente innocenti,  mescolando e confondendo ad arte argomenti più disparati e in certi casi contrapposti - l’aborto legale e l’utero in affitto, l’omosessualità e la pedofilia o la pedo-pornografia, l’educazione alle differenze e l’abuso sui minori, la libertà sessuale e la prostituzione, il traffico di droga e quello di organi, l’industria della contraccezione e quella della fecondazione in vitro, il diavolo e l’acquasanta – attraverso la sua propaganda costruisce false nemiche e falsi nemici contro cui canalizzare il disagio sociale e morale della gentePer questo motivo, dalle associazioni internazionali per i diritti civili che ne seguono con preoccupazione le evoluzioni, il WCF è stato classificato come un “hate group”, cioè un’organizzazione che semina odio.
 
Prime, fra i bersagli, sono le femministe, e in genere le donne emancipate, colpevoli di rinunciare alla loro “naturale funzione di madri” per la smania di carriera e di diffondere una “mentalità abortista” che sarebbe la principale responsabile del cosiddetto “inverno demografico” nei paesi più sviluppati. Complici e succubi le Nazioni Unite, che promuovono progetti di pianificazione familiare su scala globale.
Insieme alle femministe, sarebbero parimenti responsabili le soggettività LGBT che diffonderebbero una fantomatica “ideologia del gender”, che ormai avrebbe pervaso gli ambiti dell’educazione pubblica, i mass media e le famiglie, con gravi conseguenze sull’identità sessuale dei bambini.

Non basta. Con paradossale capovolgimento di cause ed effetti, viene posto il calo demografico alla base della crisi economica che colpisce i paesi capitalistici più sviluppati. La crisi economica sarebbe, a sua volta, alla base della perdita di supremazia della civiltà bianca-cristiana-occidentale. Così il cerchio è chiuso. Amen.
Nell’agenda del WCF, invece, non c'è posto (se si escludono assurde speculazioni anti-femminili)  per la piaga della violenza sulle donne, compresa quella domestica, e dei femminicidi. Né viene messo in alcun modo sotto accusa il modello di sviluppo capitalistico, con la distruttività insita nei processi di super sfruttamento e dilapidazione delle risorse materiali e umane, l’aumento delle disuguaglianze, delle povertà e delle guerre.

A presiedere il WCF di Verona sarà Brian Brown (presidente anche della IOF). Colui che, dalla sua sede centrale di Washington, dove gode dei pieni favori di Trump, ha espresso incondizionata ammirazione a Jair Bolsonaro, per «la sua imperturbabile difesa dei valori pro-familiari e della nostra tradizione giudaico-cristiana» e il suo impegno suprematista in Brasile.
La penultima edizione del WCF, due anni fa, si svolse in Ungheria sotto gli auspici vistosi di Orban e del partito neofascista Fidesz, col sottofondo della loro scomposta retorica anti-immigrati e la cupa apologia della “nazione dalla pelle bianca über alles".
Insieme a questi personaggi, a Verona ci saranno gli organizzatori italiani e i partecipanti che la pensano come loro.

Per tutte queste ragioni ci preoccupa molto che al WCF, che per la prima volta si tiene in Italia, siano stati concessi patrocini politici e istituzionali.
Ci preoccupa molto e consideriamo scandaloso che sia stato dato il patrocinio dal Ministro della Famiglia, Fontana, dai presidenti delle Regioni Veneto e Friuli, dalla provincia di Verona.
Dopo aver cercato di fare di Verona una città capofila di una campagna nazionale contro la legge 194 (che da quarant’anni garantisce alle donne la possibilità di scegliere se essere madri o no, in sicurezza e responsabilità), le amministrazioni leghiste vorrebbero ora farne per tre giorni la capitale dell’oscurantismo mondiale.

Ci preoccupa molto e consideriamo inaccettabile anche la presenza al congresso del Ministro degli Interni Salvini, del Ministro dell'Istruzione Bussetti, del senatore leghista Pillon (autore di un contestato disegno di legge che tenta di riportare indietro il diritto di famiglia in Italia), i quali sfileranno con il loro titolo istituzionale sulla tribuna, accanto ad esponenti della destra più retriva ed eversiva europea, pensando probabilmente di lucrare dividendi elettorali anche da questa occasione.
Tutto questo è il segno di una pericolosissima deriva in atto in Italia e in Europa.

NOI NON CI STIAMO. LE DONNE NON CI STANNO. Una grande mobilitazione dei movimenti femministi e per i diritti civili presidierà Verona e altre città in Italia per tre giorni, il 29, 30 e 31 marzo. Per dire che le famiglie - qualunque forma scelgano di darsi, quale che sia il loro orientamento sessuale, siano esse composte da cittadine e cittadini nativi o immigrati – non hanno bisogno di deliranti ritorni al passato, ma di uno sguardo aperto, laico, solidale sul futuro.
Le donne si aspettano di poter contare sulle istituzioni di questo Paese per avere più sicurezza economica e sociale, maggiore benessere psichico, fisico, sessuale garantito da un welfare universale, da politiche di educazione al rispetto delle differenze, da politiche di contrasto alle violenze di genere e a tutte le forme di oppressione, discriminazione e violenza sul lavoro, in casa e nella società.


18/03/19

IRAN / NASRIN SOTOUDEH


"Chiediamo la liberazione di tutte le prigioniere politiche"

L'organizzazione democratica delle donne iraniane respinge con fermezza la sentenza del regime teocratico


Il regime repubblicano islamico ha emesso una condanna a 38 anni di reclusione e 148 frustate contro l'avvocata per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, che ha sconcertato l'opinione pubblica internazionale. Nasrin Sotoudeh, che ha difeso molti attivisti per i diritti civili o umani che sono diventati prigionieri politici, è stata arrestata nel giugno 2018 per essersi espressa criticamente nei confronti del regime e dell’ondata di arresti nel paese. Da allora è detenuta nella famigerata prigione Evin. 



https://www.tdzi.org/doiw-strongly-condemns-the-regimes-sentence-on-ms-nasrin-sotoudeh/

Il signor Khandan, sposato con Sotoudeh, ha scritto l'11 marzo 2019:
«L'ultima sentenza contro Nasrin Sotoudeh le è stata notificata in prigione: 38 anni di carcere e 148 frustate sono la somma di due condanne. Ha ricevuto 5 anni con la prima e 33 anni più 148 frustate con la seconda. Il Tribunale della Rivoluzione ha giudicato la difesa di Sotoudeh dei diritti delle donne e la sua opposizione all'hijab, in quanto " costrizione " per le donne, un "incitamento alla corruzione e alla prostituzione "».

La sentenza della corte dimostra, più chiaramente che mai, l'immutata determinazione della magistratura del regime a reprimere i dissidenti e gli attivisti per i diritti umani e civili. Molte figure ben note e organismi per i diritti umani in tutto il mondo hanno condannato una sentenza così dura, in violazione della legge e dei principi e della logica legale. Un gruppo di giuristi iraniani ha rilasciato una dichiarazione di condanna della sentenza:
«L'emissione di una sentenza così severa è motivo di vergogna e  segno di intolleranza nei confronti dei avvocati che si esprimono criticamente, implica una giustizia debole ed è una evidente contravvenzione alle disposizioni sulla legge costituzionale, i diritti fondamentali e il ruolo degli avvocati».

Il responsabile della Società per la difesa dei diritti umani, Abdolkarim Lahiji, ha scritto: «Nell’ambito dei poteri del capo religioso supremo, la punizione per chi si oppone alla pena capitale e alla costrizione dell'hijab o difende i prigionieri politici e gli obiettori di coscienza, comporta lunghe detenzioni e frustate. Il sistema giudiziario sa che queste pene sbagliate e severe non piegheranno lo spirito resistente di Nasrin Sotoudeh né la faranno desistere dalla sua difesa di chi subisce il torto. Ma il loro vero obiettivo è seminare paura e terrore tra le persone che protestano sempre più per i loro diritti politici, civici, sociali, politici e culturali. La società internazionale non può e non deve ignorare questa offesa al diritto internazionale e ai diritti umani».
Il portavoce dell'Unione Europea ha commentato che Nasrin Sotoudeh è ​​stata condannata in sua assenza, senza un processo equo e in violazione dei più elementari diritti di un imputato.

Nasrin Sotoudeh, che è componente del Consiglio della pace e del Centro per la difesa dei diritti umani e ha preso parte alla Campagna per l'abolizione della pena di morte, è una delle centinaia di prigioniere politiche detenute con l'accusa di "diffusione di falsità con l'intenzione di disturbare l'opinione pubblica", di "assembramento e collusione contro la sicurezza nazionale ", disturbo della "sicurezza" del regime reazionario del capo religioso supremo, "attività di propaganda contro il sistema" e simili. Le detenute con figli piccoli, sono private dei colloqui per mesi o anni, come forma di tortura, eppure continuano la loro lotta dentro le carceri del regime.

Secondo il rapporto di HARANA, l'organo di informazione degli attivisti per i diritti umani in Iran, il 28 settembre 2018, oltre ai dervisci incarcerati nella "prigione di Karchak" e alle donne ambientaliste che si trovano nell'ala di massima sicurezza delle Guardie della Rivoluzione, nell'ala femminile del carcere di Evin attualmente ci sono 17 donne, detenute principalmente per motivi politici e di sicurezza. I loro nomi sono:

Maryam Akbari Monfared – nata il 13 dicembre 1975 – condannata a 15 anni
Zahra Zehtabchi – nata il 28 marzo 1969 – condannata a 10 anni
Fatemeh Mossana – nata il 5 giugno 1967 – condannata a 10 anni
Narges Mohammadi – nata il 21 aprile 1972 – condannata a 16 anni, in aggiunta a precedenti 6 anni
Reyhaneh Haj Ebrahim Dabbagh - nata il 31 maggio 1982 – condannata a 15 di carcere e all’esilio
Azita Rafi’zadeh- nata il 21 maggio1980 – condannata a 4 anni
Nazanin Zaghari-Ratcliffe- nata il 26 dicembre 1978 – condannata a 5 anni
Aras Amiri- nata in ottobre 1986, in attesa di giudizio
Golrokh Ebrahimi Iraii- nata il 30 luglio 1980 –condannata a 6 anni di carcere commutato in 2 anni e mezzo in base all’art. 134 e perdonata
Nasrin Sotoudeh Langaroodi- nata il 30 maggio 1963 – condannata recentemente dopo un lungo periodo di incertezza a 38 anni di carcere e 148 frustate
Negin Ghadamian- nata il 2 agosto 1983 –condannata a 5 anni
Ma’soumeh (Minoo) Ghasemzadeh Malekshah- nata in giugno 1976 – condannata a 10 anni
Roghieh Haji Mashallah- nata nel 1981 – condanna indeterminata
Leila Tajeek- nata nel 1974 – condanna in corso di revisione
Atena (Fatemeh) Da’emi- nata il 27 marzo 1988-  condannata a 7 annio, commutati in 5 anni sulla base dell’art.134
Elham Barmaki- nata il 19 settembre1968- condannata a 10 years
Sotoudeh Fazeli- nata il 13 settembre 1953- condannata a 3 anni.

L'Organizzazione democratica delle donne iraniane (DOIW), all'unisono con tutti i difensori e combattenti per l'uguaglianza e i diritti civili, condanna la magistratura della Repubblica islamica, nel modo più forte possibile, per la sentenza emessa contro la signora Nasrin Sotoudeh. Chiediamo la liberazione di questa nota attivista per i diritti umani e di tutte le donne prigioniere politiche.
Il rilascio di tutti i prigionieri politici è una delle richieste più pressanti delle forze popolari e patriottiche del nostro paese.

13 marzo 2019

Trad. A.D.

01/03/19

PEOPLE FIRST

   PRIMA LE PERSONE



Awmr Italia partecipa

alla mobilitazione nazionale 

PRIMA LE PERSONE 

a Milano il 2 marzo 2019





Che cosa sta accadendo in Italia? Episodi d’intimidazione razzista nei confronti delle persone con la pelle di un altro colore, fenomeni d’intolleranza verso gli immigrati e i profughi; manifestazioni d’insofferenza e di odio, talvolta feroci, da parte di gruppi neofascisti nei confronti di chi è “diverso”: sono tutti elementi che stanno alimentando un preoccupante clima di insicurezza e di paura già diffuso nelle classi sociali più colpite dalla crisi economica dell’ultimo decennio. Le destre, dentro e fuori il governo, sbandierano lo slogan “prima gli italiani”, additando gli immigrati – soprattutto africani -  come “invasori” ed esponendoli all’odio e alla violenza.

La politica governativa anti-migranti è, nello stesso tempo, il seme e il frutto malato della stessa sottocultura della discriminazione e del “primatismo”:

-       -    il “decreto sulla sicurezza” varato dal governo blocca le possibilità di lavorare e restare in Italia per i migranti, anche per molti immigrati che da anni vivono e lavorano regolarmente in questo paese;
-     -    gli accordi tra Italia e Libia per tenere lontani dalle coste italiane i barconi che trasportano i migranti, la chiusura dei porti e la negazione del soccorso ai naufraghi, hanno come risultato l’aumento esponenziale dei morti nel Mediterraneo; con una violazione dei diritti umani su larga scala;
-      -    la diffamazione degli amministratori locali e le comunità che attuano politiche umanitarie di asilo e accoglienza, aggrava i problemi e le tensioni sociali legati all'integrazione.

Noi non accettiamo tutto questo. Noi pensiamo che differenze e diversità – di genere, etnia, provenienza, cultura, religione, orientamento sessuale – siano valori da rispettare, con i quali misurarci senza farne pretesto per determinare esclusione, segregazione e discriminazione. Noi crediamo nell'affermazione e nella tutela dei diritti umani, sociali e civili da far valere per tutte e tutti, donne e uomini nativi e migranti.
Noi ci battiamo contro le diseguaglianze economiche e sociali, lo sfruttamento e le povertà. Lottiamo per il lavoro, per la casa, per il diritto allo studio e alla salute, per i diritti di tutti, donne e uomini nativi e migranti ad una vita degna.

Vogliamo in Italia politiche di inclusione, solidarietà, pari opportunità.  
Vogliamo un’Europa senza recinti, senza muri, senza barriere.
Vogliamo un mondo dove al primo posto siano le persone.

People first. Prima le persone. 
Per questo il 2 marzo parteciperemo alla marcia di Milano.


#PeopleFirst

8 MARZO 2019 / NOI SCIOPERIAMO!





Poiché abbiamo molte ragioni, 
noi scioperiamo
marciamo
ci organizziamo




L’8 marzo, anche quest’anno in ogni continente, è sciopero femminista al grido di #NonUnadiMeno!

Interrompiamo ogni attività lavorativa e di cura, formale o informale, gratuita o retribuita, sui posti di lavoro e nelle case, nelle scuole e nelle università, negli ospedali e nelle piazze, in ogni ambito in cui si riproduce violenza economica, psicologica e fisica sulle donne, dentro e fuori ogni confine.

Il movimento femminista globale ha dato nuova forza e significato alla parola sciopero.

«NON UNA DI MENO» è il grido che esprime questa forza. Contro la violenza patriarcale che nega la libertà delle donne, noi scioperiamo e scendiamo nelle strade e nelle piazze, per riconoscerci e stringere alleanze di classe e di genere, meticce e senza frontiere. Scioperiamo contro il razzismo, la xenofobia e le discriminazioni etniche; contro i muri reali e virtuali creati per fermare i migranti ed emarginare i più deboli. 

Scioperiamo per il disarmo e la pace, scioperiamo contro le guerre e le ingerenze che sono lo strumento dell’impero per dividere e dominare i popoli. 

Costruiamo insieme una giornata di affermazione globale di diritti e di solidarietà transfemminista, ovunque nel mondo.

Se le nostre vite non valgono... noi scioperiamo per inventare un tempo nuovo!

AWMR Italia – Donne della Regione Mediterranea

#8M2019

Palestina / #FreePalestinianPrisoners



KHALIDA JARRAR LIBERA!


La parlamentare palestinese è stata rilasciata dopo venti mesi di detenzione nelle carceri israeliane



Khalida Jarrar era stata arrestata a Ramallah (Cisgiordania) all'alba del 2 luglio 2017 dalle forze di occupazione israeliane, che avevano fatto irruzione nella sua casa, nell’ambito di un'arbitraria e illegale azione repressiva, nella quale altri undici dirigenti della resistenza palestinese erano stati arrestati in diversi punti della Cisgiordania. 

Khalida, dirigente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e deputata del Consiglio Legislativo Palestinese, è rimasta tutto questo tempo in stato di “detenzione amministrativa” (modalità usata dalle autorità israeliane per tenere in prigione a tempo indeterminato i palestinesi arrestati, senza specificare le accuse né passare in giudizio).

Va ricordato che al momento dell’arresto, venti mesi fa, Khalida era stata rimessa in libertà da appena un anno, dopo essere stata arrestata con le stesse modalità e aver trascorso in prigione i precedenti 14 mesi. 

Ad attenderla all’uscita dal carcere c’erano la madre e la sorella Suha Jarrar che, abbracciando Khalida, hanno dichiarato: «La nostra gioia sarà completa quando anche le altre 48 donne e tutti gli altri detenuti  politici palestinesi saranno rimessi in libertà».