Che cosa (non) ha fatto il governo italiano per onorare Pechino + 25
Nel marzo del 2020 nella sede delle Nazioni Unite a New York, la celebrazione della Conferenza a 25 anni di distanza, con la valutazione di quanto è stato fatto nei diversi Paesi. Disattente le istituzioni italiane, cosa che rende più arduo il compito dell'associazionismo femminista
Riportiamo il commento di Daniela Colombo
Nel
settembre del 1995 a Pechino si svolse la quarta Conferenza internazionale
sulle donne delle Nazioni Unite, che vide la partecipazione di 15.000 donne
politiche, diplomatiche ed esperte, mentre nella vicina Huairou 38.000 donne
appartenenti a una moltitudine di organizzazioni di ogni parte del mondo,
davano vita a un Forum della società civile quale non si è più visto e che
molto probabilmente non si vedrà per vari anni ancora. La Conferenza di Pechino
è rimasta nel ricordo e nell’immaginario delle militanti femministe e delle
rappresentanti del movimento internazionale delle donne come il fulcro delle
attività iniziate nel 1975 con la Conferenza di Città del Messico per
raggiungere l’eguaglianza dei diritti tra donne e uomini, far sì che donne
possano contribuire allo sviluppo dei propri Paesi e siano portatrici di pace.
Dopo
la Conferenza di Città del Messico, altre due conferenze vennero organizzate
dalle Nazioni Unite: nel 1980 a Copenaghen per dibattere i temi
dell’Eguaglianza di diritti, e nel 1985 a Nairobi per discutere più ampiamente
dei temi relativi allo sviluppo socio economico dei Paesi in via di sviluppo. A
Copenaghen la firma del Governo italiano fu determinante per l’entrata in
vigore della CEDAW, la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di
discriminazione contro le donne, che costituisce ancora oggi la più importante
carta internazionale dei Diritti delle donne, stabilendo gli standard di
uguaglianza di diritti a cui fanno riferimento le organizzazioni femministe e
femminili.
Alla
Conferenza di Pechino gli Stati membri dell’ONU approvarono all’unanimità una
Dichiarazione e una Piattaforma di Azione consistente in 12 Aree critiche di
azione che coprono l’intera gamma dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di
genere che ogni Stato dovrebbe seguire, attribuendo alla società civile e alle
organizzazioni delle donne in modo particolare un ruolo estremamente importante
nell’elaborazione delle politiche e delle leggi sulle relazioni di genere,
auspicando misure di azione positiva e l’istituzione o il rafforzamento dei
meccanismi di parità.
Nuovi
termini - in inglese e di difficile traduzione - vennero coniati al fine di
avere un linguaggio comune per indicare:
1)
il fatto che le donne sono discriminate rispetto agli uomini indipendentemente
dall’etnia, casta, status sociale, religione, età, residenza (gender); 2) la
necessità di stimolare la forza, l’autostima, la volontà di agire delle donne
(empowerment); 3) l’inclusione di politiche e attività a favore delle donne in
tutti i settori economici, sociali e ambientali (mainstreaming).
Vorrei
ricordare che negli anni ’90 ci furono altri importanti appuntamenti per il
movimento delle donne. Nel 1992 la Conferenza di Rio sull’Ambiente per la prima
volta aveva riconosciuto il ruolo fondamentale delle donne per la salvaguardia
dell’ambiente. Nel 1993 la Conferenza di Vienna sui Diritti Umani aveva
affermato esplicitamente nella Dichiarazione conclusiva che “I diritti umani
delle donne e delle ragazze sono un’inalienabile, integrale ed indivisibile
parte dei diritti umani universali”, da cui scaturisce il riconoscimento che le
forme specifiche di violenza contro le donne come violazione dei loro diritti
umani. Nel 1994 la Conferenza del Cairo su Popolazione e Sviluppo si era
conclusa con un Piano di Azione dettagliato sulla salute sessuale e
riproduttiva, al quale era allegato un’analisi dei finanziamenti necessari per
raggiungere gli obiettivi fissati.
Nel
1998 si svolsero a Roma i lavori per l’istituzione della Corte Penale
Internazionale sui crimini di guerra, in cui si riconobbe che le violenze di
massa e sistematiche, come lo stupro etnico, la gravidanza forzata e la tratta
finalizzata allo sfruttamento sessuale sono un’arma di guerra da perseguire
penalmente. Nel 2000 il Consiglio di Sicurezza approvò la prima Risoluzione su
Donne, Pace e Sicurezza, la Risoluzione N.1325, nella quale si riconosceva
l’impatto sproporzionato ed unico dei conflitti armati sulle donne e le ragazze
e si richiedeva l’adozione di una prospettiva di genere che tenesse conto dei
bisogni speciali di donne e ragazze durante i conflitti, la fase di rimpatrio,
riabilitazione, reintegrazione e ricostruzione post conflitto. La Risoluzione
richiedeva inoltre che le donne partecipassero nei negoziati di pace.
Nel
2001 entrò in vigore un Protocollo opzionale alla CEDAW che consente ad Associazioni
e a individui di denunciare le violazioni esistenti nei diversi Stati alla
apposita Commissione abilitata a condurre indagini sul caso e a formulare
raccomandazioni al governo responsabile.
Tutto
questo fu possibile perché gli anni ’90 furono un periodo storico particolare
in cui erano nate grandi speranze. Era crollato il muro di Berlino: in
pochissimi anni si era dissolta l’Unione sovietica e sembrava che la Russia
stesse cercando una modalità democratica di governo. La fine dell’apartheid in
Sud Africa aveva aperto nuove possibilità per tutto il continente africano.
L’America Latina era in una fase di grande trasformazione e la maggioranza dei
paesi si andava aprendo alla democrazia. In Medio Oriente e nel Nord Africa
c’era una relativa stabilità, con regimi dittatoriali che però garantivano un
certo livello di eguaglianza e l’esistenza di importanti organizzazioni di
donne a livello nazionale. In Asia, la Cina si apriva al mondo, ospitando la
più grande Conferenza delle Donne che si fosse mai vista, e il Giappone
iniziava programmi concreti e creava Centri governativi allo scopo di
emancipare le donne. Il Presidente degli Stati Uniti era il democratico Bill
Clinton, la cui moglie, Hillary, visitò il Forum di Huairou e fece un discorso
estremamente forte che rimarrà nella storia del movimento femminista e
femminile.
Questo
clima internazionale di speranza venne però a cessare con l’attacco alle torri
gemelle e la guerra in Iraq. Il mondo negli ultimi venti anni è cambiato
significativamente e il compito che spetta alla società civile e in modo
particolare alle organizzazioni femministe e femminili è molto più arduo.
Conflitti armati, rivoluzioni fallite, crisi economiche e finanziarie
ricorrenti e sempre più gravi diminuiscono la crescita e aumentano la
disoccupazione, prezzi del cibo che cambiano repentinamente, disastri naturali
e l’effetto del gas serra che determina il riscaldamento globale e il
cambiamento climatico, hanno aumentato la disuguaglianza e la vulnerabilità con
conseguenti ondate di migrazioni.
La
globalizzazione finanziaria, la liberalizzazione del commercio seguita da
improvvise imposizioni di sanzioni da parte di alcuni Stati, la privatizzazione
dei servizi pubblici (in modo particolare la sanità), la crescente interferenza
delle società globalizzate nei processi di sviluppo, hanno mutato le relazioni
di potere tra gli Stati e all’interno degli Stati, con un effetto
particolarmente negativo sul godimento dei diritti umani e la creazione di un
mondo più giusto.
Il
mondo oggi è molto più ricco, ma molto più iniquo di quanto lo sia mai stato
dal tempo della seconda guerra mondiale. Una società internazionale, Capgemini
&RBC Wealth Management, pubblica ogni anno un rapporto sulla ricchezza
globale. Siamo arrivate/i al punto che una ricchezza enorme si concentra nelle
mani di pochissimi individui che hanno di conseguenza un potere enorme e un
impatto sproporzionato sulle politiche, sugli investimenti e l’economia in
generale. E certamente non serve che tacitino la loro coscienza creando
Fondazioni “benefiche” che finanziano progetti di organismi delle Nazioni Unite
o di Organizzazioni non governative multinazionali di origine americana o
europea, per giunta concentrate in un numero ristretto di Paesi.
L’ambiente
politico globalmente è diventato molto più reazionario e si è assistito ad un
deficit di democrazia che va aumentando. I vari Trump, Putin, Bolsanaro, Modi,
Duterte... usano la misoginia e l’oppressione delle minoranze e degli/lle
immigrati/e per consolidare il loro potere.
Con
la conseguenza che i governi, soprattutto negli ultimi 10 anni, si sono
rifiutati di raggiungere compromessi e di trovare un accordo per fare avanzare
l’agenda femminista soprattutto durante le sessioni annuali della Commission on
the Status of Women, che è il principale organismo politico a livello
internazionale. E il movimento femminista si è dovuto mettere sulla difensiva,
preferendo mantenere il linguaggio di Pechino e le 12 Aree di Azione della
Piattaforma, senza cercare di andare oltre.
Per
tutti questi motivi, quando nel 2013 si cominciò a lavorare sugli Obiettivi di
sviluppo sostenibile, il movimento internazionale delle donne composto da reti
di associazioni femministe e femminili e alcune Ong di cooperazione allo
sviluppo, si è impegnato moltissimo e l’Agenda 2030 ha di fatto conglobato il
Programma d’Azione di Pechino con tutte le sue novità, dandogli una forma
diversa, con un Obiettivo specifico, il Goal 5, per l’Uguaglianza di genere e
l’empowerment delle donne e rafforzando il Mainstreaming negli altri 16
obiettivi.
Pechino
+ 25
Nel
marzo del 2020 nella sede delle Nazioni Unite a New York, nell’ambito della 64ª Sessione della Commission on the Status of Women, alcune giornate verranno
dedicate alla celebrazione della Conferenza di Pechino a 25 anni di distanza,
cercando di fare il punto della condizione delle donne nei vari Paesi del
mondo. “Pechino + 25” non sarà dunque una nuova Conferenza ma un appuntamento
di valutazione di quanto è stato fatto, di quello che le donne hanno raggiunto
negli ultimi 25 anni e le prospettive per il futuro.
L’appuntamento
seguente sarà la High level week della 74ª Assemblea Generale dell’ONU che avrà
luogo dal 23 al 26 settembre. In preparazione di questo appuntamento sarà
organizzato il Generation Equality Forum che si svolgerà in due sessioni, una a
Città del Messico a maggio (con una partecipazione di circa 2.500 persone) e
l’altra a Parigi in luglio (con una partecipazione di circa 5.000 persone),
organizzate da UNWOMEN, in collaborazione e in partenariato con la società
civile e i due Stati che ospiteranno gli eventi.
In
preparazione degli eventi Pechino + 25, le 5 Commissioni economiche delle
Nazioni Unite per le varie Regioni hanno già organizzato tra ottobre e novembre
i Regional Review Meetings, preceduti da Fora della società civile.
Il
Regional Review Meeting dell’UNECE, la Commissione Economica per l’Europa che
comprende anche i Paesi dell’ex Unione Sovietica, Canada, Stati Uniti e
Israele, ha avuto luogo a Ginevra, presso la sede delle Nazioni Unite, il 29-30
ottobre 2019.
Il
RRM dell’UNECE è stato preceduto dal Forum della società civile il 28 ottobre.
A quest’ultimo erano presenti più di 400 attiviste provenienti da 48 paesi
della Regione e si è lavorato in gruppi di lavoro per raggiungere un accordo e
finalizzare i Fact sheets sui quali si era lavorato tramite internet nei tre
mesi precedenti al Forum, identificando le priorità e preparando dichiarazioni
secondo le prospettive regionali (6 schede) e tematiche (20 fact sheets), che
non hanno valore di documenti negoziati, ma servono a dare una idea delle
priorità e delle diverse opinioni del movimento delle donne e femminista della
Regione UNECE.
Si
è dibattuto molto sui nuovi problemi e le sfide strutturali, l’ambiente, il neo
conservatorismo, le barriere economiche strutturali per la realizzazione dei
diritti delle donne, la violenza contro le donne e le ragazze, la
partecipazione politica delle donne, i sistemi di tassazione, le donne nei
media e nell’accesso alla tecnologia.
Sono
emersi nuovi concetti, come la definizione di Non State torture per alcune
tipologie di violenza contro le donne, il tema della Inclusion (le giovani
femministe, i diritti delle Lesbiche, Bisex, Transessuali/ Transgender e
Intersex - l’acronimo LBTI invece di LGBTI, quindi non comprende più i gay - i
diritti delle donne con disabilità, i diritti delle popolazioni indigene e i
Rom, l’empowerment delle donne rurali, i diritti delle donne anziane, i diritti
delle vedove), e la differenza tra Prostitution e Sex work. Su questo ultimo
tema si è verificata l’unica rottura da parte di alcune organizzazioni facenti
parte della European Women’s Lobby, che auspicano che la legislazione degli
Stati membri dell’UE si adegui a quella svedese rendendo illegale la
prostituzione.
Durante
il Forum si sono definite le aree su cui è necessario concentrarsi e come
influire sul processo Pechino + 25: trasparenza e monitoraggio, violenza contro
le donne, salute e diritti sessuali e riproduttivi, pace e sicurezza, le donne
sfollate, le donne migranti, i movimenti dei lavoratori, i sindacati,
l’istruzione, il trasferimento di conoscenze e l’accesso delle donne alle
tecnologie, la corporate & institutional accountability e il problema
cruciale delle risorse disponibili e del finanziamento delle organizzazioni
delle donne.
Al
Regional Review Meeting erano presenti 867 partecipanti, 47 Delegazioni
governative, 8 Ministre o Vice Ministre, 81 organizzazioni rappresentanti della
società civile, aventi consultative status presso l’Ecosoc. Sono stati
organizzati 10 Side Events. Francia, Canada, e i Paesi del Nord Europa hanno
fatto la parte del leone, ma anche i Paesi dell'Ex Unione Sovietica sono stati
presenti attivamente.
Grande
apertura alla società civile è stata data non solo da UN- WOMEN ma anche da
molte delle Delegazioni, tanto che l’incontro intergovernativo è stato aperto
dall’intervento della Rappresentante delle Giovani femministe che ha riassunto
i lavori e le proposte del Forum della società civile.
Dagli
Stati membri dell’ECE sono stati inviati 51 Rapporti nazionali, 48 dei quali
sono serviti per redigere un Rapporto di sintesi: Regional review of Progress:
Regional Synthesis. Da questo si desume che i Paesi della Regione hanno dato
priorità a tre aree principali: la violenza contro le donne, l’empowerment
economico delle donne e la loro partecipazione politica. La violenza contro le
donne ha avuto un grande impulso dalla Convenzione di Istanbul che è stata firmata
o ratificata dalla maggioranza dei Paesi membri del Consiglio d’Europa e
dell’ECE. L’Empowerment economico delle donne è una priorità in tutta la
Regione e sforzi notevoli ci sono stati per sostenere l’inclusione delle donne
nella forza lavoro tramite la conciliazione lavoro e responsabilità familiari,
e affrontando il gap salariale.
Alcuni
Paesi si sono avvicinati alla parità nella partecipazione politica delle donne
a livello nazionale, applicando spesso il sistema delle quote. Molti Paesi
hanno affrontato la segregazione orizzontale nell’istruzione, cercando di
promuovere la partecipazione delle ragazze nei campi della scienza, tecnologia,
ingegneria e matematica (STEM). Alcuni Paesi, come la Danimarca, il Belgio, la
Svezia e la Finlandia hanno ottenuto ottimi risultati migliorando il gender
mainstreaming e applicando strumenti speciali come misure di azione positiva
temporanee, il bilancio di genere e l’analisi intersettoriale.
Uno
dei settori nei quali non si è progredito è stato quello della protezione
ambientale e del cambiamento climatico. Solo alcuni Paesi hanno iniziato ad
avere una legislazione progredita in questi settori e ci sono pochi esempi di
leadership delle donne.
Per
quanto riguarda la violenza contro le donne è ancora difficile implementare
standard riconosciuti a livello internazionale per la protezione, la risposta e
l’accesso ai servizi e alla giustizia per le donne che hanno subito violenza.
Anche nella Regione ECE, la più avanzata del mondo, persistono atteggiamenti
patriarcali e norme sociali tradizionali che impediscono l’applicazione di un
approccio centrato sulle vittime. Un altro elemento di frenata per
l’eguaglianza di genere è la debolezza intrinseca ai meccanismi di parità che
molto spesso non dispongono delle risorse umane ed economiche necessarie. 25 anni dopo la Conferenza di Pechino, che tanto entusiasmo e speranze aveva
suscitato, non si è dunque raggiunta la piena eguaglianza di diritti tra donne
e uomini in nessun paese della Regione ECE.
E
l’Italia?
Poche
le organizzazioni italiane presenti al Forum della società civile e come
osservatrici alla Riunione Intergovernativa: D.I.Re, CGIL, Soroptimist, Zonta,
Pangea e Pari o Dispare. Invece nessun/a rappresentante del Governo italiano
era presente alla Riunione inter-governativa. Sullo scranno dell’Italia a
turno si sono sedute un paio di stagiste presso la Rappresentanza italiana alle
Nazioni Unite di Ginevra. Si è in seguito venute a conoscenza che la Ministra
Bonetti non era stata informata dallo staff amministrativo di questo evento
internazionale.
Il
Rapporto del Governo italiano si trova in lingua inglese sul sito di UNECE. Non
esiste il testo in italiano. A parte il fatto di essere stato inviato il 14 di
agosto invece del 1° maggio, si tratta di un collage di documenti scritti dai
vari Ministeri che lascia molto a desiderare, senza una vera riflessione su
quanto è stato fatto (mancanza di monitoraggio e valutazione) e soprattutto su
quanto si prevede di fare. Nelle linee guida di UNWOMEN per la redazione dei
Rapporti nazionali era previsto chiaramente che i Governi avrebbero dovuto
coinvolgere le organizzazioni portatrici di interesse e avrebbero dovuto
avviare una campagna di informazione su quello che ha rappresentato la
conferenza di Pechino per il movimento delle donne e per le istituzioni e sul
processo Pechino + 25. Anche questo non è stato fatto e i media di conseguenza
non si sono minimamente occupati dell’evento.
Il
compito che spetta alla società civile è arduo, soprattutto perché si deve
recuperare il tempo perduto. Difficilmente si riuscirà a fare uno Shadow Report
sull’Italia. Ma potremmo chiedere al Governo di prendere seriamente Pechino +
25 e informare noi stesse l’opinione pubblica. Il movimento internazionale è
molto attivo e alla CSW64 come ai due incontri del Generation Equality Forum
presenteranno le loro valutazioni e le loro proposte.
Nonostante
moltissimo rimanga da fare affinché il rispetto dei diritti umani, ivi compresi
i diritti umani delle donne, divenga realtà in tutti i paesi del mondo,
l’elaborazione tramite trattati internazionali concernenti standard di diritti
civili, politici, economici, sociali e culturali e il loro monitoraggio, ha
fornito e continua a fornire alle organizzazioni delle donne strumenti e
linguaggi per rivendicare anche a livello nazionale il soddisfacimento dei
bisogni, della dignità e della libertà di scelta delle donne. Partecipare a
eventi come Pechino + 25, o seguirne il processo con l’aiuto di internet, ci
permetterà come si è fatto in passato di connetterci con le organizzazioni di
donne a livello internazionale, valutare quanto si è ottenuto a livello
nazionale e regionale, scambiare esperienze positive, dibattere nuovi concetti,
trarre ispirazione e progettare per il futuro.
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