Vogliamo una donna al Quirinale?
Le CASE DELLE DONNE hanno accolto l’invito della Casainternazionale delle donne di Roma e hanno partecipato all’Assemblea della
Magnolia online per rispondere alla domanda: Vogliamo che sia donna?
Non era scontato che fossimo tutte d’accordo ad entrare in questa
discussione. Non per indifferenza o estraneità, tutt’altro. Il fatto è che le opinioni
al riguardo fra noi variano da chi la ritiene una discussione inutile, essendo
la nostra parola del tutto ininfluente nella situazione data, a chi invece
ritiene che tirarsi fuori e tacere sia perdente. Passando per chi la considera
comunque un’occasione utile per intervenire nel dibattito che si sta svolgendo
su più piani e mettere, per così dire, dei paletti affinché la nostra parola
non venga confusa nell’indistinto chiacchiericcio mainstream, se non
addirittura strumentalizzata nelle dispute di palazzo che non ci appartengono.
Un paletto è stato piantato per escludere subito alcune
argomentazioni, apparse in certi appelli che sollecitano la nomination di una donna al Quirinale,
come quelle che “ci sono anche le donne da prendere in considerazione”, oppure
che “è tempo di eleggere una donna perché negli altri paesi europei, ecc.”, che
figura ci facciamo come paese, e così via. Argomenti indietro di decenni
rispetto alla crescita di soggettività, libertà e responsabilità che le donne
italiane si riconoscono.
Insomma, diciamo subito NO ad una donna purchessia. Donne in posizioni apicali ce ne sono state e ce ne sono: in ogni campo, compresa la politica. Per
restare al presente, bastino i nomi di Lagarde, Merkel, von der Leyen…
Apprezzate perché brave, diligenti, efficienti nei loro ruoli. Ma per ciò che
concerne i contenuti della politica? Non s’è vista la differenza,
sovrapponibili ai loro colleghi uomini. Ci basta?
No, evidentemente, anche ad una donna di destra, per queste ed altre
ragioni in più.
Intervenire in questo dibattito può essere dunque l’occasione per
cercare, intanto, risposte ad alcune domande che premono: come e perché la
politica italiana è tuttora, a 74 anni dalla promulgazione della Costituzione,
così ottusamente declinata al maschile? Perché la soggettività politica
femminile che ci riconosciamo non è in grado di esprimere una rappresentanza
che abbia qualche chance nel gioco della politica? Detto in altre parole:
perché i requisiti richiesti per avere qualche chance sono così distanti dai
requisiti che le femministe si aspettano da una donna perché rappresenti la
soggettività politica femminile?
Il passo successivo, dopo avere risposto a queste domande, dovrebbe
essere chiedersi che fare per accorciare questa distanza. Una domanda che
investe l’intero nostro agire nella società, la nostra capacità di “accumulare
forze” per determinare il cambiamento che vogliamo. Un lavoro ancora lungo,
evidentemente.
Nell’immediato quello che possiamo fare è forse cercare, fra le
persone in grado svolgere il compito di presidente della repubblica, la donna o
le donne da sostenere perché portatrici, prima di tutto, dei valori di
cambiamento che vadano nella direzione della parità e giustizia di genere, ma
non solo di genere, data per acquisita l’intersezionalità del movimento
femminista.
Da sostenere sia per il valore simbolico, sia considerando i requisiti
politici ed etici richiesti nella situazione concreta e il contesto nel quale
si andrà a svolgere il settennato. Che verosimilmente sarà segnato
dall’aggravarsi delle conseguenze sociali ed economiche della pandemia che,
ricordiamolo, si è innestata su una drammatica preesistente crisi dell’economia
capitalistica, contro la quale non esiste vaccino.
È prevedibile infatti, a smentita dell’ingannevole ottimismo dispensato
dai vari piani di recupero europei e nazionali, che si accentuerà la drammatica
polarizzazione della distribuzione delle risorse prodotta dalle politiche
neoliberiste, con la concentrazione della ricchezza in poche mani e
l’estensione della povertà relativa e assoluta. Cui si legherà l’inasprimento
di ogni forma di sfruttamento e violenza, oltre che della crisi ambientale, e
un aumento senza precedenti delle spese militari e delle tensioni
internazionali.
In questo contesto va inscritta la crisi profonda delle istituzioni
politiche, quella che già viene descritta come “crisi verticale delle
democrazie costituzionali” (non solo italiana, quindi, basti pensare a quanto
sta accadendo negli Stati Uniti) indebolite dai potentati economico-finanziari
multinazionali, sempre più remissive di fronte ai revanscismi neofascisti e
suprematisti, sempre meno capaci di esprimere rappresentanze politiche e
parlamentari in grado di contrastarla.
E sta tutta dentro questa
crisi l’indecente candidatura di Berlusconi, contro la quale noi donne poniamo
il nostro veto senza se e senza ma.
Insomma, vogliamo una donna dal profilo politico ed etico
affidabile in previsione di una stagione che sarà prevedibilmente di
regressione generale.
Un’ultima considerazione riguarda la preoccupazione emersa per la
frammentazione dei movimenti sociali progressivi potenzialmente capaci di
resistere: movimenti giovanili, sindacali, ambientalisti… incluso quello delle
donne. Se infatti è inoppugnabile che la soggettività, libertà e responsabilità
del genere femminile si siano affermate al grado più alto negli ultimi decenni,
è pur vero che esse poggiano sulle gambe di un movimento molto frammentato. E
se questa è una preoccupazione fondata, sta a noi lavorarci.
Per il momento la discussione resta aperta sulla domanda: siamo
d’accordo per una donna al Quirinale, ma è sufficiente che convergiamo sulla
descrizione del suo profilo politico ideale? o è opportuno indicare anche dei
nomi di donne che più corrispondano a quel profilo? O sarebbe meglio convergere
su un nome? La discussione fra noi è a questo punto.
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