Carla Ravaioli durante il seminario Donne e lavoro nel Medierraneo (Gallipoli 1998)
Foto C.Gerardi
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Il 16 gennaio di cinque anni fa ci lasciava Carla Ravaioli. Giornalista, saggista, politica, autrice di testi sul femminismo che sono stati veri e propri “cult”. E, per ultimo ma non ultimo per noi, co-fondatrice dell’AWMR Italia, venti anni fa.
di Ada Donno
Ci lasciò del tutto impreparate, costernate, la
notizia della sua morte, quella mattina del 16 gennaio 2014, il giorno
successivo al suo novantunesimo compleanno. Ad ucciderla era stato un malore,
forse per aver ingerito una dose eccessiva di medicinali. La donna che
l’assisteva l’aveva trovata riversa a terra, a pochi passi dal tavolo della
cucina, in casa, a Roma. Su alcuni giornali scrissero che tutto faceva pensare a un suicidio. «Soffriva di solitudine
esistenziale» , scrissero altri. Ma le amiche che le erano più vicine
protestarono che no, non poteva essere vero, non si toglie la vita una persona
che ti ha salutato la sera prima dandoti appuntamento al cinema per il giorno
dopo! Non chiude così la sua vita chi ha nella mente un nuovo progetto di
lavoro!
Ma che importa, a questo punto? La vita di Carla Ravaioli resta formidabilmente
intatta e luminosamente esemplare per le donne (e gli uomini) che da lei hanno
appreso a leggere la realtà con sguardo rigoroso e problematico, ma fecondamente
teso verso le possibilità di cambiamento, come era il suo.
Nata a Rimini il 15 gennaio 1923 – raccontano le brevi note biografiche
sulle retrocopertine dei suoi libri - e laureatasi in Lettere all'Università di Bologna, dai
primi anni Cinquanta fino agli anni Settanta Carla Ravaioli ha vissuto e lavorato a Milano, come giornalista.
Nel corso dei decenni dedicati alla professione giornalistica
ha collaborato con "Il Giorno", "L'Europeo", "Il
Messaggero", "La Repubblica", "Il Manifesto" e la
Rai-tv; ha anche collaborato a diverse riviste, quali "Tempi
moderni", "Rinascita", "Critica marxista", “Liberazione”.
La felice attitudine
all’osservazione analitica e alla scrittura, unita alla progressiva
motivazione sociale e politica, la portano ben presto ad affermarsi come acuta saggista
che osserva e racconta prevalentemente i fenomeni legati alla condizione
femminile nella società moderna. Sul finire degli anni ’60 si accosta ai temi
del femminismo, che segue, dapprima con attenzione vigile e, via via, con
sempre più convinta adesione.
Carla Ravaioli e Sancia Gaetani (foto C.Gerardi) |
Soggetto preferito d’indagine sono le donne
emancipate, ma non ancora liberate dai riti e retaggi del patriarcato. In “La donna contro se stessa”,
pubblicato nel 1969, ne analizza con sguardo severo limiti e difetti,
soprattutto dal punto di vista culturale e psicologico. In realtà, come
ammetterà nella prefazione alla riedizione del libro dieci anni dopo, lei
stessa vi si riconosce e la stesura di quel libro («il mio libro più laborioso
e tormentato») è per certi versi una sorta di solitaria autocoscienza, che
anticipa quelli che saranno argomenti e modalità collettive del femminismo
degli anni ‘70. Partendo dall’osservazione della realtà e dalle letture allora
disponibili (De Beauvoir, Friedan, Sullerot…), indaga i ruoli storicamente
assegnati ai due sessi (l’uomo produttore, la donna riproduttrice) che trovano
la loro più esemplare formulazione nella forma attuale della famiglia, secondo
le esigenze del sistema sociale complessivo.
«È nella famiglia – scrive – che la donna si trova a
vivere una sessualità ancestralmente mutilata e a subire la separazione dal suo
stesso corpo, come da cosa che non le appartiene, che viene usata da altri,
terreno di conquista maschile e merce di scambio, da barattare contro la
sicurezza economica. È nella famiglia che, mediante l’educazione differenziata
secondo il sesso e i modelli di comportamento proposti dai genitori, vengono
“fabbricati” uomini e donne conformi ai ruoli sociali che li attendono, e addestrati
fin nel più profondo della psiche a una gerarchia di rapporti omogenei a quelli
che fondano e reggono la società. È ancora nella famiglia che la donna viene
indotta a identificarsi totalmente con la “legge del padre” che la opprime,
fino a farsene lei stessa portatrice e rigida garante nei confronti dei figli».
Appunto, la “donna contro se stessa”.
Avvertendo «tutte le angustie e le insufficienze» di
un modello di donna emancipata «sostanzialmente ricalcato su quello maschile»,
formula l’esigenza di un «modello diverso da inventare, di una nuova identità
femminile da riscoprire dopo aver buttato via quella che la storia ha cucito
addosso alle donne» e che le donne hanno interiorizzato fin nel profondo.
Il femminismo risponde, proponendosi di polverizzare i
dettami del patriarcato, a questa esigenza e traduce un dramma privato in
un’urgenza sociale e politica.
L’attenzione si concentra poi sull’analisi della
relazione fra i due sessi. In “Maschio per obbligo” (1973), scandaglia
le ansie degli uomini nel conservare a tutti i costi il ruolo stabilito
dall’ordine patriarcale, nei confronti di mogli, figlie, colleghe di lavoro.
Scrive ancora “La mutazione femminile. Conversazioni con Alberto Moravia sulla donna”
(1975), “La questione femminile - Intervista col PCI” (1976).
Progressivamente, in concomitanza col trasferimento a
Roma e con l’esperienza parlamentare (nel ’79 viene eletta al Senato per
Sinistra Indipendente), il suo sguardo s’allarga ai temi socio-economici più
generali, senza però perdere il punto di osservazione privilegiato, che resta
quello della realtà femminile. La sua indagine approda a una critica via via
più radicale del modello socioeconomico capitalistico, dei suoi guasti (le
diseguaglianze sociali e la distruzione dell’ambiente fra i primi), e alla
ricerca di “vie di scampo” possibili.
Carla Ravaioli con (a sin.) Mirella Converso e Aisha Bouabaci |
Libertà delle donne, liberazione del lavoro, difesa
dell’ambiente, necessità del disarmo e della pace si fondono nel suo lavoro
teorico, in “Il quanto e il quale - La cultura del mutamento” (1982), “Tempo da vendere, tempo da usare”
(1986), “Il pianeta degli economisti - Ovvero 1’economia contro il pianeta” (1992) “La crescita fredda” (1995), “Processo
alla crescita, Dialogo con Bruno Trentin” (2000). In “Un mondo diverso è necessario”
(2002) va alla ricerca
di un nuovo paradigma di sviluppo.
Ma chi sono i soggetti sociali del cambiamento? La sua
attenzione si rivolge ancora alle donne. «Io credo che le donne potrebbero
molto… proprio le donne avrebbero ragione di combattere una società definita
dal dominio del produrre, è da loro che potrebbe partire la spinta di un
profondo cambiamento». S’accorge però di
dover usare i condizionali, perché «per ora nulla del genere sta accadendo. Per
lo più le donne che aspirano a inserirsi nel ‘sistema lavoro’ tendono ad
assumere comportamenti e mentalità maschili, spesso, ahimè, senza abbandonare
atteggiamenti seduttivi, magari da strumentalizzare nella scalata al successo,
secondo la più trita e meno apprezzabile tradizione femminile… Le donne
dovrebbero fare un’analisi seria dello scotto che pagano per fare carriera. E
capire che certi metodi nulla hanno a che fare con la libertà cui giustamente
aspirano. Allora davvero forse troverebbero la forza di cambiare il mondo.
Magari incominciando a salvarlo dalla catastrofe ambientale …».
Quanto al soggetto politico, s’aspetta riposte diverse
dalla sinistra: «Non c’è sinistra senza la capacità di capire che lo sviluppo
che si sta seguendo è insensato e inumano», dice. Critica il “pensare piccolo”
comune ad ogni livello di responsabilità pubblica, che continua a riferirsi
all’immediato interesse e non azzarda guardare oltre i confini dell’utile
individuale, accantonando problemi troppo grossi e troppo nuovi per i quali
mancano coraggio e lucidità.
Parte da sé: «Da gran tempo mi ero convinta della
doppia insostenibilità, sociale ed ecologica, di un sistema economico
organizzato sull’accumulazione indefinita di plusvalore, che non poteva
prescindere dallo sfruttamento crescente e ugualmente offensivo del lavoro e dell’ambiente
naturale, come dall’uso sempre più frequente, e ormai accettato senza scandalo,
della guerra come sostegno all’economia».
Incita a «trovare il coraggio di gridare ciò che
finora è stato universalmente rimosso (o volutamente occultato): che il capitalismo
in sé, e non solo nella sua attuale versione neoliberistica, è assolutamente
incapace di controllare, e men che mai risolvere, il rischio ecologico, perché
per farlo dovrebbe contraddire la sua stessa “ratio”, dovrebbe negare se stesso».
Nell’ultimo scorcio della sua vita si dedica a questa
ricerca attraverso l’attività in ARS (Associazione per il Rinnovamento della
Sinistra, che ha fondato con Aldo Tortorella). Fra “molti dubbi e qualche
speranza”, combatte la sua battaglia teorica contro il neoliberismo che induce
alla distruzione delle risorse ambientali, al consumismo sfrenato, all’idea
ossessiva della crescita illimitata, alla violenza e al riarmo, alla
sopraffazione dei popoli in via di sviluppo. Ma da dove cominciare ad indicare «un
varco attraverso cui avviare il possibile rinnovamento di una realtà come
quella attuale: ecologicamente, economicamente, socialmente, umanamente non più
accettabile»? In “Ambiente e pace una sola
rivoluzione”, edito nel 2008 da Punto Rosso, tenta una risposta: incominciare
dalle armi, che, oltre alla loro funzione distruttiva e assassina,
rappresentano una quota cospicua della produzione industriale e dei profitti (tanto
che, quando l’economia è in crisi, si ricorre alla guerra per rimetterla in
moto. «Incominciare a disarmare l’Europa: non può essere un’idea?». Un’idea al
limite dell’utopia, ammette lei stessa con lucida disperazione.
Sempre attenta a ciò che si muoveva nel panorama femminista,
curiosa, pur nel suo rigore analitico, di cogliere le diversità, ciò che di
differente e nuovo incontrava rispetto al suo vissuto: credo sia stato questa
pulsione a spingere Carla Ravaioli a venire al convegno internazionale “Donne e lavoro nel Mediterraneo”, a
Lecce e a Gallipoli, in quel luglio 1998. E poi ad aderire al nostro progetto di costituzione dell’AWMR
Italia, nel maggio 1999.
Se dicessi che il nostro rapporto è stato assiduo e la nostra
collaborazione intensa, direi una cosa non vera e Carla Ravaioli non merita
millanterie simili post mortem. Il più delle volte non poteva essere presente
ai nostri annuali appuntamenti internazionali perché era assorbita da questo o
quell’altro suo lavoro di ricerca meticolosa e di lungo respiro, da cui
scaturivano le sue pubblicazioni, ma posso dire che la sua attenzione sulla
nostra attività era costante, ci teneva ad esserne informata, a ricevere gli
atti e la documentazione che producevamo.
Nel corso di questo quinto anno dal suo ultimo viaggio,
vorremmo dedicare a lei, alla sua intensa e fertilissima vita, una giornata di riflessione e di studio sui
suoi testi, in cui poter dire quanto la riflessione di Carla Ravaioli sia
stata di stimolo e arricchimento per tante donne (e gli uomini) della mia
generazione. Ma soprattutto, quanto può ancora esserlo per le generazioni che
son venute dopo.
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