183 studiose e studiosi di diritto costituzionale e di altre discipline giuridiche, economiche e sociali spiegano perché voteranno NO al referendum sul taglio dei parlamentare il 20 settembre. Riproduciamo integralmente il testo dell'appello per la chiarezza e linearità delle argomentazioni, che condividiamo.
Riduzione dei parlamentari: noi votiamo NO!
Noi,
docenti, studiose e studiosi di diritto costituzionale e di altre scienze
giuridiche, economiche e sociali, vogliamo spiegare le ragioni tecniche per le
quali ci opponiamo alla riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari,
illustrando i rischi per i principi fondamentali della Costituzione che la
revisione comporta.
Si precisa
che il presente documento scaturisce da un’iniziativa autonoma e totalmente
indipendente sia dal Coordinamento per la democrazia costituzionale (CDC), sia
dal Comitato nazionale per il No al taglio del Parlamento, così come da ogni
altro ente, organismo e associazione, esprimendo considerazioni frutto
esclusivamente dell’elaborazione collettiva dei sottoscrittori.
Il testo di
legge costituzionale sottoposto alla consultazione referendaria, introducendo
una riduzione drastica del numero dei parlamentari (da 945 componenti elettivi
delle due Camere si passerebbe a 600), avrebbe un impatto notevole sulla forma
di Stato e sulla forma di governo del nostro ordinamento. Tanti motivi inducono
a un giudizio negativo sulla riforma: qui si illustrano i principali.
1) La
riforma svilisce, innanzitutto, il ruolo del Parlamento e ne riduce la
rappresentatività, senza offrire vantaggi apprezzabili né sul piano
dell’efficienza delle istituzioni democratiche né su quello del risparmio della
spesa pubblica.
I fautori
della riforma adducono, a sostegno del «SÌ» al referendum, la riduzione di
spesa che la modifica della composizione delle Camere determinerebbe. Si
tratta, però, di un argomento inaccettabile, non soltanto per l’entità
irrisoria dei tagli di cui si parla, ma anche perché gli strumenti democratici
basilari (come appunto l’istituzione parlamentare) non possono essere sacrificati
o depotenziati in base a mere esigenze di risparmio.
La riduzione
del numero dei parlamentari non deriverebbe, inoltre, da una riforma ragionata
del bicameralismo perfetto (il vigente assetto parlamentare in base al quale le
due Camere si trovano nella stessa posizione e svolgono le medesime funzioni).
Tale sistema non sarebbe toccato dalla legge costituzionale oggetto del
referendum.
Spesso si fa
riferimento agli esempi di altri Stati ma non può correttamente compararsi il
numero dei componenti delle Camere italiane con quello di altre assemblee
parlamentari in termini astratti, senza tenere conto del numero degli elettori
(e, dunque, del rapporto eletti/elettori). Si trascura, inoltre, che in molti
degli ordinamenti assunti come termini di paragone si riscontrano forme di
governo e tipi di Stato diversi dai nostri.
2) La
riforma presuppone che la rappresentanza nazionale possa essere assorbita nella
rappresentanza di altri organi elettivi (Parlamento europeo, Consigli
regionali, Consigli comunali, ecc.), contro ogni evidenza storica e contro la
giurisprudenza della Corte costituzionale.
I fautori
della riforma sostengono ancora che la riduzione del numero dei parlamentari
non arrecherebbe alcun danno alle esigenze della rappresentatività perché
sarebbero già tanti gli organi elettivi (Parlamento europeo, Consigli
regionali, consigli comunali, ecc.) la cui formazione dipenderebbe dal voto dei
cittadini. La rappresentanza nazionale, secondo questa tesi, potrebbe trovare
un’espressione parcellizzata in altri luoghi istituzionali.
A
prescindere, però, da ogni altra considerazione sul ruolo e sulle competenze
degli organi elettivi richiamati (ad esempio, i Consigli regionali italiani non
sono paragonabili ai parlamenti degli Stati membri di una federazione), si può
ricordare che la Corte costituzionale ha chiarito che «solo il Parlamento è
sede della rappresentanza politica nazionale, la quale imprime alle sue
funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile».
Basta
leggere, del resto, le materie attribuite dalla Costituzione alla competenza
esclusiva del legislatore statale (e considerare l’interpretazione estensiva
che di molte di queste materie ha dato la stessa Corte costituzionale nella sua
giurisprudenza) per avere un’idea dell’importanza delle Camere.
3) La
riforma riduce in misura sproporzionata e irragionevole la rappresentanza di
interi territori.
Per quanto
riguarda la nuova composizione del Senato, alcune Regioni finirebbero con
l’essere sottorappresentate rispetto ad altre. Così, ad esempio, l’Abruzzo, con
un milione e trecentomila abitanti, avrebbe diritto a quattro senatori, mentre
il Trentino-Alto Adige, con le sue due province autonome e con una popolazione
complessiva di un milione di abitanti, avrebbe in tutto sei senatori; e ancora
la Liguria, con cinque seggi, avrebbe una rappresentanza al Senato, in sostanza,
della sola area genovese.
4) La
riforma non eliminerebbe ma, al contrario, aggraverebbe i problemi del
bicameralismo perfetto (anche se è spesso presentata dai suoi sostenitori come
un intervento volto a raggiungere gli stessi obiettivi di precedenti progetti
di riforma, diretti a rendere più efficiente l’istituzione parlamentare).
Come si è
già detto, l’attuale riforma non introduce alcuna differenziazione tra le due
Camere ma si limita semplicemente a ridurne i componenti, il cui elevato numero
costituisce una caratteristica del Parlamento e non del bicameralismo perfetto.
Tale assetto, in teoria, potrebbe anche essere modificato senza alterare in
modo così incisivo il numero dei parlamentari, anche solo per il tramite di una
contestuale riforma dei regolamenti parlamentari di Camera e Senato. Al
contrario, se si considerano i problemi di rappresentanza di alcuni territori
regionali che la riforma comporterebbe, risulta che paradossalmente la legge in
questione finirebbe con l’aggravare, anziché ridurre, i problemi del
bicameralismo perfetto.
5) La
riforma appare ispirata da una logica “punitiva” nei confronti dei
parlamentari, confondendo la qualità dei rappresentanti con il ruolo stesso
dell’istituzione rappresentativa.
La revisione
costituzionale sembra essere espressione di un intento “punitivo” nei confronti
dei parlamentari – visti come esponenti di una “casta” parassitaria da
combattere con ogni mezzo – ed è il segno di una diffusa confusione del
problema della qualità dei rappresentanti con il ruolo dell’organo
parlamentare. Non è dato riscontrare, tuttavia, un rapporto inversamente
proporzionale tra il numero dei parlamentari e il livello qualitativo degli
stessi. Una simile riduzione dei componenti delle Camere penalizzerebbe
soltanto la rappresentanza delle minoranze e il pluralismo politico e potrebbe
paradossalmente produrre un potenziamento della capacità di controllo dei
parlamentari da parte dei leader dei partiti di riferimento, facilitato dal
numero ridotto degli stessi componenti delle Camere.
Non può
trascurarsi, inoltre, lo squilibrio che si verrebbe a determinare qualora,
entrata in vigore la modifica costituzionale, non si avesse anche una modifica
della disciplina elettorale, con essa coerente, tale da assicurare – nei limiti
del possibile – la rappresentatività delle Camere e, allo stesso tempo,
agevolare la formazione di una maggioranza (sia pur relativamente) stabile di
governo.
È illusorio,
in conclusione, pensare alle riforme costituzionali come ad azioni dirette a
causare shock a un sistema politico-partitico incapace di autoriformarsi, nella
speranza che l’evento traumatico possa innescare reazioni benefiche. Una
cattiva riforma non è meglio di nessuna riforma. Semmai è vero il contrario.
Respingendo questa riforma perché monca e destabilizzante, ci sarebbe spazio
per proposte equilibrate che mantengano intatti i principi fondanti del nostro
ordinamento costituzionale; al contrario sarebbe più difficile mettere in
discussione una riforma appena avallata dal corpo elettorale. Occorrono, in
definitiva, interventi idonei ad apportare miglioramenti al sistema nel
rispetto della democraticità e della rappresentatività delle istituzioni.
Per queste
ragioni noi voteremo convintamente «NO»!
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