Tra i fatti più eclatanti del ricco dibattito di
queste giornate è stata segnalata la grave corruzione dell’Agenda ‘Donne, Pace
e Sicurezza’. Un caposaldo di innovazione della politica internazionale del XXI
secolo, nato dalla risoluzione n.1325 adottata all’unanimità dal Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite nell’ottobre del 2000, per aumentare le tutele
contro le note e secolari violenze su donne e ragazze durante i conflitti, ma
soprattutto per porre al centro il ruolo attivo delle donne nel mantenimento e
nella promozione della pace e nella risoluzione dei conflitti.
Un primo passo per un diverso approccio al tema della
sicurezza che ha dato luogo negli ultimi vent’anni a politiche attive su scala
internazionale, nazionale e locale. Un lavoro che secondo le attiviste rischia
oggi di essere vanificato perché tradito nel suo spirito iniziale a causa di
declinazioni deformanti sull’approccio di genere nei piani nazionali messi in
opera. Senza contare il crescente militarismo portato nelle scuole pubbliche e
la militarizzazione della ricerca scientifica.
Bruxelles Parlamento Europeo, 6 luglio 2023: la delegazione delle Global Women for Peace united against NATO incontra le parlamentari GUE/NGL |
Durante il dibattito del 6 luglio presso il Parlamento Europeo, due europarlamentari del gruppo GUE/NGL Sinistra Europea, Clare Daly e Özlem Demirel, hanno incontrato pienamente i punti fondamentali della Dichiarazione per la pace formulata dalla rete delle donne per manifestare una precisa volontà politica. Il gruppo lavora per una nuova struttura di sicurezza per l’Europa, che si può ottenere solo attraverso lo smantellamento della NATO e attraverso lo sviluppo di diplomazia e relazioni internazionali che abbiano come chiave di volta la centralità della posizione della donna in un mondo multipolare, votato ad una maggiore giustizia sociale e ad una crescente solidarietà globale. Le linee femministe e umaniste non hanno però lo spazio che meritano per potersi sviluppare appieno in un mondo che le vorrebbe corrompere e che rischia nuovamente di precipitare a caduta libera nella formula esasperata del dominio militare.
«Quella delle donne globali unite contro la Nato è una
dichiarazione mai necessaria come ora – ha sostenuto infatti Clare Daly – che il
femminismo è stato spietatamente cooptato dal complesso industriale militare
[…] la NATO si è basata sul potere dei social media e sul peso emotivo delle
politiche identitarie e sta sfruttando
gli influencer online e la più
sottile concezione dell’uguaglianza di genere per spingere la sua agenda
patriarcale e militarista…abbiamo tutti sentito parlare di greenwashing da parte delle aziende; è ora di iniziare a parlare di
girl-washing da parte del complesso
industriale militare».
Anche Özlem
Demirel ha insistito sulla questione della militarizzazione e la corsa agli
armamenti. «Clare ed io abbiamo sentito molti discorsi al riguardo in questa
casa – è l’obiettivo principale e anche l’argomento utilizzato per raccontare
questa guerra. Il ministro degli Esteri tedesco parla di una politica estera
femminista ma intende la militarizzazione. Le donne invece sono per la pace! La
NATO ci sta dicendo che noi/loro lotteremmo per la democrazia, raccontandoci
che vogliono combattere per i diritti delle donne. Eppure noi sappiamo
dolorosamente dal nostro passato, e dal presente, che il militarismo e la
guerra indeboliscono sempre e ovunque i diritti delle donne e la democrazia».
Patrizia
Sterpetti, di WILPF Italia – storica organizzazione pacifista
il cui operato è stato rilevante affinché si inserisse nel piano nazionale
italiano il tema del disarmo – ha partecipato al controvertice quale portavoce,
insieme a numerose donne italiane, consegnando alle due europarlamentari dei
dossier sulla situazione in Italia e sulla questione delle servitù militari in
Sardegna. Documenti che sollevano l’illegittimità della presenza di armi
nucleari in Italia e che denunciano le gravi mancanze rispetto alla tutela
della salute pubblica e dell’ambiente nei siti dove sono state collocate le
basi militari, contribuendo a portare all’attenzione europea problemi che non
dovrebbero restare circoscritti al solo contesto nazionale.
Siamo
all’indomani del Vertice di Vilnius e ciò che emerge in questi giorni è che si
sottolinea ancora la militarizzazione delle relazioni internazionali, alle
quali voi vi siete opposte fin dall’anno scorso, a partire dalla presentazione
dell’ultimo strategic concept 2022 della NATO a Madrid e che già allora avete
criticato. Cosa è emerso con questo vostro nuovo incontro a Bruxelles?
Durante l’incontro presso il Parlamento Europeo si è
sostanziato in maniera molto accurata il fatto che è stata progressivamente modificata
e manipolata l’Agenda donne, pace e sicurezza, che è stato il frutto di tanto
lavoro e impegno politico da parte delle donne nel corso del tempo. Il riconoscere da parte di tutte che
l’eguaglianza e lo sviluppo sono possibili soltanto in un’atmosfera di pace,
mentre la Nato non ha fatto altro che impossessarsi dell’agenda e trasformare
il messaggio femminista in una militarizzazione della presenza delle donne,
ponendole come protagoniste del militarismo. Purtroppo, coinvolgendo e
sponsorizzando anche delle figure molto note e creando questo nuovo modello.
L’idea soggiacente è di arrivare a una politica estera femminista che è
soltanto una politica in cui sostanzialmente sono presenti le donne, ma senza
il portato del femminismo. Senza cioè quel messaggio non competitivo,
cooperativo, che aborrisce la violenza e che è contrario alla guerra.
Voi
volete smascherare la narrazione ufficiale rispetto alla NATO, ovvero che sia
un patto eminentemente difensivo, quando invece sappiamo che in realtà l’alleanza
si espande. Oltre ad allargare l’adesione agli Stati che vogliano farvi parte,
anche attraverso le proprie basi militari.
Sì. È un’entità che, sebbene cerchi di inglobare nuovi
soggetti, come ha fatto con il Giappone, per appunto circondare la Cina e la
Russia, è sostanzialmente un soggetto autoritario ed è estremamente parziale
dal punto di vista geografico, perché chiaramente difende essenzialmente gli
interessi dell’Occidente. Per le basi sono poi stati scelti storicamente dei
luoghi incontaminati, bellissimi. Spesso delle isole trasformate in luoghi
contaminati e di grande sofferenza. Personalmente, come italiana, ho consegnato
a Clare Daly e a Özlem Demirel, una serie di dossiers relativi alla Sardegna e
legati a diversi aspetti, ovvero alla criminalizzazione dei difensori dei
diritti ambientali e in particolare faccio riferimento ai quaranta attivisti
incriminati per l’operazione “lince”, accusati addirittura di terrorismo. La
problematica relativa al fatto che non esiste un registro dei tumori in Sardegna,
il fatto che la legge, il testo unico dell’ambiente, non include le attività
militari nell’esame delle attività contaminanti e pericolose, e poi anche le
questioni legate alle proposte che fanno i militari per fare delle bonifiche,
sempre però trascurando aspetti fondamentali e con l’intento non di ritirarsi
dalle attività militari, ma di ripristinarle… mi riferisco alla cosiddetta
penisola Delta. C’è poi anche il problema dell’espansione della RWM, che è
stata bloccata, ma per la quale c’è un contenzioso. Ci sono veramente molte
vittime in Sardegna a causa delle attività militari nelle basi. Persone che
sono nate con delle modificazioni genetiche, cioè che a causa delle
contaminazioni provocate da queste attività, sono nate con malformazioni. Ci sono
persone in uno stato di grande sofferenza. E quindi ho consegnato questi
dossiers insieme a un testo che abbiamo commissionato, unitamente a venti
associazioni di cui è capofila l’associazione Abbasso la guerra, a IALANA,
l’International Association of Lawyers Against Nuclear, sulla illegittimità
della presenza di armi nucleari in Italia. Questi due materiali sono stati
consegnati alle due europarlamentari con un chiaro invito a compiere una
missione di ascolto e di visita alla Sardegna.
Che
aria si respirava durante i vostri tavoli e cosa è emerso di significativo dal
lavoro seminariale?
La presenza era di donne veramente molto affiatate in
un atteggiamento orizzontale e di grande collaborazione. È stata un’iniziativa
organizzata con pochissime risorse, basata su una precisa volontà di non
arrendersi e non fare assolutamente passare certi messaggi ma contrastarli e
fare chiarezza. Dimostrare tutta l’opposizione in maniera costante. Tra i
risultati più importanti è stata emanata una dichiarazione sintetica contro
l’uso delle bombe a grappolo e l’uso dell’uranio impoverito4. Le donne si sono
divise in gruppi di lavoro che continueranno le loro attività in futuro. Un
gruppo, su ispirazione dell’Osservatorio italiano contro la militarizzazione
delle scuole, diventerà un osservatorio mondiale, e il tema verrà trattato da
un punto di vista comparativo. Un secondo riguarderà il rapporto fra
militarismo e ambiente, e un terzo continuerà a lavorare sulla manipolazione
della risoluzione n. 1325 (2000) del Consiglio di sicurezza. Quindi sulla non
militarizzazione delle donne e sull’investimento delle donne nella mediazione,
nella prevenzione di conflitti e nella protezione delle vittime dei conflitti.
L’ultimo gruppo verterà sul coinvolgimento del Sud globale, riconosciuto come
appunto una delle grandi speranze anche rispetto alla possibile soluzione del
conflitto russo-ucraino, e cioè l’idea del Brics e dei paesi del Sud Globale di
aumentare il dialogo e il loro coinvolgimento. Un osservatorio molto
importante, perché molti piani nazionali di attuazione della 1325 sono appunto
sporcati dall’ ingerenza della NATO che invece ha fatto propria la risoluzione
e ha cercato sempre più di investire in giovani donne nei ruoli apicali. E
purtroppo molte ci sono cascate.
È
molto interessante quello che emerge, perché c’è chiaramente la lotta al
patriarcato e ai suoi mezzi più infimi nelle vostre istanze. Proprio perché i
piani di guerra appartengono alla sua logica di autorità e ad una visione
improntata ancora all’imperialismo e al colonialismo. Quindi, da qui la
speranza riposta verso i paesi decolonizzati?
Sì, assolutamente. La consapevolezza che la Nato abbia
un suo nocciolo molto legato alla dimensione occidentale, alla difesa armata e
non democratica delle proprie prerogative è chiarissima. Infatti, le voci che
si sono sollevate per raccontare i danni causati ovunque nel mondo, erano voci
del Sud Globale. Gli incontri che si sono svolti il 7 e l’8 luglio sono proprio
partiti con le analisi relative all’Europa per poi spostarsi all’Africa, al
Nord America, all’America Latina, e poi a tutta l’Asia-Pacifico. C’erano voci
mondiali e per questo è stato molto importante. C’è l’idea di rivedersi il
prossimo anno a Washington, e soprattutto, considerando molto importante la funzione
dell’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e per la Cooperazione, una delle
proposte è di organizzare nel 2025 una grossa conferenza con una nuova
impostazione sicuritaria che rispecchi invece i principi di Helsinki e quindi
la cooperazione fra est e ovest. Così come la lotta comune ed unita verso i
grandi problemi del mondo. Si è infatti anche parlato molto di dimensione
culturale, cioè dell’importanza di fare cultura e arte nel pacifismo, e non è
un caso che la convitata ucraina alla conferenza si occupasse di minoranze
linguistiche. C’è poi stato chiaramente il riferimento anche alla guerra in
corso in Ucraina che per noi può essere bloccata soltanto mettendo a tacere il
militarismo.
Sono
però rare le voci che parlino concretamente di trattative di pace e assistiamo
invece a un’ulteriore escalation. Trovo quindi importante comprendere le
caratteristiche delle donne nel diverso approccio alla risoluzione dei
conflitti o anche alla loro prevenzione. Si possono delineare queste
specificità?
Le donne sono vicine alle vittime, cioè non tollerano la perdita e la morte ed è per questa ragione che sono per la mediazione. Per le donne nel femminismo c’è l’egualitarismo, il ripudio della violenza. C’è invece la dimensione della non gerarchia, della non competizione, della collaborazione. La cifra delle donne è totalmente diversa ed è inaccettabile che abbiano proposto una politica estera femminista militarizzata che metta al centro la guerra. Che legittimi la guerra. Questo è stato un grosso tradimento dei valori e dell’impegno di generazioni e generazioni di donne che sono partite da altre convinzioni e che hanno specificato che la guerra è l’ultima cosa che debba avvenire. Ora siamo arrivati addirittura al punto che la pace deve essere ottenuta in maniera bellica. Ecco, questo è veramente un rimescolare le carte in tavola. E chi fortunatamente ha una forte identità, lo svela in maniera inequivocabile.
*L’articolo è stato pubblicato su Transform!Italia: https://transform-italia.it/la-cifra-delle-donne/
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