03/08/25

Conferenza di Bogotá / Dare forza alla Palestina e ad un Nuovo Ordine Mondiale

Israele, con il pieno sostegno occidentale, ha fatto a pezzi, insieme ai corpi di centinaia di migliaia di palestinesi, il diritto internazionale, di fatto trasformando la Palestina in uno "stato di eccezione" in cui i palestinesi non sono protetti dalla legge, ma vengono invece disumanizzati, bombardati, fucilati, torturati, violentati e affamati.

Foto di Nathaniel St.Clair

di Ray Acheson* 

Una coalizione di stati transregionali si è riunita a Bogotá, in Colombia, a metà luglio per discutere misure volte a porre fine al genocidio palestinese da parte di Israele. Il conseguente impegno di alcuni di questi governi a interrompere ogni sostegno materiale a Israele e a rispettare il diritto internazionale rappresenta un importante passo avanti, non solo per porre fine al genocidio, ma anche per contrastare il crescente militarismo e le speculazioni degli stati occidentali. Il potere popolare è la forza alla base di questi impegni ed è ciò che porterà alla loro attuazione.

Mettere fine a ogni complicità 

Dal 15 al 16 luglio 2025, trenta stati si sono incontrati a Bogotá, in Colombia, per una Conferenza di Emergenza sulla Palestina, convocata congiuntamente da Colombia e Sudafrica in qualità di copresidenti del Gruppo dell'Aja.

Il Gruppo dell'Aja, composto da Bolivia, Colombia, Cuba, Honduras, Malesia, Namibia e Sudafrica, ha iniziato a organizzarsi nel gennaio 2025, costituendosi come un blocco di paesi che coordina l’implementazione di misure legali e diplomatiche in solidarietà con il popolo palestinese.

Alla conferenza di Bogotá di luglio hanno preso parte anche altri paesi provenienti da Africa, Asia, Europa e Americhe. In risposta al continuo e intensificato genocidio dei palestinesi da parte di Israele, i partecipanti alla conferenza hanno concordato all'unanimità che «l'era dell'impunità deve finire e che il diritto internazionale deve essere applicato senza timore o favoritismi attraverso politiche e legiferazioni interne immediate».

Dodici degli stati partecipanti – Bolivia, Colombia, Cuba, Indonesia, Iraq, Libia, Malesia, Namibia, Nicaragua, Oman, Saint Vincent e Grenadine e Sudafrica – si sono impegnati ad attuare sei misure per porre fine alla loro complicità con il genocidio dei palestinesi da parte di Israele. Queste includono:

*Impedire la fornitura di armi, equipaggiamento militare e strumenti a doppio uso a Israele, includendo il blocco del transito di tali materiali attraverso i loro territori o il trasporto su qualsiasi nave battente bandiera del loro paese;

*Impedire alle istituzioni pubbliche e ai fondi pubblici di sostenere l'occupazione illegale della Palestina da parte di Israele;

*Garantire l'accertamento delle responsabilità per i crimini relativi al diritto internazionale, attraverso indagini e procedimenti giudiziari indipendenti a livello nazionale o internazionale;

*Sostenere i mandati di giurisdizione universale per garantire giustizia alle vittime di crimini internazionali commessi nei Territori Palestinesi Occupati.

I 12 stati incoraggiano altri paesi ad unirsi a loro in impegni simili, esortandoli a farlo entro il 20 settembre 2025, data di inizio della prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Hanno inoltre invitato tutti gli stati ad adottare misure efficaci per chiamare Israele a rispondere delle sue violazioni del diritto internazionale, anche imponendo sanzioni.

Lo spirito di Bandung

La conferenza di Bogotà è una coraggiosa dimostrazione di multilateralismo in azione, attraverso la quale gli stati si sostengono a vicenda nel rispetto dei propri impegni ai sensi del diritto internazionale. Con i governi più militarizzati del mondo implicati in violenze di massa, è imperativo che altri paesi formino nuove coalizioni di forze per contrastarli e per costringerli a rendere conto delle loro azioni.

Settant'anni fa, nell'aprile del 1955, ventinove stati asiatici e africani si riunirono a Bandung, in Indonesia, per opporsi al "colonialismo in tutte le sue manifestazioni". Hanno adottato una Dichiarazione in dieci punti sulla promozione della pace e della cooperazione nel mondo, che incorpora i principi della Carta delle Nazioni Unite, i diritti umani, l'uguaglianza razziale, la sovranità territoriale e la non ingerenza.

Basandosi sui principi stabiliti alla Conferenza di Bandung, il Movimento dei Paesi Non Allineati (NAM) fu fondato nel 1961 dai leader dell'allora Jugoslavia, di Ghana, India, Indonesia e Repubblica Araba Unita. Il NAM era concepito come contrappeso ai blocchi statunitense e sovietico della Guerra Fredda. Rifiutava il colonialismo, l'imperialismo e ogni forma di aggressione e dominazione straniera.

Oggi il NAM esiste ancora. Tuttavia, le mutate dinamiche politiche, economiche e militari dei decenni successivi ne hanno ridotto il potere come alternativa alle strategie militari dell'Occidente e della Russia. Invece di opporsi al colonialismo, alcuni dei suoi membri fondatori, come l'India, sostengono il genocidio palestinese perpetrato da Israele. Due dei suoi membri, India e Pakistan, possiedono armi nucleari. Alcuni stati del NAM hanno stretto nuove alleanze con la Russia o con l'Occidente. Molti sono economicamente compromessi con l'Occidente o con la Cina attraverso programmi di aggiustamento strutturale o pacchetti di "aiuti allo sviluppo".

Queste relazioni hanno impedito a diversi stati del NAM di intraprendere azioni significative di fronte al genocidio. Anche se molti condannano retoricamente le azioni di Israele, la loro complicità continua sotto pressione economica o politica.

Pertanto, la necessità di un'alternativa significativa alle cosiddette "grandi potenze rivali" e al loro imperialismo dilagante insieme ai profitti di guerra è più che mai imperativa. Il Gruppo dell'Aja offre una possibile configurazione che potrebbe rafforzarne le capacità; altre configurazioni sono anche possibili e necessarie. La chiave sarà capire come questi paesi possano sostenersi a vicenda a fronte della potenza economica, politica e militare dell'Occidente, oltre che della Russia e della Cina, che vedono formazioni come questa come minacce al loro dominio. 

Armi di insediamento coloniale

Il governo degli Stati Uniti ha già accusato il Gruppo dell'Aja di cercare di "militarizzare il diritto internazionale come strumento per promuovere programmi radicalmente anti-occidentali". Questa osservazione è istruttiva, poiché considera il rispetto del diritto internazionale per prevenire il genocidio come anti-occidentale. Ciò ha senso se si considera il genocidio dei palestinesi da parte di Israele come l'ultimo di una lunga storia di genocidi coloniali occidentali e di attuali progetti imperialisti.

Come scrivono Nick Estes, Melanie K. Yazzie, Jennifer Nez Denetdale e David Correia in Red Nation Rising: From Bordertown Violence to Native Liberation, le società da insediamento coloniale necessitano di una violenza continua contro le popolazioni indigene per poter sostenere la vita dei coloni. Uno stato di coloni non può esistere senza soggiogare il mondo nativo preesistente; quindi, la "concezione omicida del colono" è "fondata su normative culturali, legali e politiche di sterminio e genocidio".

La maggior parte degli stati che traggono profitto dal genocidio israeliano sono colonizzatori: dai paesi europei che hanno devastato altri continenti per depredare risorse e manodopera, rubando ricchezze e distruggendo la vita indigena, agli stati di insediamento coloniale come Australia, Canada e Stati Uniti, che hanno perpetrato i propri genocidi per eliminare, incarcerare e dominare le popolazioni indigene. L'affermazione che il tentativo di sostenere la Convenzione sul Genocidio sia un programma anti-occidentale è comprensibile solo alla luce della brutale storia e pratica continua del colonialismo da parte dell'Occidente. 

Il genocidio è necessario al colonialismo di insediamento; il colonialismo di insediamento di Israele è necessario per i profitti bellici occidentali e per i tentativi di controllare le risorse energetiche nella regione. Gli Stati Uniti usano Israele come base militare per esercitare il loro potere in Medio Oriente a beneficio di pochi ricchi, in particolare appaltatori militari e dirigenti petroliferi. Inviano inoltre miliardi di dollari in armi e altri aiuti materiali a Israele, così come fanno Regno Unito, Canada, Australia, Germania e altri.

La "militarizzazione del diritto internazionale" non deriva dai paesi che cercano di sostenerlo. Deriva da coloro che affermano di sostenere il cosiddetto "ordine internazionale basato sulle regole", mentre lo violano aggressivamente per servire i propri interessi economici e politici. Dalle Convenzioni sul Genocidio al Trattato sul Commercio delle Armi, alle norme del diritto internazionale umanitario, della legge internazionale dei diritti umani e oltre, Israele viola ogni regola, norma e principio stabiliti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Al fine di garantire il "mai più" dopo l'Olocausto e il massacro della Seconda Guerra Mondiale, i governi del mondo hanno concordato codici di condotta che Israele, con il pieno sostegno dei suoi sostenitori occidentali, ha fatto a pezzi insieme ai corpi di centinaia di migliaia di palestinesi. Sono loro che hanno militarizzato il diritto internazionale, di fatto trasformando la Palestina in uno "stato di eccezione" in cui i palestinesi non sono protetti dalla legge, ma vengono invece disumanizzati, bombardati, fucilati, torturati, violentati e affamati. 

Potere popolare in Palestina

I paesi che si uniscono per formare nuove alleanze e sfidare questo "stato di eccezione", per chiamare Israele e i suoi protettori occidentali a rispondere delle loro azioni e per porre fine al genocidio potrebbero potenzialmente contribuire a forgiare un nuovo ordine mondiale. Se altri si unissero a loro, creando un ampio gruppo di stati non allineati nello spirito di Bandung per contrastare la potenza militare ed economica occidentale (così come quella russa e cinese), allora il diritto internazionale potrebbe non morire tra le macerie di Gaza.

La conferenza di Bogotà «segna una svolta, non solo per la Palestina, ma per il futuro del sistema internazionale», ha affermato Varsha Gandikota-Nellutla, segretario esecutivo del Gruppo dell'Aja. «Per decenni, gli stati, in particolare quelli del Sud del mondo, hanno sopportato il costo di un sistema internazionale in rovina. A Bogotà, si sono uniti per rivendicarlo, non a parole, ma con i fatti».

Più Stati dovrebbero avere il coraggio di aderire agli impegni di Bogotà e di iniziare a costruire le reti di solidarietà e sostegno necessarie per superare la pressione dei guerrafondai occidentali, nonché quella degli interessi imperiali russi e cinesi.

Tuttavia, è anche importante riconoscere che gli Stati, in generale, non sono schierati dalla parte dei popoli. Il più delle volte, operano a favore dei propri interessi di potere, privilegio e profitto, perfino a spese dei loro stessi popoli. Per quanto gli impegni assunti alla conferenza di Bogotá siano essenziali, essi possono essere attuati e incarnati solo attraverso il potere popolare.

Gli scioperi nei porti, le proteste nei siti di produzione di armi, il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, il rifiuto delle popolazioni a livello globale di partecipare al genocidio, chiamando i propri governi a risponderne, sono assolutamente vitali non solo per porre fine alle orribili sofferenze dei palestinesi ora, ma anche per costruire un nuovo sistema internazionale basato sulla solidarietà e sulla giustizia per tutti noi.

Costituire reti transnazionali di mutuo soccorso, campagne di cooperazione ed educazione politica sarà un elemento fondamentale per costruire un nuovo ordine mondiale che funzioni davvero per tutte e tutti noi. Ci opponiamo agli orrori autoritari globali, alla rinascita dell'estrema destra e a una violenza devastante in tutte le sue molteplici forme. Ma fra noi coloro che soffrono dell’attuale ordine mondiale sono molti di più di coloro che ne traggono profitto. Trovare una via d'uscita e creare qualcosa di nuovo, si può farlo solo unendoci. 

* Ray Acheson è direttrice di Reaching Critical Will, il programma per il disarmo della Women’sInternational League for Peace and Freedom (WILPF). Si occupa di analisi e advocacy presso le Nazioni Unite e altri forum internazionali su questioni di disarmo e smilitarizzazione. Ha fatto parte del gruppo direttivo della Campagna Internazionale per l'Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), che ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 2017 per il suo impegno a mettere al bando le armi nucleari, ed è anche impegnata in attività di lotta contro le armi autonome, il commercio di armi, la guerra e il militarismo, il sistema carcerario e altro ancora. È autrice di Banning the Bomb, Smashing the Patriarchy (Rowman & Littlefield, 2021) e Abolishing State Violence: A World Beyond Bombs, Borders, and Cages (Haymarket Books, 2022).