07/03/13

8 marzo 2013 (1)

Finché saranno nostre queste ragioni


E con questo son centotrè.  Secondo la tradizione, infatti, risale al 1910 la proposta, fatta da Clara Zetkin alla Casa del Popolo di Copenhagen, di dedicare un giorno dell’anno alle donne e alle loro lotte. Erano anni, quelli inziali del secolo scorso, segnati dalle prime grandi mobilitazioni delle donne lavoratrici che chiedevano condizioni di lavoro meno disumane, ed erano anche gli anni in cui le donne di tutti i ceti sociali manifestavano nelle strade d’Europa per i loro diritti civili e per la pace.
Ci vollero tempo e dimostrazioni e fatica, però, perché la data dell’otto marzo assumesse il significato di massa e la forza simbolica che oggi tutte le riconosciamo.
 
Tutte...o quasi tutte. Anche quest’anno, immagino, ci sarà qualcuna che riproporrà la polemica sul valore di questa giornata internazionale, oggi. E si dichiarerà allergica alla mimosa, e dirà che l’otto marzo è morto nel momento in cui il patriarcato se ne è appropriato e lo ha svuotato del suo significato originario. E che comunque non è più terra nostra, da quando i mass media, enfatizzandolo e banalizzandolo, lo hanno privato della sua forza simbolica; da quando il mercato lo ha ridotto all’ennesima occasione di profitto, poco più di San Valentino e qualcosa meno di Halloween. Per questo noi, giustamente indignate, ce ne allontaniamo.
E poi, per le donne non è forse “ottomarzo tutto l’anno”?
Trovo che ci sia molta ragione in questi argomenti. Ma penso anche: perché lasciare uccidere un simbolo? Il nostro simbolo? Perché lasciarci derubare di questa terra?
Se è vero che l’otto marzo ha un passato glorioso la cui memoria nessuno può cancellare, perché non tenercelo caro e consegnarlo così come lo abbiamo ricevuto dalle nostre madri alle donne più giovani, in modo che possano scriverne il futuro?
L’otto marzo può continuare ad essere quel luogo ideale in cui tutte noi c’incontriamo ogni anno, luogo che non ha bisogno di indicatori o coordinate per essere individuato, perché è dappertutto nello stesso momento. Ovunque parli la libertà delle donne, ovunque si esprimano le ragioni di coloro che puntano in alto, ad un cambiamento radicale della società, ad una riscrittura delle relazioni umane.
L’otto marzo può essere il luogo dove c’incontriamo perché c’è bisogno di unire i nostri sforzi per una ragione urgente che richiede l’azione immediata e corale di tutte: dove decidiamo di essere tutte immigrate clandestine – ad esempio – o tutte operaie licenziate; o profughe, esuli, perseguitate politiche. Possiamo dedicare questa giornata alla lotta contro l’abuso antico e sempre rinnovato che si fa del nostro corpo. O scegliamo di abitare in questa giornata i “luoghi difficili” delle nostre sorelle palestinesi assediate nelle loro terre, o iraniane condannate alla lapidazione. Oppure scegliamo di abitare in questa giornata altri luoghi in cui i diritti sono violati e la vita delle donne sembra non valere la pena.
Finché saranno nostre queste ragioni, l’otto marzo resterà nostro.
(A.D.)

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