30/01/21

Ultimi exploits della NATO


La maggiore preoccupazione che emerge nell’ultimo rapporto “NATO 2030: uniti per una nuova era” è: come mantenere il dominio occidentale in un mondo in cui la Cina sta crescendo economicamente?


Kate Hudson *


https://cnduk.org/natos-latest-exploits/

La NATO ha pubblicato un nuovo rapporto NATO 2030: uniti per una nuova era. Commissionato al vertice dei Capi di Stato della NATO tenutosi a Londra poco più di un anno fa, è progettato per rafforzare la dimensione "politica" della NATO. Con un'enfasi sull'unità e un maggiore coordinamento tra gli Stati membri, è stato senza dubbio commissionato per affrontare i problemi causati dalla presidenza Trump. Tuttavia, ora che questo è uscito dalla Casa Bianca, rivela l’attuale direzione che la NATO sta prendendo.

Gli elementi chiave di questa valutazione della NATO sono ciò che c’era da aspettarsi: in sostanza si tratta di auto-gratificazioni in quanto alleanza militare di maggior successo di ogni tempo, mentre si sottolinea la necessità di sempre maggiore coerenza politica. Si parla della necessità di adattarsi ai tempi e di affrontare le tecnologie emergenti e dirompenti. Si fa anche riferimento specifico al cambiamento climatico e alle pandemie.

L'accento sull'unità e sulla coesione politica porta il documento alla sua principale preoccupazione: come mantenere il dominio occidentale in un mondo in cui la Cina sta crescendo economicamente? La risposta della NATO è espandere il proprio orientamento al Pacifico asiatico, per far fronte all'"impatto" della Cina emergente.

Prima del lancio del rapporto, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha affermato che la Cina pone "importanti sfide alla nostra sicurezza", aggiungendo che la Cina "si sta avvicinando a noi". Il rapporto stesso afferma che la NATO dovrebbe trattare la Cina come un `` rivale sistemico a tutto campo, piuttosto che un attore puramente economico. '' Il contributo del Regno Unito sarà quello di inviare una portaerei nell'Asia del Pacifico questa primavera, mentre gli Stati Uniti aumenteranno la propria presenza militare nella regione.

Uno dei punti che abbiamo sottolineato nei nostri comunicati stampa in risposta è che questo segue un modello già visto dalla fine dell'ultima guerra fredda: la NATO opera fino ai confini dei paesi che considera rivali, in nome del «contenimento della loro espansione». Abbiamo visto come questo ha funzionato con l'espansione della NATO in Europa e questo documento fa riferimento anche a ciò: oltre due decenni di espansione della NATO, comprese le ex repubbliche sovietiche, è descritto come «la reincorporazione di nazioni ex prigioniere nell'Occidente democratico». Tuttavia, il documento dà la colpa del deterioramento delle relazioni con la NATO alla Russia e, nonostante l'orientamento contro la Cina, identifica ancora la Russia come la principale minaccia militare alla NATO.

Lavorare per prevenire la guerra fredda e la guerra con Russia e Cina rimane un punto centrale del nostro lavoro. La nuova amministrazione Biden bisogna che faccia marcia indietro rispetto alla retorica di Trump, torni ai Trattati e opti per soluzioni diplomatiche a problemi politici complessi. O pensiamo che spingere la Russia o la Cina nell'angolo attraverso l'espansionismo militare possa fermare una guerra? Il vero pericolo è che ne provochi una.

*Kate Hudson è segretaria generale di Campaign for Nuclear Disarmament (CND) e coordina le campagne contro il nucleare e la guerra sia nel Regno Unito che internazionalmente  

23/01/21

FORUM SOCIALE MONDIALE 2021 (virtuale)

 


Si è aperto oggi, con la Marcia Globale per la Democrazia, per una Vita degna e per il Pianeta, il Forum Sociale Mondiale virtuale. 24 ore in diretta sul canale https://wsf2021.net/  con la diffusione di video con testimonianze di leader di varie parti del mondo a sostegno di questi obiettivi e delle lotte popolari in tutto il mondo per raggiungerli.

L'edizione planetaria 2021 del World Social Forum sarà virtuale a causa della pandemia e si svolgerà dal 23 al 31 gennaio: durerà nove giorni, il più lungo mai tenuto in questi 20 anni.

Sarà un evento straordinario, volto a discutere e cercare risposte politiche globali e locali alle sfide serie e urgenti di questa congiuntura, in cui profonde crisi del capitalismo si sovrappongono e si alimentano a vicenda.

Questo Forum mira a contribuire in modo significativo al consolidamento di tutte le forze di resistenza in difesa di un mondo con giustizia sociale, economica e ambientale, in un periodo di inasprimento dell'autoritarismo, spoliazione e repressione politica e sociale senza pari in tutti i continenti… Oltre a dare il via alle celebrazioni del 20 ° anniversario del Forum Sociale Mondiale.

Da quando fu creato nel gennaio 2001 a Porto Alegre, capitale dello stato del Rio Grande do Sul, Brasile – diffondendosi e influenzando le politiche pubbliche in tutto il mondo con edizioni planetarie e Forum tematici, regionali e nazionali - il Forum Sociale Mondiale è stato il processo più ampio nella lotta contro il capitalismo neoliberista che ha riunito movimenti sociali, sindacali, culturali, progressisti, antimperialisti, femministi, ambientalisti, indigeni, dei popoli ancestrali e molti altri.

Dal 24 al 29 si terranno grandi Panel su ciascuno degli Spazi Tematici del Virtual WSF (https://wsf2021.net) oltre a numerose attività autogestite, caratteristica di tutti i Forum.

La penultima giornata sarà dedicata alle Assemblee di Convergenza: articolazioni globali, azioni, lotte e campagne politiche.

L'ultimo giorno, il 31/01, ci sarà l'Ágora dos Futuros, un'attività in cui movimenti sociali e organizzazioni di tutto il mondo presenteranno le loro azioni, lotte e campagne che dovrebbero estendersi durante l'anno 2021 fino alla prossima edizione planetaria in presenza del World Social Forum post-pandemia, che avrà luogo in Messico alla fine del 2021 o nei primi mesi del 2022..

20/01/21

Marisa Cinciari Rodano: 100 anni vissuti con impegno

 

Marisa Rodano

Dalla resistenza antifascista e la fondazione dell’Unione donne italiane (Udi) alla lunga e costante attività politica nel movimento delle donne e dentro le istituzioni, l’impegno ininterrotto di Marisa Cinciari Rodano per l’emancipazione delle classi lavoratrici e l’autodeterminazione delle donne


Nata a Roma il 21 gennaio 1921, è stata attiva nella resistenza antifascista fin dagli anni del liceo e dell’Università. Viene arrestata nel maggio 1943 per attività sovversiva e detenuta per qualche tempo nel carcere femminile delle Mantellate. Entra nei Gruppi di difesa della donna che nel periodo della lotta di liberazione nazionale svolgono attività di controinformazione, assistenza ai combattenti partigiani e loro alle famiglie dei caduti, mobilitazione delle donne nei luoghi di lavoro; organizzazione di manifestazioni e scioperi contro la guerra e contro la fame.

I Gruppi di difesa della donna, riconosciuti ufficialmente nel 1944 dal CLN, pubblicano e diffondono i primi numeri del foglio clandestino Noi donne, che in seguito diventerà il periodico dell’Udi, con l’obiettivo di incoraggiare e organizzare le donne alla resistenza contro i nazifascisti. Si attivano anche nelle elezioni amministrative locali e partecipano con proprie rappresentanti alle giunte popolari formate nelle zone liberate e nelle repubbliche partigiane.

Le delegate italiane al congresso di Parigi, 1945

Marisa è attiva nella lotta clandestina della capitale nel periodo dall’8 settembre 1943 al 4 giugno 1944 in quella che lei stessa, nella sua autobiografia, definisce la sua “resistenza senza armi”. Nel 1944 sposa l’intellettuale comunista Franco Rodano e dopo la liberazione si iscrive al Partito Comunista Italiano. Nel dicembre 1945 è la più giovane tra le delegate italiane al congresso fondativo della Federazione Democratica Internazionale delle Donne, a Parigi, insieme a Camilla Ravera, Ada Gobetti e numerose altre donne che negli anni seguenti sarebbero divenute altrettante protagoniste della storia politica italiana.


Dopo la nascita della repubblica, viene dapprima eletta consigliera comunale a Roma e poi entra in Parlamento come deputata (dal 1948 al 1968) e senatrice (fino al 1972). È la prima donna nella storia italiana a ricoprire la carica di vice presidente della Camera dei deputati (dal 1963 al 1968). Viene eletta parlamentare europea (dal 1979 al 1989) e svolge un lavoro politico intensissimo occupandosi prevalentemente della politica comunitaria verso le donne, dei diritti delle donne e cooperazione allo sviluppo. È stata rappresentante del Parlamento Europeo alla Conferenza del decennio della donna dell’ONU a Nairobi (1985), ha fatto parte della delegazione italiana alla quarta Conferenza mondiale della donna dell’ONU a Pechino (1995) e alla Commissione per lo Status della donna dell’ONU a New York (dal 1996 al 2000). Ha raccontato il suo lungo impegno di comunista e femminista nel libro autobiografico Memorie di una che c’era.

Portando il suo saluto alla FDIF, in occasione della riunione di segreteria internazionale a Roma presso la Casa internazionale delle donne, nel giugno 2017, Marisa ha ricordato così le mitiche giornate del congresso fondativo di Parigi:

Marisa Rodano e Lorena Peña, Roma giugno 2017
«Nel settembre 1945 iniziò la preparazione della delegazione delle donne italiane al 1° congresso internazionale delle donne, a Parigi, di cui fecero parte, oltre alle esponenti dell’Unione delle Donne Italiane, anche delegate del sindacato CGIL e dell’Associazione Nazionale dei Partigiani, del Movimento federalista europeo e di tutti i partiti rappresentati nel Comitato di Liberazione Nazionale. Le rappresentanti della Democrazia Cristiana vi partecipavano solo come osservatrici.

«Organizzare un viaggio fino alla capitale francese, in un’Europa ancora devastata dalla guerra, con pochissimi mezzi di trasporto funzionanti e senza avere molte risorse finanziarie, non era una impresa facile. Ci rivolgemmo alle autorità alleate e infine la delegazione partì il 24 novembre 1945 su un aereo militare, perché non erano disponibili aerei civili. Arrivammo a Parigi a congresso già iniziato. Nella Sala della Mutualité erano presenti più di quaranta delegazioni di paesi di ogni parte del mondo, Cina compresa. Eleanor Roosvelt e Bess Truman inviarono messaggi di saluto. C’erano le dirigenti dell’Union des femmes françaises: Marie ClaudeVaillant Couturier (giovane vedova di Gabriel Péry, eroe della resistenza francese) aveva il numero del campo di concentramento nazista, da cui era appena tornata, tatuato sul braccio; le delegate jugoslave e sovietiche erano in divisa partigiana, col petto carico di medaglie.

«Regnava un clima di grande entusiasmo, l’euforia della fine della guerra e le speranze di un mondo nuovo; la convinzione che ormai si sarebbe aperto un facile cammino per la conquista piena di tutti i diritti delle donne. Fu accolto da un’autentica ovazione l’appello di Dolores Ibàrruri, la mitica Pasionaria, che chiedeva a tutte di unirsi alla lotta degli antifascisti spagnoli in carcere e in esilio per abbattere il regime fascista del generalissimo Franco.

«Il congresso di Parigi si concluse con la fondazione della Federazione Democratica Internazionale delle Donne, il cui scopo dichiarato era quello di “unire le donne al fine di promuovere un’azione comune per i loro diritti di cittadine, madri e lavoratrici, per la difesa dell’infanzia, per garantire la pace, la democrazia e l’indipendenza”. Presidente fu eletta madame Eugénie Cotton, donna di forte personalità, assai autorevole…».

Felice compleanno da tutte noi, cara Marisa!

16/01/21

Ricordando Carla Ravaioli / Le donne e la pace


"A me pare che una precisa scelta e un preciso impegno contro la guerra e a favore della pace si pongano come momenti qualificanti e imprescindibili del discorso femminista assunto nella sua interezza e svolto in tutte le sue conseguenze possibili..."


Ricordando Carla Ravaioli, saggista, scrittrice, parlamentare e attivista, co-fondatrice dell'Awmr Italia, scomparsa il 16 gennaio di sette anni fa, riproponiamo una sua riflessione che suona tuttora di stringente attualità.
Specificità femminile e cultura della pace oggi*

di Carla Ravaioli

Da quando il pacifismo è nato e rapidamente cresciuto, fino a divenire richiamo di folle enormi, e a scuotere le capitali del mondo con manifestazioni gigantesche, le donne, specie le più giovani, ne sono state parte cospicua e fortemente attiva. Da subito però la partecipazione diretta è parsa non esaurire le possibilità d’impegno delle donne per la pace.

Da subito tra le donne si è avvertito il bisogno di riflettere sul tema della pace “anche come donne”, di confrontarsi con la prospettiva della pace – una prospettiva ancora tutta da definire, da costruire, da inventare – muovendo dalla propria specificità di donne. Un bisogno che però pone subito ineludibili e intriganti domande: perché “donne e pace”? Esiste uno specifico che imponga alle donne una scelta di campo in favore della pace, o quanto meno le orienti in tal senso? È possibile individuare un nesso tra il discorso elaborato dal movimento delle donne e le ragioni, la speranza, l’utopia, da cui nasce il movimento per la pace?

Sono domande a cui finora non s’è risposto con chiarezza, anche perché, dove si affrontano temi connessi con la specificità femminile, da molte parti si tende ad assumere come referente imprescindibile la specificità corporea della donna, e a dare risposte che a prima vista appaiono ineccepibili, in quanto discese dall’evidenza immediata, addirittura dall’ovvietà del “naturale”. E infatti, anche in materia di “donne e pace” da molte parti, e nell’ambito stesso del movimento femminista, si sostiene che sia la stessa biologia a collocare la donna contro la guerra; che la donna, in quanto dotata di un corpo destinato a riprodurre la vita e fondamentalmente strutturato per questa funzione, è – non può non essere- totalmente aliena da quell’evento di distruzione e morte che è la guerra.

Ma non è una risposta che ci può soddisfare. Come sappiamo, non è la natura ciò che precipuamente definisce la specie umana e la distingue da tutte le altre, bensì la cultura; e gli stessi dati biologici ineliminabili, connessi alla nostra corporeità, alla nostra insuperabile “animalità”, lungo la storia sono stati oggetto di una complessa elaborazione culturale, che rende estremamente mediato, cioè pochissimo “naturale”, il nostro modo di viverli. E del resto basta percorrere rapidamente la memoria del nostro passato, o gettare un rapido sguardo sul nostro presente, per convincerci che, nonostante il loro destino biologico di produttrici di vita, le donne hanno sempre condiviso nei confronti di pace e guerra le posizioni dei loro paesi: posizioni puntualmente assunte e imposte dai maschi.

La storia di ogni tempo è piena infatti di madri che eroicamente trattengono le lacrime e dominano lo strazio dei loro cuori nel salutare i figli in partenza per il fronte; di madri che orgogliosamente offrono il petto alle decorazioni attribuite alla memoria dei figli caduti in guerra; di madri che dichiarano il loro supremo vanto di donare figli alla patria; di madri che cuciono bandiere e apprestano festeggiamenti per i figli reduci da una vittoria costata comunque distruzione e morte.

Allo stesso modo la nostra vita quotidiana è piena di madri che senza esitazione regalano ai loro maschietti armi-giocattolo, implicitamente dando per scontato che la guerra, o quantomeno l’addestramento alla sua eventualità, sia parte imprescindibile del loro futuro di adulti. La nostra realtà è piena di madri terrorizzate all’idea di crescere un figlio imbelle, che lo incitano a controllare la propria emotività, magari ricorrendo alla classica esortazione: «Via, non piangere, fa’ il bravo soldatino!». Il nostro mondo è pieno di donne che esigono dal loro uomo di essere “un vero uomo”, con ciò riferendosi a quel complesso di connotazioni aggressive, tradizionalmente ritenute tipiche della virilità, di cui il soldato – e la sua disponibilità a uccidere come a morire – rappresenta l’espressione estrema e più essenziale.

E tutto ciò accade ancora, nonostante che il femminismo, specie nei primi anni della sua esplosione, abbia messo in luce questa funzione conservatrice che la donna è tenuta a svolgere nel suo ruolo educativo; e nonostante che ciò in qualche misura abbia già modificato i comportamenti delle madri. Né la cosa ci può stupire. Le donne si sono infatti trovate a condividere, sia pure da una condizione marginale e subalterna, una realtà antropologica nella quale da millenni la guerra non solo ha piena legittimità, ma svolge una funzione politica primaria, al punto da essere data non di rado come un “valore” in assoluto. E d’altronde l’assimilazione delle donne alla cultura maschile dominante, addirittura la loro complicità con la «legge del padre», con la stessa cultura che le opprime, è ciò che l’autocoscienza è andata scoprendo, e che ha caratterizzato il femminismo sulla base di una consapevolezza del tutto nuova.

E tuttavia quel bisogno che le donne hanno avvertito di confrontarsi «come donne» con la prospettiva della pace, di tentar di dire una parola loro, forse non è vano né immotivato. Forse esiste, e può essere messo a fuoco, uno «specifico femminile», o piuttosto femminista, che non può mancare di indurre le donne a una precisa scelta e a un preciso impegno a favore della pace. Anzi a me pare che questa scelta e questo impegno si pongano come momenti qualificanti e imprescindibili del discorso femminista assunto nella sua interezza e svolto in tutte le sue conseguenze possibili.

A me pare che di fatto le donne abbiano compiuto una scelta di campo contro la guerra, nel momento stesso in cui hanno spinto lo sguardo al di là dell’emancipazione, verso la nuova frontiera della liberazione; cioè nel momento in cui hanno rifiutato l’integrazione senza riserve nella «società dei maschi», per muovere alla ricerca di una loro identità non più mutuata dal modello maschile, anzi capace di opporvisi e di metterlo in crisi.

Ciò che infatti le donne condannavano nella «società dei maschi» non era più soltanto la propria storica condizione di inferiorità, la loro privazione di diritti elementari, la loro identificazione con la funzione familiare, la loro esclusione dal potere; né era soltanto la violenza alla quale scoprivano di essere da sempre soggette nel rapporto sessuale,, la loro cancellazione come portatrici di una sessualità propria, la loro accettazione coatta di un paradigma sessuale esclusivamente maschile.

Ciò che le donne condannavano, e a cui opponevano una sorta di irriducibile estraneità, era un assetto sociale che rimuove dalla propria dimensione pubblica, e accantona nell’ambito del privato, tutti i valori attinenti alla sfera della riproduzione, relativi al corpo, al sesso, agli affetti, ai rapporti personali, al vivere quotidiano, cioè a dire ai momenti più ricchi e intensi della vita di ognuno; mentre fonda la propria struttura e la propria razionalità sui valori tipici della sfera produttiva, come la forza, la competitività, l’audacia, la spregiudicatezza, eccetera, e conseguentemente impone modelli finalizzati al successo, all’acquisto, al possesso, all’accumulo, al consumo: valori e modelli tutti di segno aggressivo, e non a caso storicamente identificati col maschile.

Dalla loro storia separata, dalla loro antica e forzata estraneità ai valori dominanti, e dalla loro altrettanto antica consuetudine con valori “altri”, le donne si sono trovate dunque a condannare e rifiutare una società permeata di violenza e dalla violenza determinata nel proprio agire: una società insomma che contiene la guerra nel proprio grembo, che sempre contempla la guerra come possibile esito di ogni conflitto, di cui la guerra non è che il gesto estremo, la manifestazione più clamorosamente e orrendamente catastrofica, solo nella quantità ma non nella qualità diversa da ogni altra. Per questo dunque, per ragioni che procedono dal loro discorso specifico di donne, nella loro nuova consapevolezza, non possono non essere parte del movimento per la pace.

Ma forse le donne possono essere anche qualcosa di più. Da qualche tempo la riflessione pacifista è orientata ad allargare il proprio orizzonte d’intervento, al di là della limitazione degli armamenti, della prevenzione della guerra e dell’olocausto nucleare, per la promozione di una cultura della pace: per il tentativo cioè di individuare e sconfiggere le radici del fenomeno-guerra nella più complessa e varia fenomenologia sociale della violenza. Ma l’avvio di un’operazione del genere – se si pensa quale enorme spazio abbia occupato la guerra nel ruolo sociale del maschio e nella stessa simbologia del potere, e quale cupo fascino guerra e armi abbiano sempre esercitato sui maschi, ponendosi esplicitamente come metafore di potenza sessuale – non può non significare una svalutazione del “maschile” e una rivalutazione del “femminile”; per risolversi dunque in un mutamento per il quale la parola delle donne non può non costituire il più felice contributo.

* Relazione all’incontro nazionale delle donne partigiane per la pace tenutosi a Milano il 16-19 maggio 1984. Sta in: Memoria paura volontà speranza. Nella Resistenza e nella società le donne protagoniste per una nuova cultura della pace, Atti a cura dell’ANPI – FIVL – FIAP – ANED.


12/01/21

Virtual World Social Forum - dal 23 al 31 gennaio 2021

 


Comunicato stampa internazionale

L'edizione planetaria 2021 del World Social Forum sarà virtuale a causa della pandemia e si svolgerà dal 23 al 31 gennaio e durerà nove giorni, il più lungo mai tenuto in questi 20 anni.

Sarà un evento straordinario, volto a discutere e cercare risposte politiche globali e locali alle sfide serie e urgenti di questa congiuntura, in cui profonde crisi del capitalismo si sovrappongono e si alimentano a vicenda.

Questo Forum mira a contribuire in modo significativo al consolidamento di tutte le forze di resistenza in difesa di un mondo con giustizia sociale, economica e ambientale, in un periodo di inasprimento dell'autoritarismo, spoliazione e repressione politica e sociale senza pari in tutti i continenti… Oltre a dare il via alle celebrazioni del 20 ° anniversario del Forum Sociale Mondiale.

Da quando fu creato nel gennaio 2001 a Porto Alegre, capitale dello stato del Rio Grande do Sul, Brasile – diffondendosi e influenzando le politiche pubbliche in tutto il mondo con edizioni planetarie e Forum tematici, regionali e nazionali - il Forum Sociale Mondiale è stato il processo più ampio nella lotta contro il capitalismo neoliberista che ha riunito movimenti sociali, sindacali, culturali, progressisti, antimperialisti, femministi, ambientalisti, indigeni,  dei popoli ancestrali e molti altri.

Nella prima giornata del Virtual WSF, 23/01/2021, si svolgerà la Marcia di Apertura Mondiale per Diritti, Giustizia, Democrazia e Benessere, attraverso la diffusione di video con testimonianze di leader di varie parti del mondo a difesa di questi temi e le loro lotte.

Durante il mese di marzo, il Global Opening Panel si terrà con circa sei importanti leader sociali e politici di portata globale, all'insegna del motto: Quale mondo vogliamo oggi e domani? - Non è il mondo di Davos!

Tra gli ospiti già confermati e da confermare: Aminata Traoré (Africa); Angela Davis (Nord America); Ashish Kothari (Asia); Leila Khaled (Medio Oriente); l'ex presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva (America Latina); Yanis Varoufakis (Europa).

Dal 24 al 29 si terranno grandi Panel su ciascuno degli Spazi Tematici del Virtual WSF (https://wsf2021.net ), oltre a numerose attività autogestite, caratteristica di tutti i Forum.

La penultima giornata sarà dedicata alle Assemblee di Convergenza: articolazioni globali, azioni, lotte e campagne politiche.

L'ultimo giorno, il 31/01, ci sarà l'Ágora dos Futuros, un'attività in cui movimenti sociali e organizzazioni di tutto il mondo presenteranno le loro azioni, lotte e campagne che dovrebbero estendersi durante l'anno 2021 fino alla prossima edizione planetaria in presenza del World Social Forum post-pandemia, che dovrebbe avere luogo in Messico. 

Questo Forum Virtuale si tiene nel contesto di un'intensa fase di rivitalizzazione politica e organica del processo del World Social Forum con dibattiti che valorizzano le esperienze di questi due decenni e indicano nuove trasformazioni con il motto: Un altro mondo è possibile, necessario e urgente.

Le attività promosse dal Gruppo Facilitatore del Forum (panel, ecc.) si svolgeranno in tempi compatibili con i fusi orari di tutto il mondo (generalmente, dalle 14.00 alle 17.00 ora del Meridiano di Greenwich (GMT).

Tramite l'e-mail qui sotto, il Gruppo Facilitatore del WSF Virtuale si rende disponibile a rispondere ad eventuali domande e chiarimenti dei media di tutto il mondo.

E-mail: forumvirtual@wsf2021.net

12 gennaio 2021

Gruppo di lavoro sulla comunicazione del Virtual World Social Forum