DONNE E POLITICA. IERI OGGI E DOMANI. UNIAMOCI PER ESSERE LIBERE TUTTE
Ed. La Città del Sole, giugno 2021
A cura di Nunzia Augeri e Maria Carla Baroni
Prefazione di Maura Cossutta
Il volume raccoglie gli Atti del convegno nazionale dell’ADoC (Assemblea delle donne comuniste - PCI), tenutosi a Milano il 3 ottobre 2020, con lo stesso titolo e con la finalità – dichiarata dalle stesse organizzatrici - di “mettere in relazione tra loro donne che agiscono le varie forme della politica, per cambiare la politica, liberare noi stesse e prenderci cura della vita sul pianeta”.
Per una sintesi, riportiamo l’intervento conclusivo di Ada Donno al convegno.
La nostra proposta di alleanza politica delle donne
A conclusione di questo nostro convegno
su Donne e politica ieri, oggi e domani,
vorrei esprimere un grazie sentito e non formale da parte di noi tutte,
compagne dell’ADoC, a Maria Carla Baroni per l’ostinazione e l’ottimismo della volontà con cui lo ha
fortemente voluto qui e oggi, nel rispetto delle regole anti-contagio, ma senza
lasciarsi scoraggiare dai rinvii e gli ostacoli determinati dal momento
complicato che stiamo vivendo a causa della pandemia. E grazie anche alle
relatrici e a quante hanno partecipato e preso la parola, in presenza o attraverso
comunicazioni scritte, rendendo questo incontro assai denso e ricco di
contenuti, idee, suggestioni e spunti di riflessione sui quali potremo continuare
a lavorare nei prossimi mesi e, perché no, nei prossimi anni.
Ci teniamo a sottolineare che questo è
il secondo convegno nazionale che l’ADoC promuove sul tema: il primo si è
tenuto un anno fa a Padova[1], curato
dalla compagna Liliana Frascati. Ed è nostro intento proseguire in questo
percorso, nel quale ci proponiamo non solo di confrontarci fra noi sul rapporto fra le donne e la politica –
com’era ieri, com’è oggi, come può essere domani – ma anche di chiamare a questo confronto
compagne, donne con altre storie, esperienze e percorsi diversi, nella
prospettiva di costruire una possibile convergenza di pensiero e d’azione che
in questo passaggio storico avvertiamo fortemente come ineludibile.
Pertanto, “tirare le conclusioni”,
come si usa dire in circostanze come questa, non significa affatto, da parte
nostra, riservarci diritto di replica, né parola finale. Piuttosto raccogliere
e ripercorrere idee, suggestioni, proposte venute – tante e sostanziali - da
questo incontro di oggi, per vedere insieme su quali di esse continuare a riflettere
e lavorare, nella prospettiva della costruzione di alleanze possibili fra noi
donne che agiamo le varie forme della politica.
Per
cominciare a descrivere lo scenario delle possibili convergenze, Maria Carla ci
ha proposto un’ampia e puntuale “carrellata” storica, sia per «ricordare una
volta di più quanto sia pretestuosa la
considerazione delle donne sprovviste di anima, di intelletto, di
progettualità, di creatività, di capacità di governo e di grandi imprese», sia per
introdurre un’ipotesi di possibile percorso di costruzione, il più inclusivo,
di un «corpo collettivo in lotta per la liberazione delle donne dal capitalismo
e dal patriarcato».
E non potevamo, nel tracciare questa ipotesi di percorso,
non cominciare col “gettare uno sguardo dentro” il
nostro stesso percorso di comuniste e femministe, che abbiamo scelto di far
parte di un partito politico – il partito comunista italiano – che ha come
obiettivo strategico il superamento del capitalismo e l’affermazione di un
nuovo paradigma sociale e politico - dentro
il quale sia possibile declinare i pensieri e le pratiche di libertà delle
lavoratrici e dei lavoratori - che chiamiamo socialismo. E passare poi a “gettare uno sguardo fuori”,
cioè interpellare e ascoltare altre donne, che lo stesso bisogno di libertà lo
ricercano, anch’esse, dentro un nuovo paradigma sociale, politico, culturale e
simbolico, ma non necessariamente lo chiamano socialismo. Oppure, se lo
chiamano socialismo, non è forse quello stesso che abbiamo in mente noi. In
ambedue i casi, c’interessa capire in che cosa e perché si differenzi e se è
possibile stabilire, comunque, un’alleanza fra noi.
Noi partiamo dall’assunto che, essendo
donne in una società divisa in classi, scegliamo di stare dalla parte della classe
lavoratrice, sfruttata e oppressa, in lotta contro la classe che sfrutta e
opprime. E quando parliamo di soggettività politica delle donne, pensiamo alla soggettività
delle donne lavoratrici; quando ci rivolgiamo alle donne che agiscono le varie forme
della politica, ci riferiamo alle donne che si organizzano e si muovono nel
panorama politico della lotta per eliminare la doppia oppressione, di genere e
di classe. Perché, come si dice nella relazione introduttiva, «la
contraddizione di genere non annulla la contraddizione di classe e neppure si
contrappone ad essa, ma esse si intrecciano e si cumulano nella vita delle
donne lavoratrici che subiscono sia lo sfruttamento di classe, sia
l’oppressione di genere». E se, per altro verso, la contraddizione di classe
non “contiene” quella di genere, il superamento della prima determina le condizioni
storicamente più avanzate per eliminare la seconda.
Lo “sguardo dentro” ci porta a pensare
e nominare le donne che riconosciamo come nostre madri politiche. Abbiamo
ricordato per prime Rosa Luxemburg, Aleksandra Kollontaj, Camilla Ravera non
per stabilire gerarchie di valore - per fortuna possiamo attingere a una ricca
genealogia di donne comuniste e femministe cui fare riferimento – ma per
rilevare il tratto che le accomuna: l’essere state, in contesti geografici e
politici diversi, donne comuniste “fondatrici”.
Nunzia Augeri ci ha ricordato Rosa Luxemburg,
considerata unanimemente “una delle menti più brillanti dell’ideologia
marxista”, che visse, lottò, amò stando dentro organizzazioni politiche dove
c’erano pochissime donne, senza rinunciare a nulla del suo sguardo di donna sul
mondo. Fu ferma assertrice della necessità storica del socialismo e dedicò la
sua ricerca teorica alla individuazione del nesso fra accumulazione capitalistica
e guerre di conquista e alla dimostrazione che militarismo e guerra sono esiti
inevitabili del capitalismo nella fase dell’imperialismo. Da qui il configurarsi
sempre più netto dell’alternativa “socialismo o barbarie” per l’umanità[2].
Aleksandra Kollontaj – rievocata da Cristina
Carpinelli - fu figura per tanti aspetti diversa dalla Luxemburg ma simmetrica,
comunista nella Russia zarista e femminista nella rivoluzione bolscevica, prima
donna nella storia a ricoprire la carica di ministro nel primo governo dei
soviet, seconda donna ambasciatrice nella storia della diplomazia
internazionale. Brillante e tenace autrice, scrisse numerosi saggi, articoli, libri
a cui attingiamo ancora oggi, nei quali trattò
i problemi delle donne sotto diversi aspetti, comprese sessualità e maternità.
Camilla Ravera, che Maria Grazia
Meriggi ci ha descritto nel suo ruolo di fondatrice del partito comunista
italiano, e per un breve periodo anche segretaria generale di esso, fu
curatrice della prima “tribuna delle donne” su L’Ordine Nuovo di Gramsci[3]. Vide
con chiarezza l’imprescindibile connessione fra l’emancipazione delle donne
dall’oppressione di genere e dallo sfruttamento di classe, fermamente credette nella
partecipazione femminile come fattore essenziale della rivoluzione proletaria
e, al contempo, nella rivoluzione proletaria come fattore essenziale per la
liberazione delle donne.
Guardando indietro, alla nostra
storia, ci siamo poi soffermate a considerare un’impresa politica collettiva
che ha rappresentato un punto di svolta e un nuovo inizio nella storia più
recente di molte donne comuniste italiane: la Carta delle donne del PCI del 1986[4]. Fu una
svolta perché affermò l’idea semplice – come dice Fulvia Bandoli – che “la forza delle donne viene dalle donne”. «Proponiamo
di costruire – scrissero le donne comuniste della Carta – nella società e nelle istituzioni della politica una
“forza” delle donne che non può che derivare dalle donne stesse attraverso una
strategia di relazioni e di comunicazione tra noi». Un’idea che alle
generazioni di compagne più giovani può suonare scontata, ma nel contesto in
cui fu avanzata ebbe un effetto innovativo dirompente. Purtroppo, come è stato
ricordato, la Carta venne tristemente
affossata dalla cosiddetta “svolta” del 1989.
Lo slogan che accompagna la
convocazione di questo nostro convegno - Uniamoci
tra donne delle varie forme della politica per cambiare la politica, liberare
noi stesse e prenderci cura della vita sul pianeta – vuole sintetizzare la
sfida gigantesca che ci si pone davanti, che non può essere affrontata solo
dalle donne comuniste, né solo dalle donne italiane o europee, poiché vaste e
ineludibili sono le interconnessioni con le complesse vicende della
lotta globale di classe e anti-patriarcale
nel nostro paese e nel mondo. Siamo consapevoli
che sarà un lungo cammino e pensiamo di muoverci passo dopo passo, partendo dall’individuare
alcuni temi, fra i tanti che attraversano il pensare e l’agire politico delle
donne oggi, sui quali cominciare ragionare.
Uno di questi è la contrattazione di
genere. Un nodo teorico e pratico col quale si sono misurate in profondità Giordana
Masotto e Rosangela Pesenti, protagoniste di due esperienze diverse, ma significative
nella stessa misura. Giordana è fra coloro che hanno iniziato a ripensare la
contrattazione sindacale introducendo in essa la differenza di genere. In Immagina che il lavoro, prezioso foglio
della Libreria delle donne di Milano del 2008[5],
Giordana scriveva: «le donne contrattano tra sé e sé, con chi vive loro
accanto, in casa, al lavoro, nella città; con chi gli si para davanti per
ostacolarle o dirigerle». E Rosangela, che
è fra le autrici della proposta di Piattaforma
per una contrattazione di genere elaborata dall’UDI nel 2017[6],
avvalora: da sempre le donne contrattano il loro
stare al mondo, «non solo nelle grandi scelte di vita ma nelle minuzie del
vivere quotidiano». Per secoli, per millenni, lo hanno fatto da sole, il più delle volte al prezzo di lacrime e
sangue, cercando ciascuna in sé stessa la forza di far valere le proprie
ragioni nei confronti del patriarcato e delle sue istituzioni. Poiché «la
contrattazione come istituto giuridico era ambito e prerogativa maschile», la
maggior parte delle donne è stata costretta a muoversi «a lungo in forme di
contrattazione sommersa, implicita, allusiva più che prescrittiva e quando
donne e gruppi hanno voluto presentarsi sulla scena politica hanno conosciuto
la repressione violenta».
La contrattazione collettiva delle
donne è un passaggio storico più recente e si è avviata quando esse hanno
cominciato a rivendicare i loro diritti politici e sociali e ad aprire
“vertenze” col potere patriarcale, individuato come avversario comune. Lo hanno
fatto da cittadine “di serie B” – ad esempio le suffragiste rivendicando il
diritto di voto – e lo hanno fatto da lavoratrici attraverso le prime forme di
contrattazione sindacale. Ma è stata a lungo una relazione contrattuale
asimmetrica, perché non erano soggetto di contrattazione riconosciuto in quanto
donne.
Giordana Masotto nella sua comunicazione
rivendica una precisa data d’inizio della contrattazione “separata” delle donne:
nel 1967, negli Stati Uniti, quando un gruppo di universitarie decise di
abbandonare l’aula in cui i loro colleghi discutevano di “questione femminile”
e di andare a proseguire la discussione fra sole donne. Individuare una data
d’inizio di un processo storico, fissando in un evento, o un atto collettivo, il
momento ante quod nihil, ha senza
dubbio un valore simbolico, ma è più verosimile pensare che un processo storico
rivoluzionario, come la presa di coscienza di sé quale soggetto politico da
parte delle donne, si sia realizzato per gradi e con passaggi successivi, più o
meno visibili, nel tempo e nello spazio. Non fu già una forma di contrattazione
che metteva sul tavolo, ancorché misconosciuta e dileggiata, una visione
differente del mondo, quella delle suffragiste che rivendicarono il diritto al
voto? E in ognuna delle innumerevoli vertenze salariali di lavoratrici del
primo Novecento, non c’era forse in nuce l’affermazione
di sé come soggetto politico che “contratta”
un cambiamento radicale di civiltà?
Ma se è vero che «si contratta a tutti
i livelli delle relazioni umane» - come dice Rosangela Pesenti – perché «tutta
la storia umana può essere riletta anche dal punto di vista della capacità
contrattuale delle soggettività sociali e politiche», è indiscutibile che merito
del femminismo è stato «avere reso visibile la contrattazione delle donne a partire
dalle relazioni più intime, riassumendo la pratica disseminata nelle tante
storie di vita nello slogan “il personale è politico”».
Per successivi passaggi, non indolori,
anche le donne del sindacato hanno reso visibili le disuguaglianze e le discriminazioni -
non riassorbibili immediatamente nella subalternità di classe - che le
lavoratrici a tutti i livelli subiscono. Jessica Merli ha riassunto la sua esperienza di attivista
sindacale nella metafora della “traghettatrice” che conduce, porta, guida una
collettività al fine di favorire il passaggio da un assetto a uno diverso, che
si spera migliore. «Credo che alle donne sia dato spesso, forse
inconsapevolmente dagli uomini, il ruolo e l’impegno che solo una donna può
sopportare, quello di cambiare gli assetti, magari non di cambiarli subito ma
di favorire il passaggio a una fase che potrà cambiarli in futuro». È una metafora nella quale le donne nel
sindacato possono riconoscersi, ma resta ancora non definito “dove” traghettare
il sindacato. Verso un’alleanza più strutturata con le donne delle altre forme
della politica, può essere la risposta e la proposta?
L’apporto delle donne che operano nei
sindacati – e specialmente nella CGIL – è irrinunciabile specialmente sulle
tematiche del lavoro e della “cura”, divenute centrali nel dibattito sviluppatosi
potentemente, non solo nel nostro paese ma ad ogni latitudine, in connessione
con l’emergenza della pandemia, che ha messo a nudo la contraddizione –
insanabile nel capitalismo – fra lavoro di produzione (per il mercato) e
riproduzione sociale.
Il tema non è di oggi nell’elaborazione
del movimento delle donne, ci rimanda alle prime riflessioni sul “produrre e
riprodurre”[7]
che ci fece molto discutere negli anni ’80 e ci collega alle ultime riflessioni
sulla centralità del lavoro di cura, sollecitate dalla emergenza sanitaria che ha
reso visibile l’incompatibilità dell’accumulazione capitalistica con la vita.
“Fare della cura un paradigma
politico di trasformazione” – come propone l’assemblea dei Luoghi delle donne[8]
- significa sovvertire la gerarchia economica, sociale, politica e valoriale
del sistema capitalistico-patriarcale che relega la riproduzione sociale ai margini,
segregandovi le donne, e fare della cura
la leva per un cambiamento strutturale globale.
La pandemia
ha solo reso più evidente l’immenso costo imposto alle donne dalla crisi
capitalistica. Ha scoperto la «complessiva sottomissione al profitto del corpo
e della salute di tutto il genere umano» - come dice Antonella Nappi – e mette
a nudo l’intreccio tra i complessi rapporti di dominio di genere, di razza, di
classe e di specie. Ci
fa riconnettere ogni forma di sfruttamento e discriminazione contro le donne
all’incessante ricerca di estrazione di valore e accumulazione di capitali in
ogni parte del pianeta.
Le crisi economiche, compresa quella attuale,
connessa all’emergenza sanitaria ma ad essa preesistente, sempre colpiscono in
maggior misura le donne - come dice
Paola Melchiori - e tendono a ricacciarle nei loro ruoli tradizionali,
chiamandole a sostenere il tessuto privato che si disgrega e le aree sociali
tagliate dalle politiche economiche neoliberali. Non casualmente, si accompagna
a tutto ciò, non solo in Italia, una recrudescenza degli attacchi ai luoghi
politico-culturali delle donne da parte delle destre e degli integralismi
religiosi in materia di sessualità e riproduzione.
Paradossalmente, la drammatica emergenza sanitaria sembra offrire
oggi alle donne l’opportunità inedita di darsi
parola autorevole e di esercitare pienamente il magistero femminista nella politica.
E torniamo al cuore della nostra
proposta, enunciata in apertura di questo convegno, di una alleanza da
costruire fra donne nelle varie forme della politica: donne nelle istituzioni, nei
sindacati, nei partiti, nelle associazioni ad estensione territoriale, nazionale
ed internazionale, nei movimenti non strutturati che nascono su obiettivi e
lotte specifiche, che spesso si aggregano in reti territorialmente più ampie e
sono a tempo determinato. Donne nelle organizzazioni con una lunga
storia alle spalle, come l’UDI, e nelle organizzazioni internazionali
con una lunga storia prestigiosa e
un’estensione globale, come la Federazione Democratica Internazionale delle
Donne (FDIM)[9],
o come la Lega internazionale di donne per la Pace e la Libertà (WILPF)[10] che
concentra l’azione in campagne specifiche per la pace e il disarmo, operando
efficacemente sia in movimenti globali come i Social Forum Mondiali, sia nell’ambito
del sistema delle Nazioni Unite. E donne
nel movimento transnazionale Non Una Di
Meno[11]
che è cresciuto significativamente in questi ultimi anni e ha avuto il grande
merito – come ci ha ricordato Rosa Calderazzi - di rompere gli argini delle «acque
stagnanti del femminismo liberale», a lungo
egemone in Europa e nel Nord del mondo, spezzandone l’autoreferenzialità e
riaffermando le intersezioni sociali, di classe, razziali, territoriali del
femminismo, mettendo in chiaro che le differenze e le divisioni emerse nel
movimento delle donne non sono di carattere generazionale, bensì di visione
prospettica.
Ci sono altri nodi da sciogliere, che
sono di metodo e di merito: come quello della
relazione spesso conflittuale fra i movimenti, a partire da quelli femministi,
e le istituzioni. Il tema della rappresentanza resta tuttora una domanda aperta
alla quale dare una risposta condivisa. Come
quella che pone Paola Melchiori nella sua comunicazione riguardo alla “qualità
della presenza delle donne nella politica”: la presenza del soggetto femminile
è riuscita/riesce a cambiare le regole di funzionamento della politica? Perché le figure femminili nei sindacati, nei
partiti e dentro le istituzioni, anche con notevole visibilità personale, appaiono
nel loro agire politico per lo più sovrapponibili a quelle maschili nei ruoli dirigenziali,
amministrativi e governativi? Quali «ulteriori trappole si annidano all'interno
di quote e uguaglianze anche formalmente riconosciute»? Ci si interroga, in
sostanza, sul perché le donne elette rinuncino ad esercitare il magistero femminista e a promuovere una politica “altra”, relazionandosi con
i movimenti di base.
Una risposta
può venire dall’esperienza spagnola di Barcellona e di Cadice, riportata sempre
da Paola Melchiori, dove le donne dei movimenti femministi si
sono accordate per eleggere proprie rappresentanti nelle istituzioni locali,
affidando loro dei mandati precisi e facendo così anche del voto uno strumento di lotta delle donne? «È possibile ragionare in termini di
alleanza, di azione comune, di collaborazione, di continuità nel tempo, facendo
salve l’autonomia e le caratteristiche proprie di ciascuna forma della politica?»
Trovare risposte condivise in questo
percorso di riflessione e d’azione a tappe, che abbiamo avviato e ci proponiamo
di proseguire, è al tempo stesso punto d’arrivo e dal quale ripartire.
[1] Per
l’Assemblea delle Donne Comuniste, documento programmatico, https://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/a-do-c-assemblea-delle-donne-comuniste/
[2] Rosa
Luxemburg, Socialismo o barbarie, la crisi della socialdemocrazia, RedStarPress
[3] AAVV
L'Ordine Nuovo (1919-1920; 1924-1925), Edizioni del calendario, 1969 (Teti,
ristampa)
[4] Dalle
donne la forza delle donne, documento a cura della Sezione Femminile della
Direzione del PCI, aprile 1987
[5] Immagina
che il lavoro – Sottosopra, Libreria delle Donne di Milano, Marzo 2009
[6] Piattaforma per una contrattazione di genere, UDI http://www.udinazionale.org/piattaforma.html
[7] Produrre
e riprodurre: cambiamenti nel rapporto tra donne e lavoro: 1° Convegno
internazionale delle donne dei paesi industrializzati promosso dal movimento
delle donne di Torino, Torino-Palazzo del Lavoro, 23-24 e 25 aprile 1983 -
Cooperativa editrice il manifesto anni, 1984
[8] Assemblea della Magnolia, Casa internazionale delle donne di Roma: “Donne e Next Generation Italia”, ottobre 2020 https://www.casainternazionaledelledonne.org/index.php/eventi/donne-e-next-generation-italia-1881
[9] Per la
storia della FDIM: https://www.ilraggioverdesrl.it/negozio/la-federazione-democratica-internazionale-delle-donne-capitoli-nella-storia-di-galina-galkina/
[10] WILPF Italia, https://wilpfitalia.wordpress.com/
[11] NUDM Italia https://nonunadimeno.wordpress.com/
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