Quei giorni di protesta e di dolore
Photo credits: “Genova 2001: No G8” by han Soete is licensed under CC BY-NC-SA 2.0 |
di Alessandra Mecozzi (sindacalista Fiom)*
In questi giorni, a 20 anni dal Genoa Social Forum contro il
G8, ho cercato ricordi e fissato immagini, pungolata dal dovere e volere
scrivere. Di quelle giornate ho letto tanto, ma non scritto. Come se il
groviglio di emozioni, di quell’anno per molti versi “speciale” fosse troppo
pesante e interiore per essere detto.
Fu l’anno tragico dell’11 settembre negli Stati Uniti e
della guerra in Afghanistan (7 ottobre 2001). La fine del 2001 fu segnata da
“Action for Peace” in Palestina/Israele, missione civile di 200 persone,
inclusi 13 dirigenti della Fiom, aderendo all’appello delle Ong Palestinesi,
per una “protezione civile internazionale dei palestinesi”, mentre era
imminente la rioccupazione delle città da parte dell’esercito israeliano
Quell’anno era cominciato a Porto Alegre, in Brasile, con il
primo Forum sociale mondiale, 15.000 partecipanti da tutto il mondo. La Fiom
aveva deciso di parteciparvi, sull’onda di una crescente consapevolezza del
carattere distruttivo della globalizzazione sul lavoro, sui diritti di donne e
uomini, sull’ambiente. Il FSM, in contemporanea con l’incontro di ricchi e
potenti a Davos, era dedicato alla denuncia e alla protesta, ma anche alla
ricerca di alternative per un “altro mondo possibile”, contro la dittatura del
mercato e il disastro globale e nasceva da avvenimenti precedenti.
Il 1998 aveva visto ascesa e caduta dell’Accordo Multilaterale sugli Investimenti, di cui vennero alla luce on line, trattative segrete in ambito OCSE. Al centro c’era l’ingordigia delle aziende transnazionali che metteva in discussione diritti umani, ambientali, del lavoro, sanciti dagli Stati. L’AMI non vide mai la luce, grazie anche a una campagna lanciata da alcune ong (in Italia si formava la rete Dire MAI al MAI).
Scrivemmo, con Fim e Uilm, una dichiarazione di denuncia di quelle clausole
secondo le quali le multinazionali avrebbero potuto impugnare le legislazioni
vigenti su lavoro, ambiente, salute…nei singoli paesi dove intendevano
effettuare gli investimenti, discriminatorie, perché non consentivano la
realizzazione dei profitti attesi! Gli appetiti delle aziende si ripresentarono
nell’Organizzazione mondiale del Commercio riunita a Seattle nel novembre
1999. E trovarono una dura opposizione.
Il mondo fu colpito dall’enorme manifestazione del 30 novembre 1999 popolata di
movimenti sociali, gruppi, associazioni, sindacati…con accostamenti inusuali,
come quello di tartarughe e metalmeccanici.
Il 1999 fu l’anno drammatico della guerra NATO contro la
Serbia, cominciata il 24 marzo, a cui partecipava anche l’Italia del governo
D’Alema. La Fiom, con l’allora Segretario generale Claudio Sabattini, si
schierò nettamente contro, partecipando alla grande manifestazione del 2
aprile, diversamente dalla Cgil che aveva sostenuto la “contingente necessità”
dei bombardamenti. Nello stesso anno il leader curdo, Abdullah Ocalan arrivato
in Italia il 12 novembre 1998, fu costretto ad andarsene, dopo 65 giorni, in
cui migliaia di curdi erano arrivati a Roma da varie parti d’Europa. Il 15
febbraio 1999, fu catturato dagli agenti dei servizi segreti turchi
all’aeroporto di Nairobi. Poi rinchiuso in un carcere di massima sicurezza,
nell’isola di İmralı, dove si trova ancora oggi.
Dunque già prima del 2001 il “mondo” aveva fatto irruzione
nelle nostre vite e scelte, predisponendoci all’adesione al FSM prima e al
Genoa Social Forum poi. L’opposizione alla guerra Nato e la solidarietà ai
curdi si univano alla denuncia degli effetti disastrosi di una globalizzazione,
opposta a quella esaltata, già dalla caduta del muro di Berlino dell’ ’89, come
l’emergere di libertà e opportunità per tutti! Lo aveva già spiegato nel 1994,
una piccola comunità indigena, gli Zapatisti in Messico, mandando al mondo il
suo messaggio di ribellione al modello economico politico neoliberista:
disuguaglianze crescenti, baratro tra nord e sud, attacco alla dignità degli
esseri umani.
A Porto Alegre incontrai il gruppo che già lavorava per il
Genoa Social Forum e che più o meno, divenne poi il consiglio dei portavoce del
GSF. Mi convinceva molto quel progetto anti-G8, con forum di discussione,
incontri, manifestazioni. La Fiom aderì, formalmente, il 19 aprile, e contribuì
alla sua preparazione con un seminario di delegati/e a Bologna, “Il mondo in
fabbrica – strategie strumenti sindacali nella globalizzazione”.
La preparazione del GSF, che si svolse prevalentemente con
assemblee delle tante associazioni/reti aderenti a Genova, fu un’occasione
importante di crescita per tutti noi, intrecciando storie e culture diverse,
dalle tute bianche alle femministe, dalla rete Lilliput ai Cobas. In molti non
ci si conosceva, e fu grande il lavoro di comunicazione, anche di invenzione e
soluzioni ai problemi, che man mano si presentavano in un sistema organizzativo
che si preparava ad accogliere almeno 100.000 persone, sotto molte pressioni
esterne e talvolta interne.
Dopo la gioia della bellissima manifestazione con le decine di migliaia di migranti, colorata e piena di musica, vennero i giorni del dolore. Il 20, nel corso delle piazze tematiche, fu ucciso da un carabiniere il ragazzo Carlo Giuliani. La rabbia, la confusione, l’angoscia generale accrebbero la determinazione a mantenere, anzi rafforzare, la manifestazione del giorno dopo, il 21, nonostante le pressioni contrarie.
Siamo stati
testimoni delle gravissime violenze realizzate, da forze dell’ordine
impreparate e fuori controllo, scatenate contro i manifestanti, mentre agivano
indisturbati i cosiddetti black block, devastando la città. Le responsabilità
del Governo furono evidenti, ma la lunga ricerca di giustizia e verità non è
mai arrivata a compimento. L’unica vera risposta furono le grandissime
manifestazioni per la democrazia il 24 luglio a Roma e in altre città. Ma la
ferita e il dolore dei genitori e della sorella di Carlo, non possono essere
cancellati, solo forse alleviati dall’ondata di solidarietà e di affetto che li
ricoprì, e che ancora dura.
Dopo 20 anni ripensando a quella furiosa violenza di Stato,
mi dico che i fondamenti su cui la Fiom aveva scelto di far parte del GSF,
tuttora hanno un senso che parla alle nuove generazioni: la scelta della
nonviolenza, la riapertura di un grande processo democratico fondato sulla
responsabilità personale e l’impegno collettivo; l’importanza di far parte di
un processo di confronto in Italia e nel Mondo, dentro a un movimento che era
testimonianza decisiva e momento alto delle garanzie democratiche.
Per tanti di noi, prima generazione dopo il fascismo, fu forse la prima volta in cui constatammo come anche in un paese democratico sia possibile la repressione, molto vicina al fascismo, di diritti fondamentali e di pratica democratica. E nello stesso tempo la necessità e la possibilità di pensare e agire insieme oltre le differenze, prendere forza da questo, senza venir meno al proprio radicamento sociale e culturale. Anzi, quella violenza accrebbe la determinazione e il coraggio di chi, in Italia e nel mondo, credeva nella necessità di agire, mettendo sotto accusa processi politici ed economici che, e lo si vide nel tempo, avrebbero portato a un mondo più diseguale, a un aumento dello sfruttamento e della povertà, a un proliferare di regimi e forze autoritarie, alla guerra contro i/le migranti.
Le ragioni di allora per
ribellarci a un mondo globalizzato, dove vince la legge del più forte,
rimangono, anche e forse più, dopo 20 anni di cambiamenti profondi, di
frammentazione sociale, di estensione delle guerre e di disastri climatici e
ambientali, di esperienze e di lotte. Mi piace pensare che Genova 2001 riesca a
trasmettere ai e alle più giovani il desiderio e la volontà di cercare
alternative, di denunciare i responsabili di processi letali, fino alla distruzione
di vite e risorse operata dalla pandemia, l’impensabile che si è abbattuto sul
mondo. Per questo mi auguro che anche le nuove generazioni conoscano, e si
confrontino con quelle vicende, ne traggano la volontà di continuare il lavoro
per un mondo più giusto, alimentando, con la solidarietà e amicizia, una
indistruttibile speranza.
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