04/09/21

L’AFGHANISTAN E L’ARROGANZA DELL’OCCIDENTE

Bambini a Kabul - Foto: Focus.it

"La pretesa di universalità dell'Occidente, lo ha portato a credersi portavoce dell'umanità, dei suoi valori, problemi e soluzioni"

https://www.other-news.info/noticias/afganistan-y-la-arrogancia-de-occidente/

di  Paula Guerra Cáceres*

Nel suo libro La hybris del punto zero, Santiago Castro-Gómez analizza il modo in cui l'Europa ha costruito la sua narrazione a partire da un supposto “non luogo”, cioè da uno spazio teoricamente neutro e oggettivo, senza particolari interessi, sostenuto da due dei pilastri della modernità: pensiero illuminato e metodo scientifico.

In questo modo ci viene detto che la Conoscenza con la maiuscola, intesa come conoscenza assoluta, nasce necessariamente in Occidente e che deve essere assunta come verità universale da altre culture e società, sia che si parli di arte, o medicina, economia, politica o filosofia.

Cercare di confutare questa tesi è stato un lavoro titanico per molti autori non occidentali. Nel libro Il mito dell'opposizione tra pensiero indiano e filosofia occidentale, il filologo Fernando Tola e la filosofa Carmen Dragonetti, hanno dimostrato, attraverso un'analisi rigorosa delle diverse dottrine filosofiche indiane e delle loro controparti greche ed europee, che la filosofia non è nata in Grecia come sosteneva Hegel nel XIX secolo.

Si tratta di un'indagine esauriente e minuziosa che cita le fonti originali in sanscrito, greco e latino e, tuttavia, ciò che tuttora permane è l'opinione del filosofo tedesco per il quale la filosofia poteva nascere solo in Grecia perché, secondo lui, solo lì ci sarebbe stato un ambiente di libertà di pensiero e di spirito favorevole all'emergere del pensiero filosofico, cancellando così trenta secoli ininterrotti del pensiero indiano.

Questa arroganza è presente anche in esempi più contemporanei. Nel contesto di un dibattito tra intellettuali decoloniali latinoamericani e Slavoj Žižek sull'eurocentrismo e la ferita coloniale, il filosofo sloveno - una sorta di nuovo Marx per buona parte della sinistra europea - è arrivato a sostenere nel libro Ribellioni etiche, parole comuni che «Questo ritorno a una saggezza indigena originale o cose simili, per me è una totale spazzatura (...) credo ancora nel valore universale dell'idea eurocentrica di base della modernità».

L'anno successivo, nel 2018, ha sostenuto in Il coraggio della disperazione che «Haiti è stata colonizzata dai francesi, ma è stata la Rivoluzione francese a fornire il substrato ideologico per la ribellione che ha liberato gli schiavi e ha fondato Haiti indipendente».

Probabilmente, a causa dell'arroganza epistemica dei pensatori occidentali che di solito non consultano la conoscenza prodotta al di fuori dell’ambito eurocentrico, Žižek non è a conoscenza dell'opera Libertà o morte!, nella quale Fernando Martínez Peria svolge un'indagine dettagliata del processo rivoluzionario haitiano, e le sue caratteristiche intrinseche che l'hanno portata a diventare, come sottolinea l'autore, "la prima repubblica nera al mondo, libera da schiavitù, colonialismo e razzismo".

Il monologo eurocentrico

Pensare oggi che quegli schiavi africani fossero consapevoli della loro condizione solo grazie alla Rivoluzione francese è una questione che va al di là della mera ignoranza. Chi lo desidera può trovare su Google il libro di Araceli Reynoso Revueltas y ribelliones de los Africanos schiavizzati nella Nuova Spagna, in cui raccoglie, citando documenti ufficiali dell'epoca, dati sulle insurrezioni degli africani a Città del Messico nel 1537, niente di più e niente meno che 252 anni prima della Rivoluzione francese.

Queste ricerche, che Žižek e compagni - leggasi tutta la comunità scientifica legittimata dall'Europa - non hanno letto e non leggeranno mai, suppongono una contro-narrazione che sfida la storia universalista occidentale, e quindi non avranno mai l'approvazione della comunità accademica dominante.

Ma questo monologo eurocentrico, praticato da secoli dall'Occidente, non si limita all'accademia, ma comprende tutti i modi di produrre e riprodurre il rapporto di superiorità vs inferiorità, un problema che è tornato alla luce dopo gli ultimi avvenimenti in Afghanistan.

Da quando è scoppiata l'ultima crisi in questo Paese, sia negli articoli di giornale che nei dibattiti televisivi, è stata proclamata l'urgenza di portare la civiltà in Afghanistan, salvandolo dalla barbarie, come se l'Occidente fosse il custode del mondo, l'Afghanistan non avesse al suo attivo migliaia di anni di civiltà e di storia, e "civiltà" non potesse che essere ciò che l'Occidente ha definito tale.

Parlano dell'Islam e dei Talebani senza fare alcuna differenza, nella maggior parte dei casi, tra la religione e l'interpretazione dogmatica di essa, installando l'idea che sia l'Islam stesso a seminare il terrore in Afghanistan, molte volte senza menzionare che è stato l'Occidente stesso a causare gran parte dell'attuale crisi politica e sociale del Paese con la sua guerra ventennale.

Questo discorso di demonizzazione dell'Islam è costellato di immagini di donne e ragazze che l'Occidente deve "salvare" (il famoso complesso del "salvatore bianco"). In questo senso, si consiglia vivamente di leggere l'articolo della filosofa Rafia Zakaria,  Le femministe bianche volevano invadere (White femminist Wanted to invade, nel suo titolo inglese), in cui si riflette sulla credenza delle femministe bianche riguardo a ciò che è meglio per le donne afgane e dove si cita l'Afghanistan Women's Association, che fin dalla sua fondazione nel 1977 ha denunciato il fondamentalismo religioso (e per questo non sono sospettabili di radicalismo), che si è apertamente opposta all'invasione statunitense e al successivo governo afghano da essa appoggiato.

Il vantaggio di essere portavoce universale

Una semplice analisi della narrazione che si sta facendo della crisi in Afghanistan (salvo poche eccezioni) rivela il monologo eurocentrico, eterno, ripetitivo dell'annullamento e della disumanizzazione dell'Altro.

Quando si parla di Afghanistan si parla di quell'Altro selvaggio, barbaro e premoderno che va civilizzato, e mescola in modo interessato (lo ripeto) l'interpretazione che i talebani fanno dell'Islam con ciò che realmente rappresenta.

Questo articolo non vuol essere in alcun modo una difesa del regime talebano o delle sue violazioni dei diritti. È una riflessione critica sulla pretesa di universalità dell'Occidente, che lo ha portato a credersi portavoce dell'umanità, dei suoi valori, dei suoi problemi e delle sue soluzioni.

Ciò che prima si realizzava con la schiavitù, il genocidio e lo sfruttamento delle colonie, oggi è largamente ottenuto attraverso questo monologo da portavoce universale che annienta/rende invisibili altre visioni del mondo e sistemi di conoscenza, relegandoli nelle categorie di singolarità ed eccezione.

Come afferma Walter Mignolo, poiché ogni produzione di conoscenza implica necessariamente un luogo di enunciazione, un luogo geografico, politico, anche corporeo, dal quale si parla ed enuncia, l'esistenza di una verità oggettiva e universale è assolutamente impossibile.

E tuttavia, uno dei grandi trionfi dell'Occidente è proprio l'affermazione della fallacia della verità pura, scientifica, asettica. Sulla base di questa premessa, che lo ha portato a farsi portavoce dell'umanità e a fondare l'attuale ordine coloniale, razzista e capitalista, ha beneficiato politicamente, socialmente ed economicamente della subalternità dei popoli non occidentali.

Questo è ciò che ha voluto fare con l'Afghanistan, cancellarlo per occidentalizzarlo e mantenere così il controllo delle sue risorse minerarie e la propria posizione geostrategica.

Con questo intento, continuerà a ripetere il suo monologo sordo sulla creazione di un “Altro” pericoloso che deve essere eliminato (l'Islam), dimenticando, come ha affermato il fotografo yemenita Boushra Almutawakel in una recente intervista alla BBC, che “i talebani sono stati creati dagli Stati Uniti per combattere i sovietici (…)” e che “non c’è bisogno che l'Occidente ci salvi. E in ogni caso, l'Occidente ci ha distrutti”.

Trad. Awmr Italia

* Paula Guerra Cáceres è pubblicista e ricercatrice. Antirazzista e femminista, è presidente di SOS razzismo Madrid. Cilena per nascita, vive e lavora nella capitale spagnola.



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