La FDIM/WIDF nel corso dei suoi 80 anni di vita ha considerato e praticato la costruzione della pace come “compito essenziale delle donne”: la lotta contro il militarismo e per il disarmo è stato un suo impegno centrale in termini di formazione, ricerca e azione.
di Ada Donno*
C’è un nesso profondo, originario e
reiterato nell’esperienza delle lotte delle donne fin dai primi anni del ‘900,
fra la finalità della propria liberazione e quella della costruzione della pace: un’inscindibilità percepita e
proclamata fin da subito dalle donne comuniste che sono state protagoniste dei processi di
liberazione ad ogni latitudine e in ogni condizione e grado di sviluppo sociale
e civile soprattutto nella seconda metà del ‘900.
Una vera e propria scelta di campo
contro la guerra, compiuta nel momento stesso in cui “hanno spinto lo sguardo verso
la nuova frontiera della liberazione”. Una scelta che è stata elaborata come impegno
costante, qualificante e imprescindibile del discorso della liberazione di
genere “assunto nella sua interezza e svolto in tutte le sue conseguenze
possibili...", come scriveva nel maggio 1984 Carla Ravaioli, attivista comunista
e femminista, in occasione del primo incontro nazionale delle donne partigiane
per la pace, organizzato a Milano dall’ANPI. [1] Sono stati gli anni ’80 in
cui, da una parte “la riflessione pacifista si è orientata ad allargare il
proprio orizzonte d’intervento, al di là della limitazione degli armamenti,
della prevenzione della guerra e dell’olocausto nucleare, per tentare di individuare
e sconfiggere le radici del fenomeno-guerra nella più complessa e varia
fenomenologia sociale della violenza”. Dall’altra, le donne raccogliendo la
consegna della generazione precedente delle madri “partigiane della pace”,
l’hanno estesa ed approfondita fino a giocare un ruolo decisivo nel movimento
per la pace, ispirandolo con le loro iniziative coraggiose e creative: Greenham
Common, Seneca Falls, Comiso, Pine Gap, i campeggi delle donne per la pace alle
varie latitudini, da quegli anni sono entrati stabilmente nel lessico mondiale della pace.
Ma è solo una delle mille citazioni
possibili che argomentano la percezione di uno “specifico femminile” che induca
le donne comuniste a questa precisa scelta e a un preciso impegno a favore
della pace e argomenti le ragioni di quel nesso. Si potrebbe risalire cent’anni
addietro e trovare conferma nelle analisi di Rosa Luxemburg su militarismo e
guerra come esiti inevitabili del capitalismo nella fase dell’imperialismo. O
riandare all’ultimo anno della seconda guerra mondiale, quando la scienziata
comunista francese Eugenie Cotton, a Parigi, aprendo il congresso costitutivo
della Federazione Democratica Internazionale delle Donne, di cui sarebbe stata
eletta prima presidente, disse: «Saranno le donne a trovare argomenti decisivi
per far pendere la bilancia in favore della pace».