31/03/20

Emergenza COVID-19/Donne che costruiscono la pace

DONNE, PACE E SICUREZZA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS



Con oltre il 70% della forza lavoro globale composta da donne e molti altri ruoli di assistenza alle spalle, le donne sono in prima linea nella lotta contro l’emergenza COVID-19, ma le conseguenze e le novità che si prospettano hanno implicazioni di genere che devono essere ben comprese. 
Sanam Naraghi Anderlini* richiama la nostra attenzione su questi impatti, sulle realtà delle donne che vivono questa pandemia e l’importanza delle donne nell'agenda per la pace e la sicurezza, ora più che mai.




Il 2020 sarà per sempre un grande anno per l'agenda delle Donne per la Pace e la Sicurezza (WPS); vent'anni dall'adozione della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la prima delle dieci risoluzioni delle Nazioni Unite che hanno posto le donne davanti e al centro dell'agenda globale per la pace e la sicurezza; 20 anni di attivismo e promozione, di studi accademici e progressi – in crescendo - nelle pratiche diplomatiche e di sviluppo; 20 anni di lotta contro un mix di pratiche ad hoc, apatia e amnesia per ottenere analisi di genere delle crisi e della reattività di genere nella programmazione, per ottenere l'inclusione sistematica delle donne costruttrici di pace nei processi di pace e per amplificare le differenti prospettive, ridefinizioni e priorità che le donne possono portare all'essenza stessa dei termini "pace" e "sicurezza".
L'anno è qui, ma lo è anche la pandemia di coronavirus. Mentre ci avvolge nei continenti, costringendo non solo alla cancellazione di eventi e alla stagnazione delle attività, ma anche alla definizione delle priorità negli sforzi umanitari, molti possono mettere in dubbio l’importanza del lavoro delle Donne Pace e Sicurezza (WPS) al tempo del coronavirus.

È interessante notare che questa pandemia con le sue molteplici dimensioni di sicurezza, sta dimostrando la centralità e la preveggenza dell'agenda WPS rispetto alle attuali sfide globali di pace e sicurezza. Nel 2000, quando un movimento globale di diritti delle donne e attivisti per la pace si mobilitarono per spingere il Consiglio di Sicurezza verso la risoluzione 1325, le loro ragioni erano chiare. La guerra in Bosnia e il genocidio in Ruanda dimostravano l'inadeguatezza dei correnti sistemi globali di pace e sicurezza per affrontare le guerre civili e transnazionali emergenti. Lo scettro del crescente crimine organizzato globale, le lotte indotte dal clima sulle risorse naturali e altre "minacce non tradizionali" si profilavano all'orizzonte. Prima dell'avvento dei farmaci antiretrovirali, malattie come l'HIV / AIDS e la devastazione che potevano comportare per il tessuto sociale ed economico delle società erano le principali minacce.

Il testo della Risoluzione del Consigliodi Sicurezza 1325 potrebbe non riflettere molti di questi problemi in dettaglio, ma nel chiedere una sicurezza umana incentrata sulle persone e uno sguardo di genere, la risoluzione e l'agenda che ha sviluppato riflettono il cambio di paradigma necessario per comprendere e affrontare i problemi di pace e sicurezza globali contemporanei. Le questioni così spesso poste dalla comunità WPS sono profondamente rilevanti anche per questa pandemia.

Analisi di genere

In termini pragmatici, l'agenda WPS richiede un'analisi di genere delle cause e delle conseguenze delle crisi e la mappatura delle parti interessate e degli attori. Questa analisi è fondamentale per garantire un'adeguata preparazione, attenuazione, risposta e recupero dalle crisi. È profondamente rilevante anche per la pandemia.
I dati disaggregati per sesso sono cruciali per comprendere l'impatto del virus. Finora, i dati provenienti da Cina, Italia, Corea del Sud e Iran rivelano una netta differenza dei decessi tra uomini e donne. In Corea del Sud, più donne che uomini contraggono la malattia, ma stanno morendo più uomini. In Italia, l'80% dei decessi sono stati di sesso maschile, nel frattempo studi condotti dal Centro cinese per il controllo delle malattie mostrano che il 64% dei decessi in Cina sono stati di sesso maschile (fino a febbraio 2020).
Le ragioni, secondo gli esperti medici, non sono del tutto chiare. Finora le ipotesi indicano due fattori, lo stile di vita e la biologia, sebbene qui ci dovrebbe essere un po’ di cautela fino al completamento degli attuali dati disaggregati per sesso.
In termini di stili di vita, gli uomini costituiscono la maggior parte dei fumatori e sono più inclini a malattie correlate rispetto alle donne. Nello stesso tempo, come riporta il Washington Post, le dimensioni biologiche sono notevoli:
«Anni di ricerca hanno scoperto che le donne hanno generalmente un sistema immunitario più forte degli uomini e sono più in grado di respingere le infezioni. Il cromosoma X contiene un gran numero di geni immuno-correlati e, poiché le donne ne hanno due, godono di un vantaggio nella lotta alle malattie, secondo un recente studio sulla rivista Human Genomics».

L'analisi di genere è utile anche per la prevenzione e la mitigazione delle malattie a lungo termine. Forse ci vuole ancora tempo e occorre sviluppare indagini su misura per gli uomini. Queste statistiche dovrebbero anche informare sulle strategie di risposta e recupero necessarie. La prospettiva dell’emergere dalla crisi con nuove unità familiari con donne capofamiglia, o un numero più elevato di donne anziane che vivono sole, ha profonde implicazioni socio-economiche. Devono essere considerati gli scenari per ridurre l'insicurezza a lungo termine e ulteriormente.
Sensibilità di genere, cioè comprendere le differenti implicazioni su uomini e donne delle politiche stabilite, è anche rilevante. Nell'immediato, con l'entrata in vigore delle norme sul lockdown e il lavoro a casa, l'assenza di assistenza all'infanzia per donne o coppie coinvolte in servizi essenziali è una sfida chiave. Chi resta a casa? Cosa succede se un genitore contrae il virus? Quali sistemi di supporto possono e devono essere in atto per facilitare e assistere le persone, piuttosto che aumentare lo stress e ostacolarle?

Dobbiamo anticipare e presumere che, come in altri contesti di crisi, i rischi che gli uomini commettano violenze contro le donne aumentino con lo stress della disoccupazione e delle condizioni di vita al chiuso. In Cina, al culmine della quarantena, le chiamate ai rifugi delle donne vittime di violenza domestica si sono triplicate. Per coloro che già subiscono relazioni abusive, la situazione è particolarmente terribile, se le quarantene e i blocchi durano a lungo o nel frattempo subentra la disoccupazione.
Anche questo richiede risposte, compresa la possibilità di garantire che i rifugi siano aperti e in grado di accogliere persone. Altre strategie, tra cui l'impegno diretto e la messaggistica indirizzata a uomini e donne maltrattanti, sono anche essenziali al fine di prevenire la violenza e avvertirli delle conseguenze.

I conflitti nel mondo continuano

In secondo luogo, c'è una dimensione politica e geopolitica in questa storia che viviamo. Può darsi che l’ISIS abbia ordinato ai suoi sostenitori di rimanere a casa e che i sauditi abbiano limitato i viaggi aerei, ma intanto continuano con i bombardamenti aerei nello Yemen, mentre i ribelli Houthi guadagnano terreno prezioso. In Siria, russi e turchi continuano a scontrarsi. In Libia, lo stato spaccato continua a spaccarsi ulteriormente. Sembrerebbe ovvio che se tante altre industrie sono in pausa, potrebbe esserlo anche la guerra. Il coronavirus dovrebbe e potrebbe essere un efficace catalizzatore di contenimento della violenza con la richiesta di un immediato cessate il fuoco a livello globale, come ha fatto il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, il 23 marzo.
In passato carestie e altre epidemie sanitarie hanno indotto i cessate il fuoco per consentire il passaggio degli aiuti umanitari. Allo stesso modo, gli aiuti legati al coronavirus potrebbero essere un incentivo per fermare i combattimenti. La fornitura di assistenza e la necessità di cooperazione attraverso i territori potrebbero contribuire a umanizzare le relazioni e creare fiducia per perseguire una pace più sostenibile.

Le donne costruttrici di pace siriane e yemenite stanno già sostenendo tali misure. Ma con le maggiori potenze alle prese con le loro sfide interne e sui loro confini, pochi stanno prestando attenzione ai conflitti in corso nel mondo. Le donne che costruiscono la pace sono tra quei pochi. Ci ricordano che se la violenza continua e gli sfollati non hanno un riparo sicuro e sono costretti a fuggire, il virus continuerà a migrare e diffondersi.
La comunità umanitaria si trova già di fronte a questo compito defatigante di contenere il coronavirus in contesti di guerra, sia tra i milioni di rifugiati Rohingya in Bangladesh sia tra gli sfollati siriani che si rifugiano in edifici bombardati e tra gli oliveti. L'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHRC), l'OMS e altre agenzie stanno facendo del loro meglio per preparare e mitigare l'impatto, ma data la mancanza di cure igienico-sanitarie di base e la densità delle strutture di rifugiati o sfollati interni (IDP), la crisi colpirà quelle popolazioni con conseguenze più devastanti.

Anche se c'è accesso, i messaggi sulla prevenzione del coronavirus devono essere contestualizzati. Non ha senso dire alle persone di lavarsi le mani con acqua e sapone se non c'è né sapone né acqua. Se le persone credono che le streghe o le minoranze siano la fonte del virus, bisogna che i messaggi sul distanziamento sociale e l’igiene siano contestualizzati nella cultura locale perché siano efficaci, non facciano danno e aiutino ad attenuare il danno contro gli accusati di contagio.

La partecipazione delle donne

Ciò introduce una terza dimensione dell'agenda WPS; l'invito a sostenere la partecipazione e l'agenzia delle donne nella prevenzione dei conflitti, la risoluzione e il consolidamento della pace. Come per i conflitti, durante questa pandemia in luoghi in cui i governi sono sopraffatti o semplicemente incapaci di fornire l'assistenza necessaria, i cittadini locali, spesso le donne, sono in prima linea in questa crisi. Ciò rispecchia le esperienze delle donne che sono spesso le prime invisibili generatrici di risposte e costruttrici di pace nelle zone di guerra, oltre ad essere ispiratrici della Risoluzione del CS 1325 negli anni '90.

Le donne non solo rappresentano il 70% della forza lavoro globale della sanità, ma dominano anche i settori dell'assistenza sociale della comunità e della società civile e stanno anche progredendo contro le minacce. In Iraq, ad esempio, Fatima Al Bahadly, insegnante, costruttrice di pace e fondatrice della Fondazione Ferdows è alla testa nella sensibilizzazione e cura del coronavirus nella sua comunità. Al Bahadly ha passato 20 anni ad affrontare l'impatto di guerre, sanzioni, occupazione e conflitti. Nonostante le minacce e le accuse rivolte dallo stato allo stato ombra, ha persistito. Ora che il coronavirus si sta infiltrando, Fatima e il suo team sono già organizzate, mobilitate e al servizio della loro comunità.
E non è lei sola. In Liberia, Cerue Garlo, una veterana del movimento delle donne per la pace del 2003, si sta anche preparando ad affrontare l'imminente minaccia del coronavirus, con avvisi pubblici e messaggi sull’igiene alla radio della comunità. Mentre in Pakistan, Mossarat Qadeem di Paiman Trust sta attingendo alla sua rete di donne volontarie che di solito lavorano per prevenire l'estremismo violento, per diffondere consapevolezza sull'attenuazione dell'impatto del coronavirus nelle comunità già colpite ma raramente servite dallo stato. «Stiamo producendo disinfettanti per le mani fatti in casa», ha detto Qadeem in una conversazione Skype, «e fornendo alle donne il materiale per produrre mascherine».
 Anche in Yemen, Muna Luqman, fondatrice della Food for Humanity Foundation e sostenitrice di colloqui di pace inclusivi, sta facendo perno sul suo lavoro di costruttrice di pace per alleviare gli affetti del coronavirus.

In ogni caso, esse apportano un insieme unico di competenze e risorse. Sono esperte nel dissipare le paure e nel trovare soluzioni pratiche, nel fare comunità e raggiungere i più vulnerabili, nel ricordare alle persone gli aspetti di genere di questa pandemia mentre aumentano la consapevolezza e lavorano per prevenire un aumento della violenza contro le donne. Sono anche sensibili al razzismo e all'odio che potrebbero sorgere. Hanno creato reti e strutture locali e riscuotono fiducia tra le persone e le autorità. Data la loro familiarità con i contesti e le culture locali, sono in grado di personalizzare la messaggistica per il loro pubblico locale sia attraverso piattaforme online che con i media locali.
Queste attiviste locali sono essenziali per il processo di risposta e recupero. Le loro conoscenze possono informare e migliorare gli interventi. Pertanto, è cruciale la loro partecipazione e inclusione nella valutazione di ogni contesto, processo decisionale, progettazione e realizzazione degli interventi.


“i messaggi sulla prevenzione del coronavirus devono essere contestualizzati. Non ha senso dire alle persone di lavarsi le mani con acqua e sapone se non c'è né sapone né acqua”

Donne in politica

L'agenda WPS domanda anche una maggiore partecipazione delle donne alla politica e alle questioni della pace e sicurezza. La crisi del coronavirus sta rivelando la rilevanza di questa domanda.
«In tutto il mondo - scrive Jessie Tu per Women’s Agenda, un sito australiano di notizie online - «più che mai le persone sono alla ricerca di una leadership forte e stimolante. Tre straordinarie Prime ministre stanno dimostrando un’eccellente risolutezza particolarmente incoraggiante durante questa pandemia. Oh, guarda caso, sono donne».
Dalla Norvegia e dalla Germania all'Islanda, alla Nuova Zelanda e alla Colombia, è notevole come le donne leader a livello nazionale e regionale siano state le prime ad adottare misure preventive e proattive, con passione ed empatia. Queste donne sono state le prime leader a introdurre politiche di contenimento per ridurre la diffusione del virus, significative allocazioni di budget per la salute e il benessere sociale e pacchetti finanziari completi per ridurre le difficoltà economiche. La premier finlandese, Sanna Marin, ha emanato un Emergency Powers Act sul controllo della produzione nazionale di dispositivi farmaceutici e medici e lìha applicato contro il coronavirus. La norvegese Erna Solberg ha tenuto una conferenza stampa per i bambini per rispondere alle loro domande e placare le loro paure. Mentre, in Colombia, la sindaca di Bogotà Claudia Lopez è stata una figura di spicco in Sud America. Ha avviato politiche di isolamento sociale, limitato i viaggi in città e ha ampliato le piste ciclabili di Bogotà per ridurre la congestione sui trasporti pubblici e migliorare la qualità dell'aria per mitigare le malattie respiratorie.

Ridefinire sicurezza e risorse per la pace

Le donne costruttrici di pace (WPB) e le difensore dei diritti umani (WHRD), attiviste femministe e studiose sono state a lungo in prima linea nella sfida ai concetti tradizionali di sicurezza statale e nazionale che si basano eccessivamente sulla militarizzazione, sostenendo invece approcci alla sicurezza umana. La recente ascesa della "politica estera femminista" come estensione dell'agenda Donne Pace Sicurezza WPS ha colto alcune di queste idee. Ma l'agenda WPS non riguarda semplicemente la parità di diritti nello status quo. Richiede uguaglianza trasformativa e cambiamenti paradigmatici nei concetti di sicurezza, semplicemente ponendo domande come «cosa ci fa sentire sicuri? In che modo i concetti tradizionali di sicurezza nazionale sono collegati alle nostre vite?»: è un mezzo per democratizzare il discorso della sicurezza nazionale per allinearlo con le nuove realtà.
Queste discussioni implicano cambiamenti significativi nelle priorità, nei valori, nell'allocazione delle risorse e nelle competenze che mettono il benessere pubblico al centro della sicurezza nazionale. Qui la pandemia e la tradizionale agenda WPS si fondono.
Coronavirus sta rivelando il marcio dei nostri stati. Economicamente per quarant'anni abbiamo assistito allo smantellamento dei nostri sistemi di sanità, istruzione e previdenza sociale in nome del "piccolo governo" e della magia della privatizzazione. Abbiamo depotenziato il servizio pubblico e potenziato la ricchezza privata.
Intanto, dall'11 settembre, siamo sprofondati in società ipercontrollate e militarizzate. Gli dei della sicurezza nazionale non possono mai essere messi in discussione. I loro bilanci sono senza fondo, mentre quelli per il benessere sociale sono prosciugati. Eppure, in questa tempesta perfetta e orribile della pandemia di coronavirus, i militari e le loro attrezzature ad alta tecnologia sono irrilevanti per la lotta in prima linea contro questa minaccia. Sono i nostri medici, infermieri e operatori sanitari che stanno combattendo questa lotta. 

Tuttavia, il divario nelle risorse è agghiacciante. A metà marzo, ad esempio, mentre la pandemia dominava le notizie dal mondo, il Pentagono ha svelato il suo missile ipersonico senza pilota da 844 milioni di sterline. Allo stesso tempo, il governo federale degli Stati Uniti non è stato in grado di produrre o fornire mascherine sufficienti per gli operatori sanitari che trattano i pazienti. È un chiaro esempio del divario tra le effettive esigenze di sicurezza nazionale non finanziate e quelle immaginarie dotate di risorse eccessive. Ed è anche un’ironia amara, poiché mentre si usa la retorica della guerra, nessuna delle urgenze o delle risorse destinate alla guerra, offensiva o difensiva, viene impiegata per combattere questa minaccia reale.

«Queste donne costruttrici di pace sono essenziali per il processo di risposta e recupero. Le loro conoscenze possono informare e migliorare gli interventi. Pertanto, è cruciale la loro partecipazione e inclusione nella valutazione di ogni contesto, processo decisionale, progettazione e realizzazione degli interventi»

La pandemia sta anche rivitalizzando le critiche ai budget e le spese militari alle stelle e alla carneficina delle guerre eterne, mentre si chiedono investimenti in sanità, istruzione e infrastrutture pubbliche. Man mano che si devastano i nostri sistemi sanitari e i governi corrono ad arginare la conseguente devastazione economica e sociale, queste domande sono sempre più pertinenti. I bilanci della difesa saranno rivisti e riallocati per supportare il sistema sanitario di prima linea e la disoccupazione o rimarranno intatti mentre altri servizi vengono tagliati? Perché siamo inondati di armi e attrezzature militari, ma a corto di medicine e mascherine?
Se mai il coronavirus è un avvertimento per l'umanità, ci sta segnalando che mentre globalizziamo e urbanizziamo sempre più, il rischio di nuovi ceppi di virus virulenti e mortali crescerà. Nel frattempo, anche l'impatto dei cambiamenti climatici e delle condizioni meteorologiche estreme ci colpiranno. Questi problemi di sicurezza non hanno bisogno di armi di distruzione di massa. Richiedono investimenti nelle priorità della sicurezza umana che vanno dai nostri sistemi sanitari e di servizi sociale, alla società civile rivitalizzata e alle organizzazioni della comunità in grado di far fronte e attenuare questi rischi.
Questo è anche il momento di reinventare il servizio pubblico. Invece del servizio militare potremmo istituire un servizio sociale nazionale, in modo che le generazioni future abbiano competenze che vanno dalla risposta alle emergenze alla fornitura di assistenza sanitaria. Dobbiamo essere flessibili e agili, ma resistenti. O, come afferma il costruttore di pace Visaka Dharmadasa dello Sri Lanka: «È tempo che i governi smettano di darsi tanto da fare a prenderci la vita e si impegnino a salvare vite». È questo l'obiettivo della lotta alla pandemia di coronavirus. Ed è, detto fatto, anche l'essenza dell'agenda di Donne Pace e Sicurezza.


*Sanam Naraghi Anderlini è direttrice del Centro Donne, Pace e Sicurezza della London School of Economics. Ha 24 anni di esperienza come stratega della pace lavorando su conflitti, crisi ed estremismo violento nella società civile, consulente di governi e delle Nazioni Unite. È fondatrice / amministratrice delegata dell'ong International CivilSociety Action Network (ICAN), coordinatrice dell'Alleanza delle donne per la leadership di sicurezza (WASL) che comprende organizzazioni indipendenti guidate da donne attive in 40 paesi, che prevengono la violenza e promuovono la pace, i diritti e il pluralismo. Nel 2000 ha collaborato alla redazione della risoluzione1325 del Consiglio di sicurezza dell'ONU su donne, pace e sicurezza.

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