17/04/21

Verso il 25 Aprile / L'altra metà della resistenza / I Gruppi di Difesa della Donna

 


L’opera di assistenza ai combattenti della libertà svolta dai Gruppi di Difesa della Donna durante la Resistenza non fu un fatto “caritativo” né subalterno – come si è detto talvolta per sminuirne l’importanza - ma essenzialmente politico. L’enorme operazione di salvataggio dell’esercito italiano allo sbando dopo l’8 settembre del ’43 e l’indispensabile impegno clandestino di supporto ai resistenti in armi furono - per le 70mila donne che aderirono ai GDD e le altre migliaia che collaborarono nei modi più diversi - una grande scelta di campo che gettò le basi dell’emancipazione femminile nel nostro paese.

di Pina Palumbo* (Milano 1906/1989). Attiva nella Resistenza come capo infermiera nelle brigate Garibaldi, coordinatrice dei GDD, commissaria all'assistenza del CLN Lombardia fino al 31 dicembre 1945, poi ispettrice del ministero dell'Assistenza postbellica in Sicilia. Fu nel comitato direttivo dell'Udi e senatrice del Partito socialista italiano per tre legislature, dal ’48 al ’58.


I Gruppi di Difesa della Donna (GDD) e per l’assistenza ai combattenti della Libertà furono così denominati non per significare uno stato di debolezza delle donne o la loro particolare attitudine ad opere assistenziali, bensì per una visione del tutto politica. Le donne antifasciste dei GDD difendevano, per esempio, le donne ebree perseguitate dal razzismo nazifascista, le lavoratrici minacciate dalle rabbiose rappresaglie fasciste, le deportate nei campi di concentramento. Cercavano di impedire l’arresto delle lavoratrici, la deportazione delle donne in Germania, le condanne a morte. I GDD organizzavano nelle fabbriche atti di sabotaggio e nelle strade dimostrazioni davanti ai negozi, contro l’intollerabile carestia e carovita. Distribuivano alle popolazioni i viveri sottratti agli ammassi alimentari nazifascisti. Così come l’assistenza ai combattenti della libertà non era un atto caritativo, ma essenzialmente politico, perché aiutarli a fuggire, ospitarli, vestirli, alimentarli, curarli, voleva dire per loro la vita o la morte.

Compito importante dei GDD era preparare squadre di infermiere e postazioni clandestine di pronto soccorso: infermiere, dottoresse, staffette portaordini, informatrici. Le donne che esercitavano un’attività di carattere militare, diretta o ausiliaria, andarono poi a formare i primi nuclei femminili delle squadre e dei distaccamenti partigiani. Nel novembre 1943 fu deciso che c’era necessità di uno strumento di informazione e nacque Noi Donne: dapprima ciclostilato, poi nel 1944 stampato clandestinamente. Il giornale fu strumento di agitazione e preparazione degli scioperi, riprendendo i temi delle lotte condotte dalle donne per la libertà e la pace fin dal 1910. Ne furono fondatrici Claudia Maffioli del Psiup, Giovanna Barcellona del Pci, Ginetta Martini Fanoli del PdA, e nel suo programma non c’era solo la lotta al nazifascismo, ma anche l’emancipazione femminile com’era stata già impostata dalla prima élite femminista all’inizio del secolo.

Le varie iniziative assistenziali dei GDD, come raccolte di viveri, indumenti, denaro, medicinali, che venivano distribuiti agli assistiti – partigiani, vittime del regime e loro famiglia – vennero coordinate con la costituzione del Comitato centrale di assistenza, sotto la direzione e con la collaborazione del Comitato di Liberazione Alta Italia (CLNAI). Del comitato facevano parte: Pina Palumbo (Psiup), Elena Dreher (PdA), Gina Bianchi (Pci) e Lucia Corti (Lavoratori Cristiani). Gina Bianchi, responsabile della Commissione assistenza a Sesto S. Giovanni, fu uccisa dai fascisti in fuga sul viale Monza il giorno della Liberazione. Era incinta di otto mesi… e aveva il marito in carcere a S. Vittore. Quando, la sera, fu liberato e uscì dal carcere trovò la moglie morta su un tavolo della Morgue.

Nella loro organizzazione i GDD si dividevano in gruppi di fabbrica, di banca, di ospedale, di caseggiato, di carcere. Insomma erano presenti ovunque vivessero e operassero le donne, per organizzare insieme a loro scioperi, manifestazioni di protesta, sabotaggi tendenti a indebolire il nazifascismo. Si può ben affermare che questa prima azione di organizzazione e propaganda di massa fra le donne diede un grande contributo al successo di tutte le lotte operaie e contadine che in quel periodo si svolsero nel milanese e in tutta la Lombardia, come nel resto dell’Italia occupata, fino alla vigilia della Liberazione…

A coronare tanto lavoro, tanti sacrifici, tanta dedizione alla causa antifascista, arrivò finalmente il 25 aprile 1945, la Liberazione! Ma l’opera delle donne non finì, non poteva finire lì, e i GDD si trasformarono nell’Unione Donne Italiane (Udi), organizzazione unitaria di massa delle donne democratiche antifasciste, che era stata già costituita a Roma dopo la Liberazione della città e aveva tra i suoi principali obiettivi l’ottenimento del voto alle donne, per il quale i movimenti femministi avevano lottato senza successo fin dalla fine dell’‘800. Il voto alle donne era l’atto indispensabile su cui fondare concretamente quella emancipazione femminile che divenne lo scopo essenziale della nuova organizzazione…

Questa è in breve la storia dei GDD, dura, talvolta dolorosa, ma sempre esaltante, e della loro opera clandestina nell’Italia fascista, confluita, a liberazione avvenuta, nella lunga storia d’azione dell’Udi in difesa della pace quale presupposto indispensabile per l’emancipazione femminile, per la traduzione nelle leggi e nelle istituzioni del dettato della nostra Costituzione repubblicana che afferma i diritti della donna come persona, nella famiglia, nel lavoro, nella società tutta.

E se i risultati fin qui ottenuti non sono del tutto soddisfacenti, perché continuiamo a vivere in una società tradizionalista e maschilista, noi donne della Resistenza abbiamo fiducia, non ci scoraggiamo, come non ci scoraggiammo allora davanti alla tracotanza fascista. Abbiamo fiducia nelle nuove generazioni di donne che con noi lottano e dopo di noi lotteranno per affermare i loro diritti e la loro personalità, vogliamo che siano più felici di quanto noi fummo, che non vedano più guerre e distruzioni e che, ricordando i dolori, le umiliazioni e le battaglie di chi le ha precedute, possano trarne qualche vantaggio per la loro esistenza.

 

*Sta in: L’altra metà della resistenza, ed. Mazzotta, Milano 1978, pag. 58 (atti del convegno L’Altra Metà della Resistenza, un incontro fra generazioni sulla via della liberazione femminile, Milano, novembre 1977)

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