L’opera di assistenza ai combattenti della libertà svolta dai Gruppi di Difesa della Donna durante la Resistenza non fu un fatto “caritativo” né subalterno – come si è detto talvolta per sminuirne l’importanza - ma essenzialmente politico. L’enorme operazione di salvataggio dell’esercito italiano allo sbando dopo l’8 settembre del ’43 e l’indispensabile impegno clandestino di supporto ai resistenti in armi furono - per le 70mila donne che aderirono ai GDD e le altre migliaia che collaborarono nei modi più diversi - una grande scelta di campo che gettò le basi dell’emancipazione femminile nel nostro paese.
di Pina Palumbo*
(Milano 1906/1989). Attiva nella Resistenza come capo infermiera nelle brigate
Garibaldi, coordinatrice dei GDD, commissaria all'assistenza del CLN Lombardia
fino al 31 dicembre 1945, poi ispettrice del ministero dell'Assistenza
postbellica in Sicilia. Fu nel comitato direttivo dell'Udi e senatrice del
Partito socialista italiano per tre legislature, dal ’48 al ’58.
I Gruppi di Difesa
della Donna (GDD) e per l’assistenza ai combattenti della Libertà furono
così denominati non per significare uno stato di debolezza delle donne o la
loro particolare attitudine ad opere assistenziali, bensì per una visione del
tutto politica. Le donne antifasciste dei GDD difendevano, per esempio, le
donne ebree perseguitate dal razzismo nazifascista, le lavoratrici minacciate
dalle rabbiose rappresaglie fasciste, le deportate nei campi di concentramento.
Cercavano di impedire l’arresto delle lavoratrici, la deportazione delle donne
in Germania, le condanne a morte. I GDD organizzavano nelle fabbriche atti di
sabotaggio e nelle strade dimostrazioni davanti ai negozi, contro
l’intollerabile carestia e carovita. Distribuivano alle popolazioni i viveri
sottratti agli ammassi alimentari nazifascisti. Così come l’assistenza ai
combattenti della libertà non era un atto caritativo, ma essenzialmente politico,
perché aiutarli a fuggire, ospitarli, vestirli, alimentarli, curarli, voleva
dire per loro la vita o la morte.
Compito importante
dei GDD era preparare squadre di infermiere e postazioni clandestine di
pronto soccorso: infermiere, dottoresse, staffette portaordini, informatrici.
Le donne che esercitavano un’attività di carattere militare, diretta o
ausiliaria, andarono poi a formare i primi nuclei femminili delle squadre e dei
distaccamenti partigiani. Nel novembre 1943 fu deciso che c’era necessità di
uno strumento di informazione e nacque Noi Donne: dapprima ciclostilato,
poi nel 1944 stampato clandestinamente. Il giornale fu strumento di agitazione
e preparazione degli scioperi, riprendendo i temi delle lotte condotte dalle
donne per la libertà e la pace fin dal 1910. Ne furono fondatrici Claudia
Maffioli del Psiup, Giovanna Barcellona del Pci, Ginetta Martini Fanoli del
PdA, e nel suo programma non c’era solo la lotta al nazifascismo, ma anche
l’emancipazione femminile com’era stata già impostata dalla prima élite
femminista all’inizio del secolo.
Le varie iniziative assistenziali dei GDD, come raccolte di
viveri, indumenti, denaro, medicinali, che venivano distribuiti agli assistiti
– partigiani, vittime del regime e loro famiglia – vennero coordinate con la
costituzione del Comitato centrale di
assistenza, sotto la direzione e con la collaborazione del Comitato di
Liberazione Alta Italia (CLNAI). Del comitato facevano parte: Pina Palumbo
(Psiup), Elena Dreher (PdA), Gina Bianchi (Pci) e Lucia Corti (Lavoratori
Cristiani). Gina Bianchi,
responsabile della Commissione assistenza a Sesto S. Giovanni, fu uccisa dai
fascisti in fuga sul viale Monza il giorno della Liberazione. Era incinta di
otto mesi… e aveva il marito in carcere a S. Vittore. Quando, la sera, fu
liberato e uscì dal carcere trovò la moglie morta su un tavolo della Morgue.
Nella loro organizzazione i GDD si dividevano in gruppi di
fabbrica, di banca, di ospedale, di caseggiato, di carcere. Insomma erano presenti ovunque vivessero e
operassero le donne, per organizzare insieme a loro scioperi,
manifestazioni di protesta, sabotaggi tendenti a indebolire il nazifascismo. Si
può ben affermare che questa prima azione di organizzazione e propaganda di
massa fra le donne diede un grande contributo al successo di tutte le lotte
operaie e contadine che in quel periodo si svolsero nel milanese e in tutta la
Lombardia, come nel resto dell’Italia occupata, fino alla vigilia della
Liberazione…
A coronare tanto lavoro, tanti sacrifici, tanta dedizione
alla causa antifascista, arrivò finalmente il 25 aprile 1945, la Liberazione!
Ma l’opera delle donne non finì, non poteva finire lì, e i GDD si trasformarono nell’Unione Donne Italiane (Udi),
organizzazione unitaria di massa delle donne democratiche antifasciste, che era
stata già costituita a Roma dopo la Liberazione della città e aveva tra i suoi
principali obiettivi l’ottenimento del voto
alle donne, per il quale i movimenti femministi avevano lottato senza
successo fin dalla fine dell’‘800. Il voto alle donne era l’atto indispensabile
su cui fondare concretamente quella emancipazione femminile che divenne lo
scopo essenziale della nuova organizzazione…
Questa è in breve la storia dei GDD, dura, talvolta
dolorosa, ma sempre esaltante, e della loro opera clandestina nell’Italia
fascista, confluita, a liberazione avvenuta, nella lunga storia d’azione dell’Udi
in difesa della pace quale presupposto indispensabile per l’emancipazione
femminile, per la traduzione nelle leggi e nelle istituzioni del dettato della
nostra Costituzione repubblicana che afferma i diritti della donna come
persona, nella famiglia, nel lavoro, nella società tutta.
E se i risultati fin qui ottenuti non sono del tutto
soddisfacenti, perché continuiamo a vivere in una società tradizionalista e
maschilista, noi donne della Resistenza
abbiamo fiducia, non ci scoraggiamo, come non ci scoraggiammo allora
davanti alla tracotanza fascista. Abbiamo fiducia nelle nuove generazioni di donne che con noi lottano e dopo di noi lotteranno
per affermare i loro diritti e la loro personalità, vogliamo che siano più
felici di quanto noi fummo, che non vedano più guerre e distruzioni e che,
ricordando i dolori, le umiliazioni e le battaglie di chi le ha precedute,
possano trarne qualche vantaggio per la loro esistenza.
*Sta in: L’altra metà
della resistenza, ed. Mazzotta, Milano 1978, pag. 58 (atti del convegno L’Altra Metà della Resistenza, un incontro
fra generazioni sulla via della liberazione femminile, Milano, novembre
1977)
Nessun commento:
Posta un commento