Lydia Franceschi - Fondazione Roberto Franceschi |
La Resistenza non è terminata nel lontano aprile del 1945…*
Il 25 aprile
1945 avrebbe dovuto sancire il diritto di partecipazione attiva alla vita
politica ed economica nel paese del movimento democratico e popolare, sia per
le lotte sostenute dai militanti antifascisti durante il ventennio della
dittatura, sia per l’alto contributo di sangue da uomini e donne nella guerra
partigiana.
Eppure è stato ancora necessario il
sacrificio di altre vite umane per affermare questo diritto, contro il sopruso della classe
dominante che continua a perpetuare i suoi privilegi e a mostrare la stessa
ottusità morale e sociale del periodo fascista. Tra i militanti antifascisti
uccisi in questi ultimi anni compaiono anche i nomi di decine di donne:
ricordiamo alcune di esse che la storia ufficiale ha ignorato nei suoi libri e
cercato di cancellare dalla nostra memoria.
Ricordiamo
le donne braccianti uccise durante le manifestazioni per l’assegnazione di
terre incolte o per il lavoro, come: Giuditta
Levato a Catanzaro (28 novembre 1946); Isabella
Cervelli a Pettiglia Policastro (13 aprile 1947); Anna Rimondi Corato (18 novembre 1947); Angelina Mauro a Melissa (30 ottobre 1949); Filippa Mollica Nardo a Bagheria (20 novembre 1949). E ancora i
nomi delle donne cadute davanti alle fabbriche o perché chiedevano l’acqua
potabile, come: Jolanda Bertaccini a
Forlì (3 giugno 1949); Onofria
Pellizzeri, con Giuseppina Valenza
e Vincenza Messina a Mussumeli (17
febbraio 1954). Ed ancora, le donne assassinate nel corso di manifestazioni
antifasciste, come quelle cadute il 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra o come Maria
Alice a Genova il 15 luglio 1948; Rosa
La Barbera a Palermo nella manifestazione popolare in risposta alla strage
di Reggio Emilia (8 luglio 1960); le compagne cadute in Piazza della Loggia a Brescia il 28 maggio 1974: Giulietta Bazoli Banzi, Livia Bottardi Milani, Clementina Trebeschi e, ultima in
ordine di Tempo, Giorgiana Masi, il
12 maggio 1977 a Roma durante una manifestazione per i referendum abrogativi.
Come non
capire che la Resistenza non è terminata
nel lontano aprile del 1945, ma che essa continua perché non sono state,
volutamente, rimosse le cause dell’oppressione, del terrore, dello sfruttamento
e della emarginazione? Come non capire che la Resistenza in questi anni è stata
mercificata come un oggetto di consumo, svuotata dei suoi significati veri, reinterpretata
in maniera dogmatica e occultata nella sua verità storica?
Bisogna
avere il coraggio di non ricorrere alle
esaltazioni epico-retoriche e cercare di raccontare la storia con esattezza
documentata, rifacendoci anche alla memoria popolare, perché solo in questa
maniera potremo trasformare la narrazione della Resistenza armata in uno
strumento di analisi utile per il futuro.
Ma per questo c’è necessità dell’incontro tra generazioni di donne: da una parte quelle in possesso di un patrimonio di memorie della lotta antifascista, che però non ha potuto determinare le trasformazioni radicali attese; dall’altra giovani donne sinceramente impegnate nella ricerca della trasformazione, ma che per la loro stessa età mancano di quella memoria storica che facilita la comprensione e l’analisi.
*Sta in: L’altra metà della resistenza, ed.
Mazzotta, Milano 1978, pag. 177 (atti del convegno L’Altra Metà della Resistenza, un incontro fra generazioni sulla via
della liberazione femminile, Milano novembre 1977)
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