Foto: nuevatribuna.es |
Ri-postiamo questo articolo pubblicato dall’analista politica Nazanin Armanian ° l’8 marzo 2019 perché, con puntualità e lucidità, ci aiuta a capire meglio le cause della guerra afghana e a decifrarne l'epilogo drammatico che stiamo vivendo in questi giorni. E ci aiuta anche a contrastare le narrazioni ipocrite, quando non menzognere, propalate dai media mainstream.
I mezzi di comunicazione di massa son soliti dividere la
storia delle donne afghane in “prima e dopo dei Talebani”, con un duplice
obiettivo: a) presentare la NATO come salvatrice delle donne e b) nascondere il
fatto che i gruppi terroristi “islamico-sunniti” sono stati creati dagli Stati
Uniti e i loro alleati. E che il danno inflitto alle donne da poche migliaia di
individui di estrema destra religiosa con fucili da caccia è maggiore di quello
di un'alleanza di 29 paesi con le armi più letali del pianeta.
Che l'Afghanistan fosse "un rifugio per i
terroristi" e che la NATO avesse la "missione di salvare le
donne" erano fole al servizio dell'aggressione contro questo Paese: se da
un lato, infatti, i terroristi non hanno bisogno di un Paese-rifugio e si
organizzano anche in un appartamento in qualsiasi paese del mondo, dall’altro,
la seconda fola sembrava più una cattiva imitazione dell'argomento dell'Iliade
secondo cui i greci invadono Troia con il pretesto di salvare Elena, rapita dal
principe troiano, in realtà con l’intenzione di depredarla, seminando terrore e
morte. La verità è che l'Afghanistan è il Paese più strategico al mondo per gli
Stati Uniti.
Come avrebbero potuto porre fine alla violenza sessista se
la guerra stessa è l'espressione più alta di tale violenza?
Cronologia di una lotta per il progresso
1920: la monarchia "progressista" di Amanullah e
Soraya fonda Anchuman-E-Himayat-E-Neswan (Organizzazione per la protezione
delle donne) nell'ambito di progetti di modernizzazione del paese per
combattere l'analfabetismo e gli abusi, e pubblica il quaderno Ershad-E-Neswan
(Orientamento per le donne), la prima rivista femminista del paese.
1929: la Gran Bretagna, infastidita dalle relazioni
amichevoli di Kabul con l'Unione Sovietica, incita i signori feudali e
religiosi e insieme rovesciano i monarchi.
1933: il nuovo re, Zahir Shah, influenzato dalle riforme in
atto in Iran e Turchia, apre le prime scuole femminili, introduce l'uguaglianza
tra i sessi nella Costituzione del 1964 e riconosce il diritto di voto alle
donne.
1964: vengono fondati il Partito Democratico Popolare
dell'Afghanistan (PDPA) e l'Organizzazione Democratica delle Donne. Quest'anno
si festeggia per la prima volta l'8 marzo.
1973: Zahir Shah viene rovesciato dai nazionalisti e viene
proclamata la Repubblica dell'Afghanistan.
1978: l'assassinio di Mir Akbar Khyber, scrittore e leader
marxista nel 1978, di ignota paternità, scatena la protesta di migliaia di
afghani che si conclude con un colpo di stato del PDPA contro il presidente
Mohammed Daud. il PDPA instaura la Repubblica Democratica dell'Afghanistan
(RDT). È un duro colpo per gli Stati Uniti che, non ancora ripresisi dalla
sconfitta in Vietnam, subiscono nello stesso anno la caduta dello Scià in Iran
e il trionfo del sandinismo in Nicaragua. Perciò organizzano da una parte i
"Jihadisti" e dall’altra i "Contras" per contrastare la sinistra.
In Afghanistan lanciano "l'operazione Cyclon" inviando decine di
migliaia di terroristi armati dal Pakistan, costringendo l'URSS a intervenire.
L'età d'oro del femminismo afghano
Le riforme attuate dalla RDA a favore delle donne includevano:
Costruire scuole, cliniche, ospedali, alloggi sociali e dichiarare la salute e l'istruzione gratuite e universali.
Creare il Consiglio
delle Donne, che presto raggiungerà 150mila iscritte e per la prima
volta nella storia del Paese offre servizi sociali e assistenza gratuita alle
donne.
Separare la religione
dallo Stato e sostituire i tribunali religiosi con quelli civili, liberando le
donne dalle leggi arcaiche.
Combattere
l'analfabetismo e promuovere corsi di formazione professionale, dall'acconciatura
e dal cucito alla meccanica automobilistica.
Nomina della dott.ssa
Anahita Ratebzad (1931-2014) Ambasciatrice dell'Afghanistan in Jugoslavia; in
seguito la Ratebzad, che già nel 1965 era parlamentare, occuperà la vicepresidenza
del governo e il Ministero degli Affari Sociali.
Creare migliaia di
posti di lavoro per le donne, inclusi asili nido, e stabilire un congedo di
maternità retribuito di tre mesi.
Elevare l'età nuziale
per le ragazze da 8 anni a 16; dichiarare nulli i matrimoni forzati, e vietare
la "baad", la consegna di una figlia per risolvere una controversia o
un debito familiare.
Legalizzare la libertà di non indossare il velo.
Nel 1986, circa la metà
del personale sanitario ed educativo e il 15% dei giornalisti erano donne.
C'erano 7 donne deputate e migliaia nelle forze armate e nelle Brigate di
Difesa della Rivoluzione, che tutelavano le loro conquiste dagli attacchi dei Mujaheddin
finanziati con 3mila milioni di dollari dalla CIA.
1987: la RDA avvia una svolta moderata, sperando con ciò di ridurre l'aggressività dei mujaheddin; sospende le "confische", ripristina l'Islam come religione ufficiale di stato, sovvenziona la costruzione di moschee e arresta le misure a favore delle donne.
Inizia un incubo senza fine
L'unità anticomunista
dei Mujaheddin, divisi in una dozzina di gruppi, si sfalda e il caos imperante
mina i piani degli Usa che necessitano di sicurezza per portare avanti i propri
progetti militari ed economici nel Paese.
1992: una volta scomparsa l'URSS, la CIA riaggiusta il tiro e crea un altro gruppo jihadista, i Talebani-Al Qaeda filo-sauditi. Indottrina migliaia di sottoproletari all'anticomunismo e all'antifemminismo in Pakistan e li invia in Afghanistan: vengono sguinzagliate pattuglie per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio per imporre il burqa a tutte le donne. Le scuole femminili sono chiuse, le lavoratrici sono espulse dal lavoro ed è vietato uscire di casa senza essere accompagnate da un uomo di famiglia. Si applicano la lapidazione e altre brutali forme di esecuzione come spettacoli pubblici di terrore. Aumentano gli stupri, i rapimenti, gli omicidi e anche i suicidi di ragazze e donne.
1996: I talebani arrivano nella capitale e dopo brutali torture (come la castrazione) assassinano il presidente Nayibulláh. Scatenano un terrore senza precedenti nel paese, come gettare i gay dalle rupi o schiacciarli con i bulldozer. Ma niente di tutto questo viene fuori dai media occidentali, che chiamano i Talebani "combattenti della libertà".
I Talebani firmano la propria condanna a morte quando vietano la coltivazione del papavero (con i cui introiti la CIA pagava i suoi mercenari) e non raggiungendo un accordo economico sul gasdotto Transafghano (TAPI) con Washington, che decide di finirla con loro e di prendere direttamente il controllo del Paese, dopo aver organizzato un'ampia campagna televisiva sulla barbarie dei loro vecchi complici.
2001: dopo l'11
settembre, gli USA cercheranno di realizzare i propri obiettivi completando l’occupazione
del paese. Solo tra l'ottobre 2002 e l'aprile 2003 le truppe anglo-americane
hanno sganciato circa 10mila tonnellate di bombe (come le cosiddette “daisy
cutters”) su 35 milioni di afgani, lasciando migliaia di civili sepolti sotto
le macerie. Hanno inquinato acqua e terra, distrutto raccolti e bestiame,
provocando una catastrofe umanitaria.
Nel 2002 l'UNICEF ha avvertito che 100mila bambini erano a rischio di morire di fame e di freddo. Nel giugno 2005, nel servizio di maternità dell'ospedale di Kabul nascono 150 bambini con gravi malformazioni, secondo quanto testimonia il dottor Mohammed Daud Miraki, direttore dell'Afghan Association DU & Recovery Fund. Il numero di donne e neonati durante il parto sale alle stelle.
Bush installa in
Afghanistan una Repubblica islamica, spartendo il paese tra la NATO e i
talebani. Il risultato:
La fuga di milioni di
famiglie dalle proprie case a causa degli attentati, degli stupri, delle
torture e dell'omicidio dei propri cari da parte del duo islamisti-NATO
L'87% delle donne
afghane è analfabeta e la maggior parte non ha accesso alle cure mediche.
Il 60% dei minori di 15
anni è costretto a sposarsi.
Circa il 90% delle donne e delle ragazze soffre di depressione o disturbi d'ansia, circa 2mila ogni anno cercano di uccidersi, la maggior parte di loro facendosi saltare in aria.
"Lo stupro è la
forma più comune di aggressione contro le donne", afferma la Corte Suprema
dell'Afghanistan (marzo 2019). Gli imputati sono i soldati della NATO (che in
Afghanistan hanno diverse basi militari e anche prigioni come quella di
Guantanamo), la polizia, persino il presidente della Federazione nazionale del
calcio femminile.
L'80% dei suicidi sono
compiuti da donne stanche della violenza generalizzata e strutturale, secondo
il governo afghano (2014): la sedicenne Nadia si è immolata come un bonzo per
liberarsi dalla violenza del marito e dei suoceri: è sopravvissuta con gran
parte del corpo bruciato; la diciottenne Masumeh ha avuto entrambe le orecchie
tagliate dal marito dopo una discussione; Royá è stata uccisa dal padre quando
ha scoperto che era stata violentata dallo zio; Nasrin, 20 anni, è stata uccisa
da un bombardamento NATO nella sua casa; Gulnar, 15 anni, è stata violentata da
un branco di ragazzi mentre andava a scuola, il suo corpo è stato ritrovato in
un fiume a Kabul; Samira voleva studiare e diventare medico, ma è stata sposata
all'età di 11 anni. Ha cercato di uccidersi uccidendo col veleno per topi a
causa dei continui stupri del marito e dei brutali pestaggi, e non essendoci
riuscita, a 17 anni si è versata addosso dell'olio da cucina e si è data fuoco.
Il codice penale del
2009 stabilisce che i mariti possono privare le mogli del cibo se rifiutano di
fare sesso: cioè, possono farle morire di fame.
Decine di migliaia di donne vedove con figli sono costrette a prostituirsi o a mendicare. Il 65% di loro considera il suicidio come una soluzione per porre fine alla propria miseria, afferma un rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per le donne.
Le strade del paese
sono piene di ragazze e ragazzi orfani di guerra, che invece di essere a scuola
mendicano, sono esposti a rapimenti e abusi di ogni genere. L'Osservatorio sui
diritti umani delle Nazioni Unite ha affermato che nel 2017 "circa i due
terzi delle ragazze afghane non vanno a scuola".
Il 75% delle ragazze e
degli adolescenti affronta il matrimonio forzato.
Una donna maltrattata
non può fuggire: sarà accusata di adulterio dalla famiglia e dovrà affrontare
il “delitto d'onore”, cioè essere punita con la mutilazione facciale o con la
morte.
Il 90% dei parti avviene a casa, senza assistenza professionale, e il 17% delle madri muore durante il parto.
Nell'agosto 2010, e per
neutralizzare la decisione di Barak Obama di ritirare parte delle truppe
dall'Afghanistan, la rivista Time ha messo in copertina
l'immagine della giovane ragazza afgana Aisha, 18 anni, con il naso e le
orecchie mozzate, come punizione tribale per aver disobbedito ai suoceri, con
il commento "E se lasciassimo
l'Afghanistan?"
Ma questa barbarie si è
verificata alla presenza di 300mila soldati della NATO!
Nel febbraio 2018,
l'Afghanistan ha rimosso dalla bozza di codice penale il capitolo che criminalizzava
la violenza contro le donne. Le donne e gli uomini afgani costituiscono la
seconda nazionalità più numerosa di rifugiati dalla seconda guerra mondiale: 6
milioni vivono solo in Iran e Pakistan. In Europa sono invisibili.
Oggi, con il pretesto
di "negoziati di pace" con i talebani, gli Usa intendono consegnare
il potere alle stesse mani che hanno lapidato le donne e bruciato le scuole.
Una pace per gli uomini in cui i diritti delle donne sono senza dubbio oggetto
di contrattazione. «I problemi delle donne sono importanti, ma non sono la
nostra priorità assoluta nei negoziati», afferma la portavoce dell'ambasciata
Usa a Kabul, Monica Cummings.
Dopo diciotto anni e 2
miliardi di dollari presumibilmente investiti dall'USAID per “liberare le donne
afghane”, questo paese è uno dei peggiori posti al mondo in cui nascere donna.
Non c'è dubbio che le coraggiose donne afghane insieme a uomini progressisti scriveranno il nuovo capitolo di questa storia.
*Nazanín Armanian è pubblicista e studiosa iraniana. Residente a Barcellona dal 1983, è editorialista del quotidiano digitale @Público.es di Madrid. Fonte: http://www.nazanin.es/
Mi viene da piangere. Non riesco a scrivere altro.
RispondiElimina