Il 1° dicembre di 75 anni fa nasceva la Federazione Democratica Internazionale delle Donne
Ricordiamo quel giorno (e ciò che ne seguì) riportando l'introduzione al libro di GALINA GALKINA La Federazione Democratica Internazionale delle Donne. Capitoli nella storia (Edizioni Il Raggio Verde, 2017)
Il volume è reperibile in formato ebook: https://www.bookrepublic.it/book/9788899679286-la-federazione-democratica-internazionale-delle-donne/
Una storia da raccontare
«È un’emozione per me salutare tante donne d’ogni provenienza, differenti
percorsi di vita ed età, che qui rappresentano più di 40 paesi del mondo» disse
Eugénie Cotton, prestigiosa allieva di Marie Curie e presidente dell’Unione
delle donne francesi, salutando le convenute a Parigi, nel Palais de la
Mutualité, quel 26 novembre 1945. Era il primo incontro internazionale di donne
dopo la guerra e l’occasione era di quelle che passano alla storia: 850 donne,
o forse più, delegate da oltre 180 organizzazioni d’Europa, Nord e
Sud America, Africa e Australia, a rappresentare virtualmente 81
milioni di donne,[i]
avevano risposto all’invito del Comitato d’Iniziativa Internazionale che si era
costituito a Parigi nel mese di giugno di quell’anno.[ii] Era stata la stessa Madame Cotton
a lanciare l’idea di un congresso internazionale, dal quale far nascere una
grande federazione femminile per la democrazia e la pace [iii].
Finalmente, dopo il lavoro febbrile di molti mesi, l’idea diventava realtà.
Tra le
delegate c’erano ex deportate nei campi di concentramento e di sterminio nazisti,
donne che avevano perduto marito e figli nella guerra, che avevano conosciuto
la dura vita della clandestinità e dell’esilio, che avevano combattuto sui
campi di battaglia e nelle file della Resistenza europea. Ad esse si aggiunsero
donne di altri continenti, alcune venivano da paesi nei quali le lotte contro
il colonialismo e per l’indipendenza nazionale erano agli inizi.
Alcune delle presenti avevano nomi conosciuti oltre i confini dei loro
paesi, perfino leggendari, come la pasionaria
basca Dolores Ibarruri e la combattente
dell’Armata Rossa Nina Popova.[iv]
La francese Marie Claude Vaillant Couturier era sopravvissuta ad Auschwitz[v].
La britannica Elizabeth Acland Allen era una pacifista nota per aver
contribuito ad organizzare il grande Congresso Mondiale della Pace di Bruxelles
del ‘36, alla vigilia della guerra. Victoria Kent rappresentava la Spagna
antifranchista costretta all’esilio.[vi]
Altre erano semplici operaie, delegate sindacali, attiviste, i cui nomi suonavano
sconosciuti ai più.
Della delegazione italiana (fra le più nutrite, insieme a quelle di Stati
Uniti, Gran Bretagna, Messico e Francia), facevano parte donne che avrebbero avuto
un ruolo di primo piano nella vita politica e culturale repubblicana e nel
movimento femminile, come Camilla Ravera, Ada Gobetti, Maria Romita, Lina Merlin, Maria Calogero, Anna Lorenzetto, Elena Fischli Dreher, Gigliola
Spinelli, Rosetta Longo, Marisa Rodano
e altre. [vii]
Da quel congresso, il 1° dicembre 1945, nacque la Federazione democratica
internazionale delle donne. La grande tragedia del fascismo e della seconda
guerra mondiale – la più distruttiva che l’umanità avesse conosciuto – era alle
spalle e i sentimenti prevalenti fra la gente, in Europa come negli altri
continenti, erano la speranza che gli orrori a cui aveva assistito non si
ripetessero mai più e la determinazione a lottare per questo.
«A nome di 81 milioni di donne, facciamo solenne giuramento di aderire allo
sviluppo di questa grande organizzazione femminile, nata dopo la seconda guerra
mondiale. Facciamo solenne giuramento di lottare …» dichiararono le donne
riunite a congresso.[viii] Oggi forse il linguaggio suona antiquato e fra le
donne non usa più fare solenni pubblici giuramenti, ma non v’è dubbio che una convinzione
profonda e un autentico entusiasmo ispirassero le fondatrici della FDIF, come
testimoniò la corrispondente di Noi
Donne, che scrisse: «Due italiane, tutt’e due appartenenti all’Udi, Ada
Gobetti e Camilla Ravera, fanno parte del Comitato esecutivo della Federazione.
Tutte noi donne italiane dobbiamo essere liete e fiere che la lunga attività
antifascista delle migliori fra noi, che il nostro apporto alla lotta di
liberazione e all’opera di ricostruzione – apporto del quale la nostra grande
Udi può a buon diritto rivendicare il merito – abbia permesso al nostro paese
d’essere degnamente rappresentato in un organismo internazionale di tanta
importanza per l’avvenire dell’umanità».[ix]
«La Federazione nasce perché le donne di tutti i continenti possano
lottare unite per la realizzazione dei loro interessi e delle loro speranze»,
disse ancora Eugénie Cotton, che fu eletta presidente della Federazione e
conservò l’incarico fino al 1967, anno della sua morte.[x]
E aggiunse, commossa: «Per la nostra bella impresa, abbiamo le stesse ambizioni
e lo stesso amore che una giovane madre ha per il figlio che sta per nascerle,
e noi vogliamo vegliare sulla giustizia e sulla pace come sulla salute preziosa
dei nostri figli».[xi]
Quel momento sarà ricordato a lungo, con tenerezza ancora incredula, dalle
donne che vi parteciparono, molte delle quali negli anni successivi divennero dirigenti
politiche di primo piano nei loro paesi di provenienza. «Oggi una non
s’immagina neppure le difficoltà – raccontava molti anni più tardi Marie-Claude
Vaillant-Couturier, che della federazione fu segretaria generale per i primi
dieci anni - costituite dai lunghi viaggi non soltanto per venire da
paesi lontani come l’Argentina o l’India con i mezzi di trasporto dell’epoca,
ma anche per attraversare l’Europa devastata dalla guerra. L’organizzazione
materiale del congresso richiese grandi sforzi, non c’erano le apparecchiature
per la traduzione simultanea, come oggi, e le traduzioni si facevano per gruppi
ad alta voce in un frastuono spaventoso. Ma non era importante, dominava
l’emozione di ritrovarsi assieme, di misurare assieme l’importanza della
partecipazione delle donne…”». [xii]
La neonata Federazione scelse di darsi obiettivi che riflettevano i
sentimenti e le necessità di quel momento storico: la «lotta contro il fascismo
e il militarismo, la sola che può permettere di assicurare le condizioni di una
pace durevole», un’azione risoluta per «l’uguaglianza completa di diritti
per donne e uomini in tutti i campi della vita sociale, giuridica,
politica ed economica» e per «il rispetto di tutte le libertà fondamentali
degli esseri umani, senza distinzione di genere, razza, lingua o credo religioso»[xiii].
Alla comunità internazionale il congresso di Parigi chiese «il rispetto dei
principi di uguaglianza di diritti e di autodeterminazione per tutti i popoli»
e «del diritto di ciascun popolo a scegliere liberamente, senza ingerenze
esterne, la forma di governo che gli conviene».[xiv]
La difesa del diritto dei popoli
all’indipendenza nazionale e alle libertà democratiche, la costruzione della
pace e del disarmo universale apparivano un compito fondamentale delle donne. Già
presaghe dei nuovi pericoli che si paravano all’orizzonte, le convenute a
Parigi chiesero che l’energia atomica fosse messa «al servizio del progresso e
della pace e posta sotto il controllo delle Nazioni Unite».[xv]
Uscendo
dalla più mortale delle guerre, scatenata dal fascismo, era comprensibile che
le questioni della democrazia e della
pace fossero poste in primo piano.
A farsi interprete di questa preoccupazione fu soprattutto Dolores
Ibarruri, con la veemenza del suo eloquio trascinante[xvi]:
«I nostri cuori di donne e di madri battono d’una indignazione violenta pensando
che, mentre ancora sanguinano le ferite della guerra, mentre le rovine delle
città distrutte ancora ci si parano davanti, tragica testimonianza di un
passato d’orrore, vi siano persone che non soltanto ricominciano a parlare di
guerra, ma si preparano a nuove aggressioni”[xvii].
Tuttavia c’era anche piena consapevolezza che nessuna vera democrazia si
sarebbe costruita, nessuno sviluppo economico e sociale equo sarebbe stato
possibile finché le donne non avessero goduto della pienezza dei loro diritti.
Di tutti i diritti, in campo politico, economico, giuridico e sociale.[xviii]
«Il nostro incontro di oggi – ammonì Eugénie Cotton – è un evento storico
di cui dobbiamo sottolineare l’importanza e la novità. I milioni di lavoratrici
di tutti i paesi che hanno inviato delegate a questo Congresso sono oggi anche
elettrici. Non solo possono esprimere dei desideri su tutte le questioni che le
interessano, ma possono mettere al servizio delle loro rivendicazioni
l’autorità dei loro voti. Questa autorità è grande, e noi
ne abbiamo coscienza»[xix].
Alle “donne del mondo” fu proposto un programma d’azione con il lungo elenco
dei diritti da conquistare e difendere «in quanto madri, lavoratrici e
cittadine, per la difesa del diritto alla vita e al futuro per i loro figli, ».[xx]
Su questo punto occorre soffermarsi e insistere.