Sindacati operai e organizzazioni civiche e femminili alleati nella lotta contro la violenza sulle lavoratrici domestiche
In occasione dell'8 marzo - Giornata internazionale della donna, domenica 14 marzo - una video conferenza dal titolo «Donne per la dignità e i diritti» ha riunito rappresentanti di sindacati e associazioni di diversi paesi arabi, oltre a rappresentanti dell'Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite (ILO). Il Libano era rappresentato dall'associazione "Uguaglianza - Wardah Boutros per l'azione femminile" la cui presidente Marie Nassif-Debs ha presentato una sintesi dell'esperienza che, lanciata dieci anni fa dal sindacato Fenasol e dal suo presidente Castro Abdallah, ha visto l’adesione delle associazioni femminili libanesi.
di Marie Nassif Debs*
Il problema del lavoro domestico non è nuovo, né in Libano
né nel mondo; e le violenze subite dai lavoratori, in particolare dalle donne,
sono state fin dall'antichità, oggetto di denuncia di un gran numero di storici
e scrittori illuminati che hanno attirato l'attenzione su questo problema ... Si
chiamasse schiavitù oppure lavoro retribuito, resta il fatto che questo tipo di
sfruttamento è sempre stato riferito in particolare ai popoli del Sud del
pianeta, che l’hanno subito sin dalle prime colonizzazioni e continuano a
soffrirne ancora, per via della povertà in cui vivono perché depredati delle risorse
naturali da quello stesso colonialismo che è tornato sotto la forma di
multinazionali e transnazionali.
Il Libano, non c’è bisogno di dirlo, non fa parte del club
dei paesi ricchi e conquistatori. Tuttavia, nonostante sia un paese piccolo, fin
dalla seconda metà dell'Ottocento gran parte della sua popolazione ha intrapreso
la via dell'emigrazione verso le Americhe, ma anche e soprattutto verso
l'Africa e, più tardi, il Golfo Arabico. Questo popolo di emigranti recò
fortune al paese, cosa che permise, dalla seconda guerra mondiale, alle
famiglie ricche (borghesi e rimanenze del feudalesimo) di procurarsi l'aiuto di
lavoratori e lavoratrici domestici principalmente dai paesi vicini. Fu solo
nella seconda metà del Novecento, e più precisamente negli anni Novanta, che si
diffuse però l'uso del lavoro domestico, per lo più tra le famiglie della
classe media: le statistiche del Ministero del Lavoro in Libano riportano, per
il periodo dal 1991 al 2014, la cifra di 245mila lavoratori domestici, in
maggioranza donne.
Sri Lankesi, prima di tutte, ma anche filippine, seguite
presto da donne africane, soprattutto dall'Etiopia e dal Madagascar, e altre
asiatiche, come le nepalesi ... Senza dimenticare le lavoratrici siriane e
palestinesi. Tutta un'attività lucrativa è fiorita attorno a questa forza
lavoro sottopagata, per lo più maltrattata che aveva bisogno di un
"garante" per ottenere il permesso di soggiorno in Libano.
"Garanzia" che a volte si vendeva a caro prezzo ...
Va detto che l'articolo 7 della Legge sul lavoro nel nostro
Paese, promulgata nel 1946, vieta ai lavoratori domestici, donne e uomini, così
come ai muratori, ai lavoratori agricoli e ai pescatori il diritto di
organizzarsi in sindacati e, soprattutto, di godere delle tutele lavorative. Di
conseguenza, queste diverse centinaia di migliaia di donne, venute da lontano
per lavorare e provvedere alle loro famiglie, si sono trovate in situazioni
insopportabili, sia sotto l’aspetto legale che quello della vita quotidiana.
Questa situazione ha spinto, dal 2010, la Federazione
nazionale dei lavoratori e degli impiegati in Libano (Fenasol) a contattare
questi lavoratori, soprattutto le donne, spingendole a formare comitati di
coordinamento secondo le diverse nazionalità. Quindi, a seguito della centesima
conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e della
promulgazione da parte di essa della Convenzione n. 189, che si applica a tutte
le "lavoratrici o lavoratori che svolgono un lavoro domestico nel contesto
di un rapporto di lavoro" e ne richiede la tutela, Fenasol ha contattato nel 2014 le
organizzazioni femminili (tra cui l'associazione Egalité - Wardah Boutros) e altre ONG che operano nel campo dei
diritti delle donne, per contribuire ad organizzare questo settore e,
soprattutto, per promuovere le capacità di queste donne e formarle per
l'attività sindacale. Va anche detto che l'ufficio dell'ILO a Beirut è stato ed
è tuttora molto collaborativo in questo senso.
Nel corso dei quattro anni successivi, e dopo numerosi
incontri che hanno portato alla formazione di centinaia di donne provenienti da
tutto il mondo, 300 di queste sono state delegate a formare un comitato costituente
del sindacato delle lavoratrici e lavoratori domestici, dal quale è stata presentata
una richiesta al Ministero del Lavoro libanese seguita dallo svolgimento, il 25
gennaio 2015, di un congresso di fondazione cui hanno partecipato
rappresentanti dell'ILO e delle organizzazioni sindacali arabe e
internazionali. Il governo libanese era rappresentato dal direttore generale
della sicurezza nazionale.
E così, nonostante la minaccia del ministro del Lavoro di
vietare lo svolgimento del Congresso, si è potuto eleggere un comitato
direttivo, promulgare gli statuti e il programma di lotta del sindacato, cioè
del primo sindacato che raggruppa donne che svolgono lavori domestici nel mondo
arabo.
Tuttavia dobbiamo dire che, contrariamente alla Convenzione ILO
87, ratificata dal Libano, che garantisce il diritto di organizzazione di
lavoratori e lavoratrici, il Ministero del lavoro ha finora rifiutato di
legalizzare questo sindacato. Ma questo non ci impedisce di continuare la lotta
che abbiamo iniziato con Fenasol sette anni fa.
In questa lotta abbiamo messo a fuoco il problema della
"garanzia", che impone alle donne straniere che svolgono il lavoro
domestico di dipendere da un garante della loro presenza in Libano; a questo
proposito, abbiamo ricevuto sostegno di funzionari e sindacalisti di paesi come
l'Etiopia e il Nepal; inoltre, abbiamo vinto la causa per quanto riguarda la
possibilità di viaggiare e rientrare in Libano senza aver bisogno della
presenza del “garante” per ogni collaboratrice domestica con permesso di soggiorno
delle autorità competenti.
E oggi, con la pandemia di Covid 19 e i problemi economici e
finanziari che stanno scuotendo il nostro Paese, tra cui la chiusura di decine
di migliaia di attività e i numerosi licenziamenti che ne sono derivati,
Fenasol e le associazioni femminili non hanno mollato, continuando sostenere
questi lavoratori e lavoratrici che hanno sofferto particolarmente di questa situazione
di crisi acuta. Hanno anche aiutato centinaia di loro a tornare nei loro paesi
di origine, o hanno continuato a sostenere il più possibile coloro che sono
rimasti in Libano.
Crediamo che questa forma di violenza contro le donne
costrette a emigrare per provvedere ai bisogni delle loro famiglie, in
particolare i bambini piccoli che sono costrette a lasciare nel loro paese, sia
diventata una piaga generale per centinaia di milioni di sfollati/e, a causa
delle guerre, della povertà e della carestia. Questo è il motivo per cui questa
deve essere inclusa tra le priorità delle Nazioni Unite, ma anche del movimento
sindacale internazionale e del movimento delle donne nel mondo in questo anno
dominato dalla lotta per la ratifica della Convenzione 190 sulla violenza e le
molestie.
Beirut, 14 marzo 2021
(Testo originale) L’alliance des syndicats ouvriers et des organisations civiles au Liban dans la lutte contre la violence faite aux travailleurs domestiques
A l’occasion du 8 mars – Journée
internationale des Femmes, un meeting (ZOOM) s’est tenu le dimanche 14 mars
sous le tire : « Femmes pour la dignité et les droits ». Ce
meeting a réuni des représentantes syndicales et associatives de plusieurs pays
arabes, en plus de représentantes de l’Organisation Internationale du Travail
(OIT) des Nations Unies. Le Liban fut représenté par l’association « Egalité
– Wardah Boutros pour l’action féminine » dont la présidente D. Marie
Nassif-Debs a présenté un aperçu de l’expérience qui, il y a dix ans, fut
lancée par la Fenasol et son président le syndicaliste Castro Abdallah et à
laquelle avaient adhéré des associations de femmes libanaises.
Le problème du travail
domestique n’est pas nouveau, ni au Liban ni à travers le monde ; et les
violences subies par les travailleurs, les femmes notamment, a été, depuis
l’antiquité, un des points repères d’un grand nombre d’historiens et
d’écrivains éclairés qui ont attiré l’attention sur ce problème… Tantôt appelé
esclavage ou, encore, travail contre salaire, il n’en reste pas moins que ce
genre de travail a toujours été lié en particulier aux peuples du Sud de la
planète qui en ont pâti depuis les premières colonisations et qui continuent à
en pâtir à cause de la pauvreté dans laquelle ils vivent parce que leurs
ressources naturelles leur sont soutirées par ce même colonialisme revenu sur
le terrain sous forme de sociétés multinationales et transnationales.
Le Liban, il faut le
dire, n’entre pas dans le club de ces pays riches et conquérants. Cependant, et
bien qu’il soit un petit pays, une grande partie de sa population avait pris,
depuis la seconde moitié du XIXème siècle, le chemin de l’émigration vers les
Amériques, mais aussi et surtout vers l’Afrique et, plus tard, le Golfe
arabique; et cette population d’émigrants a rapporté des fortunes au pays, ce
qui a permis, à partir de la seconde guerre mondiale, aux familles riches (de
la bourgeoisie et des restes de la féodalité) de se procurer l’aide de
travailleuses et travailleurs domestiques venus surtout des pays voisins. Ce
n’est que durant la deuxième moitié du XXème siècle, et plus précisément durant
les années quatre-vingt-dix, que le recours au travail domestique s’est
propagé, notamment parmi les familles appartenant à la classe moyenne, puisque
les statistiques du Ministère du travail au Liban rapportent, pour la période
de 1991 et 2014, la venue de 245000 travailleurs domestiques, des femmes en
majorité.
Des Sri Lankaises,
d’abord, mais aussi des Philippines, suivies bientôt par des femmes africaines,
venues surtout de l’Ethiopie et de Madagascar, et d’autres femmes asiatiques,
telles les Népalaises… Sans oublier les travailleuses syriennes et
palestiniennes. Un commerce lucratif s’est installé autour de cette main – d’œuvre
sous – payée, maltraitée pour la plupart, et qui avait besoin d’un
« garant » pour avoir le permis de résidence au Liban.
« Garantie » qui se vendait cher parfois…
Il faut dire que l’article
7 de la Loi du travail dans notre pays, promulguée en 1946, interdit aux
travailleurs et travailleuses domestiques, ainsi qu’aux maçons, aux ouvriers
agricoles et aux pêcheurs le droit de se syndicaliser et, surtout, de profiter
du code du travail. Ce qui fait que ces quelques centaines de milliers de
femmes, venues de loin pour travailler et subvenir aux besoins de leurs
familles, se trouvaient dans des situations insupportables, tant sur le plan de
la loi que sur le plan de la vie de tous les jours.
Cette situation a
poussé, à partir de 2010, la Fédération nationale des ouvriers et employés au
Liban (Fenasol) à prendre contact avec ces travailleurs, surtout les femmes,
les poussant à former des comités de coordination selon les nationalités
différentes. Puis, à la suite de la centième conférence générale de l’Organisation
Internationale du Travail (OIT) et de la promulgation par cette conférence de
la Convention n° 189 qui s’applique à tous les « travailleurs de
genre féminin ou masculin exécutant un travail domestique dans le cadre d’une
relation de travail » et qui appelle à la protection de ces travailleuses
et travailleurs, la Fenasol a contacté, en 2014, des organisations de femmes
(dont l’association Egalité – Wardah
Boutros) et d’autres ONG œuvrant dans le domaine des droits des femmes afin
de l’aider à organiser ce secteur et, surtout, à développer les capacités de
ces femmes et à les former à l’activité syndicale. Il faut aussi dire que le
bureau de l’OIT à Beyrouth a été et est toujours très coopératif à ce propos.
Durant les quatre années
suivantes, et les réunions nombreuses ont abouti à former des centaines de
femmes de tous les pays, dont 300 ont été choisies afin de constituer un Comité
fondateur du syndicat des travailleuses domestiques, suite à quoi une
demande fut présentée au Ministère du travail libanais suivie de la tenue, le
25 janvier 2015, d’un congrès fondateur auquel ont assisté les représentants de
l’OIT ainsi que des représentants d’organisations syndicales arabes et
internationales. Le gouvernement libanais fut représenté par le directeur
général de la sureté nationale.
Et ainsi, malgré les
menaces du ministre du travail d’interdire la tenue du congrès, celui –ci a pu
élire un comité directeur, comme il a pu aussi promulguer les statuts et le
programme de lutte du syndicat, ou plutôt du Premier syndicat regroupant des
femmes exécutant un travail domestique dans le Monde arabe.
Cependant, il nous
faut dire que, contrairement à la Convention 87 de l’OIT, ratifiée par le
Liban, et qui garantit le droit des
travailleurs de s’organiser, le ministère du Travail refuse jusqu’à maintenant
de légaliser ce syndicat. Ce qui ne nous empêche pas de poursuivre la lutte que
nous avions commencée avec la Fenasol il y a de cela 7 ans.
Durant cette lutte,
nous avons, surtout, mis en avant le problème de la « garantie » qui
impose aux femmes étrangères pratiquant le travail domestique d’être dépendantes
d’une personne responsable de leur présence au Liban ; et, à cet égard,
nous avons reçu des visites de représentants officiels et syndicalistes des
pays tels que l’Ethiopie et le Népal. De plus, nous avons eu gain de cause en
ce qui concerne la possibilité de voyager et de revenir au Liban sans avoir
besoin de la présence du « garant » de toute travailleuse domestique possédant
un permis de séjour des autorités qualifiées.
Et, aujourd’hui, avec
la pandémie du Covid 19 et les problèmes économiques et financiers qui secouent
notre pays, dont la fermeture de dizaines de milliers d’entreprises et les
licenciements nombreux qui en ont découlé, la Fenasol et les associations
féminines n’ont pas lâché prise, continuant à soutenir ces travailleuses qui
ont eu à pâtir de cette situation de crise aiguë. Ainsi, elles ont aidé des
centaines d’entre elles à retourner dans leurs pays d’origine, comme elles
continuent à soutenir autant que possible celles qui sont restées au Liban.
Nous pensons que cette
forme de violence faite à des femmes obligées de s’expatrier pour subvenir aux
besoins de leurs familles, surtout des enfants en bas âge qu’elles délaissent,
est devenue un fléau généralisé avec les centaines de millions de déplacé-e-s tant
à cause des guerres que de la pauvreté et de la famine. Voilà pourquoi elle doit
être parmi les priorités de l’ONU, mais aussi du mouvement syndical
international et du mouvement des femmes dans le monde durant cette année
dominée par la lutte pour entériner la Convention 190.
D. Marie Nassif – Debs - Le 14 mars 2021
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