İLERİCİ KADINLAR DERNEĞİ (IKD) |
Durante questo periodo di sfruttamento intensificato, la
pandemia è diventata una scusa per attaccare i diritti acquisiti dai ceti
popolari. La pandemia che ha acuito la gravità della crisi economica,
contrariamente alle dichiarazioni di "economia forte" del governo, ha
indotto milioni di lavoratori a scegliere tra il contagio e la fame. Le ferie
non pagate e il lavoro a tempo ridotto hanno causato un'enorme crescita della
disoccupazione, mentre il lavoro flessibile, informale e precario è diventato modalità
comune di occupazione.
Le più colpite da questo corso sono state ancora una volta
le donne, considerate dal capitalismo come manodopera a basso costo. Il tasso
di occupazione femminile, già basso prima della pandemia nel nostro Paese, è
ulteriormente diminuito, mentre è aumentato in modo esponenziale il lavoro
informale e precario per le lavoratrici. La sospensione dell'istruzione, la
formazione a distanza, l'assistenza all'infanzia, l'assistenza ai malati e agli
anziani, le difficoltà nell'accesso ai servizi sanitari e la necessità di
maggiore igiene e alimentazione più sana hanno aumentato il carico domestico
delle donne.
Inoltre, milioni di donne considerate casalinghe e non
incluse nelle statistiche della forza lavoro, dipendenti dal reddito di altri
membri della famiglia per la sopravvivenza, attualmente si trovano ad
affrontare la povertà. Le proclamazioni di "economia forte" così come
la propaganda del "porre fine alla povertà" da parte del governo non
sono altro che parole. Mentre enormi fondi vengono trasferiti alla classe
capitalistica attraverso misure e pacchetti di incentivi durante la pandemia,
il salario minimo stabilito per la classe lavoratrice è da fame. Di fatto la
maggior parte delle donne è costretta a lavorare anche per meno del salario
minimo.
Nel nostro paese, Insieme al crescente sfruttamento, le
politiche reazionarie opprimono le classi lavoratrici, principalmente le donne.
Le autorità continuano a predicare la pazienza e l'accettazione del destino di
fronte alla povertà. Il governo, in ogni occasione, dichiara che l'uguaglianza
tra donne e uomini è contro natura, mentre definisce le donne unicamente con
ruoli domestici e pretende di riformare la società su riferimenti religiosi. L’introduzione
di elementi reazionari in ogni fase dell'istruzione, la promozione di discussioni
su progetti di coeducazione e università femminili, nonché l'attuazione della
separazione della vita sociale per donne e uomini sono gli indizi della
"nuova società" che s’intende costruire. In questa "Nuova
Turchia" del governo, dove la laicità è de facto liquidata, le comunità religiose e le sette sono inserite
ad ogni livello statale e la Direzione degli affari religiosi agisce come ministero
delle ideologie e predica su ogni questione, le donne sono subordinate, soggette
alla violenza e al femminicidio.
Laddove la violenza contro le donne e il femminicidio sono
in aumento, usare la Convenzione di Istanbul come mezzo di scambio elettorale è
la dimostrazione della natura reazionaria sia del governo che della cosiddetta
opposizione, a cui siamo soggetti. Inoltre, il governo che mira a sancire la
"Nuova Turchia" disponendo l'agenda della "Nuova
Costituzione", intende distruggere anche le briciole della Repubblica del
1923, principalmente il principio di laicità, che di fatto rimane solo sulla
carta
Questo sistema che non consente il diritto alla vita alle
donne, dove i lavoratori sono venduti al capitale internazionale come
manodopera a basso costo, dove lo sfruttamento, la povertà e la disoccupazione
sono considerati come un destino, dove la laicità è liquidata e il contro
riformismo religioso è diventata l'ideologia prevalente, dove ogni giorno donne
e bambini affrontano sempre più violenze e abusi, devono cambiare. La società
del futuro egualitaria, libera e illuminata sarà costruita solo attraverso la
lotta della classe lavoratrice, delle donne e dei giovani.
L'eredità socialista e operaia che ha combattuto contro il
capitalismo per cambiare il sistema vive nella forte e reale volontà su cui si fonda
l'8 marzo. Questo fatto storico deve essere sottolineato oggi più fortemente
che mai dalle donne socialiste.
La conoscenza della storia ci dice che la condizione per la
liberazione delle donne è la liberazione sociale di tutti che si realizza attraverso
la prospettiva socialista di un nuovo sistema sociale che cambi i rapporti di
produzione e distribuzione.
La Giornata internazionale della donna lavoratrice,
attualmente "celebrata" fuori contesto, vulnerabile alle
manipolazioni ideologiche liberali e reazionarie della borghesia, appartiene
infatti alla classe operaia e deve ritornare ad essa!
L'8 marzo, Giornata internazionale della donna lavoratrice è
un momento importante per noi donne lavoratrici e per la classe operaia. Questa
storia è un'eredità significativa della lotta delle donne lavoratrici da oltre
un secolo e va portata avanti. Sulla base di questa eredità, è essenziale per
noi promuovere la lotta contro lo sfruttamento, la reazione e la
discriminazione di genere, per un sistema sociale egualitario, libero e laico,
una nuova repubblica.
L'8 marzo, chiamiamo tutte le forze progressiste,
rivoluzionarie, di sinistra e socialiste e le organizzazioni femminili a
riunirsi per promuovere la solidarietà e la lotta per un sistema sociale
egualitario e una nuova repubblica, opponendo alla nuova costituzione del
governo quella della classe lavoratrice, lottando insieme contro la crisi, lo
sfruttamento e la disoccupazione che sono diventati ulteriormente visibili e
brutali con la pandemia, alzando la nostra voce comune contro le politiche
reazionarie che comprimono i diritti delle donne.
Un sistema sociale egualitario, una vita umana è possibile.
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