26/05/25

Palestina / Non nominate i bambini morti a Gaza

 I bambini palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani hanno un nome. Dobbiamo dire i nomi di tutti quelli che possiamo ricordare.

Ismail Shammout (Gaza), We Will Not Leave, 1987 

di Vijay Prashad*

Nel 2014, i bombardamenti israeliani su Gaza causarono la morte di bambini innocenti. Due attacchi a luglio toccarono una corda particolare. Nel primo, Israele lanciò un missile che colpì il Fun Time Beach Café (Waqt al-Marah) a Khan Younis alle 23:30 del 9 luglio. Nel caffè, una struttura improvvisata a circa trenta metri dal Mar Mediterraneo, diverse persone si erano radunate per assistere alla semifinale della Coppa del Mondo FIFA 2014 tra Argentina e Paesi Bassi. Erano tutti grandi tifosi di calcio. Il missile israeliano uccise nove ragazzi: Musa Astal (16 anni), Suleiman Astal (16 anni), Ahmed Astal (18 anni), Mohammed Fawana (18 anni), Hamid Sawalli (20 anni), Mohammed Ganan (24 anni), Ibrahim Ganan (25 anni) e Ibrahim Sawalli (28 anni). Non videro mai l'Argentina vincere la partita ai rigori né la Germania vincere il torneo in una partita giocata pochi giorni dopo.

Nel frattempo, i bombardamenti israeliani non si placavano. Tre giorni dopo, il 16 luglio, diversi ragazzi stavano giocando a calcio – come se stessero rigiocando ai Mondiali di calcio sulla spiaggia di Gaza – quando una nave della marina militare israeliana aprì il fuoco prima contro un molo e poi, mentre i ragazzi fuggivano dall'esplosione, contro i ragazzi stessi. Israele ne uccise quattro – Ismail Mahmoud Bakr (9 anni), Zakariya Ahed Bakr (10 anni), Ahed Atef Bakr (10 anni) e Mohammad Ramez Bakr (11 anni) – e ne ferì altri. Il bombardamento israeliano del 2014 su Gaza uccise in totale almeno 150 bambini. Quando l'organizzazione per i diritti umani B'Tselem produsse uno spot per trasmettere i nomi dei bambini sulla televisione israeliana, l'Autorità per le trasmissioni israeliana lo vietò. 

Il poeta britannico Michael Rosen rispose alle uccisioni e al divieto con la bellissima poesia "Non menzionate i bambini".

Non menzionate i bambini.
Non nominate i bambini morti.
La gente non deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
I nomi dei bambini devono essere nascosti.
I bambini devono essere senza nome.
I bambini devono lasciare questo mondo
senza nome.
Nessuno deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
Nessuno deve dire i nomi
dei bambini morti.
Nessuno deve nemmeno pensare che i bambini
abbiano un nome.
La gente deve capire che sarebbe pericoloso
sapere i nomi dei bambini.
La gente deve essere protetta dal
sapere i nomi dei bambini.
I nomi dei bambini potrebbero diffondersi
come un incendio.
La gente non sarebbe al sicuro se conoscesse
i nomi dei bambini.
Non nominate i bambini morti.
Non ricordate i bambini morti.
Non pensate ai bambini morti.
Non dite: "bambini morti".

Sì, i bambini hanno un nome. Continueremo a nominare tutti coloro di cui possiamo ricordare il nome. Non li dimenticheremo.

Nel settembre 2024, il Ministero della Salute palestinese ha pubblicato un elenco aggiornato dei nomi dei palestinesi uccisi nel genocidio israelo-statunitense, tra ottobre 2023 e agosto 2024. In quell'elenco ci sono 710 neonati la cui età è indicata come zero. Molti di loro avevano appena ricevuto un nome.

Sebbene l'elenco sia troppo lungo per essere riportato qui, la storia di Ayssel e Asser Al-Qumsan è emblematica. Il 13 agosto 2024, Mohammed Abu Al-Qumsan lasciò il suo appartamento a Deir al-Balah, all'interno della "zona sicura" della Striscia di Gaza centrale, per registrare la nascita dei suoi gemelli Ayssel e Asser. Li lasciò alla madre, la dottoressa Jumana Arfa (29 anni), che li aveva partoriti tre giorni prima all'ospedale Al-Awda di Nuseirat. La dottoressa Jumana Arfa era una farmacista laureatasi presso l'Università di Al-Azhar a Gaza. Pochi giorni prima di dare alla luce i suoi figli, aveva pubblicato su Facebook un post sulla politica israeliana diretta a colpire i bambini, citando un'intervista al chirurgo ebreo americano Dr. Mark Perlmutter in un'importante rubrica della CBS News intitolata "Children of Gaza". Quando Mohammed tornò dalla registrazione dei gemelli, scoprì che la loro casa era stata distrutta e che sua moglie, i suoi figli neonati e sua suocera erano stati tutti uccisi in un attacco israeliano. 

Ayssel Al-Qumsan.
Asser Al-Qumsan.
Dobbiamo dare un nome ai bambini morti.

* Vijay Prashad, Le lacrime dei nostri bambini
Newsletter gennaio 2025, Tricontinental Institute for Social Research
https://thetricontinental.org/newsletterissue/palestine-gaza-2025/

 




24/05/25

Il femminismo in tempo di guerra: la lotta delle donne per la pace e l'uguaglianza ieri e oggi

 In uno scenario di guerre, il femminismo deve difendere il diritto a una vita dignitosa, nell'uguaglianza e senza violenza. La pace non è solo un desiderio: è anche una lotta femminista

Foto: Ben Schumin / CC BY-SA 2.0

di Cristina Simó Alcaraz *

Ottant'anni fa, in un mondo devastato dalla Seconda Guerra Mondiale, donne di diversi paesi si riunirono per fondare la Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDIM). Questa organizzazione, nata nel 1945 al Congresso delle donne di Parigi, propugnava non solo l'emancipazione delle donne, ma anche la pace globale e la giustizia sociale. La sua creazione fu una risposta al fascismo e all'autoritarismo, guidata da donne che avevano resistito in clandestinità, erano sopravvissute ai campi di concentramento o avevano combattuto nei movimenti partigiani.

La FDIM è nata dall'esperienza traumatica della guerra. Molte delle sue fondatrici erano state attive nella lotta contro il nazismo: dalle donne della Resistenza francese alle partigiane italiane e jugoslave come Vida Tomšič. Altre, come la scienziata Eugénie Cotton, avevano affrontato l'occupazione nazista dalla clandestinità. Queste donne capirono che la pace non era solo l'assenza di guerra, ma la costruzione di un mondo senza oppressione di genere, classe o razza.

I suoi obiettivi erano chiari: parità di retribuzione, accesso all'istruzione, diritti riproduttivi, disarmo nucleare e solidarietà con i popoli oppressi. La FDIM è stata determinante nel far istituzionalizzare l'8 marzo come Giornata internazionale della donna e nel far dichiarare il 1975 come Anno internazionale della donna dalle Nazioni Unite.

Le donne spagnole nella FDIM

In America Latina e in Europa, la FDIM ha svolto un ruolo cruciale grazie alle donne comuniste spagnole esiliate dopo la sconfitta repubblicana del 1939. Dolores Ibárruri, la Pasionaria, vicepresidente della FDIM, è stata una figura centrale, insieme ad altre come Isidora Dolado, Carmen de Pedro ed Elisa Úriz Pi, che denunciarono la tortura dei prigionieri politici sotto il franchismo.

L'Unione delle donne spagnole (UME), legata al PCE, coordinò le campagne internazionali contro la dittatura. Negli anni ‘60 e ‘70, la FDIM sostenne il Movimento Democratico delle Donne (MDM), che collegava clandestinamente il femminismo spagnolo con le lotte globali. Il suo approccio combinava classe, genere e anti-imperialismo, prendendo le distanze dal femminismo liberale.

Il femminismo di fronte alle guerre del XXI secolo

Oggi, in un mondo segnato da guerre scatenate dall'imperialismo statunitense, l'eredità della FDIM è più urgente che mai. Gli Stati Uniti, nella decadenza della loro egemonia, provocano conflitti per mantenere il loro dominio: dall'Ucraina (per indebolire la Russia) a Gaza (a sostegno del genocidio sionista), passando per le invasioni dell'Iraq e dell'Afghanistan, i colpi di stato in America Latina (Bolivia, Venezuela, Nicaragua) e le sanzioni contro Cuba, Iran e Corea del Nord.

Le donne sanno che in guerra non ci sono diritti. La militarizzazione dirotta le risorse dalla salute, dall'istruzione e dall'assistenza alle armi, rafforzando il patriarcato e la violenza sessista. La mascolinizzazione delle società in guerra approfondisce l'oppressione femminile, come dimostra l'ascesa dell'estrema destra misogina, pilotata da figure come Trump e i suoi alleati europei.

Per un femminismo antifascista e per la pace

Alla luce di queste considerazioni, è necessario:

  • Recuperare lo spirito del FDIM: l'unità internazionalista contro il fascismo.
  • Contribuire alla costruzione di un grande movimento per la pace e chiedere soluzioni diplomatiche invece di guerre, nel rispetto dell'autodeterminazione dei popoli.
  • Denunciare la militarizzazione e il riarmo, che perpetuano la disuguaglianza e disumanizzano le società.
  • Rafforzare le reti femministe transnazionali, come fecero le comuniste spagnole in esilio.

Le comuniste spagnole, eredi dell'MDM e della FDIM, continuano ad essere un ponte tra donne provenienti da diverse regioni del mondo. In uno scenario di guerre, il femminismo deve difendere il diritto a una vita dignitosa, nell'uguaglianza e senza violenza.

Come diceva Dolores Ibárruri: "È meglio morire in piedi che vivere in ginocchio". Oggi, quello slogan si traduce nel fermare le guerre, il genocidio, l'avanzata fascista e porre fine al capitalismo predatorio. La pace non è solo un desiderio: è anche una lotta femminista.

*Responsabile Area femminismo del PCE

 Questo articolo è pubblicato in: mundoobrero.es del 22/05/2025



04/05/25

9 maggio/La comunità ungherese per la pace celebrerà la sconfitta del nazifascismo

«È deplorevole che il primo ministro Viktor Orbán non intenda commemorare l'80° anniversario della sconfitta del nazifascismo, alla quale milioni di persone devono la vita e le libertà democratiche»

La Comunità Ungherese per la Pace fa sapere che, al contrario del governo di Viktor Orbán, celebrerà la sconfitta del nazismo e del fascismo e che deporrà una corona d'alloro al monumento agli eroi sovietici in piazza Szabadság a Budapest il 9 maggio, perché intende “condividere la celebrazione della sconfitta del nazifascismo nel 1945 e la liberazione dell’Europa con tutti coloro che professano la libertà, l'uguaglianza, la sicurezza collettiva e l'esigenza di una coesistenza pacifica tra paesi e popoli”.

La Comunità Ungherese per la Pace considera deplorevole che il primo ministro Viktor Orbán non intenda commemorare la sconfitta del nazifascismo, alla quale milioni di persone devono la vita e le libertà democratiche, ma la viva piuttosto come una sconfitta. Per voce del suo cancelliere Gergely Gulyás, infatti, il 17 aprile scorso Orbán ha dichiarato che non si poteva parlare di vittoria, poiché l'Ungheria, alleata della Germania di Hitler nella Seconda Guerra Mondiale, aveva subito una sconfitta. Lo stesso Viktor Orbán ha poi fatto sapere che non avrebbe festeggiato, nemmeno in caso di una riconciliazione tra Europa occidentale e Russia.

La Comunità per la Pace ungherese ritiene che, a causa del comportamento equivoco e pavido di Viktor Orbán nei confronti del nazifascismo, spetti al popolo ungherese mostrare determinazione al posto del proprio governo e manifestare la propria opposizione al fascismo. È interesse della nazione ungherese vivere in pace e in buoni rapporti sia con l'Est che con l'Ovest e condizione indispensabile per questo è la condanna inequivocabile del nazifascismo.

01/05/25

1 maggio / La FDIM/WIDF con le donne lavoratrici di tutto il mondo


Uniamoci nella lotta per il lavoro e i diritti sociali delle lavoratrici!




Esigiamo politiche pubbliche 
che promuovano l'autonomia 
economica delle donne



Esigiamo il riconoscimento e la remunerazione del lavoro di cura e domestico


Lottiamo per salari dignitosi,
pari opportunità,
tutela contro le molestie sul lavoro
e le discriminazioni


Esigiamo rispetto per i diritti
delle lavoratrici migranti
e le donne che lavorano
nei settori informali.

 
Denunciamo la violenza sui luoghi di lavoro, le discriminazioni di genere e ogni altra forma di discriminazione, esigiamo politiche per l'accesso alla salute sessuale e riproduttiva.


POGO (Cipro) / Il Primo Maggio è una voce di resistenza e una promessa di lotta

Con la solidarietà e l’azione organizzata – scrive il Movimento pan-cipriota delle donne (POGO) – continuiamo a lottare per un mondo senza sfruttamento, senza disuguaglianze, senza oppressione.



La Giornata Internazionale dei/delle Lavoratori/Lavoratrici è un giorno di commemorazione, celebrazione e continuità. Un giorno per ricordare le sanguinose lotte della classe operaia in tutto il mondo. Un giorno per onorare coloro che si sono opposti allo sfruttamento, lottando per un lavoro dignitoso, la giornata lavorativa di otto ore, la contrattazione collettiva, la previdenza sociale e la parità di diritti. E un giorno di continuità, perché lo sfruttamento persiste e le lotte rimangono attuali e necessarie. 

A Cipro, nel 2025, le donne lavoratrici continueranno ad affrontare gravi difficoltà sul posto di lavoro. Il divario retributivo di genere è salito al 12,2%, secondo gli ultimi dati Eurostat. Ciò significa che per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna guadagna in media solo 88 centesimi, pur svolgendo un lavoro di pari valore. 

Inoltre, le donne hanno meno probabilità di essere impiegate a tempo pieno rispetto agli uomini (52% contro 65%), mentre il tasso di occupazione part-time tra le donne si attesta al 10,6%, rispetto al 5,5% degli uomini. Queste disuguaglianze riflettono le barriere strutturali che le donne continuano ad affrontare nel mercato del lavoro. 

Il Movimento delle Donne di POGO è in prima linea nella lotta per l'uguaglianza, la giustizia e la liberazione sociale. Non scendiamo a compromessi con lo sfruttamento, né accettiamo le strutture oppressive che perpetuano la disuguaglianza nel lavoro e nella vita. Chiediamo un lavoro dignitoso per tutti, parità di retribuzione per pari lavoro, servizi di assistenza pubblici e gratuiti e rispetto del lavoro e della dignità umana. 

Il Primo Maggio è una voce di resistenza e una promessa di lotta. Con solidarietà e azione organizzata, continuiamo a lottare per un mondo senza sfruttamento, senza disuguaglianze, senza oppressione.

Movimento pan-cipriota delle donne (POGO) 

#1May2025
 

30/04/25

VIVA IL 1°MAGGIO / UNITE NELLA LOTTA PER I DIRITTI SOCIALI E DEL LAVORO

 Lavorare con i diritti, vivere con dignità

Esigiamo un salario dignitoso, pari opportunità e tutele contro molestie e discriminazioni sul lavoro.

Esigiamo il rispetto dei diritti delle lavoratrici migranti, lavoratrici domestiche e del settore informale.

Chiediamo politiche che promuovano l'autonomia economica delle donne.

Chiediamo il riconoscimento e la remunerazione del lavoro di cura.

Denunciamo ogni forma di violenza sul posto di lavoro, sfruttamento e discriminazione, esigiamo politiche efficaci di accesso alla salute sessuale e riproduttiva.

Esigiamo rispetto per le attiviste sociali e tutte le donne che lottano per i diritti umani, per i diritti sociali e per la pace.

Awmr Italia - Donne della Regione Mediterranea


19/04/25

La NATO non è mai stata una buona idea finita male...

Lo raccontano Medea Benjamin e David Swanson nel loro libro NATO: cosa c'è da sapere, in cui  si documenta la storia estremamente violenta della NATO, fondata per schiacciare i movimenti comunisti, socialisti e anticoloniali in Europa e in tutto il mondo.

di Ann Garrison*

L'organizzazione è nata il 4 aprile 1949, quando i ministri degli esteri di 12 nazioni si riunirono a Washington, D.C. per firmare il Trattato del Nord Atlantico di 1100 pagine. I suoi membri originari furono Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti.

Il trattato proclamava il suo impegno per la pace e i principi della Carta delle Nazioni Unite, ma "il vero collante che univa i paesi della NATO era l'opposizione al comunismo e al socialismo".
È stata creata non solo per contrastare l'URSS, ma anche per sconfiggere i movimenti comunisti e socialisti europei e schiacciare le lotte rivoluzionarie e anticoloniali. Al momento della sua fondazione, la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio e il Portogallo stavano conducendo campagne feroci per cercare di mantenere le loro colonie africane.


L'URSS creò il Patto di Varsavia solo sei anni dopo, nel maggio 1955, in risposta alla NATO. L'anno precedente aveva addirittura chiesto di aderire, temendo la rinascita del militarismo tedesco, che era costato tra i 20 e i 30 milioni di vite russe nella Seconda Guerra Mondiale. Un impegno condiviso per prevenire un'altra guerra in Europa, indipendentemente dalle differenze ideologiche, avrebbe naturalmente potuto cambiare la storia, scongiurando la corsa agli armamenti nucleari, ma ciò avrebbe minato lo scopo fondamentale della NATO.

«La NATO aveva anche uno scopo economico», scrivono Benjamin e Swanson. «Nel suo documento fondativo sul “Concetto Strategico”, la NATO ha concepito l'integrazione dei suoi membri come non solo militare, ma anche politica, economica e psicologica. Ci si aspettava che i paesi della NATO diffondessero una visione del mondo anticomunista e promuovessero economie pro-capitaliste e di libero mercato».
Nessuna nazione potrebbe aderire alla NATO senza privatizzare la sua economia. Nel 1997, l'allora senatore Joe Biden disse alla Polonia che avrebbe dovuto privatizzare le sue grandi imprese statali come le banche, il settore energetico, la compagnia aerea statale, la produzione statale di rame e il monopolio statale delle telecomunicazioni.

I leader politici degli Stati Uniti prima di Donald Trump si sono lamentati del fatto che i membri della NATO non hanno i loro stessi oneri finanziari, ma l'alleanza ha rafforzato gli interessi economici degli Stati Uniti favorendo la privatizzazione, l'egemonia del dollaro e ostacolando accordi commerciali bilaterali dei paesi membri con l'Unione Sovietica e poi con la Russia. Di conseguenza, l'Europa ha acconsentito alla distruzione del gasdotto Nordstream2 da parte degli Stati Uniti.

Anche i produttori di armi dei paesi della NATO, soprattutto quelli degli Stati Uniti, hanno beneficiato enormemente delle vendite agli altri membri della NATO, così come quelli di Israele. Una sezione del libro dedicata alla NATO e Israele descrive in dettaglio il loro scambio di tecnologie militari. A nazioni come la Romania è stato fatto capire che potevano aderire solo dopo aver fatto enormi acquisti di armi statunitensi.