26/06/25

Il 5% alla NATO? Un osceno tradimento dei bisogni globali

 «Mentre il mondo brucia, la NATO sta facendo scorta di legna da ardere. Il 5% alle spese militari non è difesa: è estorsione su scala globale, istigata da un presidente Usa che considera la diplomazia un'estorsione e la guerra un buon affare. Per il futuro del nostro pianeta, dobbiamo rifiutare l'economia di guerra e la NATO».

L'Aja 2025. Il controvertice delle donne per la pace  

di Medea Benjamin, World BEYOND War

Al vertice NATO di questa settimana all'Aia, i leader hanno annunciato un nuovo obiettivo allarmante: portare la spesa militare al 5% del PIL nazionale entro il 2035. Inquadrata come una risposta alle crescenti minacce globali, in particolare quelle che proverrebbero dalla Russia e dal terrorismo, la dichiarazione è stata salutata come un passo avanti storico. Ma in realtà, rappresenta un grosso passo indietro: ci si allontana dal far fronte ai bisogni urgenti delle persone e del pianeta e si riavvia una corsa agli armamenti che impoverirà le società mentre so arricchiranno i mercanti di armi.

Questo scandaloso obiettivo di spesa del 5% non è nato dal nulla: è il risultato diretto di anni di intimidazioni da parte di Donald Trump. Durante il suo primo mandato, Trump ha ripetutamente rimproverato ai membri della NATO di non aver speso abbastanza per le loro forze armate, facendo pressione su di loro affinché raggiungessero una soglia del 2% del PIL, già controversa e così eccessiva che ben nove paesi della NATO sono tuttora al di sotto di tale "obiettivo".

Ora, con Trump tornato alla Casa Bianca, i leader della NATO si stanno allineando, fissando l’obiettivo sbalorditivo del 5% che nemmeno gli Stati Uniti, che già spendono oltre 1.000 miliardi di dollari all'anno per le spese militari, riescono a raggiungere.

Questa non è difesa; è estorsione su scala globale, promossa da un presidente che considera la diplomazia un'estorsione e la guerra un buon affare.

Alcuni paesi in Europa e Nord America stanno già tagliando i servizi pubblici e tuttavia ora ci si aspetta che destinino ancora più denaro dei contribuenti alla preparazione alla guerra. Attualmente, nessun paese della NATO spende per le spese militari più che per la sanità o l'istruzione. Ma se tutti raggiungessero il nuovo obiettivo del 5% per la spesa militare, 21 di loro spenderebbero più per le armi che per la scuola.

La Spagna è stata una delle poche a respingere questa escalation, con il primo ministro Pedro Sánchez che ha chiarito che il suo governo non avrebbe sacrificato pensioni e programmi sociali per raggiungere un obiettivo di spesa militarizzata. Anche altri governi, tra cui Belgio e Slovacchia, hanno reagito tacitamente.

Ciononostante, i leader della NATO hanno continuato a insistere, applauditi dal segretario generale Mark Rutte, che ha elogiato la richiesta di Donald Trump di aumentare la spesa per la difesa in Europa. Rutte ha persino chiamato Trump "Papà", un commento che, sebbene liquidato come uno scherzo, la dice lunga sulla sottomissione della NATO al militarismo statunitense. Sotto l'influenza di Trump, l'alleanza atlantica ha abbandonato del tutto la pretesa di essere un patto difensivo, abbracciando invece il linguaggio e la logica della guerra perpetua.

Poco prima che i leader della NATO si riunissero all'Aja, i manifestanti sono scesi in piazza sotto lo striscione "No alla NATO". E nei loro paesi d'origine, i movimenti della società civile chiedono un ri-orientamento delle risorse verso la giustizia climatica, l'assistenza sanitaria e la pace. I sondaggi mostrano che la maggioranza degli Stati Uniti si oppone all'aumento della spesa militare, ma la NATO non si preoccupa dei cittadini. Si preoccupa delle élite politiche, dei produttori di armi e di una logica da Guerra Fredda che vede ogni sviluppo globale attraverso la lente della minaccia e del dominio.

L'espansione della NATO, sia in termini di spese belliche che di dimensioni (è passata da 12 membri fondatori a 32 paesi oggi), non ha portato la pace. Al contrario. La promessa dell'alleanza atlantica di integrare l'Ucraina nei suoi ranghi è stata uno dei fattori scatenanti della brutale guerra della Russia e, invece di de-escalation, l'alleanza ha raddoppiato il ricorso alle armi, invece che alla diplomazia. A Gaza, Israele continua impunemente la sua guerra sostenuta dagli Stati Uniti, mentre le nazioni della NATO inviano più armi e non offrono alcun serio impulso alla pace. Ora l'alleanza atlantica vuole prosciugare le casse pubbliche per sostenere queste guerre a tempo indeterminato. Intanto la NATO sta sempre più circondando i suoi avversari, in particolare la Russia, di basi e truppe.

Tutto ciò richiede un ripensamento radicale. Mentre il mondo brucia – letteralmente – la NATO sta facendo scorta di legna da ardere. Quando i sistemi sanitari sono al collasso, le scuole sottofinanziate e le temperature torride rendono inabitabili vaste aree del pianeta, l'idea che i governi debbano investire miliardi in più in armi e guerre è oscena. La vera sicurezza non deriva da carri armati e missili, ma da comunità forti, cooperazione globale e azioni urgenti per affrontare le nostre crisi comuni.

Dobbiamo capovolgere questa situazione. Ciò significa tagliare i bilanci militari, ritirarci dalle guerre infinite e avviare un dibattito serio sullo smantellamento della NATO. L'alleanza atlantica, nata dalla Guerra Fredda, è ora un ostacolo alla pace globale e un partecipante attivo alla guerra. Il suo ultimo vertice non fa che rafforzare questa realtà.

Non si tratta solo del bilancio della NATO, ma del nostro futuro. Ogni euro o dollaro speso in armi è un euro non speso per affrontare la crisi climatica, far uscire le persone dalla povertà o costruire un mondo pacifico. Per il futuro del nostro pianeta, dobbiamo rifiutare la NATO e l'economia di guerra.

23/06/25

FERMIAMO LA GUERRA. L’ITALIA NON SIA COMPLICE

 #AWMR Italia - Donne della Regione Mediterranea condanna con forza gli attacchi USA sugli impianti nucleari iraniani condotti in appoggio e in aggiunta ai bombardamenti  israeliani.

 
Sono atti di guerra proditori e criminali che rischiano di far precipitare la regione del Medio Oriente e il mondo intero in una inarrestabile escalation del confronto armato, anche nucleare. 
Si aprono irresponsabilmente nuovi teatri di guerra, mentre a Gaza continua a consumarsi sotto gli occhi del mondo il genocidio perpetrato impunemente da Israele, con la complicità dichiarata o di fatto dell’Occidente. 
È urgente dire basta a qualsiasi complicità e sostegno alla guerra e al genocidio. È urgente riportare le relazioni internazionali nell’ambito del diritto internazionale ripetutamente e impunemente violato. 
Chiediamo al Governo italiano: 
- di negare ogni forma di supporto, diretta o indiretta, agli attacchi contro impianti nucleari in Iran; 
- di non consentire l’uso dello spazio aereo e delle basi italiane USA e NATO per le missioni di guerra; 
- di sottoscrivere il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), primo passo verso la sicurezza comune; 
- di sospendere il Memorandum d’intesa con Israele e bloccare ogni accordo e contratto commerciale relativo ad armamenti e atti di guerra; 
- di appoggiare le iniziative mirate alla sospensione dell’Accordo di Associazione UE-Israele fino a che non cessi l’occupazione militare dei Territori palestinesi. 

FERMIAMO LA GUERRA, FERMIAMO LA FOLLE CORSA AGLI ARMAMENTI CONVENZIONALI E NUCLEARI. L’ITALIA NON SIA COMPLICE DEL GENOCIDIO A GAZA

23 giugno 2025
AWMR Italia – Donne della regione mediterranea

15/06/25

Donne Iraniane: “Porre fine al disastro prima che diventi irreparabile!”

 L'Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane condanna fermamente l'attacco militare del regime fascista israeliano sul suolo iraniano e l'inizio e la persistenza di una guerra devastante le cui vittime innocenti sono soprattutto donne e bambini!


«Gli attacchi terroristici con droni e missili contro l'Iran, da parte del regime razzista e assassino di bambini di Israele, seguono due anni di incessante massacro della popolazione di Gaza e hanno acceso il fuoco di un'altra guerra devastante nella nostra patria, l'Iran, una guerra che ha il potenziale di estendersi alla regione del Medio Oriente, travolta dalla crisi. La violazione della sovranità territoriale del popolo iraniano è iniziata la mattina di venerdì 13 giugno 2025.

Questi attacchi catastrofici sono stati accolti con un'ondata di attacchi aerei in risposta ai bombardamenti e alla distruzione di decine di città in diverse province, centri militari e di sicurezza e persino complessi residenziali, che hanno ucciso e ferito decine di civili in Iran. Anche l'esercito iraniano ha risposto con forza a questi attacchi. Le ripetute minacce da entrambe le parti continuano, causando preoccupazione tra la popolazione della nostra patria, che ha già sopportato il pesante fardello di otto anni di catastrofica guerra tra Iran e Iraq, insieme a spargimenti di sangue e distruzione di infrastrutture vitali.

Questa guerra sanguinosa e catastrofica è stata scatenata dal regime israeliano, un regime fascista e razzista, aiutato dai suoi alleati, che ignora i trattati internazionali né gli avvertimenti delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, un regime che – come il mondo sta assistendo a Gaza – non esita a bombardare aree residenziali e a compiere il genocidio di persone, compresi bambini.
Gli attacchi missilistici di questo regime aggressore contro la nostra patria hanno causato decine di feriti e morti, molti dei quali bambini, donne e civili. Ieri, il rappresentante dell'Iran alle Nazioni Unite ha annunciato che 78 persone, tra cui alti ufficiali militari, sono state uccise e oltre 320 sono rimaste ferite negli attacchi israeliani. Questo disastro è stato imposto al nostro popolo in un momento in cui sta lottando contro le difficoltà della povertà, una crisi economica crescente e paralizzante e le inadeguatezze di un regime reazionario e oppressivo, e mentre è alle prese con la lotta per liberarsi dal pesante fardello di questa povertà e tirannia. Il popolo sofferente del nostro Paese non vuole la guerra. Crede profondamente che sia in condizioni di pace che i suoi diritti democratici e umani possano essere rispettati. 

Le guerre non hanno mai portato altro che morte e distruzione.

L'organizzazione "Iran’s Mothers for Peace" ha giustamente sottolineato in una dichiarazione di ieri che "mentre insistiamo per la pace e la stabilità, continuiamo a insistere affinché vengano prese decisioni, misure e negoziati razionali per evitare che la guerra si estenda a dimensioni più ampie".

Secondo le agenzie di stampa, oggi il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres ha dichiarato: «Gli attacchi israeliani contro gli impianti nucleari iraniani e i lanci di missili iraniani su Tel Aviv devono cessare. Basta. Ora è il momento di porre fine a questo conflitto; la pace e la diplomazia devono prevalere».

L'Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane, all'unisono con tutte le persone amanti della pace in Iran e nel mondo, chiede la cessazione delle operazioni militari da entrambe le parti in conflitto e la fine di questa pericolosa crisi che minaccia anche la pace mondiale.

Attraverso negoziati, e con il supporto degli sforzi di autorevoli istituzioni internazionali e della posizione progressista delle persone amanti della libertà e della pace in tutto il mondo, dobbiamo cercare di porre fine a questo grande disastro che si sta svolgendo davanti a noi, il prima possibile. Il tempo è essenziale! Invitiamo in particolare le nostre compagne della Federazione Democratica Internazionale delle Donne e delle sue organizzazioni affiliate a far sentire sempre più forte la loro voce di protesta contro la guerra voluta dall'imperialismo.»

Organizzazione Democratica delle Donne Iraniane (DOIW)
14 giugno 2025

26/05/25

Palestina / Non nominate i bambini morti a Gaza

 I bambini palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani hanno un nome. Dobbiamo dire i nomi di tutti quelli che possiamo ricordare.

Ismail Shammout (Gaza), We Will Not Leave, 1987 

di Vijay Prashad*

Nel 2014, i bombardamenti israeliani su Gaza causarono la morte di bambini innocenti. Due attacchi a luglio toccarono una corda particolare. Nel primo, Israele lanciò un missile che colpì il Fun Time Beach Café (Waqt al-Marah) a Khan Younis alle 23:30 del 9 luglio. Nel caffè, una struttura improvvisata a circa trenta metri dal Mar Mediterraneo, diverse persone si erano radunate per assistere alla semifinale della Coppa del Mondo FIFA 2014 tra Argentina e Paesi Bassi. Erano tutti grandi tifosi di calcio. Il missile israeliano uccise nove ragazzi: Musa Astal (16 anni), Suleiman Astal (16 anni), Ahmed Astal (18 anni), Mohammed Fawana (18 anni), Hamid Sawalli (20 anni), Mohammed Ganan (24 anni), Ibrahim Ganan (25 anni) e Ibrahim Sawalli (28 anni). Non videro mai l'Argentina vincere la partita ai rigori né la Germania vincere il torneo in una partita giocata pochi giorni dopo.

Nel frattempo, i bombardamenti israeliani non si placavano. Tre giorni dopo, il 16 luglio, diversi ragazzi stavano giocando a calcio – come se stessero rigiocando ai Mondiali di calcio sulla spiaggia di Gaza – quando una nave della marina militare israeliana aprì il fuoco prima contro un molo e poi, mentre i ragazzi fuggivano dall'esplosione, contro i ragazzi stessi. Israele ne uccise quattro – Ismail Mahmoud Bakr (9 anni), Zakariya Ahed Bakr (10 anni), Ahed Atef Bakr (10 anni) e Mohammad Ramez Bakr (11 anni) – e ne ferì altri. Il bombardamento israeliano del 2014 su Gaza uccise in totale almeno 150 bambini. Quando l'organizzazione per i diritti umani B'Tselem produsse uno spot per trasmettere i nomi dei bambini sulla televisione israeliana, l'Autorità per le trasmissioni israeliana lo vietò. 

Il poeta britannico Michael Rosen rispose alle uccisioni e al divieto con la bellissima poesia "Non menzionate i bambini".

Non menzionate i bambini.
Non nominate i bambini morti.
La gente non deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
I nomi dei bambini devono essere nascosti.
I bambini devono essere senza nome.
I bambini devono lasciare questo mondo
senza nome.
Nessuno deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
Nessuno deve dire i nomi
dei bambini morti.
Nessuno deve nemmeno pensare che i bambini
abbiano un nome.
La gente deve capire che sarebbe pericoloso
sapere i nomi dei bambini.
La gente deve essere protetta dal
sapere i nomi dei bambini.
I nomi dei bambini potrebbero diffondersi
come un incendio.
La gente non sarebbe al sicuro se conoscesse
i nomi dei bambini.
Non nominate i bambini morti.
Non ricordate i bambini morti.
Non pensate ai bambini morti.
Non dite: "bambini morti".

Sì, i bambini hanno un nome. Continueremo a nominare tutti coloro di cui possiamo ricordare il nome. Non li dimenticheremo.

Nel settembre 2024, il Ministero della Salute palestinese ha pubblicato un elenco aggiornato dei nomi dei palestinesi uccisi nel genocidio israelo-statunitense, tra ottobre 2023 e agosto 2024. In quell'elenco ci sono 710 neonati la cui età è indicata come zero. Molti di loro avevano appena ricevuto un nome.

Sebbene l'elenco sia troppo lungo per essere riportato qui, la storia di Ayssel e Asser Al-Qumsan è emblematica. Il 13 agosto 2024, Mohammed Abu Al-Qumsan lasciò il suo appartamento a Deir al-Balah, all'interno della "zona sicura" della Striscia di Gaza centrale, per registrare la nascita dei suoi gemelli Ayssel e Asser. Li lasciò alla madre, la dottoressa Jumana Arfa (29 anni), che li aveva partoriti tre giorni prima all'ospedale Al-Awda di Nuseirat. La dottoressa Jumana Arfa era una farmacista laureatasi presso l'Università di Al-Azhar a Gaza. Pochi giorni prima di dare alla luce i suoi figli, aveva pubblicato su Facebook un post sulla politica israeliana diretta a colpire i bambini, citando un'intervista al chirurgo ebreo americano Dr. Mark Perlmutter in un'importante rubrica della CBS News intitolata "Children of Gaza". Quando Mohammed tornò dalla registrazione dei gemelli, scoprì che la loro casa era stata distrutta e che sua moglie, i suoi figli neonati e sua suocera erano stati tutti uccisi in un attacco israeliano. 

Ayssel Al-Qumsan.
Asser Al-Qumsan.
Dobbiamo dare un nome ai bambini morti.

* Vijay Prashad, Le lacrime dei nostri bambini
Newsletter gennaio 2025, Tricontinental Institute for Social Research
https://thetricontinental.org/newsletterissue/palestine-gaza-2025/

 




24/05/25

Il femminismo in tempo di guerra: la lotta delle donne per la pace e l'uguaglianza ieri e oggi

 In uno scenario di guerre, il femminismo deve difendere il diritto a una vita dignitosa, nell'uguaglianza e senza violenza. La pace non è solo un desiderio: è anche una lotta femminista

Foto: Ben Schumin / CC BY-SA 2.0

di Cristina Simó Alcaraz *

Ottant'anni fa, in un mondo devastato dalla Seconda Guerra Mondiale, donne di diversi paesi si riunirono per fondare la Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDIM). Questa organizzazione, nata nel 1945 al Congresso delle donne di Parigi, propugnava non solo l'emancipazione delle donne, ma anche la pace globale e la giustizia sociale. La sua creazione fu una risposta al fascismo e all'autoritarismo, guidata da donne che avevano resistito in clandestinità, erano sopravvissute ai campi di concentramento o avevano combattuto nei movimenti partigiani.

La FDIM è nata dall'esperienza traumatica della guerra. Molte delle sue fondatrici erano state attive nella lotta contro il nazismo: dalle donne della Resistenza francese alle partigiane italiane e jugoslave come Vida Tomšič. Altre, come la scienziata Eugénie Cotton, avevano affrontato l'occupazione nazista dalla clandestinità. Queste donne capirono che la pace non era solo l'assenza di guerra, ma la costruzione di un mondo senza oppressione di genere, classe o razza.

I suoi obiettivi erano chiari: parità di retribuzione, accesso all'istruzione, diritti riproduttivi, disarmo nucleare e solidarietà con i popoli oppressi. La FDIM è stata determinante nel far istituzionalizzare l'8 marzo come Giornata internazionale della donna e nel far dichiarare il 1975 come Anno internazionale della donna dalle Nazioni Unite.

Le donne spagnole nella FDIM

In America Latina e in Europa, la FDIM ha svolto un ruolo cruciale grazie alle donne comuniste spagnole esiliate dopo la sconfitta repubblicana del 1939. Dolores Ibárruri, la Pasionaria, vicepresidente della FDIM, è stata una figura centrale, insieme ad altre come Isidora Dolado, Carmen de Pedro ed Elisa Úriz Pi, che denunciarono la tortura dei prigionieri politici sotto il franchismo.

L'Unione delle donne spagnole (UME), legata al PCE, coordinò le campagne internazionali contro la dittatura. Negli anni ‘60 e ‘70, la FDIM sostenne il Movimento Democratico delle Donne (MDM), che collegava clandestinamente il femminismo spagnolo con le lotte globali. Il suo approccio combinava classe, genere e anti-imperialismo, prendendo le distanze dal femminismo liberale.

Il femminismo di fronte alle guerre del XXI secolo

Oggi, in un mondo segnato da guerre scatenate dall'imperialismo statunitense, l'eredità della FDIM è più urgente che mai. Gli Stati Uniti, nella decadenza della loro egemonia, provocano conflitti per mantenere il loro dominio: dall'Ucraina (per indebolire la Russia) a Gaza (a sostegno del genocidio sionista), passando per le invasioni dell'Iraq e dell'Afghanistan, i colpi di stato in America Latina (Bolivia, Venezuela, Nicaragua) e le sanzioni contro Cuba, Iran e Corea del Nord.

Le donne sanno che in guerra non ci sono diritti. La militarizzazione dirotta le risorse dalla salute, dall'istruzione e dall'assistenza alle armi, rafforzando il patriarcato e la violenza sessista. La mascolinizzazione delle società in guerra approfondisce l'oppressione femminile, come dimostra l'ascesa dell'estrema destra misogina, pilotata da figure come Trump e i suoi alleati europei.

Per un femminismo antifascista e per la pace

Alla luce di queste considerazioni, è necessario:

  • Recuperare lo spirito del FDIM: l'unità internazionalista contro il fascismo.
  • Contribuire alla costruzione di un grande movimento per la pace e chiedere soluzioni diplomatiche invece di guerre, nel rispetto dell'autodeterminazione dei popoli.
  • Denunciare la militarizzazione e il riarmo, che perpetuano la disuguaglianza e disumanizzano le società.
  • Rafforzare le reti femministe transnazionali, come fecero le comuniste spagnole in esilio.

Le comuniste spagnole, eredi dell'MDM e della FDIM, continuano ad essere un ponte tra donne provenienti da diverse regioni del mondo. In uno scenario di guerre, il femminismo deve difendere il diritto a una vita dignitosa, nell'uguaglianza e senza violenza.

Come diceva Dolores Ibárruri: "È meglio morire in piedi che vivere in ginocchio". Oggi, quello slogan si traduce nel fermare le guerre, il genocidio, l'avanzata fascista e porre fine al capitalismo predatorio. La pace non è solo un desiderio: è anche una lotta femminista.

*Responsabile Area femminismo del PCE

 Questo articolo è pubblicato in: mundoobrero.es del 22/05/2025



04/05/25

9 maggio/La comunità ungherese per la pace celebrerà la sconfitta del nazifascismo

«È deplorevole che il primo ministro Viktor Orbán non intenda commemorare l'80° anniversario della sconfitta del nazifascismo, alla quale milioni di persone devono la vita e le libertà democratiche»

La Comunità Ungherese per la Pace fa sapere che, al contrario del governo di Viktor Orbán, celebrerà la sconfitta del nazismo e del fascismo e che deporrà una corona d'alloro al monumento agli eroi sovietici in piazza Szabadság a Budapest il 9 maggio, perché intende “condividere la celebrazione della sconfitta del nazifascismo nel 1945 e la liberazione dell’Europa con tutti coloro che professano la libertà, l'uguaglianza, la sicurezza collettiva e l'esigenza di una coesistenza pacifica tra paesi e popoli”.

La Comunità Ungherese per la Pace considera deplorevole che il primo ministro Viktor Orbán non intenda commemorare la sconfitta del nazifascismo, alla quale milioni di persone devono la vita e le libertà democratiche, ma la viva piuttosto come una sconfitta. Per voce del suo cancelliere Gergely Gulyás, infatti, il 17 aprile scorso Orbán ha dichiarato che non si poteva parlare di vittoria, poiché l'Ungheria, alleata della Germania di Hitler nella Seconda Guerra Mondiale, aveva subito una sconfitta. Lo stesso Viktor Orbán ha poi fatto sapere che non avrebbe festeggiato, nemmeno in caso di una riconciliazione tra Europa occidentale e Russia.

La Comunità per la Pace ungherese ritiene che, a causa del comportamento equivoco e pavido di Viktor Orbán nei confronti del nazifascismo, spetti al popolo ungherese mostrare determinazione al posto del proprio governo e manifestare la propria opposizione al fascismo. È interesse della nazione ungherese vivere in pace e in buoni rapporti sia con l'Est che con l'Ovest e condizione indispensabile per questo è la condanna inequivocabile del nazifascismo.

01/05/25

1 maggio / La FDIM/WIDF con le donne lavoratrici di tutto il mondo


Uniamoci nella lotta per il lavoro e i diritti sociali delle lavoratrici!




Esigiamo politiche pubbliche 
che promuovano l'autonomia 
economica delle donne



Esigiamo il riconoscimento e la remunerazione del lavoro di cura e domestico


Lottiamo per salari dignitosi,
pari opportunità,
tutela contro le molestie sul lavoro
e le discriminazioni


Esigiamo rispetto per i diritti
delle lavoratrici migranti
e le donne che lavorano
nei settori informali.

 
Denunciamo la violenza sui luoghi di lavoro, le discriminazioni di genere e ogni altra forma di discriminazione, esigiamo politiche per l'accesso alla salute sessuale e riproduttiva.


POGO (Cipro) / Il Primo Maggio è una voce di resistenza e una promessa di lotta

Con la solidarietà e l’azione organizzata – scrive il Movimento pan-cipriota delle donne (POGO) – continuiamo a lottare per un mondo senza sfruttamento, senza disuguaglianze, senza oppressione.



La Giornata Internazionale dei/delle Lavoratori/Lavoratrici è un giorno di commemorazione, celebrazione e continuità. Un giorno per ricordare le sanguinose lotte della classe operaia in tutto il mondo. Un giorno per onorare coloro che si sono opposti allo sfruttamento, lottando per un lavoro dignitoso, la giornata lavorativa di otto ore, la contrattazione collettiva, la previdenza sociale e la parità di diritti. E un giorno di continuità, perché lo sfruttamento persiste e le lotte rimangono attuali e necessarie. 

A Cipro, nel 2025, le donne lavoratrici continueranno ad affrontare gravi difficoltà sul posto di lavoro. Il divario retributivo di genere è salito al 12,2%, secondo gli ultimi dati Eurostat. Ciò significa che per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna guadagna in media solo 88 centesimi, pur svolgendo un lavoro di pari valore. 

Inoltre, le donne hanno meno probabilità di essere impiegate a tempo pieno rispetto agli uomini (52% contro 65%), mentre il tasso di occupazione part-time tra le donne si attesta al 10,6%, rispetto al 5,5% degli uomini. Queste disuguaglianze riflettono le barriere strutturali che le donne continuano ad affrontare nel mercato del lavoro. 

Il Movimento delle Donne di POGO è in prima linea nella lotta per l'uguaglianza, la giustizia e la liberazione sociale. Non scendiamo a compromessi con lo sfruttamento, né accettiamo le strutture oppressive che perpetuano la disuguaglianza nel lavoro e nella vita. Chiediamo un lavoro dignitoso per tutti, parità di retribuzione per pari lavoro, servizi di assistenza pubblici e gratuiti e rispetto del lavoro e della dignità umana. 

Il Primo Maggio è una voce di resistenza e una promessa di lotta. Con solidarietà e azione organizzata, continuiamo a lottare per un mondo senza sfruttamento, senza disuguaglianze, senza oppressione.

Movimento pan-cipriota delle donne (POGO) 

#1May2025
 

30/04/25

VIVA IL 1°MAGGIO / UNITE NELLA LOTTA PER I DIRITTI SOCIALI E DEL LAVORO

 Lavorare con i diritti, vivere con dignità

Esigiamo un salario dignitoso, pari opportunità e tutele contro molestie e discriminazioni sul lavoro.

Esigiamo il rispetto dei diritti delle lavoratrici migranti, lavoratrici domestiche e del settore informale.

Chiediamo politiche che promuovano l'autonomia economica delle donne.

Chiediamo il riconoscimento e la remunerazione del lavoro di cura.

Denunciamo ogni forma di violenza sul posto di lavoro, sfruttamento e discriminazione, esigiamo politiche efficaci di accesso alla salute sessuale e riproduttiva.

Esigiamo rispetto per le attiviste sociali e tutte le donne che lottano per i diritti umani, per i diritti sociali e per la pace.

Awmr Italia - Donne della Regione Mediterranea


19/04/25

La NATO non è mai stata una buona idea finita male...

Lo raccontano Medea Benjamin e David Swanson nel loro libro NATO: cosa c'è da sapere, in cui  si documenta la storia estremamente violenta della NATO, fondata per schiacciare i movimenti comunisti, socialisti e anticoloniali in Europa e in tutto il mondo.

di Ann Garrison*

L'organizzazione è nata il 4 aprile 1949, quando i ministri degli esteri di 12 nazioni si riunirono a Washington, D.C. per firmare il Trattato del Nord Atlantico di 1100 pagine. I suoi membri originari furono Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti.

Il trattato proclamava il suo impegno per la pace e i principi della Carta delle Nazioni Unite, ma "il vero collante che univa i paesi della NATO era l'opposizione al comunismo e al socialismo".
È stata creata non solo per contrastare l'URSS, ma anche per sconfiggere i movimenti comunisti e socialisti europei e schiacciare le lotte rivoluzionarie e anticoloniali. Al momento della sua fondazione, la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio e il Portogallo stavano conducendo campagne feroci per cercare di mantenere le loro colonie africane.


L'URSS creò il Patto di Varsavia solo sei anni dopo, nel maggio 1955, in risposta alla NATO. L'anno precedente aveva addirittura chiesto di aderire, temendo la rinascita del militarismo tedesco, che era costato tra i 20 e i 30 milioni di vite russe nella Seconda Guerra Mondiale. Un impegno condiviso per prevenire un'altra guerra in Europa, indipendentemente dalle differenze ideologiche, avrebbe naturalmente potuto cambiare la storia, scongiurando la corsa agli armamenti nucleari, ma ciò avrebbe minato lo scopo fondamentale della NATO.

«La NATO aveva anche uno scopo economico», scrivono Benjamin e Swanson. «Nel suo documento fondativo sul “Concetto Strategico”, la NATO ha concepito l'integrazione dei suoi membri come non solo militare, ma anche politica, economica e psicologica. Ci si aspettava che i paesi della NATO diffondessero una visione del mondo anticomunista e promuovessero economie pro-capitaliste e di libero mercato».
Nessuna nazione potrebbe aderire alla NATO senza privatizzare la sua economia. Nel 1997, l'allora senatore Joe Biden disse alla Polonia che avrebbe dovuto privatizzare le sue grandi imprese statali come le banche, il settore energetico, la compagnia aerea statale, la produzione statale di rame e il monopolio statale delle telecomunicazioni.

I leader politici degli Stati Uniti prima di Donald Trump si sono lamentati del fatto che i membri della NATO non hanno i loro stessi oneri finanziari, ma l'alleanza ha rafforzato gli interessi economici degli Stati Uniti favorendo la privatizzazione, l'egemonia del dollaro e ostacolando accordi commerciali bilaterali dei paesi membri con l'Unione Sovietica e poi con la Russia. Di conseguenza, l'Europa ha acconsentito alla distruzione del gasdotto Nordstream2 da parte degli Stati Uniti.

Anche i produttori di armi dei paesi della NATO, soprattutto quelli degli Stati Uniti, hanno beneficiato enormemente delle vendite agli altri membri della NATO, così come quelli di Israele. Una sezione del libro dedicata alla NATO e Israele descrive in dettaglio il loro scambio di tecnologie militari. A nazioni come la Romania è stato fatto capire che potevano aderire solo dopo aver fatto enormi acquisti di armi statunitensi. 

07/04/25

Movimento delle Donne Democratiche in Israele / Fermare il genocidio!

 Ancora un appello del MDWI per fermare i crimini dell'esercito israeliano e consentire l'ingresso di alimenti e aiuti medici a Gaza.

Gaza

Israele ha intensificato la sua campagna di uccisioni indiscriminate e sfollamenti forzati di civili nella Striscia di Gaza e si rifiuta di riprendere i negoziati per salvare gli ostaggi israeliani. Questo fa parte della guerra totale che ha dichiarato al popolo palestinese. Dalla ripresa dei raid aerei, il 18 marzo, sono state uccise più di 500 persone, tra cui circa 300 donne, bambini e anziani. Nell'ultimo raid aereo sulla scuola Dar Al-Arqam, 35 persone sono state uccise e più di 100 ferite. I bombardamenti continuano, con il numero delle vittime, bambine e bambini per la maggior parte, in aumento.

Come al solito, gli Stati Uniti sostengono i crimini di Israele, mentre la maggior parte dei paesi rimane in silenzio di fronte ai massacri in corso. Dato il completo fallimento della comunità internazionale, che non riesce a fermare l'aggressione israeliana né a condannare Israele come responsabile del genocidio in corso a Gaza, non sorprende che si continui a violare il diritto internazionale e a commettere ulteriori massacri contro i civili.

Intanto, l'esercito di occupazione continua a commettere crimini in Cisgiordania, fornendo copertura ai coloni e alle loro aggressioni contro le famiglie palestinesi. Coloni e soldati stanno espellendo i residenti dai campi profughi, distruggendo strade e infrastrutture, bruciando case e vandalizzandole per renderle inabitabili, il tutto per gettare i rifugiati nella disperazione e impedirne il ritorno, per eliminare di fatto la questione dei rifugiati e il diritto al ritorno.

Noi, attiviste del Movimento Democratico delle Donne in Israele, partecipanti a numerose azioni di protesta, esigiamo che il governo Netanyahu ponga fine ai suoi brutali crimini contro il popolo palestinese. Chiediamo inoltre ai paesi del mondo di condannare il governo Netanyahu e fare pressione su di esso affinché ponga immediatamente fine alla guerra e agli atti di genocidio e consenta l'ingresso di acqua, cibo e aiuti medici nella Striscia di Gaza.

Movimento Democratico delle Donne in Israele (MDWI)

Nazareth, Tel Aviv – 4 aprile 2025

31/03/25

Ricordando Edith Ballantyne

 Il 25 marzo 2025 ci ha lasciato Edith Ballantyne, già segretaria generale e presidente internazionale della Women’s International League for Peace andFreedom. Il suo straordinario contributo alla pace, la giustizia e i diritti umani le è stato riconosciuto con l’assegnazione del Gandhi Peace Award nel 1995 e dell’International Peace Woman Award nel 2003.

Edith Ballantyne - Image credit Rowan Farrel

di Ada Donno

Edith Ballantyne se n'è andata serenamente a 102 anni – comunica una nota della WILPF internazionale – circondata dall’affetto della famiglia e dalla incondizionata stima e riconoscenza di chi l’ha conosciuta nel corso della sua lunghissima vita dedicata per intero e fino all’ultimo alla pace, alla giustizia e ai diritti umani delle donne.
Nel darne l’annuncio “con profonda tristezza”, l’attuale presidente della WILPF, Sylvie Ndongmo, scrive: «Ci mancheranno profondamente la sua acuta intuizione politica, la sua immutabile solidarietà e generosità, la sua profonda gentilezza. La sua incrollabile fiducia nell'umanità e in un mondo migliore è stata davvero fonte di ispirazione per tutte noi. Edith lascia un’impronta indelebile sia nella sua WILPF che nella comunità globale e la sua luce continuerà a guidarci mentre proseguiamo lungo il felice e formidabile cammino che lei ha tracciato: porteremo il suo testimone con orgoglio, correndo con incrollabile determinazione lungo il percorso che ha illuminato».
Le parole di Sylvie Ndongmo mi risuonano nel profondo, mentre ripasso nella mente le occasioni in cui ho avuto il grande privilegio di incontrare Edith. La prima volta nel 1984, a Milano, dove era fra le relatrici alconvegno nazionale delle donne dell’ANPI dedicato alle “donne protagoniste per una nuova cultura della pace nella resistenza e nella società”. Edith era stata invitata non solo nella sua veste di segretaria generale della WILPF, ma anche nel ruolo straordinario attribuitole dalle Nazioni Unite di coordinatrice della sottocommissione per la pace nell’organizzazione del Forum mondiale delle ONG in preparazione a Nairobi per l’anno dopo.

Milano 1984, convegno nazionale donne dell'ANPI. Da sin. Edith Ballantyne e Ada Donno

L'evento si sarebbe svolto  in parallelo con la Conferenza Mondiale dell'ONU per le Donne che la capitale del Kenia si apprestava ad ospitare nell'85 e che già si preannunciava attraversata da un acuto contrasto geopolitico: le rappresentanze dei paesi dell'Est e di diversi paesi del Sud denunciavano infatti "l’arrogante ostruzionismo occidentale" che, dei tre temi fondamentali del Decennio – parità, sviluppo e pace – brigava per far passare in subordine il secondo e il terzo,  espungendo dai documenti preparatori alcune problematiche connesse allo sviluppo e soprattutto alla pace col pretesto che fossero “troppo conflittuali e politicizzati” e non riguardassero lo “specifico femminile”.

La Conferenza ed il Forum di Nairobi '85 sono poi passati agli annali della storia del ‘900 come pietra miliare del percorso di liberazione delle donne del sud del mondo. Tuttavia in quel frangente storico, mentre si vivevano i parossismi della guerra fredda, le potenze occidentali manovravano per retrogradare alcune tematiche scomode – il disarmo e i pericoli di guerra nucleare, insieme alle questioni dei territori palesinesi occupati e delle lotte di liberazione anticoloniali – che già correvano il rischio di restare ai margini della mappa mentale del movimento femminista occidentale.

Edith colse l’occasione della tribuna di Milano per denunciare energicamente quanto stava accadendo sotterraneamente e chiese alle donne dell’ANPI di agire per “vincere la sfida di Nairobi”. Sappiamo come andò. Edith quella sfida la vinse riuscendo, sostenuta non solo dalla WILPF ma anche da altre ONG come la Women's International Democratic Federation – che a sua volta coordinava il sottocomitato “Donne in situazioni di emergenza” –  a riportare la pace al centro. Ottenne che un “Centro della pace” fosse incluso nell’organizzazione del Forum, istallato in una grande tenda a strisce bianche e blu nel bel mezzo del campus universitario che ospitava il Forum. La Tenda della pace divenne di fatto il punto d’incontro delle attiviste venute a Nairobi '85 da tuttto il mondo per dire che il disarmo e la liberazione dei popoli dal colonialismo erano una faccenda di donne!

Negli anni successivi ho avuto la fortuna di ritrovarla ad alcuni appuntamenti internazionali, come le “scuole di pace delle donne” organizzate in diverse capitali europee dell'Est e dell'Ovest dalla WIDF. Ricordo in particolare quella di Sofia del settembre dell’88, dedicata alle “azioni delle donne per la pace e il disarmo”, dove Edith ci raccontò con commozione che un debito di riconoscenza la legava alle donne bulgare fin da quando, profuga dalla Cecoslovacchia invasa dai nazisti, era stata accolta e ospitata in Bulgaria, prima di trovare una via di fuga che l’avrebbe portata in Canada.

Conservo poi il ricordo vivo di un seminario internazionale della WILPF a Pensier, in Svizzera, nel ‘93. Ero a quel tempo presidente della sezione italiana ed Edith mi volle manifestare la sua preoccupazione per certe controverse azioni che avevano coinvolto alcune nostre associate. Allora mi colpì e mi restò impressa nella mente l’attenta premura con cui seguiva le vicende di ogni singola sezione della WLPF. E mi ritorna alla mente ora, attraverso le parole di Sylvie: «Edith ha sempre messo al centro della sua vita e del suo attivismo le persone, che ascoltava con rispetto e considerazione, dimostrando profonda cura e gentilezza verso le sue compagne attiviste della pace».

Pensier (Svizzera) 1993, Edith Ballantyne coordina un seminario internazionale della WILPF

Edith fu ancora fra le protagoniste nel Forum mondiale che si svolse a Huairou (Pechino) nel ’95, in parallelo con la quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite per le donne, quando la WILPF realizzò un memorabile Treno della pace che partì da Helsinki carico di donne provenienti da 42 paesi e arrivò a Pechino dopo aver toccato San Pietroburgo, Kiev, Bucarest, Sofia, Istanbul, Odessa e Almaty.

Quando l’abbiamo rivista l’ultima volta dieci anni dopo quella storica data, in occasione del centenario della WILPF celebrato a l’Aja, già era circonfusa dell’aura di ammirazione riverente tributata a un mito.

Edith era nata il 10 dicembre 1922 a Jägerndorf, in Cecoslovacchia. Gli anni della sua giovinezza erano stati segnati dalla guerra e dallo sfollamento. Come racconta la sua biografia, aveva appena 16 anni quando i nazisti occuparono la sua terra natale e la sua famiglia dovette fuggire: dalle drammatiche vicende della sua famiglia e della guerra e dall’esperienza di rifugiata Edith trasse ispirazione per l’impegno politico fin dalla giovane età, maturando i valori politici e umanitari che avrebbero guidato la sua vita.

Incontrò la WILPF a Toronto, dove infine si era rifugiata, all'età di diciannove anni. Nel 1948 si trasferì a Ginevra e qui prese a lavorare per l’organizzazione alternando l’impegno lavorativo con quello della cura dei figli. Solo a partire dal 1968 divenne continuativo e profondo il suo rapporto con la sede centrale della WILPF, di cui divenne in breve tempo segretaria generale, fino al 1992, e poi presidente fino al 1998.

Goteborg (Svezia) 2004. Edith Ballantyne (a sin.) con Hanan Awwad e altre rappresentanti di WILPF Palestina

Sylvie Ndongmo sottolinea come durante ambedue i suoi mandati Edith abbia «contribuito notevolmente a rafforzare la presenza della WILPF presso le Nazioni Unite in un momento in cui l'ONU simboleggiava la speranza e la possibilità di una pace globale che avrebbe migliorato la vita di tutti i popoli». Nel sostenere instancabilmente il disarmo, i diritti delle donne e la risoluzione pacifica dei conflitti,  Edith si è adoperata al contempo a promuovere l’unità e la cooperazione delle ONG, perché riteneva importante che parlassero con una sola voce all'ONU. «Credeva fermamente – scrive Sylvie – nel potere della nostra forza collettiva, la sua visione coerente e il suo impegno per la pace hanno contribuito ad amplificare la voce della WILPF sia sulla scena globale che dentro i movimenti di base. E non smetteva di ricordarci che dobbiamo dare il buon esempio, imparando a convivere e collaborare anche in presenza di divergenze, poiché il conflitto e la violenza non risolvono nulla».

Credeva fermamente nei principi della pace, della giustizia sociale e dell'uguaglianza, che considerava inseparabili dall’azione pratica. Così come «credeva che la WILPF dovesse unire le persone ed esortava continuamente le attiviste associate a tornare al senso originale della Carta, alla sua anima, che si basa sulla cooperazione e non sullo scontro o la competizione».

In una intervista, aveva detto: «A volte i miei amici dicono che sono stata solo un’idealista. Ma non sono un’idealista. Penso solo che facciamo ciò di cui siamo capaci. E che la vita sia qualcosa di meglio che combatterci l'uno con l'altro tutto il tempo o competere l'uno contro l'altro, o cercare di valere di più degli altri».  E con grande coerenza, nel suo agire, Edith è stata guidata da spirito di giustizia, mai da ambizione di potere.

Per tutte queste ragioni e per molte altre, anche dopo essersi dimessa dal ruolo formale di leader della WILPF, «è rimasta una luce guida per generazioni di attiviste, alle quali lascia un’eredità fatta di coraggio, convinzione, passione e fede incrollabile nell'umanità e in ciò che è possibile realizzare insieme. Cominciando lei stessa a mostrare cosa è possibile fare quando ci rifiutiamo di accettare la guerra e l'oppressione come inevitabili».

Addio, Edith. Mentre piangiamo la tua scomparsa insieme a tutta la WILPF, sentiamo che «il tuo spirito vive in tutte coloro che continuano il lavoro che hai portato avanti con tanta passione».