26/05/25

Palestina / Non nominate i bambini morti a Gaza

 I bambini palestinesi uccisi dai bombardamenti israeliani hanno un nome. Dobbiamo dire i nomi di tutti quelli che possiamo ricordare.

Ismail Shammout (Gaza), We Will Not Leave, 1987 

di Vijay Prashad*

Nel 2014, i bombardamenti israeliani su Gaza causarono la morte di bambini innocenti. Due attacchi a luglio toccarono una corda particolare. Nel primo, Israele lanciò un missile che colpì il Fun Time Beach Café (Waqt al-Marah) a Khan Younis alle 23:30 del 9 luglio. Nel caffè, una struttura improvvisata a circa trenta metri dal Mar Mediterraneo, diverse persone si erano radunate per assistere alla semifinale della Coppa del Mondo FIFA 2014 tra Argentina e Paesi Bassi. Erano tutti grandi tifosi di calcio. Il missile israeliano uccise nove ragazzi: Musa Astal (16 anni), Suleiman Astal (16 anni), Ahmed Astal (18 anni), Mohammed Fawana (18 anni), Hamid Sawalli (20 anni), Mohammed Ganan (24 anni), Ibrahim Ganan (25 anni) e Ibrahim Sawalli (28 anni). Non videro mai l'Argentina vincere la partita ai rigori né la Germania vincere il torneo in una partita giocata pochi giorni dopo.

Nel frattempo, i bombardamenti israeliani non si placavano. Tre giorni dopo, il 16 luglio, diversi ragazzi stavano giocando a calcio – come se stessero rigiocando ai Mondiali di calcio sulla spiaggia di Gaza – quando una nave della marina militare israeliana aprì il fuoco prima contro un molo e poi, mentre i ragazzi fuggivano dall'esplosione, contro i ragazzi stessi. Israele ne uccise quattro – Ismail Mahmoud Bakr (9 anni), Zakariya Ahed Bakr (10 anni), Ahed Atef Bakr (10 anni) e Mohammad Ramez Bakr (11 anni) – e ne ferì altri. Il bombardamento israeliano del 2014 su Gaza uccise in totale almeno 150 bambini. Quando l'organizzazione per i diritti umani B'Tselem produsse uno spot per trasmettere i nomi dei bambini sulla televisione israeliana, l'Autorità per le trasmissioni israeliana lo vietò. 

Il poeta britannico Michael Rosen rispose alle uccisioni e al divieto con la bellissima poesia "Non menzionate i bambini".

Non menzionate i bambini.
Non nominate i bambini morti.
La gente non deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
I nomi dei bambini devono essere nascosti.
I bambini devono essere senza nome.
I bambini devono lasciare questo mondo
senza nome.
Nessuno deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
Nessuno deve dire i nomi
dei bambini morti.
Nessuno deve nemmeno pensare che i bambini
abbiano un nome.
La gente deve capire che sarebbe pericoloso
sapere i nomi dei bambini.
La gente deve essere protetta dal
sapere i nomi dei bambini.
I nomi dei bambini potrebbero diffondersi
come un incendio.
La gente non sarebbe al sicuro se conoscesse
i nomi dei bambini.
Non nominate i bambini morti.
Non ricordate i bambini morti.
Non pensate ai bambini morti.
Non dite: "bambini morti".

Sì, i bambini hanno un nome. Continueremo a nominare tutti coloro di cui possiamo ricordare il nome. Non li dimenticheremo.

Nel settembre 2024, il Ministero della Salute palestinese ha pubblicato un elenco aggiornato dei nomi dei palestinesi uccisi nel genocidio israelo-statunitense, tra ottobre 2023 e agosto 2024. In quell'elenco ci sono 710 neonati la cui età è indicata come zero. Molti di loro avevano appena ricevuto un nome.

Sebbene l'elenco sia troppo lungo per essere riportato qui, la storia di Ayssel e Asser Al-Qumsan è emblematica. Il 13 agosto 2024, Mohammed Abu Al-Qumsan lasciò il suo appartamento a Deir al-Balah, all'interno della "zona sicura" della Striscia di Gaza centrale, per registrare la nascita dei suoi gemelli Ayssel e Asser. Li lasciò alla madre, la dottoressa Jumana Arfa (29 anni), che li aveva partoriti tre giorni prima all'ospedale Al-Awda di Nuseirat. La dottoressa Jumana Arfa era una farmacista laureatasi presso l'Università di Al-Azhar a Gaza. Pochi giorni prima di dare alla luce i suoi figli, aveva pubblicato su Facebook un post sulla politica israeliana diretta a colpire i bambini, citando un'intervista al chirurgo ebreo americano Dr. Mark Perlmutter in un'importante rubrica della CBS News intitolata "Children of Gaza". Quando Mohammed tornò dalla registrazione dei gemelli, scoprì che la loro casa era stata distrutta e che sua moglie, i suoi figli neonati e sua suocera erano stati tutti uccisi in un attacco israeliano. 

Ayssel Al-Qumsan.
Asser Al-Qumsan.
Dobbiamo dare un nome ai bambini morti.

* Vijay Prashad, Le lacrime dei nostri bambini
Newsletter gennaio 2025, Tricontinental Institute for Social Research
https://thetricontinental.org/newsletterissue/palestine-gaza-2025/

 




24/05/25

Il femminismo in tempo di guerra: la lotta delle donne per la pace e l'uguaglianza ieri e oggi

 In uno scenario di guerre, il femminismo deve difendere il diritto a una vita dignitosa, nell'uguaglianza e senza violenza. La pace non è solo un desiderio: è anche una lotta femminista

Foto: Ben Schumin / CC BY-SA 2.0

di Cristina Simó Alcaraz *

Ottant'anni fa, in un mondo devastato dalla Seconda Guerra Mondiale, donne di diversi paesi si riunirono per fondare la Federazione Democratica Internazionale delle Donne (FDIM). Questa organizzazione, nata nel 1945 al Congresso delle donne di Parigi, propugnava non solo l'emancipazione delle donne, ma anche la pace globale e la giustizia sociale. La sua creazione fu una risposta al fascismo e all'autoritarismo, guidata da donne che avevano resistito in clandestinità, erano sopravvissute ai campi di concentramento o avevano combattuto nei movimenti partigiani.

La FDIM è nata dall'esperienza traumatica della guerra. Molte delle sue fondatrici erano state attive nella lotta contro il nazismo: dalle donne della Resistenza francese alle partigiane italiane e jugoslave come Vida Tomšič. Altre, come la scienziata Eugénie Cotton, avevano affrontato l'occupazione nazista dalla clandestinità. Queste donne capirono che la pace non era solo l'assenza di guerra, ma la costruzione di un mondo senza oppressione di genere, classe o razza.

I suoi obiettivi erano chiari: parità di retribuzione, accesso all'istruzione, diritti riproduttivi, disarmo nucleare e solidarietà con i popoli oppressi. La FDIM è stata determinante nel far istituzionalizzare l'8 marzo come Giornata internazionale della donna e nel far dichiarare il 1975 come Anno internazionale della donna dalle Nazioni Unite.

Le donne spagnole nella FDIM

In America Latina e in Europa, la FDIM ha svolto un ruolo cruciale grazie alle donne comuniste spagnole esiliate dopo la sconfitta repubblicana del 1939. Dolores Ibárruri, la Pasionaria, vicepresidente della FDIM, è stata una figura centrale, insieme ad altre come Isidora Dolado, Carmen de Pedro ed Elisa Úriz Pi, che denunciarono la tortura dei prigionieri politici sotto il franchismo.

L'Unione delle donne spagnole (UME), legata al PCE, coordinò le campagne internazionali contro la dittatura. Negli anni ‘60 e ‘70, la FDIM sostenne il Movimento Democratico delle Donne (MDM), che collegava clandestinamente il femminismo spagnolo con le lotte globali. Il suo approccio combinava classe, genere e anti-imperialismo, prendendo le distanze dal femminismo liberale.

Il femminismo di fronte alle guerre del XXI secolo

Oggi, in un mondo segnato da guerre scatenate dall'imperialismo statunitense, l'eredità della FDIM è più urgente che mai. Gli Stati Uniti, nella decadenza della loro egemonia, provocano conflitti per mantenere il loro dominio: dall'Ucraina (per indebolire la Russia) a Gaza (a sostegno del genocidio sionista), passando per le invasioni dell'Iraq e dell'Afghanistan, i colpi di stato in America Latina (Bolivia, Venezuela, Nicaragua) e le sanzioni contro Cuba, Iran e Corea del Nord.

Le donne sanno che in guerra non ci sono diritti. La militarizzazione dirotta le risorse dalla salute, dall'istruzione e dall'assistenza alle armi, rafforzando il patriarcato e la violenza sessista. La mascolinizzazione delle società in guerra approfondisce l'oppressione femminile, come dimostra l'ascesa dell'estrema destra misogina, pilotata da figure come Trump e i suoi alleati europei.

Per un femminismo antifascista e per la pace

Alla luce di queste considerazioni, è necessario:

  • Recuperare lo spirito del FDIM: l'unità internazionalista contro il fascismo.
  • Contribuire alla costruzione di un grande movimento per la pace e chiedere soluzioni diplomatiche invece di guerre, nel rispetto dell'autodeterminazione dei popoli.
  • Denunciare la militarizzazione e il riarmo, che perpetuano la disuguaglianza e disumanizzano le società.
  • Rafforzare le reti femministe transnazionali, come fecero le comuniste spagnole in esilio.

Le comuniste spagnole, eredi dell'MDM e della FDIM, continuano ad essere un ponte tra donne provenienti da diverse regioni del mondo. In uno scenario di guerre, il femminismo deve difendere il diritto a una vita dignitosa, nell'uguaglianza e senza violenza.

Come diceva Dolores Ibárruri: "È meglio morire in piedi che vivere in ginocchio". Oggi, quello slogan si traduce nel fermare le guerre, il genocidio, l'avanzata fascista e porre fine al capitalismo predatorio. La pace non è solo un desiderio: è anche una lotta femminista.

*Responsabile Area femminismo del PCE

 Questo articolo è pubblicato in: mundoobrero.es del 22/05/2025



04/05/25

9 maggio/La comunità ungherese per la pace celebrerà la sconfitta del nazifascismo

«È deplorevole che il primo ministro Viktor Orbán non intenda commemorare l'80° anniversario della sconfitta del nazifascismo, alla quale milioni di persone devono la vita e le libertà democratiche»

La Comunità Ungherese per la Pace fa sapere che, al contrario del governo di Viktor Orbán, celebrerà la sconfitta del nazismo e del fascismo e che deporrà una corona d'alloro al monumento agli eroi sovietici in piazza Szabadság a Budapest il 9 maggio, perché intende “condividere la celebrazione della sconfitta del nazifascismo nel 1945 e la liberazione dell’Europa con tutti coloro che professano la libertà, l'uguaglianza, la sicurezza collettiva e l'esigenza di una coesistenza pacifica tra paesi e popoli”.

La Comunità Ungherese per la Pace considera deplorevole che il primo ministro Viktor Orbán non intenda commemorare la sconfitta del nazifascismo, alla quale milioni di persone devono la vita e le libertà democratiche, ma la viva piuttosto come una sconfitta. Per voce del suo cancelliere Gergely Gulyás, infatti, il 17 aprile scorso Orbán ha dichiarato che non si poteva parlare di vittoria, poiché l'Ungheria, alleata della Germania di Hitler nella Seconda Guerra Mondiale, aveva subito una sconfitta. Lo stesso Viktor Orbán ha poi fatto sapere che non avrebbe festeggiato, nemmeno in caso di una riconciliazione tra Europa occidentale e Russia.

La Comunità per la Pace ungherese ritiene che, a causa del comportamento equivoco e pavido di Viktor Orbán nei confronti del nazifascismo, spetti al popolo ungherese mostrare determinazione al posto del proprio governo e manifestare la propria opposizione al fascismo. È interesse della nazione ungherese vivere in pace e in buoni rapporti sia con l'Est che con l'Ovest e condizione indispensabile per questo è la condanna inequivocabile del nazifascismo.

01/05/25

1 maggio / La FDIM/WIDF con le donne lavoratrici di tutto il mondo


Uniamoci nella lotta per il lavoro e i diritti sociali delle lavoratrici!




Esigiamo politiche pubbliche 
che promuovano l'autonomia 
economica delle donne



Esigiamo il riconoscimento e la remunerazione del lavoro di cura e domestico


Lottiamo per salari dignitosi,
pari opportunità,
tutela contro le molestie sul lavoro
e le discriminazioni


Esigiamo rispetto per i diritti
delle lavoratrici migranti
e le donne che lavorano
nei settori informali.

 
Denunciamo la violenza sui luoghi di lavoro, le discriminazioni di genere e ogni altra forma di discriminazione, esigiamo politiche per l'accesso alla salute sessuale e riproduttiva.


POGO (Cipro) / Il Primo Maggio è una voce di resistenza e una promessa di lotta

Con la solidarietà e l’azione organizzata – scrive il Movimento pan-cipriota delle donne (POGO) – continuiamo a lottare per un mondo senza sfruttamento, senza disuguaglianze, senza oppressione.



La Giornata Internazionale dei/delle Lavoratori/Lavoratrici è un giorno di commemorazione, celebrazione e continuità. Un giorno per ricordare le sanguinose lotte della classe operaia in tutto il mondo. Un giorno per onorare coloro che si sono opposti allo sfruttamento, lottando per un lavoro dignitoso, la giornata lavorativa di otto ore, la contrattazione collettiva, la previdenza sociale e la parità di diritti. E un giorno di continuità, perché lo sfruttamento persiste e le lotte rimangono attuali e necessarie. 

A Cipro, nel 2025, le donne lavoratrici continueranno ad affrontare gravi difficoltà sul posto di lavoro. Il divario retributivo di genere è salito al 12,2%, secondo gli ultimi dati Eurostat. Ciò significa che per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna guadagna in media solo 88 centesimi, pur svolgendo un lavoro di pari valore. 

Inoltre, le donne hanno meno probabilità di essere impiegate a tempo pieno rispetto agli uomini (52% contro 65%), mentre il tasso di occupazione part-time tra le donne si attesta al 10,6%, rispetto al 5,5% degli uomini. Queste disuguaglianze riflettono le barriere strutturali che le donne continuano ad affrontare nel mercato del lavoro. 

Il Movimento delle Donne di POGO è in prima linea nella lotta per l'uguaglianza, la giustizia e la liberazione sociale. Non scendiamo a compromessi con lo sfruttamento, né accettiamo le strutture oppressive che perpetuano la disuguaglianza nel lavoro e nella vita. Chiediamo un lavoro dignitoso per tutti, parità di retribuzione per pari lavoro, servizi di assistenza pubblici e gratuiti e rispetto del lavoro e della dignità umana. 

Il Primo Maggio è una voce di resistenza e una promessa di lotta. Con solidarietà e azione organizzata, continuiamo a lottare per un mondo senza sfruttamento, senza disuguaglianze, senza oppressione.

Movimento pan-cipriota delle donne (POGO) 

#1May2025
 

30/04/25

VIVA IL 1°MAGGIO / UNITE NELLA LOTTA PER I DIRITTI SOCIALI E DEL LAVORO

 Lavorare con i diritti, vivere con dignità

Esigiamo un salario dignitoso, pari opportunità e tutele contro molestie e discriminazioni sul lavoro.

Esigiamo il rispetto dei diritti delle lavoratrici migranti, lavoratrici domestiche e del settore informale.

Chiediamo politiche che promuovano l'autonomia economica delle donne.

Chiediamo il riconoscimento e la remunerazione del lavoro di cura.

Denunciamo ogni forma di violenza sul posto di lavoro, sfruttamento e discriminazione, esigiamo politiche efficaci di accesso alla salute sessuale e riproduttiva.

Esigiamo rispetto per le attiviste sociali e tutte le donne che lottano per i diritti umani, per i diritti sociali e per la pace.

Awmr Italia - Donne della Regione Mediterranea


19/04/25

La NATO non è mai stata una buona idea finita male...

Lo raccontano Medea Benjamin e David Swanson nel loro libro NATO: cosa c'è da sapere, in cui  si documenta la storia estremamente violenta della NATO, fondata per schiacciare i movimenti comunisti, socialisti e anticoloniali in Europa e in tutto il mondo.

di Ann Garrison*

L'organizzazione è nata il 4 aprile 1949, quando i ministri degli esteri di 12 nazioni si riunirono a Washington, D.C. per firmare il Trattato del Nord Atlantico di 1100 pagine. I suoi membri originari furono Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti.

Il trattato proclamava il suo impegno per la pace e i principi della Carta delle Nazioni Unite, ma "il vero collante che univa i paesi della NATO era l'opposizione al comunismo e al socialismo".
È stata creata non solo per contrastare l'URSS, ma anche per sconfiggere i movimenti comunisti e socialisti europei e schiacciare le lotte rivoluzionarie e anticoloniali. Al momento della sua fondazione, la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio e il Portogallo stavano conducendo campagne feroci per cercare di mantenere le loro colonie africane.


L'URSS creò il Patto di Varsavia solo sei anni dopo, nel maggio 1955, in risposta alla NATO. L'anno precedente aveva addirittura chiesto di aderire, temendo la rinascita del militarismo tedesco, che era costato tra i 20 e i 30 milioni di vite russe nella Seconda Guerra Mondiale. Un impegno condiviso per prevenire un'altra guerra in Europa, indipendentemente dalle differenze ideologiche, avrebbe naturalmente potuto cambiare la storia, scongiurando la corsa agli armamenti nucleari, ma ciò avrebbe minato lo scopo fondamentale della NATO.

«La NATO aveva anche uno scopo economico», scrivono Benjamin e Swanson. «Nel suo documento fondativo sul “Concetto Strategico”, la NATO ha concepito l'integrazione dei suoi membri come non solo militare, ma anche politica, economica e psicologica. Ci si aspettava che i paesi della NATO diffondessero una visione del mondo anticomunista e promuovessero economie pro-capitaliste e di libero mercato».
Nessuna nazione potrebbe aderire alla NATO senza privatizzare la sua economia. Nel 1997, l'allora senatore Joe Biden disse alla Polonia che avrebbe dovuto privatizzare le sue grandi imprese statali come le banche, il settore energetico, la compagnia aerea statale, la produzione statale di rame e il monopolio statale delle telecomunicazioni.

I leader politici degli Stati Uniti prima di Donald Trump si sono lamentati del fatto che i membri della NATO non hanno i loro stessi oneri finanziari, ma l'alleanza ha rafforzato gli interessi economici degli Stati Uniti favorendo la privatizzazione, l'egemonia del dollaro e ostacolando accordi commerciali bilaterali dei paesi membri con l'Unione Sovietica e poi con la Russia. Di conseguenza, l'Europa ha acconsentito alla distruzione del gasdotto Nordstream2 da parte degli Stati Uniti.

Anche i produttori di armi dei paesi della NATO, soprattutto quelli degli Stati Uniti, hanno beneficiato enormemente delle vendite agli altri membri della NATO, così come quelli di Israele. Una sezione del libro dedicata alla NATO e Israele descrive in dettaglio il loro scambio di tecnologie militari. A nazioni come la Romania è stato fatto capire che potevano aderire solo dopo aver fatto enormi acquisti di armi statunitensi. 

07/04/25

Movimento delle Donne Democratiche in Israele / Fermare il genocidio!

 Ancora un appello del MDWI per fermare i crimini dell'esercito israeliano e consentire l'ingresso di alimenti e aiuti medici a Gaza.

Gaza

Israele ha intensificato la sua campagna di uccisioni indiscriminate e sfollamenti forzati di civili nella Striscia di Gaza e si rifiuta di riprendere i negoziati per salvare gli ostaggi israeliani. Questo fa parte della guerra totale che ha dichiarato al popolo palestinese. Dalla ripresa dei raid aerei, il 18 marzo, sono state uccise più di 500 persone, tra cui circa 300 donne, bambini e anziani. Nell'ultimo raid aereo sulla scuola Dar Al-Arqam, 35 persone sono state uccise e più di 100 ferite. I bombardamenti continuano, con il numero delle vittime, bambine e bambini per la maggior parte, in aumento.

Come al solito, gli Stati Uniti sostengono i crimini di Israele, mentre la maggior parte dei paesi rimane in silenzio di fronte ai massacri in corso. Dato il completo fallimento della comunità internazionale, che non riesce a fermare l'aggressione israeliana né a condannare Israele come responsabile del genocidio in corso a Gaza, non sorprende che si continui a violare il diritto internazionale e a commettere ulteriori massacri contro i civili.

Intanto, l'esercito di occupazione continua a commettere crimini in Cisgiordania, fornendo copertura ai coloni e alle loro aggressioni contro le famiglie palestinesi. Coloni e soldati stanno espellendo i residenti dai campi profughi, distruggendo strade e infrastrutture, bruciando case e vandalizzandole per renderle inabitabili, il tutto per gettare i rifugiati nella disperazione e impedirne il ritorno, per eliminare di fatto la questione dei rifugiati e il diritto al ritorno.

Noi, attiviste del Movimento Democratico delle Donne in Israele, partecipanti a numerose azioni di protesta, esigiamo che il governo Netanyahu ponga fine ai suoi brutali crimini contro il popolo palestinese. Chiediamo inoltre ai paesi del mondo di condannare il governo Netanyahu e fare pressione su di esso affinché ponga immediatamente fine alla guerra e agli atti di genocidio e consenta l'ingresso di acqua, cibo e aiuti medici nella Striscia di Gaza.

Movimento Democratico delle Donne in Israele (MDWI)

Nazareth, Tel Aviv – 4 aprile 2025

31/03/25

Ricordando Edith Ballantyne

 Il 25 marzo 2025 ci ha lasciato Edith Ballantyne, già segretaria generale e presidente internazionale della Women’s International League for Peace andFreedom. Il suo straordinario contributo alla pace, la giustizia e i diritti umani le è stato riconosciuto con l’assegnazione del Gandhi Peace Award nel 1995 e dell’International Peace Woman Award nel 2003.

Edith Ballantyne - Image credit Rowan Farrel

di Ada Donno

Edith Ballantyne se n'è andata serenamente a 102 anni – comunica una nota della WILPF internazionale – circondata dall’affetto della famiglia e dalla incondizionata stima e riconoscenza di chi l’ha conosciuta nel corso della sua lunghissima vita dedicata per intero e fino all’ultimo alla pace, alla giustizia e ai diritti umani delle donne.
Nel darne l’annuncio “con profonda tristezza”, l’attuale presidente della WILPF, Sylvie Ndongmo, scrive: «Ci mancheranno profondamente la sua acuta intuizione politica, la sua immutabile solidarietà e generosità, la sua profonda gentilezza. La sua incrollabile fiducia nell'umanità e in un mondo migliore è stata davvero fonte di ispirazione per tutte noi. Edith lascia un’impronta indelebile sia nella sua WILPF che nella comunità globale e la sua luce continuerà a guidarci mentre proseguiamo lungo il felice e formidabile cammino che lei ha tracciato: porteremo il suo testimone con orgoglio, correndo con incrollabile determinazione lungo il percorso che ha illuminato».
Le parole di Sylvie Ndongmo mi risuonano nel profondo, mentre ripasso nella mente le occasioni in cui ho avuto il grande privilegio di incontrare Edith. La prima volta nel 1984, a Milano, dove era fra le relatrici alconvegno nazionale delle donne dell’ANPI dedicato alle “donne protagoniste per una nuova cultura della pace nella resistenza e nella società”. Edith era stata invitata non solo nella sua veste di segretaria generale della WILPF, ma anche nel ruolo straordinario attribuitole dalle Nazioni Unite di coordinatrice della sottocommissione per la pace nell’organizzazione del Forum mondiale delle ONG in preparazione a Nairobi per l’anno dopo.

Milano 1984, convegno nazionale donne dell'ANPI. Da sin. Edith Ballantyne e Ada Donno

L'evento si sarebbe svolto  in parallelo con la Conferenza Mondiale dell'ONU per le Donne che la capitale del Kenia si apprestava ad ospitare nell'85 e che già si preannunciava attraversata da un acuto contrasto geopolitico: le rappresentanze dei paesi dell'Est e di diversi paesi del Sud denunciavano infatti "l’arrogante ostruzionismo occidentale" che, dei tre temi fondamentali del Decennio – parità, sviluppo e pace – brigava per far passare in subordine il secondo e il terzo,  espungendo dai documenti preparatori alcune problematiche connesse allo sviluppo e soprattutto alla pace col pretesto che fossero “troppo conflittuali e politicizzati” e non riguardassero lo “specifico femminile”.

La Conferenza ed il Forum di Nairobi '85 sono poi passati agli annali della storia del ‘900 come pietra miliare del percorso di liberazione delle donne del sud del mondo. Tuttavia in quel frangente storico, mentre si vivevano i parossismi della guerra fredda, le potenze occidentali manovravano per retrogradare alcune tematiche scomode – il disarmo e i pericoli di guerra nucleare, insieme alle questioni dei territori palesinesi occupati e delle lotte di liberazione anticoloniali – che già correvano il rischio di restare ai margini della mappa mentale del movimento femminista occidentale.

Edith colse l’occasione della tribuna di Milano per denunciare energicamente quanto stava accadendo sotterraneamente e chiese alle donne dell’ANPI di agire per “vincere la sfida di Nairobi”. Sappiamo come andò. Edith quella sfida la vinse riuscendo, sostenuta non solo dalla WILPF ma anche da altre ONG come la Women's International Democratic Federation – che a sua volta coordinava il sottocomitato “Donne in situazioni di emergenza” –  a riportare la pace al centro. Ottenne che un “Centro della pace” fosse incluso nell’organizzazione del Forum, istallato in una grande tenda a strisce bianche e blu nel bel mezzo del campus universitario che ospitava il Forum. La Tenda della pace divenne di fatto il punto d’incontro delle attiviste venute a Nairobi '85 da tuttto il mondo per dire che il disarmo e la liberazione dei popoli dal colonialismo erano una faccenda di donne!

Negli anni successivi ho avuto la fortuna di ritrovarla ad alcuni appuntamenti internazionali, come le “scuole di pace delle donne” organizzate in diverse capitali europee dell'Est e dell'Ovest dalla WIDF. Ricordo in particolare quella di Sofia del settembre dell’88, dedicata alle “azioni delle donne per la pace e il disarmo”, dove Edith ci raccontò con commozione che un debito di riconoscenza la legava alle donne bulgare fin da quando, profuga dalla Cecoslovacchia invasa dai nazisti, era stata accolta e ospitata in Bulgaria, prima di trovare una via di fuga che l’avrebbe portata in Canada.

Conservo poi il ricordo vivo di un seminario internazionale della WILPF a Pensier, in Svizzera, nel ‘93. Ero a quel tempo presidente della sezione italiana ed Edith mi volle manifestare la sua preoccupazione per certe controverse azioni che avevano coinvolto alcune nostre associate. Allora mi colpì e mi restò impressa nella mente l’attenta premura con cui seguiva le vicende di ogni singola sezione della WLPF. E mi ritorna alla mente ora, attraverso le parole di Sylvie: «Edith ha sempre messo al centro della sua vita e del suo attivismo le persone, che ascoltava con rispetto e considerazione, dimostrando profonda cura e gentilezza verso le sue compagne attiviste della pace».

Pensier (Svizzera) 1993, Edith Ballantyne coordina un seminario internazionale della WILPF

Edith fu ancora fra le protagoniste nel Forum mondiale che si svolse a Huairou (Pechino) nel ’95, in parallelo con la quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite per le donne, quando la WILPF realizzò un memorabile Treno della pace che partì da Helsinki carico di donne provenienti da 42 paesi e arrivò a Pechino dopo aver toccato San Pietroburgo, Kiev, Bucarest, Sofia, Istanbul, Odessa e Almaty.

Quando l’abbiamo rivista l’ultima volta dieci anni dopo quella storica data, in occasione del centenario della WILPF celebrato a l’Aja, già era circonfusa dell’aura di ammirazione riverente tributata a un mito.

Edith era nata il 10 dicembre 1922 a Jägerndorf, in Cecoslovacchia. Gli anni della sua giovinezza erano stati segnati dalla guerra e dallo sfollamento. Come racconta la sua biografia, aveva appena 16 anni quando i nazisti occuparono la sua terra natale e la sua famiglia dovette fuggire: dalle drammatiche vicende della sua famiglia e della guerra e dall’esperienza di rifugiata Edith trasse ispirazione per l’impegno politico fin dalla giovane età, maturando i valori politici e umanitari che avrebbero guidato la sua vita.

Incontrò la WILPF a Toronto, dove infine si era rifugiata, all'età di diciannove anni. Nel 1948 si trasferì a Ginevra e qui prese a lavorare per l’organizzazione alternando l’impegno lavorativo con quello della cura dei figli. Solo a partire dal 1968 divenne continuativo e profondo il suo rapporto con la sede centrale della WILPF, di cui divenne in breve tempo segretaria generale, fino al 1992, e poi presidente fino al 1998.

Goteborg (Svezia) 2004. Edith Ballantyne (a sin.) con Hanan Awwad e altre rappresentanti di WILPF Palestina

Sylvie Ndongmo sottolinea come durante ambedue i suoi mandati Edith abbia «contribuito notevolmente a rafforzare la presenza della WILPF presso le Nazioni Unite in un momento in cui l'ONU simboleggiava la speranza e la possibilità di una pace globale che avrebbe migliorato la vita di tutti i popoli». Nel sostenere instancabilmente il disarmo, i diritti delle donne e la risoluzione pacifica dei conflitti,  Edith si è adoperata al contempo a promuovere l’unità e la cooperazione delle ONG, perché riteneva importante che parlassero con una sola voce all'ONU. «Credeva fermamente – scrive Sylvie – nel potere della nostra forza collettiva, la sua visione coerente e il suo impegno per la pace hanno contribuito ad amplificare la voce della WILPF sia sulla scena globale che dentro i movimenti di base. E non smetteva di ricordarci che dobbiamo dare il buon esempio, imparando a convivere e collaborare anche in presenza di divergenze, poiché il conflitto e la violenza non risolvono nulla».

Credeva fermamente nei principi della pace, della giustizia sociale e dell'uguaglianza, che considerava inseparabili dall’azione pratica. Così come «credeva che la WILPF dovesse unire le persone ed esortava continuamente le attiviste associate a tornare al senso originale della Carta, alla sua anima, che si basa sulla cooperazione e non sullo scontro o la competizione».

In una intervista, aveva detto: «A volte i miei amici dicono che sono stata solo un’idealista. Ma non sono un’idealista. Penso solo che facciamo ciò di cui siamo capaci. E che la vita sia qualcosa di meglio che combatterci l'uno con l'altro tutto il tempo o competere l'uno contro l'altro, o cercare di valere di più degli altri».  E con grande coerenza, nel suo agire, Edith è stata guidata da spirito di giustizia, mai da ambizione di potere.

Per tutte queste ragioni e per molte altre, anche dopo essersi dimessa dal ruolo formale di leader della WILPF, «è rimasta una luce guida per generazioni di attiviste, alle quali lascia un’eredità fatta di coraggio, convinzione, passione e fede incrollabile nell'umanità e in ciò che è possibile realizzare insieme. Cominciando lei stessa a mostrare cosa è possibile fare quando ci rifiutiamo di accettare la guerra e l'oppressione come inevitabili».

Addio, Edith. Mentre piangiamo la tua scomparsa insieme a tutta la WILPF, sentiamo che «il tuo spirito vive in tutte coloro che continuano il lavoro che hai portato avanti con tanta passione».


20/03/25

La barbarie genocida contro il popolo palestinese non si ferma

 Israele ha ripreso la sua guerra genocida contro Gaza, bombardando e uccidendo dalla sera alla mattina almeno 400 persone, tra cui neonati, donne e anziani.


 

Il cessate il fuoco temporaneo non è stato altro per Israele che una pausa tattica. Il nuovo codardo assalto contro i territori palestinesi segna di fatto la ripresa della guerra genocida, che coincide con l’annunciato ritorno ai loro incarichi nel governo israeliano di alcuni esponenti dell’ala della destra sionista più feroce ed oltranzista.

Quanti bambini devono ancora morire a Gaza, prima che la macchina dello sterminio venga fermata? 

Di fronte alla rottura unilaterale della tregua, intensifichiamo le azioni di solidarietà con l’eroica resistenza palestinese contro la barbarie sionista e le vergognose complicità dell’Occidente colonialista.

20 marzo 2025

AWMR Italia – Donne della Regione Mediterranea

Dopo Gaza, il Libano?

 È una domanda legittima, dopo la brutale aggressione sionista del 18 marzo a Gaza.Un'aggressione che ha portato al martirio e al ferimento di centinaia di persone e che è stata preceduta da una chiara minaccia formulata dal nuovo inviato degli Stati Uniti in Medio Oriente, Steve Witkoff...

di Marie Nassif Debs

Non contento di aver sollecitato il massacro dei figli e delle figlie di Gaza, Witkoff ha fatto seguire la sua minaccia da un'altra contro il Libano e il suo popolo, invitando il presidente della repubblica e il primo ministro a "indirizzarsi verso negoziati politici diretti e faccia a faccia", aggiungendo che i sionisti rimarranno nelle cinque colline occupate e che gli stati arabi del Golfo si asterranno dal contribuire alla ricostruzione del sud "prima che il nuovo processo politico si cristallizzi".

Questi diktat, accompagnati dal divieto alla popolazione del sud di tornare nei propri villaggi situati al confine con la Palestina occupata, riportano alla mente la dichiarazione di Trump durante la sua campagna elettorale in un ristorante di Detroit. Quel giorno, molti, tra cui alcuni funzionari libanesi, hanno applaudito il "candidato" di Trump e hanno invitato i libanesi-americani a dargli il loro voto, poiché aveva promesso che era giunto il momento per i libanesi di vivere in pace “con i loro vicini”…

Ed ecco che sta mantenendo la promessa fatta, che noi siamo stati gli unici a interpretare come un invito chiaro ed esplicito a “normalizzare” i rapporti con il nemico: ed è ciò che Steve Witkoff ci dice oggi a nome di Donald Trump.

Ci dice questo: o vi unite al coro dei regimi normalizzatori e accettate i piani dell'amministrazione statunitense, a partire dal ripristino del fatidico accordo del 17 maggio e poi accettando di concedere i 13 punti che i sionisti aspirano a incassare, o le conseguenze saranno disastrose per voi...

Purtroppo, la dichiarazione dell'inviato statunitense è passata "inosservata" e non ha ricevuto alcuna reazione ufficiale... Anche i media, con poche eccezioni, hanno per lo più omesso di evidenziare o richiamare l'attenzione su questo evento.

Pertanto, invitiamo le istituzioni interessate alla nostra sorte ad assumere una posizione chiara ed esplicita... Soprattutto perché il nuovo inviato degli Stati Uniti ha collegato le sue indicazioni relative ai rapporti con l'entità occupata con il riferimento alla demarcazione dei confini libanesi con la Siria e Cipro e ci ha chiesto di "leggere bene le variabili prima di passare a un altro argomento".

Diciamo NO al ritorno agli accordi del 17 maggio! Nessuna normalizzazione col sionismo!

Beirut, 19 marzo 2025

10/03/25

WIDF 80° anniversario / Viva la solidarietà e la sorellanza internazionalista!

 Il 2025 è per il movimento delle donne un anno denso di significativi anniversari. Per milioni di donne nel mondo, che lottano per difendere i diritti duramente conquistati, ora purtroppo sotto attacchi concentrici, queste celebrazioni e commemorazioni offrono l’opportunità di esplorare la nostra storia collettiva, rifletterci e trovare da essa ispirazione. Ma più di questo, aiutano a illuminare nuove generazioni di donne e giovani lavoratrici sui compiti che ci attendono nella costruzione di un futuro di pace nel quale prevalgano giustizia e uguaglianza, libere da oppressione, sfruttamento e violenza. In questo articolo la National Assembly of Women getta uno sguardo sulla storia della WIDF nel suo 80° anniversario e su alcune delle iniziative da essa promosse che raggiungeranno il traguardo della cifra tonda nei prossimi mesi.

Foto SISTERS spring 2025

di Liz Payne, presidente della National Assembly of Women, UK *

La WIDF, a cui la National Assembly of Women (NAW) è affiliata, fu fondata in un congresso a Parigi alla fine del 1945. L’impulso alla sua fondazione venne da vari movimenti internazionalisti di donne antifasciste, egualitarie e pacifiste cresciuti tra gli anni 30 e la seconda guerra mondiale. Questi comprendevano l’Unione delle Donne Francesi (UFF), in seguito di venuta Femmes Solidaires, che ospitò il congresso di Parigi. In tutto vi parteciparono 850 delegate da 181 organizzazioni di donne provenienti da 41 paesi. Rappresentavano milioni di donne da tutto il mondo. La rinomata pacifista e femminista francese Gabrielle Duchene vi partecipò in rappresentanza della Women’s International League for Peace and Freedom (WILPF). C’erano anche dalla Gran Bretagna alcune delegate della sezione nazionale dell’International Women’s Day Committee (IWDC), costituita nel 1942 ed essa stessa parte di un coordinamento internazionale.

Fra i principi fondanti della WIDF c’era la lotta contro il fascismo e per la pace, senza la quale non ci può essere l’uguaglianza, per i diritti economici, politici e sociali delle donne ovunque e per tutto ciò che è necessario per la salute e il benessere dei bambini, comprese l’istruzione e l’eliminazione della povertà. Questi divennero, e restano tuttora, gli obiettivi chiave della NAW, fondata a Londra nella Giornata Internazionale delle Donne del 1952.

La WIDF ha collaborato strettamente con il World Peace Council (WPC), costituito nel 1949 per opporsi alla NATO, l’alleanza militare guerrafondaia che persegue gli interessi collettivi delle potenze più reazionarie sulla terra. Nel maggio 1951 la WIDF compì un intervento importante nella guerra di Corea. Inviò in Corea una Commissione Internazionale Investigativa composta da attiviste dell’Africa, America, Asia ed Europa, compresa la britannica Monica Felton, per indagare sulla condotta della guerra sul campo. Il successivo report della Commissione intitolato Noi accusiamo! rivelò al mondo una serie di atrocità americane, compreso il sospetto ricorso alla guerra batteriologica.

Durante la guerra del Vietnam, la WIDF e le sue organizzazioni affiliate collaborarono strettamente con le organizzazioni sorelle in Vietnam e organizzarono proteste e azioni di solidarietà ovunque. Una di queste, in cui la NAW fu strettamente coinvolta, fu la costruzione dell’Ospedale dell’Amicizia per madri e bambini ad Hanoi, che entrò in funzione nel 1979.

La prima presidente della WIDF fu Eugénie Cotton, scienziata francese e partigiana antifascista, che inseguito divenne anche vicepresidente del WPC, mantenendo le due posizioni fino alla fine della sua vita nel 1967. Dolores Ibarruri, nota anche come la Pasionaria, eminente leader politica repubblicana durante la guerra civile spagnola del 1936-1939, fondatrice dell’organizzazione di donne antifasciste e per la pace Mujeres Antifascistas, fu fra le fondatrici della WIDF e ne divenne vicepresidente onoraria.

La WIDF collaborò fin dall’inizio con altre organizzazioni internazionali di massa come la World Federation of Democratic Youth (WFDY), in campagne per la tutela dei bambini, e la World Federation of Trade Unions (WFTU) per i diritti lavorativi delle donne. Molte iniziative innovative per le donne e i bambini negli anni sono state guidate dalla WIDF. Per citarne alcune, la designazione del 1° giugno come Giornata Internazionale del Bambino, segnata come tale per la prima volta nel 1950, e l’organizzazione nel 1952 della Conferenza in difesa dei bambini e nel 1955 il congresso mondiale delle madri a Losanna.

La WIDF affrontò l’enorme questione dell’impatto dell’”impero” sulle donne che vivevano nei territori coloniali e fu dietro il Seminario sulla Madre e il Bambino in Africa tenuto 60 anni fa nell’agosto 1965 in Mali. Da quel momento la WIDF divenne una grande forza da non sottovalutare. Le sue organizzazioni comprendevano oltre 200 milioni di donne in tutto il mondo.

Fu su proposta della WIDF alla Commissione per lo Status delle Donne (CSW) delle Nazioni Unite che cinquant’anni fa l’ONU dichiarò il 1975 Anno Internazionale delle Donne e proclamò i successivi dieci anni Decennio delle Nazioni Unite per le donne al fine di promuovere nel mondo il discorso sull’avanzamento della parità femminile. La prima Conferenza Mondiale per le Donne a Città del Messico nel giugno 1975 è passata come “il più grande evento di presa di coscienza nella storia”.

In tutto, quattro conferenze mondiali furono convocate dalle NU nell’ultimo quarto del ventesimo secolo. La quarta conferenza, alla quale la NAW prese parte, si tenne a Pechino nel 1995. La Dichiarazione di Pechino sul raggiungimento della parità di diritti per le donne, che quest’anno compie 30 anni, fu il risultato più famoso di quell’evento.

Come affiliata alla WIDF, la NAW continua a partecipare alle attività del Comitato direttivo mondiale e del Coordinamento regionale europeo. Uno dei più validi contributi che l’essere affiliata alla WIDF reca alla NAW è la costante interazione con le sorelle delle organizzazioni affiliate, che ci aiuta ad acquisire una comprensione delle esperienze e delle lotte delle donne in tutto il mondo, soprattutto attraverso le riunioni e le dichiarazioni prodotte.

La NAW è stata una delle organizzazioni partecipanti nel luglio 2024 a un workshop online su Donne e Guerra che ha realizzato un ampio ascolto e un insieme unico di contributi. Attraverso la WIDF abbiamo potuto accedere a testimonianze di prima mano e report sulle coraggiose lotte contemporanee delle donne in ogni parte del mondo, comprese le zone di guerra del Medio Oriente e dell’Africa. L’ultima dichiarazione del Movimento delle Donne Democratiche in Israele è pubblicato su queste stesse pagine.

Nell’80° anniversario della WIDF abbiamo molto da celebrare e molto da emulare guardando avanti. La NAW è orgogliosa di far parte di questa organizzazione autenticamente internazionalista!

Solidarietà alla WIDF e alla sua sorellanza mondiale!

*L’articolo è pubblicato in SISTER  rivista trimestrale della NAW, n.1/2025, Coventry (UK). 



09/03/25

8 marzo a Beirut / Unire le forze contro la violenza e le molestie, per l'uguaglianza di genere e i diritti delle donne

 


In occasione dell'8 marzo, Giornata internazionale della donna, su invito dell'Associazione Equality-Warda Boutros (MWB) si è tenuto a Beirut un incontro presso il centro FENASOL, che ha coinvolto un folto gruppo di rappresentanti di associazioni e sindacati libanesi e palestinesi.

 Partendo dalla lettura della situazione libanese in generale, la discussione si è concentrata in particolare sull'aggressione sionista e sulle sue ripercussioni sulle condizioni delle donne, a partire dallo sfollamento e dai suoi effetti, soprattutto nelle aree rurali, fino alla crisi economica e alla violenza nei luoghi di lavoro.

 È emersa la priorità di muoversi nei confronti del governo libanese perché firmi la Convenzione OIL 190, che chiede l'eliminazione di tutte le forme di violenza e molestie, in particolare la violenza di genere.

È stata anche ribadita l'importanza della lotta per emendare la legge sulla nazionalità emanata nel 1925, in modo da stabilire il diritto delle donne libanesi a trasmettere la propria nazionalità ai propri figli, e la legge per proteggere le donne dalla violenza domestica e dal femminicidio.

Un piano d'azione annuale per promuovere tali proposte è stato concordato fra le organizzazioni partecipanti.

Beirut, 9 marzo 2025